Alluvioni e retorica dell’emergenza

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13 novembre 2014. Testo dell’intervento di Barbara Spinelli letto all’assemblea dell’Altra Europa con Tsipras, a Torino

Per la seconda volta in un mese, l’Italia è piegata da piogge che si sono mutate in alluvioni. Il 9 ottobre, a Genova, un uomo è annegato durante l’esondazione del Bisagno. L’11 novembre due anziani coniugi sono stati sepolti da una valanga di fango sulla porta di casa, nell’entroterra del Tigullio. Il giorno dopo un uomo è mortotravolto da una frana a Biella, e un altro è annegato nell’esondazione del Lago Maggiore. Questa notte, a Crema, un giovane è annegato mentre cercava di far defluire l’acqua da un mulino in stato di abbandono. Sfollati, feriti, scuole chiuse, treni bloccati, strade impraticabili, attività commerciali distrutte: è l’eccezione che continua, l’emergenza che si ripete. Ma lo stato emergenziale è ormai una retorica pericolosa, un addebitare all’imponderabilità, in questo caso della natura, responsabilità che non si vogliono assumere.

Dal 1966, anno della terribile alluvione di Firenze, a oggi, in Italia ci sono state 17.688 frane, 3656 alluvioni, danni per oltre 168 miliardi di euro (3,5 l’anno) e 4173 morti. Sono passati 44 anni dall’alluvione di Genova del 1970, in cui persero la vita 44 persone, e sono passati solo tre anni da quando, il 4 novembre 2011, sempre a Genova, morirono travolte dall’acqua sei persone, tra cui due bambine. Da ottobre, di nuovo piogge torrenziali, allagamenti, paura, danni. Di nuovo lutti, dolore, rabbia, che inevitabilmente si trasformano in profondo discredito delle istituzioni.

In tutte le regioni colpite dalle alluvioni – Liguria, Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto – si assiste a un consumo di suolo che non ha pari in Europa, e alla mancanza di manutenzione ordinaria del territorio. Ciò che è diventato ordinario, è lo spettacolo di un’urbanizzazione incontrollata, la distruzione delle campagne e dei boschi, l’apertura di cave, la cementificazione che ha reso impermeabile il terreno, la superfetazione di grandi opere infrastrutturali, fonte di guadagno per le imprese e di corruzione einfiltrazione mafiosa negli appalti.

Fenomeni metereologici anormali che, ci spiegano gli studiosi, diventeranno la norma (conseguenza di un cambiamento climatico al quale le nostre politiche economiche globali non sono estranee) non possono essere affrontati con scelte locali dissennate. Occorre restituire terreno libero, non impermeabilizzato, alle nostre città; occorre prevedere piani di mantenimento e difesa dei torrenti e delle aree boschive. Occorrono piani casa che non consentano di costruire a pochi metri dagli argini dei corsi d’acqua, che mettano fine alla costruzione delle migliaia di box che bucano le colline come termitai, che proibiscano ogni aumento di volumetria, che liberino le zone limitrofe ai torrenti, che consentano il recupero delle aree in abbandono. Occorre rifiutare la logica che spinge a fare cassa con gli oneri di urbanizzazione.Occorre rompere lo scellerato patto di stabilità, occorre rifiutarsi di investire in grandi opere. Occorrono coraggio e scelte innovative, occorrono cittadini che partecipino attivamente, rivendicando il proprio diritto di scegliere.

Finora ben poco è stato fatto. I bacini di laminazione che, a Genova, fin dai progetti degli anni Ottanta avrebbero dovuto rallentare la portata d’acqua del Bisagno, non sono mai stati realizzati, così come non sono mai stati riforestati i suoi versanti, né è stato messo riparo alla cementificazione incontrollata che impedisce alla pioggia di essere assorbita. Si è scelto di ignorare le indicazioni di geologi e ambientalisti, e di finanziare opere costose – come i deviatori e gli scolmatori dei torrenti – peraltro mai iniziate.

