Applicazione delle decisioni 2015/1523 e 2015/1601 sulla ricollocazione, prima della loro data di scadenza

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-005767/2017
alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Marisa Matias (GUE/NGL), Sofia Sakorafa (GUE/NGL), Josef Weidenholzer (S&D), Bart Staes (Verts/ALE), Bronis Ropė (Verts/ALE), Alfred Sant (S&D), Laura Ferrara (EFDD), Josep-Maria Terricabras (Verts/ALE), Stelios Kouloglou (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Eleonora Evi (EFDD), Stefan Eck (GUE/NGL), Sylvie Guillaume (S&D), Benedek Jávor (Verts/ALE), Eva Joly (Verts/ALE), Sergio Gaetano Cofferati (S&D), Norica Nicolai (ALDE), Elena Valenciano (S&D), Claude Rolin (PPE), Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL), Dimitrios Papadimoulis (GUE/NGL), Fabio Massimo Castaldo (EFDD), Andrejs Mamikins (S&D), Tanja Fajon (S&D), Hilde Vautmans (ALDE), Juan Fernando López Aguilar (S&D), Nessa Childers (S&D), Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Gabriele Zimmer (GUE/NGL), Ana Gomes (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Nicola Caputo (S&D), Tania González Peñas (GUE/NGL), Julie Ward (S&D), Javier Nart (ALDE), Ramon Tremosa i Balcells (ALDE), Mady Delvaux (S&D), Nathalie Griesbeck (ALDE), Sabine Lösing (GUE/NGL), Jordi Solé (Verts/ALE), Soraya Post (S&D), Dietmar Köster (S&D), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Ivan Jakovčić (ALDE), Kostadinka Kuneva (GUE/NGL), Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Nikolaos Chountis (GUE/NGL), Helmut Scholz (GUE/NGL) e José Inácio Faria (PPE)

Oggetto: Applicazione delle decisioni 2015/1523 e 2015/1601 sulla ricollocazione, prima della loro data di scadenza (26 settembre 2017)

In una sentenza del 6 settembre 2017 la Corte di giustizia europea ha respinto i ricorsi di Slovacchia e Ungheria per contestare la ricollocazione, rilevando che “la mancanza di cooperazione da parte di taluni Stati membri” è la principale causa dell’esiguo numero di ricollocazioni dei richiedenti protezione internazionale.

Un documento pubblicato dal Consiglio europeo per i rifugiati e gli esuli (ECRE) dal titolo “Relocation not Procrastination” conclude che la resistenza politica e giuridica alla ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale si manifesta in forme che vanno da “preferenze inaccettabili espresse da alcuni Stati membri a gravi ritardi nell’impegno a determinare i posti di ricollocazione, nonché nell’elaborazione e fornitura di offerte, da parte dell’Italia e della Grecia” [1].

La data di scadenza (26 settembre 2017) per l’applicazione delle decisioni 2015/1523 e 2015/1601 sulla ricollocazione è vicina.

  1. Intende la Commissione avviare altre procedure d’infrazione nei confronti degli Stati membri inosservanti?
  2. Intende rivedere le dichiarazioni di Dublino, per quanto concerne l’Italia e la Grecia, dando la priorità agli elementi di solidarietà delle ricollocazioni?
  3. Nel settembre del 2015 il Presidente Juncker ha annunciato la creazione di un meccanismo permanente di ricollocazione, a norma del sistema di Dublino, e nel maggio del 2017 il Parlamento ha chiesto alla Commissione di presentare una nuova proposta in materia di ricollocazione, in attesa della riforma del sistema di Dublino. Per quale motivo il commissario Avramopoulos ha dichiarato che la Commissione non presenterà nuove proposte sul tema?

[1]     https://www.ecre.org/wp-content/uploads/2017/09/Policy-Note-07.pdf

IT
E-005767/2017
Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(29.11.2017)

Dal gennaio 2017 la maggior parte degli Stati membri stanno proponendo i propri impegni su base mensile – mentre le decisioni del Consiglio [1] richiedono che ciò avvenga solo ogni tre mesi – e stanno procedendo a ricollocazioni regolari [2]. Inoltre, il numero delle persone ammissibili alla ricollocazione è risultato essere molto più basso di quanto previsto. Tre Stati membri non hanno ricollocato nessuno dall’inizio del programma (Ungheria e Polonia) o per più di un anno (Repubblica ceca) dall’Italia o dalla Grecia, e la Commissione ha avviato nei loro confronti procedure di infrazione [3].

