La paura può terrorizzare ma anche insegnare

Strasburgo, 24 novembre. In un’intervista rilasciata a Enrico Ciccarelli di Parleuropa Tv, Barbara Spinell iparla dei temi dell’attualità europea, dall’emergenza profughi alla minaccia terroristica. E ammonisce contro il rischio che l’Europa edifichi la sua casa comune nel segno di quel “federalismo degli Esecutivi” teorizzato da Jürgen Habermas.

 

Rinegoziazione delle relazioni costituzionali del Regno Unito con l’Unione europea

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Rinegoziazione delle relazioni costituzionali del Regno Unito con l’Unione europea (scambio di opinioni)

Ritengo ci siano molti punti controversi e veramente rischiosi dal punto di vista istituzionale nella lettera inviata dal Primo Ministro Cameron al Presidente del Consiglio europeo Tusk. Alcune proposte non sorprendono: di fatto, ci troviamo di fronte alla richiesta di ennesimi opt-out da parte del Governo britannico. Veramente pericolosa secondo me è la degradazione dell’Unione nel suo insieme, con ripercussioni su tutti i soggetti che ne fanno parte. Tale fu peraltro l’ambizione di Tony Blair durante la Convenzione che precedette il Trattato di Lisbona: non costruire un’Europa diversa, cioè migliorarla, e nemmeno starsene in disparte con una propria politica, ma influenzare profondamente l’attuale, diminuendola e accentuando caratteristiche negative che la Comunità possiede in realtà fin dalla nascita. Lo scopo è codificare il fatto che l’Unione non è né deve essere altro che una zona di libero scambio: competitività e produttività sono l’unico collante menzionato nella lettera di Premier britannico. Lo scopo è di evitare non tanto l’Europa politica di cui ha parlato poco fa Mercedes Bresso, ma un’Unione che di fronte a una crisi economica lunga, come quella in cui ci troviamo, metta al centro la giustizia sociale – che secondo me dovrebbe diventare il nuovo fondamento dell’Unione. Altrimenti non ha molto senso parlare di Europa politica.

Fatta questa premessa, passo ad alcuni punti che mi sembrano particolarmente contestabili.

1) La volontà di mettere la parola fine, in maniera irreversibile e legalmente vincolante, all’obbligo del Regno Unito di adoperarsi verso “un’Unione sempre più stretta”: eliminando, di fatto, tale concetto dal Trattato.

2) L’invito a ridurre al massimo la regolamentazione comune, considerata già ora eccessiva. Su ambedue i punti Londra sa di poter contare su inclinazioni simili nell’Unione – penso al governo olandese, a molti governi dell’Est, alle destre estreme che ovunque si rafforzano.

3) La proposta di introdurre un meccanismo che consenta ai Parlamenti nazionali di bloccare proposte legislative europee non desiderate. I Parlamenti nazionali avrebbero in tal modo un mero potere di veto, mai un potere propositivo. Vero è anche che il veto acquista senso ed è comprensibile, quando le democrazie e i diritti sociali, nei singoli Stati Membri, vengono messi in pericolo. Oggi dobbiamo riconoscere che i cittadini hanno più fiducia nei Parlamenti nazionali – quando ce l’hanno – che nel Parlamento europeo. È ovvio che in questo quadro il Parlamento europeo perderebbe molti poteri che possiede.

Inoltre l’articolo 1 del Trattato fa specifico riferimento ai popoli, non agli Stati nazione, e quando si parla di “Unione più stretta”, si intende dunque più unione dei diritti politici e sociali riconosciuti nel successivo articolo 2, che come tali non hanno e non devono avere confini o limitazioni.

In realtà ci troviamo di fronte al tentativo di ridurre al minimo garanzie chiaramente riconosciute dai trattati, con la scusa di recuperare margini di manovra nazionali. Questo, purtroppo, vale soprattutto per il capitolo immigrazione, su cui Cameron fa una serie di proposte: chiusura delle frontiere nei confronti dei cittadini degli Stati non UE, libera circolazione per i futuri Stati Membri solo se sarà assicurata “una più stretta convergenza economica”, limitazione infine della libertà di circolazione dentro lo spazio europeo.

