Comunicato a sostegno delle Altre regioni

Bruxelles, 26 maggio 2015

L’Altra Europa nacque come progetto di superamento dei piccoli partiti di sinistra per rivolgersi a un elettorato deluso dal Pd, dal M5S e dal voto stesso e come elaborazione di una nuova visione dell’Unione Europea capace di restituire reale rappresentanza ai cittadini attraverso il suo Parlamento. Un’Europa in grado di proporre un modello di sviluppo che coniughi lavoro e conversione ecologica dell’economia, metta al centro gli interessi dei cittadini europei anziché quelli della finanza globale e degli Stati più potenti, per porre così fine ai nazionalismi xenofobi che l’austerità ha scatenato.

A tutte le persone che continuano a combattere le grandi intese, il consolidarsi di un “Partito della Nazione”, l’ortodossia delle riforme strutturali, la decostituzionalizzazione della nostra democrazia, lo scempio e la rapina del nostro territorio e dei nostri mari, va il mio immutato sostegno.

Guardo con particolare attenzione a quei laboratori, come Altra Liguria, Altro Veneto, Altra Puglia, che hanno l’ambizione di riformare il concetto stesso di politica e rappresentanza per renderle realmente partecipative e orizzontali, e a tutte le liste che, prendendo le mosse da Altra Europa, si presentano alle prossime regionali impegnandosi in una battaglia di simile natura.

A loro e ai comitati territoriali va il mio immutato appoggio, così come a suo tempo andò ad Altra Emilia Romagna e Altra Calabria.

barbara spinelli

Messaggio all’Assemblea nazionale del movimento “Blocca lo Sblocca Italia”

Pescara 24 maggio 2015

Cari amici, desidero anzitutto congratularmi con voi per la forte manifestazione alla quale avete dato vita ieri a Ombrina Mare. Una resistenza, è stato detto dal palco, capace di mostrare che non tutto può essere fatto: non una torre che raffina petrolio in mezzo al mare Adriatico; non pozzi di estrazione che producono fanghi tossici e radioattivi; non un attentato alla salute dei cittadini e alla biodiversità delle acque e del suolo; non uno sfregio insanabile a un patrimonio naturale che è cultura comune e bene pubblico.

Solo una logica dimentica dei diritti della terra può concepire la trasformazione di una regione magnifica come l’Abruzzo in un distretto minerario. Sono con voi, convinta che la vostra sia una formidabile e pacifica forma di resistenza. Insieme con voi dico no al decreto chiamato Sblocca Italia, alle politiche che vedono la cementificazione, l’immiserimento, l’offesa dei nostri territori e della vita stessa come un omaggio reso a poteri che malgovernano l’Europa.

So che più di 400 associazioni ed enti locali hanno aderito al vostro appello e che le vostre battaglie sono fatte proprie dall’intera comunità abruzzese. È da iniziative come queste che si potrà costituire, in Italia e in Europa, una risposta alle politiche di privatizzazione e di rapina del suolo, dell’aria, dell’acqua, e dei diritti, delle libertà e della democrazia. Lo Sblocca Italia ci toglie la possibilità di decidere dei territori che abitiamo, cancella la possibilità di espressione degli Enti locali. Si tratta di una politica globale che vede la democrazia come un fastidio da ridurre e imbrigliare. È per questo che la vostra risposta è tanto importante. Da questa resistenza – e dai comitati che continuano a sorgere in tutta Italia, contro le devastazioni ambientali e le grandi opere – potrà nascere un’alternativa capace di governare in maniera diversa, nel rispetto degli uomini e del pianeta, uno sviluppo economico che sia finalmente sostenibile.

barbara spinelli

 

Una storia sbagliata (dal blog di Gian Luigi Ago)

Una storia sbagliata (L’Altra Europa vs Barbara Spinelli)

di Gian Luigi Ago

Quanta disinformazione, cattiva coscienza o ipocrisia. Scegliete voi…

Barbara Spinelli, una delle garanti e ispiratrici dell’appello dell’Altra Europa viene candidata alle europee dichiarando che rinuncerà al seggio a favore del secondo eletto in caso di elezione.
Dopo l’elezione viene invitata via lettera da Alexis Tsipras stesso ad accettare comunque l’elezione. Sel e Rifondazione appoggiano questa richiesta ma lasciano a lei la patata bollente di scegliere in quale circoscrizione accettare l’elezione, rifiutando un sorteggio o di accordarsi tra i due partiti.

