Sull’accordo di associazione UE-Ucraina

Oggi, martedì 16 settembre, è stato firmato nella plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo l’accordo di associazione tra Unione e Ucraina. La firma è avvenuta in collegamento diretto con il Parlamento di Kiev, presenti Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo, a Strasburgo, e Petro Porošenko, Presidente ucraino, a Kiev.

Durante il dibattito, Barbara Spinelli ha così motivato il proprio voto contrario:

Ritengo che qualsiasi trattato con il governo ucraino necessiti di un dibattito più approfondito.
Il Parlamento si è dato troppo poco tempo. Ecco i punti che andrebbero chiariti prima di ogni intesa in piena guerra civile:

• Non si può contestualmente provocare la Russia, includendo l’Ucraina nella Nato.

• Al governo di Kiev, considerato illegittimo da metà degli ucraini, l’Unione dovrebbe chiedere di sciogliere subito le milizie di estrema destra e neonaziste alle dipendenze del ministero dell’Interno a Kiev.

• Devono esser protette le popolazioni russe nell’Est e nel Sud dell’Ucraina, altrimenti diamo a Putin tutte le ragioni di un’invasione.

• Dovremmo discutere seriamente sulle sanzioni alla Russia: una politica a mio parere sbagliata. Anzi: una non-politica.

Grazie.

 

Video dell’intervento

 

Gli strabismi sulla guerra in Ucraina

Lettera al direttore de «La Stampa», 15 settembre 2014

Caro direttore,

fin dal marzo scorso, Helmut Schmidt mise in guardia i governi europei e Washington, su Ucraina e Russia: troppo grande era l’«agitazione» occidentale. Troppo pericoloso mimare la riedizione della guerra fredda con Putin, troppo vasta l’ignoranza della storia e di quel che essa dovrebbe insegnare. Ci insegna che si entrò così nella Prima guerra mondiale: barcollando come ubriachi che non vogliono quel che fanno, ma lo fanno lo stesso. E si precipitò nella catastrofe anche quando le guerre furono volute, pianificate: quando Napoleone invase la Russia nel 1811-12, quando Hitler ripeté la spedizione nel 1941.

La terza guerra mondiale che oggi stiamo rischiando nasce dagli stessi vizi: incompetenza, forme di ignoranza militante, scarsa prudenza, infine sterile agitazione. Lo stato di concitazione cui allude l’ex Cancelliere ha come principale conseguenza la disinformazione su quel che veramente accade sul terreno, e responsabili sono quindi non solo i governi ma, forse in prima linea, la stampa. Mancano autentici reportage sull’Est ucraino (sul Donbass essenzialmente, regione industrial-mineraria a prevalenza russofona; sul pogrom antirusso a Odessa del 2 maggio; sull’aereo abbattuto della Malaysia Airlines); come mancano sul governo di Kiev e come è nato: non da moti di piazza filoeuropei (il famoso Euromaidan fu presto catturato da nazionalisti russofobi). Lo sguardo di giornali e governi è affetto da grave strabismo, mettendosi di fatto al servizio di chi vuole disseppellire la guerra fredda. «Fuck the EU!», disse a febbraio il vice segretario di Stato Victoria Nuland, e i dirigenti europei hanno eseguito, accettando di negoziare il futuro di Kiev con Mosca e anche con Washington, che con l’Ucraina ha poco a che vedere. C’è un tono, nella stampa mainstream, che ricorda l’euforica depravazione semplificatrice che Karl Kraus mette in bocca ai giornalisti, descrivendo la Prima guerra mondiale negli Ultimi giorni dell’umanità.

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Lettera ai parlamentari europei
sulla nomina di Tibor Navracsics

Versione italiana
English version

14 settembre 2014

Cari colleghi,

ritengo necessario respingere la nomina di Tibor Navracsics – attuale ministro ungherese degli Affari esteri e del commercio – a membro della Commissione europea. La sua designazione come responsabile per Educazione, cultura, politiche giovanili e cittadinanza è particolarmente allarmante, e costituisce un vero e proprio ossimoro per chi consideri una inderogabile necessità democratica la tutela dell’informazione, dell’istruzione, della partecipazione attiva dei giovani e della società civile – ambiti che hanno nella libertà d’espressione il proprio nucleo più profondo, e al tempo stesso più fragile.