A Massa Carrara, flagellata anch’essa dall’alluvione, negli scorsi giorni i cittadini hanno occupato il Comune indicendo un “presidio permanente”, in attesa delle dimissioni del sindaco e della caduta della giunta, ritenuta responsabile dell’ultima inondazione, per la precaria condizione degli argini.

Negli stessi giorni, il 10 novembre, il Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) approvava una serie di interventi strategici per la Regione Veneto, nei grandi settori dei trasporti e delle infrastrutture. Via libera al corridoio autostradale Orte-Mestre; all’alta velocità della Tav Veneto Verona-Padova; alla costruzione dell’Autostrada A31 Valdastico Nord; al completamento delle paratie mobili del Mo.S.E. di Venezia.

Fiumi di denaro pubblico destinato a opere il più delle volte inutili e spesso devastanti, quando mancano i soldi per la difesa del suolo dalle esondazioni, per la Protezione civile, per la sanità, per un abitare dignitoso,per i servizi essenziali.

Il governo, ha scritto oggi un gruppo di genitori liguri, rivolgendosi al Prefetto di Genova, “nelle ultime settimane ha varato provvedimenti che stanziano diversi miliardi di euro per opere di cementificazione, riservando al contempo poche decine di milioni all’unica vera grande opera utile nel nostro territorio: la sua messa in sicurezza”.

Mettere in sicurezza il territorio significa finanziare un piano di opere diffuse, partendo dai Piani di gestione del Rischio di Alluvione – prescritti tra l’altro dalla Direttiva EU 2007/60, così da uscire dalla logica della perenne emergenza, dei piani straordinari, dei commissari speciali, delle procedure “in deroga” e del regolare malaffare. Significa dotare il nostro Paese, come da tempo chiedono autorevoli ambientalisti e studiosi, di Piani di bacino idrogeografici, capaci di prevenire e mitigare gli effetti meteorologici del mutamento climatico.

Lo scempio edilizio e la cementificazione delle nostre regioni è una questione che riguarda l’Italia – quel “partito del cemento” reso ancora più forte dal decreto legge detto Sblocca Italia,divenuto operativo l’11 novembre– ma anche l’Europa, visto che con i finanziamenti comunitari si edificano storture come il ponte Meier di Alessandria [1] e con i fondi strutturali europei è stato finanziato il collegamento Fegino-Tortona del Terzo Valico: 6,2 miliardi di euro per un’opera non solo inutile, dal momento che i due luoghi erano già collegati, ma pericolosa, come hanno mostrato i crolli avvenuti in ottobre sulla ferrovia.

La parola “emergenza” è stata sequestrata, piegata a pratiche politiche e giuridiche di uno Stato d’eccezione che preferisce le scorciatoie, che non si presenta ai cittadini nei luoghi istituzionali deputati all’esercizio della democrazia. Non parliamo di emergenza – questo malefico diversivo usato per spaventare i cittadini e i loro rappresentanti, e render sempre più flebili la loro voce e il loro giudizio critico.Parliamo invece di provvedimenti ordinari, di buon governo delle città e dei territori, a cominciare da una seria opera di manutenzione di strade, ferrovie, scuole e ospedali – oggi in condizioni allarmanti in tutta Italia. [2]

Tutto questo costituirebbe non solo una cospicua fonte di lavoro, ma la premessa di un rinnovato legame tra istituzioni e cittadini. Uno Stato che abdica ai propri compiti (il “sacro debito” verso il proprio popolo) per consentire a privati di fare sempre nuovi ed enormi profitti, incurante delle stesse vite dei cittadini, rischia di aprire falle e smottamenti non solo nel tessuto urbano, ma nel tessuto sociale e nella democrazia del paese.

NOTE

[1] Il ponte Meier ha impegnato, con altre opere collaterali, la somma di circa 12 milioni di euro messa a disposizione dall’Unione Europea. Tale importo dovrà essere utilizzato entro il 31 dicembre 2014, ma non basta a coprire i costi complessivi, e la città dovrà impegnarsi in mutui di altri (?) milioni di euro per il completamento dell’opera.