Così per inciso diciamo anche che le elezioni non servono per spartirsi eletti tra Sel e Rifondazione (uno a te, uno a me…) ma per scegliere delle persone competenti e in grado di ben rappresentare e attuare il programma (su questo vedremo nel finale cosa succederà…).
Così è, anche se le logiche dei partiti ragionano invece in un altro modo…

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Lettera aperta a L’Altra Europa con Tsipras

18 aprile 2015

Abbiamo condiviso e continuiamo a condividere l’appello iniziale L’Europa a un bivio, che alcuni di noi hanno contribuito a redigere e che altri hanno sostenuto con la propria candidatura e con la propria militanza, ma – nonostante molte mediazioni – non possiamo condividere il percorso che l’attuale gruppo dirigente dell’Altra Europa sta perseguendo.

Durante l’ultima assemblea nazionale di Bologna, il 18 e 19 gennaio, non è stato definito alcun programma, dato che quell’assemblea era stata messa nell’impossibilità di esprimere un voto.

Non votare e non contarsi significa sempre eludere la sostanza: cioè i temi politici fondamentali su cui non c’è eventualmente accordo.

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Iniziativa cittadina: la democrazia come Kindergarten?

Mercoledì 18 marzo al centro Mundo B di Bruxelles si è svolto un seminario-brainstorming informale organizzato da Barbara Spinelli e Carsten Berg (coordinatore generale di ECI Campaign) sul tema “The Crises of Europe: What Role for the European Citizens’ Initiative?”.

Hanno partecipato al seminario:

Barbara Spinelli (Altra Europa con Tsipras), Carsten Berg (The Citizens Initiative), Pier Virgilio Dastoli (Movimento Europeo Internazionale), Alessandro Manghisi (Ufficio Barbara Spinelli), Sophie von Hatzfeldt (Democracy International), Norbert Hagemann (Ufficio Helmut Scholz – Die Linke), Jan Willem Goudriaan (European Federation of Public Service Unions-EPSU), Elisa Bruno (European Citizens Action Service – ECAS), Raymond Van Ermen (European Partners for Environment – EPE), Rafael Torres (Close the Gap), Carmen Alvarez Acero (Podemos), Laetitia Veritier (Europe +), Mattia Brazzale (Associazione Delle Agenzie Della Democrazia Locale – ALDA), Giovanni Melogli (Alliance International de journalistes – European media initiative).

Questo il testo dell’intervento di Barbara Spinelli

The ECI: Democracy as a Kindergarten?

We are here not only to discuss the technicalities of the European Citizens’ Initiative (ECI, based on article 11 of the Lisbon Treaty): if it has to be organised differently, if its online presence can be improved, if data protection is respected, if the time given for the collection of signatures (one year, for the collection of 1 million of signatures in 7 countries at least) is too short. These are important methodological questions, but not the essential ones. We know from Heidegger that the essence of technology is nothing technological, and is never neutral.

We are here because what was built in this continent after the war – the unification of Europe – is in great danger of dissolving. Large numbers of citizens no longer believe in this unity, nor in its capacity to overcome the divisions among its peoples and its States. The ECI was born almost ten years ago because of what was already called, during the Prodi Commission, a “democratic deficit”. Economic crisis – which began in the United States in 2007 and then spilled over to Europe – has brought democracy well beyond that “deficit”, pushing it to the brink of a precipice.

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Alcune riflessioni sullo stato di salute de L’Altra Europa

Riporto qui un breve scambio di mail con Alfredo Giusti del Circolo “Dossetti” di Sarzana avvenuto il 14 marzo scorso a margine dei Seminario bolognese dei comitati territoriali de L’Altra Europa

Cara Barbara,

dopo l’entusiasmo e le speranze iniziali, sto vivendo con molta angoscia la preoccupante deriva dell’Altra Europa, a cui avevo aderito perché vedevo importanti anticorpi, che ritenevo potessero impedire il ripetersi della mortificante esperienza di “Cambiare si può”, che aveva rappresentato per me una dura batosta ed una grande sofferenza.