Particolarmente preoccupante è anche la critica delle Corti, assieme all’opt-out giuridico che viene prospettato. E’ criticata la Corte di giustizia europea in materia di libera circolazione, con la scusa dell’emergenza sicurezza e di un welfare che in Gran Bretagna è da tempo sotto attacco. E nel mirino del governo inglese c’è anche, ben prima della lettera a Tusk, la Corte di Strasburgo, e dunque la Convenzione europea sui diritti dell’uomo (CEDU). Ricordo l’altra proposta/minaccia inglese: quella di sostituire lo Human Rights Act con un “Bill of rights nazionale” al fine di spezzare definitivamente il legame con la Corte europea dei diritti umani.

Non da ultimo, considero molto grave il metodo bilaterale e intergovernativo con cui si rischia di discutere e negoziare. Quello che si vuole evitare, mi pare, è un confronto serio con questo Parlamento.

Se una riforma del Trattato deve proprio avvenire, questa, a mio parere, non può che essere condotta attraverso la procedura ordinaria di revisione, in modo che siano pienamente inclusi sia il Parlamento europeo sia i Parlamenti nazionali.

Detto questo, ritengo che sarebbe pericoloso chiedere oggi una riforma dei trattati partendo dalla lettera di Cameron, per le ragioni espresse anche dal collega Jo Leinen in questa sessione: ognuno cercherà di raccogliere più vantaggi possibili per se stesso. Personalmente, penso che il Trattato un giorno bisognerà cambiarlo e trasformarlo in una Costituzione, ma temo che al momento ogni modifica rischi di andare in una direzione peggiorativa.

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di Relatore Ombra, nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona

Relatori: Mercedes Bresso (S&D-Italia) – Elmar Brok (PPE-Germania)

Relatore ombra per il gruppo GUE: Barbara Spinelli

Prima di tutto volevo ringraziare i relatori di quest’inizio di lavori sulle potenzialità del Trattato di Lisbona. Lo considero solo un inizio poiché, a mio parere, ci sono alcuni aspetti che vanno ulteriormente approfonditi. Trovo positivo l’appello a un ritorno del metodo comunitario in molti settori, ma altri punti della bozza di Relazione ancora non mi convincono. Desidererei inoltre che tra i due relatori ci fosse accordo su alcune questioni che sembrano dividerli e che a mio avviso sono importanti, tra cui il ruolo dei Parlamenti nazionali e l’ipotesi di un’introduzione della cosiddetta “carta verde”. [1] Comprendo le perplessità di Elmar Brok, quando afferma che quest’ultima possibilità non rientra nei trattati; non posso credere però che la collega Bresso proponga misure volte ad aggirare i trattati stessi. Probabilmente Mercedes Bresso ha argomentazioni altrettanto forti per difendere il suo punto di vista. Non credo che tra voi ci sia un co-relatore guardiano del Trattato, e un co-relatore che non lo è.

Vorrei ora passare al merito della Relazione. Quello che io credo, e che spero di riuscire a esprimere nel migliore dei modi in questa sede, è che alcune politiche adottate nel solco dell’emergenza non debbano trovare spazio nelle maglie del Trattato. Penso all’idea di una comune lotta al terrorismo – in alcuni Stati Membri si parla addirittura di stato di guerra– e alla politica su rifugiati e migranti: due temi che s’intrecciano, pervasi di questi tempi da una visione della sicurezza sempre più repressiva. La bozza della Relazione dedica parecchio spazio a migrazione e sicurezza, ma a mio parere non dovrebbe indicare una precisa linea politica in materia, soprattutto se tale linea è presa in situazione di emergenza: il Trattato dovrebbe essere un contenitore che permette a politiche diverse di applicarsi e non codificare una sorta di diritto europeo emergenziale. Per lo stesso motivo ho anche un’obiezione di fondo – nonostante auspichi, come i relatori, il ritorno al metodo comunitario e l’abbandono di quello intergovernativo – al fatto che il Fiscal Compact entri nel Trattato e diventi metodo comunitario. Perché il Fiscal Compact è qualcosa che non ha funzionato fuori dal Trattato, e di sicuro non funzionerà meglio se diverrà elemento del Trattato esistente e sarà “comunitarizzato”. Il Fiscal Compact è molto controverso, e inserirlo tale e quale rende non solo difficile ma quasi illegittima ogni alternativa. È la ragione per cui il discorso meramente istituzionale, sulle varie crisi che sta traversando l’Unione, non lo giudico sufficiente.