Più in generale, non può lasciarci indifferenti il fatto che Tibor Navracsics – il cui documento strategico Our Future (Jövőnk) ha costituito, nel 2007, la base per il Manifesto del partito conservatore Fidesz – sia consigliere e uomo di fiducia di Viktor Orbán, il premier nazionalista che nemmeno due mesi fa ha dichiarato il proprio rigetto delle democrazie liberali, [1] né che sia l’ispiratore della riforma dei media ungheresi che nel 2011 pose i mezzi di comunicazione, pubblici o privati che fossero, sotto il controllo dello stato, riducendo pressoché al silenzio le voci dell’opposizione. [2]

Allo stesso modo, dobbiamo ricordare che Tibor Navracsis era ministro della Giustizia e vice Premier del secondo governo Orbán quando, nel 2011, una riforma costituzionale delegittimò la magistratura ungherese, relegando il Consiglio nazionale dei Magistrati a un ruolo meramente consultivo, destituendo la Corte costituzionale di buona parte del suo potere e lasciando piena libertà al governo di far approvare le proprie leggi quadro senza un’adeguata discussione parlamentare. [3]

Infine è opportuno considerare che, in qualità di Commissario – avendo tra le proprie competenze il programma per la cittadinanza – Tibor Navracsis avrebbe facoltà di limitare o bloccare tanto le future iniziative legislative europee quanto i finanziamenti alle Organizzazioni non governative, per progetti intesi a promuovere e rafforzare la cittadinanza europea. La preoccupazione non è fuori luogo, se consideriamo la politica aggressiva attualmente condotta nei confronti delle Ong operanti in Ungheria, denunciata da Amnesty International Ungheria [4] dallo stesso Consiglio d’Europa, che ha indirizzato in proposito una lettera al primo ministro Orbán. [5] Ong che si sono attivate, nel caso ungherese, nelle regioni più povere o a tutela delle popolazioni Rom.

Come sappiamo, il sostegno delle associazioni, dei comitati, delle organizzazioni di cooperazione e di tutela dei diritti umani – che rientra nello spirito dell’articolo 11 del Trattato sull’Unione europea – concerne il Parlamento come istituzione. La libertà d’espressione è un elemento essenziale in un sistema democratico, ed è un diritto fondamentale riconosciuto dalla Carta europea. In quanto principio fondante dell’Unione, deve essere non solo protetta, ma “promossa” dai suoi stati membri (art. 49 del Trattato sull’Unione europea). Limitare l’attività degli organismi a tutela dei diritti umani, o intimidirne i dirigenti e gli attivisti, viola norme che sono vincolanti, e il principio di cooperazione leale che deve caratterizzare le relazioni tra l’Unione e i suoi stati membri (art. 4.3 Teu).

È per questi motivi che vi chiedo, cari colleghi, di esprimervi contro la nomina di Tibor Navracsics a Commissario dell’Unione europea, e in maniera più specifica a Commissario per Educazione, cultura, politiche giovanili e cittadinanza. [6]

Barbara Spinelli
vice-presidente della Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo,
membro supplente della Commissione per le Libertà civili, giustizia e affari interni

NOTE

[1] «Il nuovo stato che stiamo costruendo è uno stato illiberale, uno stato non liberale» ha detto Viktor Orbán il 26 luglio 2014, davanti a una platea di ungheresi “etnici” in Romania. «Dobbiamo abbandonare i metodi liberali e i principi liberali di organizzazione sociale, così come il modo liberale di guardare al mondo». (http://www.kormany.hu/en/the-prime-minister/the-prime-minister-s-speeches/prime-minister-viktor-orban-s-speech-at-the-25th-balvanyos-summer-free-university-and-student-camp)

[2] Un recente rapporto dell’Osce analizza l’impatto delle politiche governative sui media ungheresi, mostrando la convergenza dell’informazione sul partito governativo Fidesz. (http://www.osce.org/odihr/elections/hungary/116077). Unica eccezione, l’emittente dell’opposizione RTL, posta più volte in condizione di fallire, tanto che Neelie Kroes, vicepresidente della Commissione europea, ha recentemente ritenuto di intervenire in sua difesa: «RTL è uno dei pochi canali in Ungheria che non si limiti a promuovere una linea pro-Fidesz; è difficile pensare che l’obiettivo non sia cacciarla dall’Ungheria. Il governo ungherese non vuole in Ungheria un’emittente neutrale di proprietà straniera. [Tutto questo] è parte di un percorso profondamente preoccupante: un percorso contrario ai valori dell’Unione europea». (http://ec.europa.eu/commission_2010-2014/kroes/en/blog/media-freedom-remains-under-threat-hungary)

[3]In un parere giuridico adottato il 16-17 marzo 2012, la Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa si è pronunciata contro la riforma, ritenuta una minaccia per l’indipendenza del sistema giudiziario ungherese e un rischio patente di violazione del diritto all’equo processo garantito dall’art. 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. A tal fine, la Commissione raccomandò la revisione delle leggi in questione e della stessa Costituzione ungherese. (CDL-AD(2011)016-e. Opinion on the new Constitution of Hungary adopted by the Venice Commission at its 87th Plenary Session, Venezia, 17-18 giugno 2011. http://www.venice.coe.int/webforms/documents/cdl-ad%282011%29016-e.aspx).

[4] Amnesty International Ungheria ha chiesto al governo Orbán di «smettere di ostacolare» le Ong e i gruppi della società civile, e garantire «l’esercizio del loro diritto alla libertà di associazione e alla libertà di espressione, senza subire intimidazioni». (Hungarian government must end its intimidation of NGOs, 10 settembre 2014, http://www.amnesty.eu/content/assets/Doc2014/eur270042014en.pdf).