Al momento delle adesioni, ho letto moltissimi dei messaggi che accompagnavano la scelta di “esserci” ( ripetevano molti “è l’ultima volta”). Questi messaggi riproponevano insistentemente una piena adesione all’Appello iniziale di voi proponenti.

Ora delle 30.000 adesioni sono rimaste briciole perché qualcuno ha voluto assumersi la responsabilità di tradire gli impegni iniziali e di fare del nostro progetto una cosa vecchia, già fallita e senza prospettiva.

Come ci si può permettere di gettare palate di delusione in chi ha voluto mettere nelle nostre mani la residua fiducia, che rimaneva nell’animo dopo molteplici delusioni ? Come si può perdere rapporto e collaborazione con persone di grande valore culturale e politico (penso alle dure e sacrosante parole di Rodotà, che fu con Zagrebelsky ed altri nostro prezioso sponsor prima delle elezioni)?

Queste parole negative su Altra Europa non vogliono disconoscere l’impegno fattivo di molti e la presenza di persone meravigliose (soprattutto donne: una per tutte – ma la lista è lunga – Nicoletta Dosio).

Chi è consapevole della pericolosa deriva a cui rischiamo di andare incontro, dovrà mettere tutto il proprio impegno – costruttivo e positivo –  perché i problemi siano affrontati e risolti, a partire dalle scadenze del 29 e dell’Assemblea di aprile.

[…]

con affetto e riconoscenza,

Alfredo Giusti del Circolo “Dossetti” di Sarzana

***

Caro Alfredo,
penso che la via ci sia: ritrovare le persone che abbiamo perduto per strada, e so che sono moltissime. Continuamente ne incontro, e anch’io constato la loro delusione, il loro sconcerto, la loro tristezza. Delusione, sconcerto e amarezza che sono anche le mie, molto spesso. Mi sono iscritta di recente in Libertà e Giustizia, per essere lì attiva come posso e aiutare l’associazione a preservare la sua indipendenza, davvero miracolosa dopo l'”uscita” di De Benedetti. Per poter re-incontrare, in quei circoli, le persone che erano con noi all’inizio e che ci osservano ormai con una curiosità che va spegnendosi, con un distacco ineluttabile, con un atteggiamento che somiglia molto, troppo, alla sfiducia. Dico distacco ineluttabile perché il piccolo gruppo che dirige Altra Europa non ha coltivato questi rapporti, in parte per chiusura in gran parte per trascuratezza. Penso, ma lo immagini, a persone cui sono vicina da decenni: Zagrebelsky, Rodotà, Don Ciotti, Paul Ginsborg, il gruppo di Micromega. Penso ai vari comitati ecologisti e di difesa dei beni comuni (dunque anche a Salvatore Settis). Anche per questo è così importante ripartire “dai territori”. E di sicuro ne ho dimenticati molti, cui non parliamo e che non son più disposti ad ascoltarci. È a loro che Landini guarda oggi – questa la mia impressione. Penso non per ultimo ai magistrati che istruiscono il processo su Stato-mafia a Palermo: perché tanti nostri mali – in questo siamo simili alla Grecia – nascono dal connubio immondo fra una mafia (o ‘ndrangheta, o camorra: Tsipras la chiama “cleptocrazia”, Scarpinato “nuova borghesia mafiosa”) che agisce ormai globalmente ed è complice di fatto degli anonimi poteri finanziari mondializzati. È significativo che nessun memorandum della trojka abbia mai inserito, nelle sue austere raccomandazioni: la lotta alle mafie e alla corruzione, la battaglia contro l’evasione fiscale e in favore delle Costituzioni democratiche e dell’indipendenza della magistratura. Questa sarebbe la vera Austerità, di cui abbiamo bisogno come dell’aria. Ho detto più volte che il rapporto di JP Morgan del maggio 2013, con le sue accuse alle paralizzanti costituzioni antifasciste, avrebbe potuto esser scritto (è stato già scritto, decenni prima) dalla loggia P2.

Penso che Altra Europa nelle sue varie espressioni (non solo il piccolo gruppo che agisce presentandosi come erede dell’originario Comitato del garanti ma anche gli amici di Noi-Altra Europa)  dovrebbe di continuo sottoporre quel che produce (analisi, progetti, azioni territoriali di nostri consiglieri regionali come Alleva, azioni europee dei deputati) al giudizio dei nostri padri, che sono quelli che ho elencato più sopra e che oggi includono anche Landini e la sua promettente “coalizione sociale”. Altrimenti ci ridurremo al lumicino (già non siamo che questo lumicino, sempre che brilli ancora) e non avremo fra poco più nulla di rilevante da dire e proporre.