[2] Secondo il XV Rapporto Ecosistema Scuola di Legambiente pubblicato il 12 novembre 2014, il 9,8 per cento degli edifici scolastici si trova in area a rischio idrogeologico e il 32,5 per cento necessita di interventi urgenti. Tuttavia le risorse destinate alla manutenzione straordinaria sono state ridotte, nell’ultimo anno, di circa 22mila euro in media per ogni singolo edificio, mentre le risorse per la manutenzione ordinaria sono state ridotte di quasi 2mila euro, andando a intaccare la cifra già esigua di 8808 euro.

Gli eredi della Lista Tsipras

Bologna, 3 novembre 2014. Intervento in sostegno de “L’Altra Emilia Romagna”

Sono qui con voi, dopo alcuni mesi di impegno molto assorbente nel Parlamento europeo, perché a mio parere siamo di nuovo a un bivio, proprio come dicevamo di essere quando nacque, nell’inverno 2013, la lista L’Altra Europa con Tsipras. Non dico “Siamo in emergenza” perché questa parola è stata sequestrata, come vedremo, e va maneggiata con circospezione estrema. Perché rimanda alla nozione – e alle pratiche politiche e giuridiche – di uno Stato di eccezione dal quale è urgente uscire.

Il bivio è stato raccontato in vari modi, dopo il 25 maggio. Cito solo l’ultimo – il testo di Marco Revelli uscito sul Manifesto il 27 ottobre – cui aggiungerei vari altri testi, tra cui quelli, per me particolarmente importanti, scritti da Guido Viale. In essi vediamo raccontate le divisioni che hanno caratterizzato la nostra esperienza, spesso fratricide, assieme alle nostre aspettative o speranze.

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A Lampedusa, 4-5 ottobre 2014

Il cimitero delle barche di Lampedusa

Lampedusa, il cimitero delle barche

Barbara Spinelli, presente con una delegazione di europarlamentari del gruppo Gue-Ngl al Festival Sabir di Lampedusa, che si è tenuto dall’1 al 5 ottobre, il 4 ottobre è intervenuta al Forum Migranti nella sessione tematica Frontiere e prima accoglienza, coordinata da Arci, Migreurop, REMDH.

Davanti all’ecatombe di esseri umani nel Mediterraneo, ha detto Spinelli, non ci si può contentare di vuote frasi di solidarietà, occorre invece agire con iniziative concrete, come l’immediata istituzione di corridoi umanitari e una politica di visti, ma anche pretendendo il rispetto delle leggi e degli accordi già esistenti tra i Paesi membri dell’Unione.

Non è accettabile, ha affermato l’europarlamentare, la sostituzione di Mare Nostrum –iniziativa presa dal governo italiano proprio in conseguenza dell’immane naufragio dello scorso anno a Lampedusa – con l’operazione Frontex Plus, ora rinominata Triton. Ci hanno parlato di un’operazione ambigua, ha spiegato Spinelli, la cui evidente funzione di respingimento viene sovrapposta, con grandi retoriche autocelebrative, alla missione umanitaria finora svolta da Mare Nostrum. La verità è che Triton farà controlli e pattugliamenti, più che ricerche e salvataggi, e non si avventurerà in acque internazionali. Triton ha l’evidente scopo di chiudere i muri della Fortezza Europa.

Vittime della guerra, ha detto Spinelli, non sono solo gli esseri umani, ma la verità e la legalità. Nel caso della guerra contro i migranti, vittime sono una serie di articoli della nostra Carta dei diritti fondamentali, a cominciare dall’articolo 2 (diritto alla vita) e dall’articolo 19 (divieto di respingimento). Così come è violato il Trattato di Lisbona (articolo 80), che prescrive la solidarietà anche finanziaria tra Stati membri “ogni qualvolta sia necessario”.