[5] Il 9 luglio 2014, il Commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, ha indirizzato una lettera a János Lázár, Segretario di Stato per l’Ufficio del Primo Ministro, esprimendo il proprio disappunto per le intimidazioni e la sottrazione di fondi destinati alle Ong ungheresi da parte del Norwegian Civil Fund.
https://wcd.coe.int/com.instranet.InstraServlet?command=com.instranet.CmdBlobGet&InstranetImage=2564455&SecMode=1&DocId=2164762&Usage=2

[6] Parla da sé, che nella Lettera di missione indirizzata da Jean-Claude Juncker a Tibor Navracsics, il 10 settembre 2014, si legga: «Pur essendo radicate a livello locale e nazionale, l’istruzione, la cultura e la partecipazione civica sono percepite dai cittadini dell’Unione Europea come una componente cruciale dei nostri valori e della nostra identità condivisi. Esse contribuiscono alle risorse di libera espressione, creatività e imprenditorialità di ciascun individuo, nonché al dinamismo e alla coesione della nostra società». E, più avanti: «Rafforzare la comprensione dell’opinione pubblica su come oggi siano elaborate le politiche dell’Unione Europea e aiutare i cittadini a conoscere meglio l’Unione Europea e a partecipare alle sue discussioni. Bisogna in particolare adoperarsi per raggiungere i beneficiari delle attività organizzate attraverso il programma “Europe for Citizens” ed ERASMUS+, nonché nell’ambito del programma di tirocini organizzato dalla Commissione».

FIRME:

  1. Marie Christine Vergiat – Front de Gauche
  2. Gabi Zimmer – Die Linke
  3. Cornelia Ernst – Die Linke
  4. Marina Albiol Guzman – Izquierda Unida
  5. David Borrelli – Movimento 5 stelle
  6. Eleonora Forenza – Lista Tsipras-L’Altra Europa
  7. Franziska Keller – Bündnis 90/Die Grünen
  8. Terry Reintke – Bündnis 90/Die Grünen
  9. Fabio Massimo Castaldo – Movimento 5 Stelle
  10. Rosa D’Amato – Movimento 5 Stelle
  11. Klaus Buchner – Ökologisch-Demokratische Partei
  12. Jordi Sebastià – Compromis
  13. Benedek Jávor – Együtt 2014 – Párbeszéd Magyarországért
  14. Karima Delli – Europe Ecologie
  15. Martina Michels – Die Linke
  16. Lösing Sabine – Die Linke
  17. Malin Björk – Swedish Left party
  18. Isabella Adinolfi – Movimento 5 Stelle
  19. Liadh Ni Riada – Sinn Fein
  20. Luke ‘Ming’ Flanagan – Independent
  21. Teresa Rodriguez-Rubio – Podemos
  22. Helmut Scholz – Die Linke
  23. Neoklis Sylikiotis – Cyprus Progressive Party of Working People – Left – New Forces

September 14, 2014

Dear Colleagues,

I believe it is essential to reject the designation of Mr Tibor Navracsics – the current Hungarian minister of Foreign Affairs and Trade – to the post of European Commissioner. His designation as person in charge of Education, Culture, Youth and Citizenship is particularly alarming, and sounds as an outright paradox to those who consider it an inescapable democratic necessity to protect the information, education, and active participation of youth and civil society – areas that have freedom of expression at their deepest and most fragile core.

On a broader level, we cannot remain indifferent to the fact that Mr Tibor Navracsics – whose strategic document Our Future (Jövőnk) served as a basis for the Manifesto adopted by the conservative party Fidesz in 2007 – is a close advisor to Viktor Orbán, the nationalist Prime Minister who hardly two months ago declared his refusal of liberal democracies. [1] Nor can we turn a blind eye to the fact that Mr Navracsics inspired the Hungarian media reform package which in 2011 put both private and public media outlets under Government supervision, virtually silencing the opposition. [2]

Likewise, we must bear in mind that Mr Tibor Navracsis was minister of Justice and Deputy Prime Minister in the second Orbán Government when, in 2011, a constitutional reform delegitimized the Hungarian judiciary system, confining the National Judicial Council to a merely advisory role, widely depriving the Constitutional Court of its powers and giving the Government free rein to have its own framework laws approved without proper parliamentary debate. [3]

Finally, it is also advisable to consider that as a Commissioner – having among his own competences the citizenship programme – Mr Tibor Navracsis will have the power to limit or block not only any future European legislative initiative but also the funds allocated to Non-Governmental Organizations for projects aiming to promote and reinforce European citizenship. This concern is legitimate if we consider the aggressive policy currently directed against NGOs working in Hungary, included those particularly active in the poorest regions or in the defence of Roma communities. This policy was denounced by Amnesty International Hungary [4] and by the Council of Europe, which wrote a letter to the Hungarian Prime Minister to express its concern over the issue. [5]

As we know, the support for associations, committees, and organizations engaged in cooperation and in the protection of human rights – which espouses the spirit of Article 11 of the Treaty of the European Union – concerns the Parliament as an institution. Freedom of expression is an essential principle of every democratic system and a right recognized by the European Charter of fundamental rights. As a founding principle of the Union, freedom of expression must be not only protected, but also “promoted” among Member States (art. 49 of the Treaty of the European Union). All actions intended to limit the activity of human rights organizations or to intimidate their leaders and activists violate not only binding rules of the Union, but also the principle of loyal cooperation which should characterize the relations between the Union and its Member States (art. 4 p. 3 TEU).