La Commissione non intende cambiare la propria politica sui trasferimenti Dublino in Italia e in Grecia.

La Commissione non ritiene opportuno presentare una nuova proposta in materia di ricollocazione. La prima priorità è ricollocare al più presto tutti i richiedenti ammissibili che erano presenti in Italia e in Grecia al 26 settembre 2017. La Commissione, inoltre, non può continuare a basarsi su misure ad-hoc. Una riforma del sistema Dublino è l’unica soluzione strutturale, ed è necessario compiere urgentemente passi avanti verso un accordo politico su questo fascicolo. La Commissione, tuttavia, riconoscendo che la pressione migratoria in Italia e in Grecia resta alta, si è dichiarata pronta a mantenere il suo sostegno agli Stati membri che continuano le ricollocazioni da Grecia e Italia al di là di quanto prevedono i programmi attuali [4].

[1]  Decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio, del 14 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU L 239 del 15.9.2015, pag. 146), e decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia (GU L 248 del 24.9.2015, pag. 80).

[2] I progressi realizzati, in particolare nel 2017, nell’attuazione del programma figurano nelle relazioni periodiche sulla ricollocazione e il reinsediamento, l’ultima delle quali (la 15a) è stata adottata il 6 settembre 2017 (COM(2017) 465 final). Alcuni Stati membri hanno già ricollocato le loro quote per l’Italia o per la Grecia o sono sul punto di farlo. Con i trasferimenti di settembre, la Finlandia è diventata il primo Stato membro ad aver adempiuto agli obblighi ad esso spettanti per quanto riguarda l’Italia.

[3] http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-1607_en.htm; http://europa.eu/rapid/press-release_IP-17-2103_en.htm.

[4] Comunicazione sull’attuazione dell’agenda europea sulla migrazione – COM(2017) 558 final.

Le Ong non sono un pull factor in Libia

Bruxelles. 11 ottobre 2017 . Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Punto in agenda:

Scambio di opinioni con il Direttore esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, su:

  • Relazione annuale di attività 2016
  • Relazione annuale 2016 sull’attuazione pratica del regolamento (UE) n. 656/2014 recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata da Frontex
  • Informazioni annuali (2017) sugli impegni degli Stati membri nei confronti delle squadre della guardia di frontiera e costiera e il parco attrezzatura tecnica
  • Conti annuali definitivi di Frontex 2016
  • Progetto di programmazione pluriennale 2018 – 2020

Trascrizione dell’intervento:

Ringrazio il dott. Leggeri per essere qui a presentare il lavoro di Frontex. I punti che vorrei affrontare sono due e riguardano le ONG e l’Afghanistan.

Sulle ONG, so che lei stesso ha preso le distanze dalle dichiarazioni che le sono state attribuite nello scorso dicembre dal Financial Times, secondo cui esisterebbe una complicità tra le ONG attive nelle operazioni di Ricerca e Salvataggio e i trafficanti. Naturalmente ha avuto anche lei notizie sul fatto che esistono Stati membri e non ONG che sono in collusione con i trafficanti, ma di questo Frontex non parla. Sono notizie che circolano da molte settimane e mi riferisco in particolare all’Italia, che avrebbe finanziato alcune milizie che si presentano come guardie costiere libiche ma che in realtà sono trafficanti. E siccome l’Italia finanzierebbe solo una parte di tali falsi guardie costiere, lungo le coste libiche sarebbe in corso una guerra fra le milizie che hanno ricevuto soldi dal governo italiano e milizie che non li hanno ricevuti.

La seconda domanda che vorrei porre riguarda le sue affermazioni sulle ONG come pull factor, cioè come “facilitatrici” delle fughe dalla Libia. In questo quadro richiamo la sua attenzione su una recente dichiarazione di Vincent Cochetel, responsabile europeo per le operazioni dell’UNHCR, secondo cui le ONG non sono affatto un pull factor, dal momento che gli arrivi in Italia sono aumentati nel mese di settembre nonostante la diminuzione delle attività di Ricerca e Salvataggio da parte delle ONG. Questo contraddice le sue affermazioni sul pull factor.