[1] “Green card”, ovvero la possibilità di istituire una procedura in base alla quale un gruppo di parlamenti nazionali sarebbe in grado di invitare la Commissione a presentare una proposta.


Si veda anche:

Sul rapporto Bresso-Brok “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona”

Scambio di opinioni con Frans Timmermans

AFCO – Riunione ordinaria di commissione del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Scambio di opinioni con Frans Timmermans, primo Vicepresidente della Commissione europea, competente per il programma “Legiferare meglio”, le relazioni interistituzionali, lo Stato di diritto e la Carta dei diritti fondamentali

Buongiorno Vice-Presidente, grazie per l’introduzione.

Le vorrei porre una domanda su un tema che mi interessa particolarmente in quanto Rapporteur di un Relazione di Iniziativa sull’implementazione della Carta dei diritti. È una domanda che le pongo in seguito ai terribili attacchi terroristici a Parigi, nel Mali, in Tunisia. Mi ha molto preoccupato la decisione del Governo francese – oltre alla scelta di dare l’avvio ad uno stato di emergenza, sicuramente comprensibile, ma molto lungo – di richiedere l’attivazione della clausola derogatoria prevista dall’articolo 15 della Convenzione europea sui diritti umani. [1] Nel frattempo assistiamo alla sospensione della libertà di circolazione nello spazio Schengen, che si estende nell’Unione, e in precedenza Parigi aveva adottato una legge molto controversa sulla sorveglianza, che avrà implicazioni sui diritti dei cittadini. Considerato il rapporto che c’è tra i diritti sanciti nell’European Convention on Human Rights e le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali, quello che le vorrei chiedere è se questa decisione di invocare la clausola derogatoria avrà influenza anche sull’applicazione del diritto primario dell’Unione. E che cosa significhi in sostanza questo continuo riferimento a uno stato di guerra e a cambiamenti costituzionali dovuti allo stato di guerra. Lo stato di guerra è una condizione nuova, in grado di sospendere i diritti umani. Mi piacerebbe avere una sua opinione a riguardo.

Grazie

[1] http://www.coe.int/en/web/secretary-general/home/-/asset_publisher/oURUJmJo9jX9/content/france-informs-secretary-general-of-article-15-derogation-of-the-european-convention-on-human-rights?_101_INSTANCE_oURUJmJo9jX9_viewMode=view

Viaggio nella giungla di Calais

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Foto GUE/NGL

GUE/NGL PRESS RELEASE

Brussels 03/12/2015

GUE/NGL MEPs shocked at undignified conditions of refugees in Calais call on French government to provide adequate reception conditions urgently

GUE/NGL MEPs went to Calais on Tuesday 1st December to assess the situation in ‘the jungle’ refugee camp where around 4,500 refugees are currently living.  The delegation aimed to evaluate the situation on the ground in the camp in light of reports of appalling living conditions, rape, police violence and attacks from far-right extremists. The delegation met with NGOs and refugees on site. The visit was organised with the support of the local section of the French Communist Party (PCF).

The French state has been condemned for serious breaches of migrants’ rights not to be exposed to inhumane and degrading treatment by the Administrative Tribunal of Lille on 2nd November 2015, and reconfirmed by the State Council (conseil d’Etat) after an appeal by the Home Affairs Ministry which was denying French state responsibility. As a result, the court ordered the French state to carry out a census of all unaccompanied minors on the site within 48 hours and to provide within 8 days adequate sanitary conditions. Instead of improving the conditions, the French government has been putting its efforts into evacuating part of the jungle, notably by putting some refugees in detention centres. This practice has just been condemned on 2nd December by Adeline Hazan, head of the independent authority in France responsible for monitoring places of deprivation of liberties (contrôleure générale des lieux de privation de liberté – CGLPL) who, in an 8-page document, calls on the government to end this practice that is a serious breach of the fundamental rights of the people in question (see: http://www.cglpl.fr/2015/recommandations-en-urgence-relatives-aux-deplacements-collectifs-de-personnes-etrangeres-interpellees-a-calais ).