For these reasons I ask you, dear colleagues, to vote against the designation of Mr Tibor Navracsics as Commissioner of the European Union, and more specifically as Commissioner for Education, Culture, Youth and Citizenship. [6]

Barbara Spinelli
Vice-President of the Committee Constitutional Affairs of the European Parliament,
Member of the Committee Civil Liberties, Justice and Home Affairs

NOTES

[1] “The new state that we are constructing in Hungary is an illiberal state, a non-liberal state” said Viktor Orbán on July 26, 2014, to an audience of “ethnic” Hungarians in Romania. “We must break with liberal principles and methods of social organisation, and in general with the liberal understanding of society”. http://www.kormany.hu/en/the-prime-minister/the-prime-minister-s-speeches/prime-minister-viktor-orban-s-speech-at-the-25th-balvanyos-summer-free-university-and-student-camp

[2] A recent OSCE report analyzes the impact of government policies on the Hungarian media, showing the converging bias of the information regarding the government party Fidesz. The only exception being the opposition media company RTL, which was repeatedly pushed to the brink of bankruptcy by means of heavy taxation, so that Neelie Kroes, Vice-President of the European Commission, has recently decided to intervene in its defense: “RTL is one of the few channels in Hungary not simply promoting a pro-Fidesz line; it is hard to see that the goal is anything other than to drive them out of Hungary. The Hungarian Government does not want a neutral, foreign-owned broadcaster in Hungary. [This] is part of a pattern that is deeply worrying; a pattern contrary to the EU’s values”.
http://ec.europa.eu/commission_2010-2014/kroes/en/blog/media-freedom-remains-under-threat-hungary

[3] In an opinion adopted on March 16-17, 2012, the Venice Commission of the Council of Europe has ruled against the reform, which is considered a threat to the independence of the Hungarian judiciary system and risks of being an evident breach of the right to fair trial guaranteed by art. 6 of the European Convention of Human Rights. To this end, the Commission recommended the review of the laws concerned and of the Hungarian Constitution itself. (CDL-AD(2011)016-e. Opinion on the new Constitution of Hungary adopted by the Venice Commission at its 87th Plenary Session, Venezia, 17-18 giugno 2011.
http://www.venice.coe.int/webforms/documents/cdl-ad%282011%29016-e.aspx)

[4] Amnesty International called on the Hungarian government to end its intimidation of NGOs and “to respect the right to freedom of association and freedom of expression”.
http://www.amnesty.eu/content/assets/Doc2014/eur270042014en.pdf

[5] On July 9, 2014, the Commissioner for Human Rights of the Council of Europe, Nils Muižnieks, addressed a letter to János Lázár, Secretary of State for the Office of the Prime Minister, expressing his concern about intimidations and the conversion of funds originally allocated to Hungarian NGOs by the Norwegian Civil fund.
http://www.amnesty.eu/content/assets/Doc2014/eur270042014en.pdf

[6] Please note that the Mission letter addressed by Jean-Claude Juncker to Tibor Navracsics on September 10, 2014, states: «While locally and nationally rooted, education, culture and civic participation are perceived by EU citizens as a key component of our shared European identity and values. They contribute to individuals’ capacities for self-expression, creativity and entrepreneurship, as well as to the social cohesion and dynamism of our society». Moreover, «Strengthening the understanding of the general public of how EU policies are shaped today and helping citizens to learn more about the EU and to engage in EU debates. Particular attention should be paid to reaching out to the beneficiaries of activities organised through the “Europe for Citizens” programme and ERASMUS+, as well as in the context of the traineeship programme organised by the Commission».
http://ec.europa.eu/about/juncker-commission/docs/navracsics_en.pdf

SIGNATURES:

  1. Marie Christine Vergiat – Front de Gauche
  2. Gabi Zimmer – Die Linke
  3. Cornelia Ernst – Die Linke
  4. Marina Albiol Guzman – Izquierda Unida
  5. David Borrelli – Movimento 5 stelle
  6. Eleonora Forenza – Lista Tsipras-L’Altra Europa
  7. Franziska Keller – Bündnis 90/Die Grünen
  8. Terry Reintke – Bündnis 90/Die Grünen
  9. Fabio Massimo Castaldo – Movimento 5 Stelle
  10. Rosa D’Amato – Movimento 5 Stelle
  11. Klaus Buchner – Ökologisch-Demokratische Partei
  12. Jordi Sebastià – Compromis
  13. Benedek Jávor – Együtt 2014 – Párbeszéd Magyarországért
  14. Karima Delli – Europe Ecologie
  15. Martina Michels – Die Linke
  16. Lösing Sabine – Die Linke
  17. Malin Björk – Swedish Left party
  18. Isabella Adinolfi – Movimento 5 Stelle
  19. Liadh Ni Riada – Sinn Fein
  20. Luke ‘Ming’ Flanagan – Independent
  21. Teresa Rodriguez-Rubio – Podemos
  22. Helmut Scholz – Die Linke
  23. Neoklis Sylikiotis – Cyprus Progressive Party of Working People – Left – New Forces