Infine una domanda sui rimpatri in Afghanistan. Qui è un rapporto di Amnesty a chiedere di smettere i rimpatri immediatamente, perché la situazione bellica in Afghanistan è ancora molto intensa  e dunque pericolosa per i rimpatriati. Anche su questo vorrei una sua presa di posizione. Grazie.

 

PCE/PEC – Riconoscimento dei diritti di cittadinanza dei cittadini del Regno Unito negli altri Stati membri dell’UE e accordo sui diritti dei cittadini non britannici dell’UE nel Regno Unito

Interrogazione con richiesta di risposta scritta
al Consiglio (Presidente del Consiglio Europeo)
Articolo 130 del regolamento
24 maggio 2017

Julie Ward (S&D), Jean Lambert (Verts/ALE), Helga Trüpel (Verts/ALE), Paloma López Bermejo (GUE/NGL), Catherine Bearder (ALDE), Bart Staes (Verts/ALE), Alfred Sant (S&D), Eugen Freund (S&D), Alex Mayer (S&D), Tomáš Zdechovský (PPE), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Heidi Hautala (Verts/ALE), Ricardo Serrão Santos (S&D), Jean-Paul Denanot (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Valentinas Mazuronis (ALDE), Tania González Peñas (GUE/NGL), Hilde Vautmans (ALDE), Pascal Durand (Verts/ALE), Viorica Dăncilă (S&D), Kateřina Konečná (GUE/NGL)

Oggetto:  PCE/PEC — Riconoscimento dei diritti di cittadinanza dei cittadini del Regno Unito negli altri Stati membri dell’UE e accordo sui diritti dei cittadini non britannici dell’UE nel Regno Unito

Dal referendum del 23 giugno 2016 nel Regno Unito, i cittadini degli Stati membri dell’UE nel Regno Unito e i cittadini del Regno Unito in altri Stati membri dell’UE provano un senso di incertezza, ansia e angoscia circa la loro situazione e quella delle loro famiglie.

L’organizzazione «New Europeans» e altre organizzazioni della società civile hanno messo in luce la profonda preoccupazione dei cittadini per quanto riguarda la loro possibilità di beneficiare dei diritti che derivano dalla loro cittadinanza europea, compreso il diritto di rimanere nello Stato membro in cui risiedono, e mantenere il loro diritto alla vita privata e familiare, quale sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell’UE e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

I cittadini si rammaricano profondamente di essere utilizzati come merce di scambio nei negoziati sulla Brexit.

A prescindere dalla posizione del Regno Unito, presente o futura, può il Presidente indicare se intende raccomandare al Consiglio europeo di impegnarsi a mantenere i diritti di cittadinanza dell’UE per i cittadini britannici in altri Stati membri dell’UE, e a far sì che questi restino in vigore a prescindere dall’esito dei negoziati con il Regno Unito?

Intende inoltre il Presidente sostenere che le garanzie sui diritti dei cittadini dell’UE non britannici nel Regno Unito debbano essere oggetto di un accordo separato con il Regno Unito e non essere influenzate dall’esito dei negoziati su altri argomenti?

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Risposta
17 luglio 2017

Il presidente del Consiglio europeo si è impegnato a rispondere alle interrogazioni parlamentari nella misura in cui queste riguardino le sue attività politiche. Poiché i negoziati con il Regno Unito a norma dell’articolo 50 del TUE non rientrano nel campo d’applicazione di tale impegno, il presidente del Consiglio europeo non è in grado di rispondere all’interrogazione posta dagli onorevoli parlamentari.

Effetti delle ordinanze del Tribunale sulla dichiarazione UE-Turchia

di mercoledì, Giugno 28, 2017 0 Permalink

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001437/2017

alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL)

Oggetto: Effetti delle ordinanze del Tribunale sulla dichiarazione UE-Turchia

Il 28 febbraio 2017 il Tribunale dell’Unione europea ha statuito sulle cause NF, NG e NM c. Consiglio europeo (cause T-192/16, T-193/16 e T-257/16) affermando che, a prescindere dal fatto che la dichiarazione UE-Turchia non costituisce una dichiarazione politica né una misura che produce effetti giuridici vincolanti, essa non può essere considerata una misura adottata dal Consiglio europeo né, peraltro, da qualsiasi altra istituzione, organismo, ufficio o agenzia dell’Unione europea, né può essere ritenuta rivelatrice dell’esistenza di una misura tale da corrispondere alla misura contestata. Inoltre, la Corte ha ritenuto che, “anche supponendo che un accordo internazionale avrebbe potuto essere concluso in via informale nel corso della riunione del 18 marzo 2016, […] esso avrebbe costituito un accordo concluso dai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione europea e dal primo ministro turco”.