French MEP, Marie-Christine Vergiat, said: “It was important for the GUE/NGL that a delegation came to Calais at a time when the number and situation of migrants is worsening. We have noted situations that are unworthy of a country like France: increasing numbers of unaccompanied minors and women, including young people with no protection. Hundreds of people who cannot apply for family reunification because Great Britain demanded an opt-out of the directive on this issue. We all noted that the situation in Calais is often worse than in most refugee camps outside the EU and subsequently we are not surprised that tensions arise when the response by the government authorities is limited to controls, arrests and even raids.”

Barbara Spinelli added: “France’s Council of State recently declared that the conditions in the Calais camp expose the migrants to inhuman or degrading treatment. We stand with the Court and NGOs’ pleas for adequate reception conditions right now, together with the facilitation of access to family reunification for the many refugees with family and friends in the UK. Seeing the inhuman conditions in the jungle in Calais, I felt shame and anger because this is not happening in an underdeveloped country, but in our comparatively affluent societies. We, as Europeans, are guilty of two crimes, at least: the failure in our duty of care, and the crime of indifference.”

“The worst part of this intolerable and unacceptable situation is the tremendous vulnerability of women and children in a place where more than 90% of the population are men. This means there is a huge risk of abuse and harassment against women and children, especially considering that all of them have been deprived previously of human justice and therefore anything can be expected; this is even worse in view of the fact that mafias operate and control the camp. I urge the French State and the European Union to follow the requirements of International Humanitarian Law to guarantee minimum living conditions for the refugees,” commented Angela Vallina.

Miguel Viegas continued: “This visit confirms the lack of political will to address this problem seriously. It also contradicts all the speeches and all the promises made in the framework of the European Commission’s action plan. The relocation plans are not advancing and aid for humanitarian work is not reaching places where thousands of people still live in dreadful conditions like here in Calais. We must demand a new approach to refugee policies taking into account the EU’s responsibilities in the existing chaos in countries such as Libya, Iraq, Syria or Afghanistan. In contradiction to EU action based on repression and action to discourage the arrival of refugees escaping the war, we must demand policies based on two axes: the first to promote peace and development in conflict zones and the second based on effective support for refugees so that they find the peace and security that they do not find in their countries.”

For Miguel Urban, Podemos, who previously had the opportunity to witness the situation of people under forced mobility in Hungary, Macedonia, Serbia and Spain (Melilla), said: “The humanitarian situation of more than 4,000 people crammed into deplorable conditions in the Calais camp (dubbed the Jungle) shows how much the European Union and its member states have failed to implement effective solutions to the structural causes of the mass exodus of people from their places of origin, and in which Europe has a fundamental responsibility; on the contrary, by worsening the security approach and the repressive siege of these people rather than anticipating dignified reception conditions and integration, member states are aggravating the humanitarian catastrophe.”

“It is essential to denounce what is happening in the refugee camp in Calais. It is essential that European public opinion knows that at the heart of Europe, the human rights of thousands of people are being systematically violated. Society has to know that the French government and the European Union also are allowing this infamy. All rights for all people!” said Josu Juaristi.

Marisa Matias added: “What we have seen in Calais is not the Europe that we want. The European Union should assume its responsibilities for the consequences related to conflicts. It is not possible to live in these kinds of life conditions which are devoid of any European values. It’s important to come to these places and see how these people are living and not only speak about them, but especially speak with them. I urgently demand that we put a stop to this security-based logic and the criminalization of people who are fighting for a better life. European countries have the obligation to put the human life first and foremost and not the business of weapons and oil.”

Pictures of the delegations are available here: https://www.flickr.com/photos/guengl/albums/72157661943793875


Si veda anche:

La dignité, malgré tout, Liberté-Hebdo [ 1196 ] du 4 au 10 décembre 2015 (file .pdf)