Spinelli ha concluso con un invito a ricordare la storia europea: il problema è politico, ha affermato, perché abbiamo un diritto europeo al quale non corrisponde una politica europea. Avere una politica verso il Sud del Mediterraneo significa costruire uno spazio inclusivo di pace, solidarietà, cooperazione: un New Deal mediterraneo, che comporti una politica di aiuti nei confronti di quei paesi che, molto più dell’Europa, si fanno carico di masse di rifugiati in fuga dai paesi in guerra, primo tra tutti la Siria.

Nel corso della missione a Lampedusa, Barbara Spinelli ha preso parte, il 5 ottobre, alla partenza simbolica della Carovana antimafia “contro la tratta dei nuovi schiavi”, avvenuta dal molo Favaloro del porto, punto di approdo nell’isola per migliaia di migranti.

Sempre il 5, la deputata del Gue ha visitato la sede di Mediterranean Hope – Osservatorio sulle Migrazioni di Lampedusa, un progetto della FCEI finanziato dall’Unione delle chiese metodiste e valdesi, dove ha incontrato Francesco Piobbichi, operatore sociale incaricato della costruzione di un “osservatorio” delle migrazioni a Lampedusa. Nella sede di Hope, Spinelli ha preso visione dei disegni, prossimamente esposti in una mostra, con i quali Piobbichi dà forma e memoria ai racconti dei testimoni: storie di naufragi, salvataggi, incontri tra isolani e migranti.

Le vere emergenze della Lista

Bruxelles, 9 settembre 2014. Intervento alla conferenza «La sinistra in Europa dopo le elezioni europee» organizzata dal Centro Garcia Lorca & Alternatives.

L’Altra Europa con Tsipras è nata per colmare un vuoto che si è creato nella sinistra fin dagli anni Novanta, con la nascita della famosa Terza via, basata sulle politiche di Tony Blair e di Gerhard Schröder.

Più precisamente, la nostra lista è nata da una doppia presa di coscienza: che questo vuoto non fosse in realtà un vuoto, dal momento che in molti paesi, tra cui l’Italia, una parte di cittadini non aveva accettato le politiche liberiste per l’Europa indicate dall’allora premier britannico e dall’allora cancelliere tedesco. C’era un gruppo di cittadini particolarmente impegnato a salvare i servizi pubblici, che aveva combattuto contro la privatizzazione dell’acqua, che non accettava l’austerità e che, soprattutto, non accettava la confusione e l’identificazione fra destra e sinistra, che era invece la parola d’ordine della Terza via.

La seconda presa di coscienza è che in questo vuoto-non-vuoto c’erano partiti della sinistra radicale che erano stati sacrificati da leggi elettorali assurde e che, da soli, non riuscivano a ottenere risultati all’altezza delle proprie aspettative.

Alle elezioni europee abbiamo vinto per miracolo, perché se è vero che il vuoto non era vuoto, è anche vero che le nostre speranze iniziali erano molto più grandi dei numeri che abbiamo ottenuto alla fine. Questo risultato ha quindi un significato al tempo stesso positivo e negativo. Il segno positivo è che è stato giusto puntare in alto e in largo, voler includere al massimo, rappresentare tutte le anime e tutti i frammenti della sinistra. Il segno negativo è che abbiamo appunto vinto per miracolo, ossia soltanto in parte. Sono stati commessi errori, e gli errori insegnano molto. Sono delle lezioni, sempre. A mio avviso, quello che abbiamo vissuto (vincere per pochissimi voti) ci dice alcune cose sul futuro della lista.

Non dobbiamo dimenticare che siamo nati con il proposito di far nascere qualcosa di simile a Syriza, e che abbiamo scelto Alexis Tsipras come modello anche con il proposito di giungere a un amalgama delle forze della sinistra.

Questo ci dice che costruiremo il futuro della lista solo se cercheremo di essere sempre più inclusivi; solo se nessuno fra noi e fra i diversi partiti che hanno dato vita al nostro comune progetto cercherà di mettere il proprio cappello sulla lista, perché questo è il modo più sicuro di perdere le prossime elezioni. Per salvare la lista, nessun gruppo deve cadere nell’illusione di poter agire solo, senza gli altri.