 

Nuova Commissione: reazione di Gabi Zimmer, presidente gruppo GUE/NGL

Bruxelles, 10 settembre 2014

Gravi dubbi sulla composizione della nuova Commissione

La presidente del gruppo GUE/NGL ha dichiarato che la nuova Commissione europea, la cui formazione è stata annunciata oggi da Jean-Claude Juncker, dovrà cambiare radicalmente direzione se intende combattere la disoccupazione e la povertà e ristabilire la fiducia dei cittadini nell’Unione Europea.

“I vice-presidenti della Commissione avranno una responsabilità maggiore; non avremo 28 Commissari concentrati esclusivamente sui loro portafogli e sui loro interessi nazionali. Ma perché non c’è un «super-Commissiario» per la crescita economica e le norme minime economiche e sociali al fine di ridurre la disoccupazione e la povertà? Dato l’alto livello di disoccupazione giovanile e la crescente povertà ci saremmo aspettati la creazione di questo fondamentale portafoglio”, ha detto la presidente Zimmer.

Zimmer ha inoltre sottolineato che il Gruppo ha varie riserve su molti dei commissari designati:

“C’è da chiedersi se Oettinger, il Commissario designato per l’Economia e la società digitale, opererà davvero nell’interesse dei cittadini, dati i suoi trascorsi di Commissario per l’Energia che su questioni come la povertà energetica lo hanno visto impegnato soprattutto a rappresentare gli interessi delle compagnie. L’industria petrolifera accoglierà con favore la designazione di Miguel Cañete – tristemente noto per i suoi legami con le compagnie petrolifere e per i commenti sessisti espressi durante un dibattito televisivo – al ruolo di Commissario per l’Energia e il clima. E il candidato irlandese Hogan, designato all’Agricoltura, ha tentato di impedire alle autorità locali di dare alloggio a una famiglia nomade.”

Gabi Zimmer ha inoltre esposto le due principali richieste del Gruppo alla nuova Commissione:

“La Commissione precedente, in quanto parte della trojka, è stata direttamente responsabile dell’imposizione di tagli alla spesa pubblica e delle privatizzazioni che hanno gettato milioni di persone, soprattutto alla periferia d’Europa, in condizioni di disoccupazione e povertà. Vogliamo che la nuova Commissione abolisca la trojka e costruisca un’Unione sociale che dia priorità alla lotta contro la disoccupazione giovanile e agli investimenti sostenibili nelle infrastrutture per la creazione di posti di lavoro.

“Inoltre, sono ormai svariati anni che la Commissione negozia segretamente un Accordo sul libero scambio con gli Stati Uniti. Questo accordo, noto come TTIP, servirà soltanto gli interessi delle banche e delle corporazioni e non quelli dei cittadini. Chiediamo alla nuova Commissione di garantire la trasparenza e di rivelare immediatamente ai cittadini i contenuti dei negoziati.”

Fonte: http://www.guengl.eu/news/article/gue-ngl-news/serious-concerns-with-make-up-of-new-commission

Traduzione a cura della redazione


 

Brussels, September 10, 2014

Serious concerns with make-up of new Commission

As Jean-Claude Juncker proposed the new college of European Commissioners today, GUE/NGL President Gabi Zimmer said the new Commission must radically change direction if it is to fight unemployment and poverty and restore citizens’ confidence in the EU.

“The Commission Vice-Presidents will have greater responsibility; we won’t have 28 Commissioners only looking out for their own portfolio or their national interest. But why is there no ‘super Commissioner’ for the necessary dual task of economic growth and social and ecological minimum standards in order to reduce unemployment and poverty? We would have expected such a post to be created given the high level of youth unemployment and growing poverty,” said President Zimmer.

She outlined that the Group has several concerns with many of the Commissioners-designate:

“It is questionable whether Oettinger, the Commissioner-designate for Digital Economy and Society, will really act in the interests of citizens, given his track record as Energy Commissioner where he particularly represented the interests of energy companies on issues such as energy poverty. The oil industry will be pleased with the Energy and climate change portfolio nominee Miguel Canete, notorious for his links to oil companies as well as for sexist comments he made during a TV debate. And the Irish candidate Phil Hogan, nominee for Agriculture, tried to stop local authorities giving housing to a family from the traveller community.”

Gabi Zimmer also set out the Group’s two main demands on the new Commission:

“The previous Commission, as part of the Troika, was directly responsible for dictating cuts to public spending and privatisation that have thrown millions, particularly on the periphery of Europe, into unemployment and poverty. We want the new Commission to abolish the Troika and build a social Union that prioritises tackling youth unemployment and sustainable investment in infrastructure for job creation.