La stessa battaglia “con Tsipras”, bisogna ri-studiarla, ri-calibrarla e analizzarla bene, alla luce di quel che sta avvenendo in Europa in seguito alla vittoria di Syriza. È stato bene darci questo nome, nella campagna per le europee: in qualche modo è stato profetico. Ma al tempo stesso – questo il mio modestissimo parere – non possiamo divenire una filiale di Syriza – e, sia detto per inciso, nemmeno di Podemos – pena la nostra morte. Per quanto mi riguarda personalmente, ad esempio,  ci sono cose che non accetto, nella condotta del nuovo governo greco. Trovo esiziale la dichiarazione del ministro della difesa Kommenos, che minaccia di inondare il Nord Europa con i migranti che giungono in Grecia (eventuali jihadisti dell’Isis compresi). Anche la Svezia dunque, che accoglie il maggior numero di migranti e richiedenti asilo. Né mi consola sapere che il ministro non appartiene a Syriza ma alla destra in parte xenofoba di Anel, con cui Syriza si è alleata. Trovo inammissibile, e del tutto autodistruttiva, la campagna del governo Tsipras sulle riparazioni di guerra che la Germania è chiamata imperiosamente a pagare, se non aiuta la Grecia sul debito. Non cambieremo di certo l’Europa se la faremo precipitare – nell’immaginario dei suoi cittadini e delle sue nazioni – nei tempi immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, quando le riparazioni umiliarono la Germania e fecero nascere dalle sue viscere prima Hitler poi una seconda guerra mondiale (Keynes fu l’unico a veder giusto, e a ergersi contro la politica, e la retorica, delle “riparazioni”). Tutt’altra cosa è chiedere (come fece Tsipras in campagna elettorale e come facemmo noi) una conferenza sul debito come quella del ’53, quando alla Germania fu condonata una parte del debito di guerra (il rimborso dell’altra parte fu dilazionato nel tempo, e “agganciato” alla ripresa economica tedesca). L’Europa è nata non per dimenticare le colpe storiche di questo o quel paese, ma per trasformarle in responsabilità accresciuta e nuova solidarietà fra cittadini del continente.

Un affettuoso saluto, e grazie per la bellissima lettera,

barbara spinelli

Messaggio ai comitati territoriali de L’Altra Europa

Testo del messaggio di Barbara Spinelli al Seminario dei comitati territoriali de L’Altra Europa, svoltosi a Bologna il 14 marzo 2015

Cari amici,

oggi sono idealmente con voi, in questo Seminario dei comitati territoriali dell’Altra Europa – aperto ad associazioni e movimenti della società civile – e al tempo stesso sono idealmente nella sede della Fiom nazionale, dove sta nascendo la coalizione sociale, “fatta di sindacalisti, associazioni, reti, movimenti”.

È una coincidenza secondo me significativa e piena di promesse.

Ho già avuto modo di dire, in una lettera aperta indirizzata a Landini e a Rodotà, con quanto favore io veda l’inizio di una simile coalizione. Proprio per questo, d’altronde, era nata l’Altra Europa. Per combattere la corruzione, il malaffare, le mafie, e i loro alleati occulti e non occulti. La ricchezza nazionale che viene sequestrata da queste cosche e caste, anche attraverso un’evasione fiscale di enormi proporzioni, è ai cittadini che va restituita, perché si possa far fronte ai mali che più distruggono sia le società sia la costruzione europea: le diseguaglianze sociali, l’insicurezza e la precarietà del lavoro giovanile, il disastro climatico che incombe, lo svuotamento mortale delle nostre Costituzioni antifasciste, di cui le oligarchie nazionali ed internazionali vorrebbero disfarsi in nome di una governabilità palesemente fittizia.

Una coalizione, quella sociale di Landini e Rodotà,  fatta di persone: libera, aperta, con una  vocazione progettuale ben definita e soprattutto non minoritaria. Capace, oggi, di costruire una forte opposizione alle politiche adottate dal governo,  e in contemporanea alla gestione europea della crisi. Capace, domani, di alternative di governo non solo in Italia ma anche in Europa.