Credo che questo sia importante soprattutto per voi che siete qui, a Bruxelles, che vi siete battuti per la lista e che continuate a farlo. Forse voi siete più liberi e più indipendenti che in Italia, dove la lista attraversa un periodo difficile.

Sapete perfettamente che le cose cambieranno, in ogni paese, solo se in Europa e nelle istituzioni il paradigma del liberismo verrà smantellato. Meglio sarebbe parlare di “dogma”, anziché di paradigma, dal momento che il liberismo è diventato un’ideologia – e le ideologie non si discutono mentre i paradigmi sì. È come per l’infallibilità papale nella Chiesa: non la si può mettere in questione. Abbiamo assistito a grandi contraddizioni, in questo senso. Per esempio, quando Juncker, il nuovo presidente della Commissione, ha criticato la trojka e il fiscal compact: proprio lui che ha dato il proprio consenso attivo all’una e all’altro. Oppure quando tutti i governi dicono che nelle presenti condizioni è necessario concentrarsi su politiche per la crescita, e alzano la voce invocando parametri più flessibili, ma nessuno di essi fa autocritica sul veleno che essi stessi hanno propinato per anni alle proprie società. La crisi continua a essere curata con il medesimo veleno che l’ha scatenata. Nessuno, nel governo italiano e nell’Unione europea, ammette che questa ricetta semplicemente non funziona. Ricordo qui una frase, attribuita a Albert Einstein: è pura insania ostinarsi a rifare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.

Dunque cosa significa, oggi, volere un’“altra Europa”? Significa, a mio avviso, riconcentrare i nostri obiettivi sui diritti (primi fra tutti quelli che riguardano il lavoro e l’immigrazione) e sulle guerre: sono queste le nostre emergenze. Quando dico “emergenza”, sono consapevole che si tratta di una parola utilizzata dai governi costantemente e da anni; dicono che siamo in emergenza, che la crisi è tale da rendere necessari la riduzione dei diritti, l’accentramento del potere esecutivo, l’indebolimento del potere giudiziario, lo svuotamento delle costituzioni democratiche.

Ma la parola “emergenza” viene brandita abusivamente: in generale, in periodi di crisi si cambiano le cose, mentre qui i governi gridano all’emergenza perché le cose restino come stanno. Il loro obiettivo è garantire lo status quo, e dunque il potere, il dominio dei mercati e degli apparati militari. E mantenere lo status quo significa al contempo immobilizzare i cervelli, far sì che le persone smettano di pensare. Non a caso in Italia è in corso una lotta feroce dell’intero Governo Renzi contro i “professoroni” che si permettono di criticarlo e contro i comitati cittadini. Insomma, contro il libero pensiero.

Di questa parola – “emergenza” – dobbiamo riappropriarci. Dobbiamo strapparla con forza a chi l’ha sequestrata a favore di forze anonime quali i mercati e il complesso militare-industriale.

La vera emergenza è la precarizzazione del lavoro, ed è la questione della sovranità (sovranità che gli Stati-nazione pretendono di aver concesso all’Europa: in effetti l’avevano già perduta, ma l’hanno trasferita a un’Unione europea che non è né solidale né sino in fondo democratica). Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, lo ha detto chiaramente: potete avere i risultati elettorali che volete, non ci fanno paura, perché a Francoforte le riforme sono assicurate dal “pilota automatico”.

Le vere emergenze sono i morti nel Mediterraneo (più di 20.000 dal 1988) e l’abolizione delle operazioni di salvataggio dei migranti come Mare Nostrum, sostituito da operazioni non più intese a salvarli ma a respingerli. Le vere emergenze sono le guerre e il consenso implicito dell’Europa a queste guerre. Lo vediamo in Ucraina: sulla natura antidemocratica e lesiva delle minoranze che caratterizza l’attuale regime di Kiev l’Unione Europea non ha speso una sola parola, mentre esercita un’enorme pressione sulla Russia, accodandosi alla strategia degli Stati Uniti. Non una sola parola sui morti civili della regione di Donbass, né sulle centinaia di migliaia di ucraini dell’Est che fuggono verso la Russia (non perché putiniani, ma in quanto russofoni), né sulle milizie paramilitari di estrema destra alle dipendenze dirette del ministero dell’Interno a Kiev.