“In addition, for years now the Commission has been secretly negotiating a Free Trade Agreement with the United States. This agreement, known as TTIP, will only serve the interests of banks and corporations, and not the interests of citizens. We call on the new Commission to stand up for transparency and reveal the contents of the negotiations to citizens now.”

Source: http://www.guengl.eu/news/article/gue-ngl-news/serious-concerns-with-make-up-of-new-commission

I tre vizi capitali della Commissione Juncker

Jean-Claude Juncker ha presentato alla stampa i compiti dei suoi Commissari, precisando le priorità strategiche del nuovo esecutivo di Bruxelles. Su questi si dovrà pronunciare individualmente il Parlamento, e sul collegio l’assemblea dovrà dare un voto di fiducia a maggioranza semplice a fine ottobre.

Dichiarazione di Barbara Spinelli e Pier Virgilio Dastoli, 10 settembre 2014

Per quanto ci riguarda, sulla pagella di Juncker segniamo convinti un 5 – -, e forse perfino un 4 +. Sono tre, a nostro parere, i vizi capitali della nuova Commissione: il trionfo della City di Londra, il prevalere delle esigenze di sicurezza e della Fortezza Europa nelle politiche d’immigrazione, il restringimento del pluralismo mediatico nella cultura.

Il Presidente eletto ci aveva presentato in luglio un’agenda concentrata su dieci priorità, e ora esse sono apparentemente distribuite fra sette vice-presidenti che dovrebbero coordinare, in un puzzle difficilmente comprensibile, gli altri venti commissari.

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La grande finzione di Frontex Plus
e le responsabilità dell’Europa

Bruxelles, 10 settembre 2014. Intervento alla conferenza “Frontera Sur ¿Hay alternativas?”, organizzata al Parlamento europeo da Migreurop, Andalucia Agoge, ADPHA, CEAR, Elin, S.O.S Racismo, con la collaborazione di PICUM, ECRE, AEDH e SJM Espana

Fra pochi giorni, tra il primo e il 5 ottobre, molti di noi si troveranno a Lampedusa per il Sabir Festival-Forum, su invito del sindaco Giusy Nicolini, dell’Arci e del Comitato 3 ottobre, nato all’indomani della grande strage di migranti dello scorso anno (400 persone vi persero la vita) per rappresentare i familiari delle vittime. L’occasione è importante, perché siamo in una vera situazione di emergenza. Lampedusa è diventata in questi anni il nostro muro della vergogna: 20mila morti dal 1988 a oggi, quasi 1900 negli ultimi sette mesi, circa 1600 negli ultimi tre. Malgrado le tante parole di cordoglio e di allarme dette dai governanti, il 2014 è un anno record per l’ecatombe di migranti e fuggitivi.

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Guido Viale: dieci punti per il pianeta

«il manifesto», 10 settembre 2012

Ventun organizzazioni del Nord e del Sud del mondo (in Italia Fairwatch), in rappresentanza di oltre 200 milioni di persone, hanno sottoscritto un appello in 10 punti che indica le misure per evitare che i cambiamenti climatici in corso raggiungano un punto di non ritorno. È un appello alla mobilitazione contro la convocazione da parte del Presidente dell’ONU Ban Ki Moon di un Vertice sul clima il 23 settembre a cui sono stati invitati solo leader politici e manager del big business, con una scarsa e compiacente delegazione di associazioni ambientali, per avallare uno “scippo” della lotta ai cambiamenti climatici da parte di chi vuole usare questa emergenza planetaria per fare business, con misure e politiche non vincolanti, a carattere privatistico, che mirano solo al profitto e sono sicuramente inefficaci.

Se i dieci punti della dichiarazione programmatica di Alexis Tsipras, integrati e specificati in un work in progress tutt’ora in corso, hanno offerto ai promotori, ai sostenitori e agli elettori della lista L’Altra Europa – ma anche a chi ha guardato a questo progetto con interesse, anche se non l’ha votato – un punto di riferimento per collocare in un contesto europeo l’iniziativa delle forze antagoniste alle politiche di austerity, questi nuovi “dieci punti” possono ora permettere a tutti di riconoscersi e di partecipare a uno schieramento di ampiezza e respiro planetari. Ritroviamo in questo appello molti dei punti sinteticamente presenti nel manifesto da cui è nata la Lista L’Altra Europa; oltre a promuovere e sostenere una mobilitazione su un tema di vitale importanza per il futuro di tutti e quasi scomparso dall’agenda dell’establishment italiano, europeo e mondiale, occorre ricondurre quegli obiettivi di carattere globale nel vivo dell’iniziativa politica locale e quotidiana.

Le rivendicazioni di questo appello sono state definite sulla base delle acquisizioni dell’IPCC, la commissione scientifica dell’ONU che studia i cambiamenti climatici, ma in essi troviamo intrecciati temi ambientali, economici, sociali e istituzionali, in sintonia con l’approccio che caratterizza il progetto L’Altra Europa.