Un messaggio voglio inviare, da qui, ai compagni e alle compagne riuniti in Corso Trieste, a Roma:

“Consideratemi a disposizione del progetto di coalizione sociale, per quel che riguarda il mio ruolo di parlamentare. Dobbiamo, oggi più che mai, pensare ai nostri territori e all’Europa come a un solo organismo. Dobbiamo cambiare radicalmente gli uni e l’altra, perché questo siamo stati e intendiamo ancora essere: europeisti, sì, ma europeisti insubordinati e anche rivoluzionari se necessario. Europeisti che puntano a restituire piena sovranità ai cittadini, nel momento in cui gli Stati la delegano – aggirando i popoli – ad autorità internazionali o sovranazionali”.

E un messaggio invio a tutti voi, in questo luogo dove la nostra lista ha mostrato non solo di poter produrre una politica fondata sulla partecipazione, sullo scambio di esperienze, sul radicamento tra le persone e i movimenti, ma ha dimostrato anche di poter vincere e governare.

Abbiamo davanti molta strada, ma non partiamo da zero: in quest’anno abbiamo maturato conoscenza, legami, pratiche di lavoro e di partecipazione. Abbiamo elaborato strategie di lotta alle diseguaglianze, abbiamo dedicato il nostro tempo a combattere le nuove xenofobie in Europa. Abbiamo pensato che alla povertà e alla perdita di dignità del lavoro si deve rispondere con l’introduzione di un reddito minimo  e con la riconquista di un nuovo Statuto del lavoratori, visto che quello che avevamo è stato smantellato. Anche questo è sovranità del popolo e dei popoli: l’unica sovranità che conti davvero, e che deve unire i cittadini di tutta l’Unione europea.

L’Altra Europa non è stata un’occasione sprecata. Ma è in pericolo, inutile nasconderselo. Sta a noi non disperdere quello che resta un patrimonio, e tenere uniti tutti i movimenti, i comitati cittadini che non si sentono rappresentati in Parlamento e che rischiano di non sentirsi rappresentati neanche in “Altra Europa”, se quest’ultima si trasforma in un aggregato non sempre democratico di mini apparati di potere.

Lettera a Stefano Rodotà e Maurizio Landini

A Stefano Rodotà e Maurizio Landini

Cari amici,

il progetto di coalizione sociale su cui state lavorando coincide pienamente, a mio parere, con gli obiettivi per cui è nata la Lista L’Altra Europa. Lo appoggio senz’altro, anche come parlamentare, convinta che potremo contare su molte persone e comitati dell’Altra Europa e dell’associazionismo civile.

L’esigenza di una democrazia partecipativa e di una politica capace di coinvolgere e rappresentare la società è tutt’altro che sopita: basti ricordare la  volontà di cambiamento e autonomia espressa dai tanti movimenti – a cominciare da quelli per la pace e i diritti dei migranti, per i beni comuni e la democrazia – che nella nascita dell’Altra Europa con Tsipras avevano individuato una concreta possibilità di aggregazione.

“Dobbiamo guardare all’Europa”, ha detto Stefano Rodotà parlando di costituzionalismo arricchito, perché “il discorso sulla solidarietà ha un senso esclusivamente se usciamo dalla logica nazionalista, altrimenti si impiglia”. Si apre una possibilità di muoverci insieme su obiettivi decisivi – difesa della Costituzione, art. 81 e pareggio di bilancio, contrasto del Jobs act, lotta alla mafia e alla povertà, politiche di pace per il Mediterraneo e ai confini orientali dell’Unione – in una battaglia che può avere una sponda nel Parlamento europeo.