L’unica vera emergenza è quindi l’estensione e la radicalità di questa crisi. Vorrei in conclusione ricordare ciò che ha detto Alexis Tsipras, citando Lenin: “Siamo radicali, sì, ma perché la realtà è radicale”.

Note su Jean-Claude Juncker inviate al GUE/NGL, 15 giugno 2014

Vorrei precisare alcune cose che penso a proposito di Juncker presunto candidato «naturale»alla presidenza della Commissione:

1)  I partiti hanno deciso di presentare propri candidati, il che rappresenta senza dubbio un passo avanti nella creazione di uno spazio europeo di dibattito sulle istituzioni dell’Unione e su chi deve dirigerle. Ma nella sua forma attuale, il Trattato è chiaro e prevede una procedura ancora sbilanciata a favore dei governi: è il Consiglio europeo, dunque gli Stati, a designare a maggioranza qualificata il Presidente, «tenendo conto delle elezioni europee». Dopo «appropriate»consultazioni tra Consiglio europeo e Parlamento, e poi tra candidato designato e Parlamento, il Parlamento può respingere il candidato proposto oppure eleggerlo. Qui resta la sua forza, la sua immutata arma ultima.

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Chiusura della campagna elettorale
de L’Altra Europa con Tsipras

Discorso tenuto il 22 maggio 2014 a Santa Maria in Trastevere, Roma, durante il comizio finale

Siamo giunti all’ultimo pezzo di strada ed eccoci qui, con grandi aspettative e con qualche grande convinzione.

Prima convinzione: tutto questo cammino che abbiamo fatto, per raccogliere le firme, per parlare agli italiani e dir loro il programma che avevamo, è valso la pena. Perché l’Italia sta messa molto male e l’Europa anche, e nessun trattato, nessuna politica ha mostrato di funzionare.

Perché era l’ora di dire che sono troppe, e sempre più diffuse nei principali partiti e movimenti le menzogne, le illusioni, le trappole nemmeno molto nascoste nei discorsi che si fanno sull’Europa, sulle politiche che l’Europa ha fatto in questi anni di crisi, sul suo futuro. Quando parlo di protagonisti della campagna elettorale penso al partito di Renzi, il Pd, al Movimento di Grillo, a Berlusconi, e a chi fa campagna per l’uscita dall’euro o parla a vanvera di recupero della sovranità italiana sacrificata o perduta.

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Con Alexis Tsipras, oltre la rabbia, oltre la paura

Testo del discorso tenuto alla manifestazione de L’Altra Europa con Tsipras in piazza Maggiore a Bologna, il 21 maggio 2014

Gra­zie Ale­xis Tsi­pras, per esser oggi con noi: a Torino, a Milano, ora qui a Bolo­gna, a pochi giorni dalle ele­zioni. La tua pre­senza ci dà forza. Anche la vit­to­ria del tuo par­tito alle muni­ci­pali ci dà forza: un’altra sto­ria è pos­si­bile, fino a ieri rite­nuta impos­si­bile.

Ti abbiamo visto in tele­vi­sione, pochi giorni fa. Tra tutti i can­di­dati eri senza dub­bio il migliore: l’unico che ha aperto una nuova pro­spet­tiva, l’unico che ha par­lato di cose spi­nose, euro­pee e anche ita­liane: delle deva­sta­zioni pro­dotte dall’ auste­rità, dei patti esi­stenti in Ita­lia fra Stato e mafia, dello svuo­ta­mento sem­pre più evi­dente della demo­cra­zia e delle costi­tu­zioni, qui da noi e in molti paesi d’Europa.