I primi tre punti dell’appello rivendicano impegni vincolanti (cioè sanzionati): a) a contenere le emissioni annue climalteranti a 38 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2 entro il 2020, per impedire che la temperatura del pianeta aumenti di più di 1,5 gradi; b) a lasciare sotto terra o sotto il fondo dei mari almeno l’80 per cento delle riserve fossili conosciute; c) a mettere al bando tutte le nuove esplorazioni ed estrazioni di combustibili fossili (e di uranio), comprese, a maggior ragione, quelle effettuate con il fracking e il trattamento delle sabbie bituminose; d) a soprassedere alla costruzione di nuovi impianti di trattamento e trasporto dei fossili, compresi i gasdotti. Si tratta di rivendicazioni agli antipodi delle politiche energetiche dell’UE e della Strategia energetica nazionale (SEN) adotta dall’Italia. Ma sono obiettivi impegnativi anche per un movimento come la lista L’Altra Europa, che ha fatto della conversione ecologica un pilastro del suo programma e ha candidato un esponente di punta del movimento NoTriv. Per fare un esempio, non c’è molto da discutere su progetti come quello estrattivo di Tempa Rossa (in Basilicata) e il suo complemento nel raddoppio della raffineria Eni di Taranto; o come il gasdotto transadriatico (TAP) che, dopo l’approdo in Puglia, dovrebbe attraversare e scassare tutta la penisola. C’è piuttosto da discutere su come presentare questo obiettivo al pubblico (cosa non facile, dato il silenzio che circonda il tema dei cambiamenti climatici), su come organizzare la necessaria mobilitazione, su come inquadrarlo in un programma generale di riconversione energetica.

Il quarto punto riguarda la promozione delle fonti energetiche rinnovabili (FER) in forme sottoposte a un controllo pubblico o comunitario (cioè “partecipato”). Occorre ricordare che circa l’80 per cento della potenza fotovoltaica installata in Italia è stato assegnato a grandi impianti e che i relativi incentivi – i più alti del mondo – sono andati quasi solo a beneficio di un’alta finanza che nulla ha a che fare con la generazione energetica diffusa. Ma lo stesso vale per molte altre FER. La politica energetica del paese va rivoltata “come un calzino”.

Il quinto e il sesto punto impegnano: a) a promuovere la produzione e il consumo locali di beni durevoli, evitando di trasportare da un capo all’altro del mondo quello che può essere fabbricato in loco; b) a incentivare la transizione a una produzione agroalimentare di prossimità. È qui che la conversione ecologica, promuovendo una riterritorializzazione dei processi economici attraverso accordi di programma tra produzione e consumo (il modello, seppur in mercati per ora di nicchia, sono i gruppi di acquisto solidale: GAS) rappresenta una vera alternativa alla globalizzazione dei mercati dei beni fisici: quella che esige una competizione sempre più serrata in una gara al ribasso di salari, sicurezza sul lavoro e protezioni ambientali. Sono rivendicazioni che si riconnettono alle lotte contro la delocalizzazione di fabbriche e impianti, al movimento territorialista che su questi temi ha al suo attivo – soprattutto in Italia – una corposa elaborazione, e alla spinta verso una nuova agricoltura biologica, multicolturale, multifunzionale e di prossimità. Qui sta anche la principale differenza che separa la conversione ecologica dalla mera adozione di politiche “keynesiane” di sostegno alla domanda con incrementi di spesa pubblica (in infrastrutture e servizi) e incentivi al consumo (detassazione dei redditi bassi e rottamazioni) finanziati in deficit. In un mercato globalizzato una maggiore domanda non si traduce necessariamente in aumenti di offerta e occupazione nello stesso paese, se non è ancorata a una progettualità diffusa e differenziata in base alle esigenze e alle caratteristiche dei diversi territori; il che richiede anche nuove forme di democrazia partecipata e di autogoverno.

Il settimo e l’ottavo punto riguardano l’obiettivo “rifiuti zero” (centrale nei territori massacrati da criminalità ambientale e malgoverno), un’edilizia a basso consumo energetico e un trasporto di persone e merci con sistemi di mobilità pubblici e condivisa.

Il punto nove raccomanda la creazione di nuova occupazione finalizzata alla ricostituzione degli equilibri ambientali, sia nel campo delle emissioni climalteranti che in quello dell’assetto dei territori. Sono le “mille piccole opere” in campo energetico, nella manutenzione dei suoli, nei trasporti, nell’edilizia e in agricoltura in cui dovrebbe articolarsi un piano di lavori pubblici, rivendicato da molte organizzazioni, per creare subito un milione di posti di lavoro in Italia e sei milioni in Europa.

Il decimo punto impegna a smantellare industria e infrastrutture militari per ridurre le emissioni prodotte dalle guerre e destinare a opere di pace le risorse risparmiate. Non ci sono solo gli F35 da bloccare (cosa sacrosanta); ci sono tutta l’industria e l’occupazione belliche da riconvertire: le opportunità di impieghi alternativi non mancherebbero certo.