Un caro saluto e un augurio

barbara spinelli

 

L’apatia della democrazia (intervento integrale)

Venerdì 27 e sabato 28  febbraio ha avuto luogo a Firenze il convegno “La democrazia minacciata”, organizzato da Libertà e Giustizia. Secondo le parole del promotore e curatore Paul Ginsborg, “stiamo entrando in una nuova fase politica in cui, per la prima volta in molti decenni, viene messa in dubbio la sopravvivenza stessa della democrazia. Da un lato, perfino in paesi di lunghissime tradizioni democratiche, assumono sempre più importanza partiti politici che mescolano un razzismo esplicito con attacchi di fondo alla democrazia. Dall’altro si trovano una cultura e una politica democratica assolutamente impreparate per la sfida imminente. Invece di essersi irrobustita nei decenni precedenti, la democrazia oggi sempre più assomiglia a un guscio vuoto. Il dilagare della corruzione e delle organizzazioni criminali, l’attacco alla Costituzione, il servilismo di gran parte dell’informazione, la concentrazione del controllo dei media in poche mani, gli ostacoli posti all’espansione dei diritti dei cittadini e dei beni comuni – tutto questo ha portato a una drammatica perdita di fiducia nelle classi dirigenti politiche, non solo italiane”.

Questo il testo dell’intervento di Barbara Spinelli.

Grazie a voi di Libertà e Giustizia, grazie ai moniti insistenti di Gustavo Zagrebelsky, sappiamo che l’Italia sta divenendo un laboratorio di quella che comunemente viene chiamata decostituzionalizzazione –  o deparlamentarizzazione – delle democrazie. Il fenomeno si è acutizzato, con la crisi cominciata nel 2007, ma ha una storia pluridecennale alle spalle: sia nei singoli Stati europei, sia nell’Unione stessa.

Qualcuno ricorderà forse quel che ebbe a dire Hans Tietmeyer nel 1998, a quel tempo presidente della Bundesbank. Parlò di due “plebisciti” su cui poggiano le democrazie, quando funzionano: quello delle urne, e quello – soverchiante, decisivo – che battezzò “plebiscito permanente dei mercati”. La coincidenza tra quest’enunciato e l’adozione di lì a poco dell’euro è significativa. Non stupisce infatti che la moneta unica nasca alla fine degli anni Novanta senza Stato: quel che è il suo conclamato vizio d’origine – l’essere una moneta che non è in mano a un sovrano politico europeo, priva di legittimazione democratica, non in grado di assicurare una coesione di tipo federale tra gli Stati membri – si trasforma dal punto di vista dei mercati in vantaggio, se non in virtù. Le parole di Tietmeyer e i modi di funzionamento dell’euro segnano l’avvio ufficiale di un processo di svuotamento della democrazia. Ma questo processo ha origini ancora più lontane.

Già nel 1975, un rapporto scritto per la Commissione Trilaterale da Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, denunciava gli “eccessi” delle democrazie parlamentari postbelliche, e affermava il primato della stabilità e della governabilità sulla rappresentatività e il pluralismo, giungendo sino a esaltare l’apatia degli elettori. Il rapporto è stato poi poi pubblicato, con il titolo “La crisi della democrazia”. Ne leggo un passaggio: “Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato [prima degli anni ’60] ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene”.

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Immigrazione e crisi della civiltà europea

di lunedì, Febbraio 2, 2015 0 , , , Permalink

Il 30 gennaio 2015 a Bobigny, in Francia, si è svolta per iniziativa del Front de Gauche una conferenza sul tema “Entre défis démocratiques et alternative, quel avenir pour les peuples?” che ha riunito più di cento esponenti della sinistra radicale europea. Vi hanno preso parte Natasha Theodoralopoulou di Syriza, Jose Calderón di Podemos, Renato Soeiro del Bloco de Esquerda (Portugal), Fathi Chamkhi, deputato del Front populaire (Tunisia), Barbara Spinelli, de L’Altra Europa con Tsipras, Marie-Christine Vergiat, eurodeputata del Front de gauche, Éric Coquerel del Parti de Gauche, Pierre Laurent del Parti Communiste Français e Myriam Martin, portavoce del movimento Ensemble.

Questo il testo dell’intervento in francese di Barbara Spinelli.

J’aimerais commencer par quelques chiffres qui me paraissent éclairants. Nous savons que les réfugiés syriens se comptent par millions, suite à une guerre qui semble interminable et dans laquelle l’Europe et les Etats Unis jouent un rôle pour le moins équivoque. 1 million et demi d’entre eux sont accueillis en Tunisie (sur 10 millions d’habitants), 2 millions au Liban (sur 4 millions d’habitants), 1 million en Jordanie (sur 7 millions). Tâchons de ne jamais l’oublier, lorsque nous nous alarmons des 3000 réfugies syriens en France ou des 3.970 débarqués en Italie l’année dernière (en 2014, les demandeurs d’asile syriens dans toute l’Union européenne ont été 48.400). Des amis et camarades syriens me rapportent que les organisations de la société civile de ces pays s’activent de mille manières –  bien davantage que nous ne le faisons – dans l’accueil, voire dans l’intégration.