Alla luce di quanto precede, se la dichiarazione UE-Turchia doveva essere considerata uno strumento internazionale, quale sarebbe la base giuridica per coinvolgere le istituzioni dell’UE nella sua attuazione?

Ritiene la Commissione che gli impegni già assunti sulla base del testo in parola siano compatibili con le ordinanze emesse dal Tribunale?

IT

E-001437/2017
Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione
(1.6.2017)

Come osservato dal Tribunale nelle sue ordinanze, la posizione della Commissione, condivisa dal Consiglio europeo e dal Consiglio dell’UE, è che la dichiarazione UE-Turchia non costituisce un accordo internazionale vincolante.

Per quanto riguarda il secondo quesito, la Commissione rimanda l’onorevole deputato alla quinta relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione della dichiarazione UE‑Turchia [1].

[1]  COM(2017) 204 final del 2 marzo 2017.

Situazione nella Striscia di Gaza

Javier Nart, deputato ALDE, ha inviato all’Alto Rappresentante Federica Mogherini una lettera – firmata anche da Barbara Spinelli – riguardante l’interruzione, da parte del governo di Israele, dell’approvvigionamento di elettricità alla Striscia di Gaza.

Ms Federica Mogherini
High Representative of the Union for Foreign Affairs
and Security Policy/ Vice President of the Commission

Brussels, 21 June 2017

Dear Ms Mogherini,

We are writing to you in order to express our deep and urgent concern for the situation in the Gaza Strip.

On 17 April, Gaza’s sole power plant (GPP) was forced to shut down completely after exhausting its fuel reserves and being unable to replenish them due to a shortage of funds. The shutdown occurred in the context of an ongoing dispute between the Palestinian authorities in Gaza and Ramallah on tax exemption for fuel and revenue collection from electricity consumers. This manoeuvre has caused Gaza’s sole electricity plant to cease operating, which was already insufficient to meet the needs of the 1.9 million residents of the Strip.

Moreover, on Monday 12 June, the Government of Israel announced the cut of its electricity supplies to the Gaza Strip by 40 per cent, in line with a request of the Palestinian Authority (PA). The closure of the power plant reduced supply to four hours per day, and if Israel reduces its supply as announced last week, this will cause supply to fall to approximately two hours per day, according to several humanitarian organizations.

The poor supply of electricity and fuel threatens to create an enormous humanitarian crisis, as 80 per cent of Gazans rely on humanitarian aid to survive. Currently, hospitals are working at minimal capacity and the water pumps and wells use has reduced dramatically.  According to UN sources, this situation will immediately be life threatening for 113 new-borns currently in neonatal intensive care units, 100 patients in intensive care and 658 patients requiring bi-weekly haemodialysis. Current water supply stands at only four to eight hours every four or five days, and sanitation services are weak (120 million litres of untreated sewage are discharged into the Mediterranean Sea every day), as stated in the latest OCHA report.

For the abovementioned reasons, we ask that:

  1. Israel, as the occupying power in the OPT, has the primary responsibility for ensuring the wellbeing of the occupied population and, according to the EU-Israel Association Agreement, the government should comply with the democratic clause contained in Article 2. Thus, Israel must act to guarantee that the electricity supply meets the needs of the Gaza population, as regarded in the IV Geneva Convention, no matter the actions requested by the PA.
  2. Following the deplorable declarations of Mr Usama Al-Qawasmi, spokesperson for Fatah, -stating, “we are not targeting the citizens […], we are targeting Hamas which is running the Gaza Strip”– and Hamas threatening that this decision would increase the likelihood of conflict, we call to urge both parties to take responsibilities towards their own people and address their political tensions. It is deplorable that population is used as bargain chips in political disputes.

The situation is unacceptable and the three parties involved (the PA, the Government of Israel and Hamas) must urgently implement sustainable solutions for the power crisis in the Gaza Strip, resuming the supply of fuel and to commit to take no further actions that infringe the fundamental rights of its own citizens under an illegal Israeli blockade that has lasted for a decade.