Ho spe­cial­mente apprez­zato il tuo accenno, in una rispo­sta al can­di­dato del Par­tito popo­lare Junc­ker, al ver­tice di Can­nes del 2 novem­bre 2011. Hai con­fer­mato i tanti pic­coli colpi di Stato — i tanti micro-infarti cere­brali della demo­cra­zia – che hanno avuto luogo nell’Unione da quando c’è la crisi. In quel ver­tice sono state decise, nel chiuso d’una ristretta oli­gar­chia euro­pea, i limiti che dove­vano esser messi alla demo­cra­zia e alla sovra­nità popo­lare in due paesi dell’Unione: Gre­cia e Ita­lia. In Gre­cia fu affos­sato un refe­ren­dum sull’austerità. In ambe­due i paesi si decise che non sareb­bero stati tol­le­rati governi rego­lar­mente eletti. Pochi giorni dopo — l’11 e il 16 novem­bre – cade­vano il governo greco e quello italiano.

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Discorso di Palermo, 12 maggio 2014

Se mi sono candidata capolista nelle isole, e se sono qui con voi a Palermo proprio oggi, è per una ragione precisa. È perché Palermo in queste ultime settimane è di nuovo al centro di una vasta operazione politica, che tende ancora una volta a svilire l’enorme battaglia che qui viene condotta contro la mafia, e in particolare contro il processo Stato-mafia. Abbiamo alle nostre spalle più avvenimenti concomitanti (successivi alle minacce di morte pronunciate da Totò Riina contro Di Matteo).

Primo, la circolare del 5 marzo del Csm, che toglie le inchieste sulle trattative Stato-mafia e sul possibile coinvolgimento dei servizi militari nelle stragi del ’92-’93 ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Si tratta, come ha detto Messineo, di una vera e propria «norma anti Di Matteo e anti Tartaglia».

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A dieci anni dalla nascita della Sinistra europea

Discorso tenuto il 9 maggio 2014 a Roma in occasione del decimo anniversario della nascita della Sinistra europea.

La Lista Altra Europa con Tsipras è nata dopo la decisione della Sinistra europea di candidare alla Presidenza della Commissione il leader e fondatore di Syriza, il partito che sta divenendo maggioritario in Grecia e che è riuscito in una grandissima impresa: unire tutte le forze veramente di sinistra contro le politiche di austerità che pretendono di salvare l’euro. In Italia, è il tentativo di raggruppare non solo i partiti di sinistra, quella vera, ma anche le più diverse associazioni della società civile che hanno difeso i beni pubblici, che combattono per un nuovo sviluppo ecologico, che difendono la nostra Costituzione antifascista dagli attacchi di una grande coalizione neo-autoritaria, che da anni sono impegnati in una lotta contro la mafia che faccia luce sui patti sordidi, mai confessati, che ci sono stati negli anni Novanta e che ancora forse continuano, fra Stato italiano e mafie di vario tipo. Un vasto tentativo bipartisan è in atto per azzittire la Procura di Palermo, che sta indagando su questi patti. Noi lo denunciamo.

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Ucraina: la verità vittima della guerra.
L’Europa ha qualcosa da dire?

di giovedì, Maggio 8, 2014 0 , , , , Permalink

di Barbara Spinelli, Eleonora Forenza, Fabio Amato, Guido Viale

Come in tutte le guerre, la verità e l’informazione sono vittime designate. Il caso ucraino non fa eccezione. Si omette deliberatamente di dare notizia sull’uso di paramilitari nazisti al servizio del governo di Kiev, così come dei tragici eventi accaduti ad Odessa (46 persone disarmate uccise in un vero e proprio pogrom antirusso, imputabile alle milizie filogovernative di Pravyi Sektor, Settore di Destra). Criminale è l’aver fomentato, soprattutto da parte degli USA, una guerra civile e aver sdoganato in Europa forze naziste, che speravamo di aver cancellato definitivamente dal futuro dell’Europa.

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