Mais il n’y a pas que la Syrie, bien entendu. Nous savons que les réfugiés de guerre représentent aujourd’hui une partie consistante de la migration en Europe, e que parmi les réfugiés il y a des Syriens, des Erythréens en fuite de la dictature d’Issayas Afewerki, des Iraquiens, des Afghans et des Soudanais.

Ces faits et ces chiffres illustrent de manière spectaculaire la crise que nous traversons. C’est certes une crise économique et sociale, dans la mesure où tous les pays qui accueillent ces millions de réfugiés sont loin d’être riches. Mais c’est aussi et surtout une crise de civilisation. Toujours encensée, la civilisation européenne figure telle une formidable conquête dans notre Charte des droits fondamentaux et dans le préambule du Traité de Lisbonne. “L’unité dans la diversité” est la devise officielle de l’Union (hélas, elle ne figure pas dans notre Charte – ses rédacteurs aurait-ils été pris de remords ? je me pertmets d’en douter). En réalité, cette civilisation est profondément malade. Elle dit le contraire de ce qu’elle est réellement disposée à faire et de ce qu’elle fait. Le Commissaire à l’immigration Dimítris Avramópoulos, qui se limite pour le moment à la lutte contre les passeurs et au contrôle des frontières via le dispositif Frontex, contribue à la forteresse Europe tout en affirmant haut et fort, lors des les auditions parlementaires à Strasbourg et à Bruxelles, que “jamais l’Union ne sera une forteresse”.

La crise économique, l’appauvrissement de nos peuples et de nos Etats sociaux sont flagrants. Mais notre maladie a des causes plus profondes, qu’ils nous faut reconnaître, étudier, et combattre. C’est justement la maladie de la forteresse et de la fermeture. Les japonais ont un mot pour décrire une pathologie psychosociale qui a pris de vastes proportions lors de la “décennie perdue” commencée au début des années 90: c’est le phénomène des hikikomori, qui nous est désormais familier grâce à la littérature et au cinéma. Les hikikomori sont des adolescents ou des adultes (on parle d’un million de japonais atteints par la maladie) qui ont décidé “tout à coup” de ne plus sortir de leur chambre: par peur, par désespoir, par solitude. Bref, parce qu’ils ont décroché. La traduction du mot est “retrait”.

En quelque sorte, c’est toute l’Union européenne qui est atteinte d’une pathologie hikikomori. Et là où elle ne semble pas “décrocher”, là où elle possède une tradition multiculturelle et accueille davantage de migrants – comme en Suède, en Allemagne ou en France – elle connaît la montée de forces xénophobes ou islamophobes.

Concernant l’immigration et l’absence d’une politique d’accueil, je pourrais vous parler de différents lieux emblématiques. Je pourrais vous parler de Ceuta et Melilla, de Sangatte, de la fermeture des frontières terrestres en Grèce ou du mur anti-immigrants en Bulgarie. Mais puisque mon temps de parole est limité, je me limiterai à l’Italie et aux morts en Méditerranée : parce que le grand naufrage survenu près des côtes de Lampedusa le 3 octobre 2013 a tragiquement montré au monde entier l’ampleur du problème, et parce qu’en Italie la pathologie civilisationnelle dont nous avons parlé prend des allures extraordinaires et est à l’origine d’infinies hypocrisies, affectant jusqu’au langage utilisé pour décrire la situation.