With the EU having been the first trade partner for Israel and the first donor for the Palestinian Authority, we must stand as the first political player in the region. Therefore, we urge you, HRVP, to use your political dialogue with Israeli and Palestinian leadership to ensure that this unsustainable situation ends. We have considerable power of influence and pressure given the strategic dependence and relationship we have with the parties. Let us make use of it.

As the UN Special Coordinator for the Middle East Peace Process stated on June 20th at the UN Security Council: “We have a collective responsibility to prevent this. […] a duty to avoid a humanitarian catastrophe”.

File .pdf che riporta anche l’elenco dei firmatari

Esclusione di Rom, Sinti e Camminanti dal ruolo di rappresentanti istituzionali nella creazione della Strategia Nazionale di Inclusione della città di Roma

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001533/2017
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento
Barbara Spinelli (GUE/NGL)

Oggetto: Esclusione di Rom, Sinti e Camminanti dal ruolo di rappresentanti istituzionali nella creazione della Strategia Nazionale di Inclusione della città di Roma

La comunicazione COM(2011)173 della Commissione europea sollecita gli Stati membri a elaborare strategie nazionali di inclusione dei Rom. Secondo tale comunicazione, gli Stati membri dovrebbero concepire, realizzare e monitorare le strategie nazionali di integrazione dei Rom in stretta cooperazione e basandosi su un dialogo ininterrotto con la società civile Rom e con le autorità regionali e locali.

Il Consiglio dei ministri italiano ha emanato il 28 febbraio 2012 la Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti e prevede la nascita di tavoli di inclusione ove la società civile Rom è chiamata a decidere, in concerto con le prefetture e le amministrazioni, le politiche su casa, lavoro, scuola, sanità e uso del denaro pubblico stanziato dall’Unione europea sulla base della comunicazione della Commissione europea.

Ciò nonostante, rapporti di fonti giornalistiche e attivisti rilevano che tali tavoli non sono stati attuati dalla città di Roma escludendo dunque Rom, Sinti e Camminanti dal ruolo di rappresentanti istituzionali previsto dalla comunicazione della Commissione e dalla Strategia [1].

Può la Commissione indicare se è al corrente di questa situazione e se ne terrà conto durante le sue prossime valutazioni dei piani di integrazione nazionali?

[1]     http://www.agenziaradicale.com/index.php/diritti-e-liberta/4370-campi-nomadi-a-roma-la-montagna-ha-partorito-un-topolino

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E-001533/2017
Risposta di Věra Jourová
a nome della Commissione
(9.6.2017)

A seguito della comunicazione del 2011 sul quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020, tutti gli Stati membri hanno sviluppato strategie o insiemi integrati di misure di intervento, e designato punti di contatto nazionali per i Rom al fine di coordinare l’attuazione [1]. Nel 2015 la Commissione ha pubblicato una valutazione in cui ha esortato gli Stati membri a trasformare le strutture formali di coordinamento in meccanismi di cooperazione efficaci e a garantire un coinvolgimento trasparente di tutte le parti interessate, comprese le autorità regionali e locali e la società civile Rom [2]. Per promuovere tale processo, la Commissione fornisce un sostegno finanziario per lo sviluppo di piattaforme nazionali per i Rom [3].

Per quanto concerne l’Italia, la Commissione sta seguendo il coinvolgimento delle parti interessate e il coordinamento dell’attuazione, comprese tavole rotonde e gruppi di lavoro. Nella valutazione del 2016 la Commissione ha, tra l’altro, incoraggiato l’uso dei fondi strutturali e d’investimento europei per il periodo 2014-2020 allo scopo di migliorare il coordinamento delle politiche nei confronti dei Rom italiani [4]. La Commissione continuerà a valutare la cooperazione tra tutte le parti interessate e il coordinamento dell’attuazione, nonché il monitoraggio delle strategie nazionali di integrazione dei Rom.

[1]     COM(2011)173 definitivo “Quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom” (eccetto Malta, sul cui territorio non vivono popolazioni Rom).

[2]     COM(2015)299 Report on the implementation of the EU Framework for National Roma Integration Strategies 2015

[3]     http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/rec/topics/rec-rdis-nrcp-ag-2016.html,

[4]     COM(2016) 424 final “Valutare l’attuazione del quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom e della raccomandazione del Consiglio su misure efficaci per l’integrazione dei Rom negli Stati membri — 2016” e SWD(2016)209 final, pag. 67.