L’appello prosegue indicando le cose da evitare: a) la mercificazione, la finanziarizzazione e la privatizzazione dei servizi forniti dall’ambiente (cioè tutta la cosiddetta “green economy”, quella che dà un prezzo alla Natura); b) i programmi misti pubblico-privato come REDD (che dovrebbe contrastare deforestazione e degrado boschivo) e altri simili, finalizzati solo a creare nuove occasioni di profitto; c) le soluzioni esclusivamente tecnologiche ai problemi ambientali (qui l’elenco è lungo e sicuramente discutibile: geoingegneria, OGM, agrocombustibili, bioenergia industriale, biologia sintetica, nanotecnologie, fracking, nucleare, incenerimento dei rifiuti); d) le grandi opere inutili: si citano dighe, autostrade, grandi stadi (e noi possiamo aggiungere TAV, MOSE e quant’altro); e) il libero commercio e i regimi di investimento che minacciano il lavoro, distruggono l’ambiente e limitano la sovranità economica dei popoli: possiamo tradurre questo punto in TTIP e TISA.

In conclusione, l’appello invita a individuare e denunciare le vere radici dei guasti che incombono sul pianeta: il modello industriale di estrazione crescente di risorse e il produttivismo per il profitto di pochi a scapito dei molti (cioè il capitalismo e un modello di crescita illimitata), che vanno sostituiti con un nuovo sistema che persegua l’armonia tra gli umani, connetta ai diritti umani la lotta ai cambiamenti climatici e offra protezione ai più deboli: soprattutto migranti e comunità indigene.

Questo modello industriale – conclude il documento – non è più sostenibile; occorre redistribuire la ricchezza oggi controllata dall’1 per cento della popolazione e ridefinire il benessere, che deve riguardare tutte le forme di vita, riconoscendo i diritti della Natura e di “Madre Terra”.

Il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli
ed Ernesto Rossi. Testo del 22 gennaio 1944

PER UN’EUROPA LIBERA E UNITA

 

Progetto d’un manifesto

 

I. LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA.

 

La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero.

1°) Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.

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Sulla guerra ucraina e i conflitti a sud dell’Unione

Bruxelles, 2 settembre 2014. Intervento durante l’audizione del ministro degli Esteri Federica Mogherini

In un recente incontro informale dei ministri e segretari di stato per gli affari europei cui ho partecipato come vicepresidente della Commissione costituzionale, il 28 e 29 agosto a Milano, ho notato quanto grande sia l’autocompiacimento nell’Unione, non solo sulle strategie economiche anti-crisi ma anche in politica estera e in modo speciale sulla guerra in Ucraina e i rapporti con la Russia. La rapidità con cui sono state adottate le sanzioni contro Mosca sarebbe non solo un atto coraggioso dell’Europa, ma un segno di vitalità, di forza, e di inedita coesione. È un compiacimento che non condivido, come ho avuto l’occasione di dire nella riunione a Milano: la soddisfazione è fuori luogo, e inoltre infeconda. Più che una forza, conferma una debolezza europea che persiste e dura.

Le sanzioni non sono l’equivalente di una politica, se per politica intendiamo agire con cura e conoscenza nei conflitti che tormentano il nostro “estero vicino”, a est come a sud dell’Unione. E non sono una politica europea, fintantoché quest’ultima continuerà ad adeguarsi passivamente alla linea statunitense: una linea interessata a integrare di fatto l’Ucraina nella Nato (integrazione respinta dalla metà dei cittadini ucraini, come si deduce dai sondaggi), e dunque a riproporre la guerra fredda con Mosca.

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Riunioni della Commissione parlamentare
Libertà civili, giustizia e affari interni.
3-4 settembre 2014

3 settembre 2014

Domanda rivolta a Luigi Soreca (Direttore della sicurezza interna, DG affari interni, Commissione europea), in seguito alla presentazione di due rapporti: sulla strategia dell’Unione europea in materia di sicurezza interna negli anni 2010-2014 e sull’accordo fra Unione europea e Australia sul trattamento e la conservazione dei dati personali (PNR) dei passeggeri.

Barbara Spinelli ha iniziato il proprio intervento ricordando l’importante ruolo svolto dal Parlamento Europeo, e in particolare dalla Commissione Libertà civili, nel processo di decisione europea in materia di politica interna. In questo quadro ha evocato la creazione nel 2012 della Commissione temporanea sul crimine organizzato, la corruzione e il riciclaggio di denaro (CRIM): commissione istituita nella precedente legislatura dall’europarlamentare Sonia Alfano, il cui lavoro di indagine sulle mafie in Italia ed Europa è stato di notevole importanza. Quella Commissione dovrebbe essere ristabilita, ha detto l’europarlamentare, chiedendo a Luigi Soreca se il giudizio positivo sulla Commissione CRIM, e la proposta di ripristinarne un’analoga, siano condivisi dalla Direzione affari interni della Commissione europea.

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