Après le désastre de Lampedusa, le gouvernement italien mit en place une opération de recherche et sauvetage (Search and rescue) appelée Mare Nostrum. Les navires de la marine italienne allaient en haute mer, près des côtes libyennes ou egyptiennes, afin de mieux répondre aux appels de secours et intervenir en cas de risque de naufrage. Plus de 10.000 vies ont été officiellement sauvées, selon les autorités italiennes et européennes : je me souviens que Cecilia Malmström, Commissaire aux Affaires intérieures avant Avramópoulos, s’était exprimée en ce sens devant le Parlement européen. Toutefois, l’opération s’avérant particulièrement onéreuse pour la seule Italie, on a décrété sa substitution par le dispositif communautaire de Frontex (avec l’opération nommée Triton). Mais en réalité, plus que de “substitution”, il faudrait parler de mort de Mare Nostrum – et plus précisément de mort des migrants en mer. Le gouvernement italien (c’est-à-dire la fausse gauche de Renzi en entente avec une partie de la droite) s’est réjoui, en annonçant avec grande fierté que Mare Nostrum était de fait européanisé, du point de vue du financement, mais que sa substance était sauvegardée. C’est un pur mensonge, couvert par l’hypocrisie: Frontex et Triton ne peuvent et ne veulent se substituer à Mare Nostrum, parce que leur tâche est le contrôle des frontières, non le search and rescue. Et parce que leur règle est claire et impérative : ses navires ont l’interdiction d’opérer au delà de 30 miles des côtes italiennes, sur le tracé des frontières européennes, et se limitent à des opérations de contrôle et d’endiguement de l’immigration clandestine. Que reste-t-il du search and rescue? Que reste-t-il de la mémoire du naufrage de Lampedusa?

Permettez-moi de répondre à ces questions par un exemple récent. En novembre dernier, les navires de la garde côtière italienne se sont aventurés en haute mer, pour sauver un certain nombre de fugitifs. Quelques jours plus tard, une lettre signée par le directeur de Frontex Klaus Rosler parvient au département immigration du Ministère de l’Intérieur, dans laquelle l’Italie est sévèrement rappelée à l’ordre. Il ne faut plus s‘aventurer au delà des 30 miles, car la mission de Frontex ne le prévoit pas. En d’autres mots, il faut laisser mourir les fugitifs, point final.

Il en va de même pour ce qui concerne la lutte contre les passeurs et les groupes de nature mafieuse qui contrôlent de fait les flux migratoires. On leur déclare la guerre mais on leur laisse le pouvoir. Ce dernier pourrait être réduit de manière draconienne, en instituant des corridors humanitaires sous la protection de l’Union européenne et de l’Onu. Il n’en est rien. L’Europe est faite par des policiers de frontière, non par des hommes politiques qui réfléchiraient à des stratégies et reprendraient le monopole de l’immigration, en en réduisant ainsi la violence. Résultat : on continue à mourir noyé en Méditerranée. On l’appelle le cimetière, mais je refuse ce terme. Dans un cimetière il y a des signes, des stèles, des noms : on s’y rend avec la certitude de trouver l’endroit où nos chers disparus sont ensevelis. La mer Méditerranée est une fosse commune, remplie de cadavres sans nom. Cela permet d’oublier.

C’est donc de crise de civilisation qu’il convient de parler, là où les lois de celle-ci sont violées ou ne sont que des coquilles vides. A commencer par la loi plus ancienne de l’humanité civilisée, à savoir la loi de la mer, qui prescrit le sauvetage de la personne ou du navire en danger. Ce n’est pas sans raison que l’on assiste à une déconstitutionnalisation et à une dé-parlamentarisation de nos démocraties, dans les nations et dans l’Union.

En ce sens, et pour conclure, vous aurez sans doute remarqué qu’on parle beaucoup de “valeurs” de l’Union. C’est le mot récurrent dans toutes les motions que nous discutons au Parlement européen. Marie-Christine Vergiat le sait bien parce qu’elle se bat sur ces questions, quotidiennement et dans toutes les plénières. Je n’aime pas ce mot, car il est vidé de substance. Je préfère parler de loi, d’Etat de droit, de droit codifié de la personne. Récemment, c’était cinq jours après l’attentat de Charlie Hebdo, j’ai rencontré un ministre du gouvernement français dans le train Paris-Strasbourg. On a parlé juste une minute du massacre, et je lui ai fait part de mes craintes concernant l’Etat de droit. Il m’a répondu avec un ton solennel: “Les droit, oui… mais plus encore les valeurs… les valeurs…”. En entendant ces mots, j’ai eu le sentiment d’un échec, d’une impuissance. Et plus que jamais j’ai ressenti l’envie de me battre encore davantage pour mettre le mots “droit” et “loi”, à la place de “valeurs”.