Scambio di opinioni con Frans Timmermans

AFCO – Riunione ordinaria di commissione del 3 dicembre 2015

Punto in agenda:

Scambio di opinioni con Frans Timmermans, primo Vicepresidente della Commissione europea, competente per il programma “Legiferare meglio”, le relazioni interistituzionali, lo Stato di diritto e la Carta dei diritti fondamentali

Buongiorno Vice-Presidente, grazie per l’introduzione.

Le vorrei porre una domanda su un tema che mi interessa particolarmente in quanto Rapporteur di un Relazione di Iniziativa sull’implementazione della Carta dei diritti. È una domanda che le pongo in seguito ai terribili attacchi terroristici a Parigi, nel Mali, in Tunisia. Mi ha molto preoccupato la decisione del Governo francese – oltre alla scelta di dare l’avvio ad uno stato di emergenza, sicuramente comprensibile, ma molto lungo – di richiedere l’attivazione della clausola derogatoria prevista dall’articolo 15 della Convenzione europea sui diritti umani. [1] Nel frattempo assistiamo alla sospensione della libertà di circolazione nello spazio Schengen, che si estende nell’Unione, e in precedenza Parigi aveva adottato una legge molto controversa sulla sorveglianza, che avrà implicazioni sui diritti dei cittadini. Considerato il rapporto che c’è tra i diritti sanciti nell’European Convention on Human Rights e le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali, quello che le vorrei chiedere è se questa decisione di invocare la clausola derogatoria avrà influenza anche sull’applicazione del diritto primario dell’Unione. E che cosa significhi in sostanza questo continuo riferimento a uno stato di guerra e a cambiamenti costituzionali dovuti allo stato di guerra. Lo stato di guerra è una condizione nuova, in grado di sospendere i diritti umani. Mi piacerebbe avere una sua opinione a riguardo.

Grazie

[1] http://www.coe.int/en/web/secretary-general/home/-/asset_publisher/oURUJmJo9jX9/content/france-informs-secretary-general-of-article-15-derogation-of-the-european-convention-on-human-rights?_101_INSTANCE_oURUJmJo9jX9_viewMode=view

Sul rapporto Bresso-Brok “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona”

Bruxelles, 19 novembre 2015. Commissione per gli affari costituzionali: riunione interparlamentare di commissione sul tema “La futura evoluzione istituzionale dell’Unione: potenziare il dialogo politico tra il PE e i parlamenti nazionali e rafforzare il controllo sull’esecutivo a livello europeo”.

Parte 1: La futura evoluzione istituzionale dell’unione.

Mercedes Bresso and Elmar Brok, co-relatori del rapporto “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona” (qui il Documento di lavoro in versione italiana e in versione inglese).

Intervento di Barbara Spinelli (relatore ombra); l’intervento, non pronunciato a causa di concomitanti impegni parlamentari, è stato integrato negli atti della riunione.

Desidero affrontare due temi presenti nel documento di lavoro che a mio parere varrebbe la pena approfondire.

Il primo riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali nell’attuale e futuro assetto dell’Unione.

La crisi economica, le misure per fronteggiarla, le modalità infine con cui tali misure sono state adottate, sono sfociate in una progressiva erosione delle competenze dei parlamenti e in un parallelo svuotamento – in molti paesi dell’Unione – della democrazia costituzionale. Non basta dire che questo svuotamento costituisce in realtà un primo passo verso la federazione. Se il trasferimento di sovranità condurrà al “federalismo degli esecutivi” denunciato da Habermas, più che un progresso avremo una regressione.

Così come non è sufficiente incorporare il Fiscal Compact nella normativa comunitaria, nell’illusione – o presunzione – che basti trasformare la natura istituzionale del Patto di Stabilità per renderlo papabile. Non era papabile prima, e non lo sarà dopo.

Apprezzo invece la volontà dei relatori di introdurre il metodo comunitario nella governance dell’Unione attraverso una limitazione delle indebite interferenze del Consiglio Europeo e un’attribuzione di maggiori competenze al Parlamento europeo. Ma anche qui ho qualche dubbio: tale processo richiederà tempo, e la piena riaffermazione dell’articolo 2 [1] del Trattato non è compatibile con questi tempi lunghi.

Merita anche attenzione il punto riguardante il controllo esercitato dai parlamenti nazionali sui propri governi: controllo che dovremmo dare per scontato, ma che i relatori giustamente mettono in rilievo. Allo stesso tempo, va detto che non tutto è chiaro. I parlamenti cosa controllano ancora, realmente? Quel che si chiede, è un rafforzamento del loro ruolo nell’attuazione dei programmi nell’ambito degli obiettivi di convergenza: programmi decisi altrove, e che dunque i Parlamenti sono chiamati semplicemente a registrare. Il dilemma andrebbe almeno riconosciuto, come andrebbero riconosciuti i rischi che questa finzione di controllo comporta per la democrazia rappresentativa.

Ho perplessità simili per quando concerne il capitolo Giustizia e Affari Interni. Il problema, secondo me, non dovrebbe essere quello di definire la natura più o meno restrittiva o repressiva della politica di sicurezza o delle politiche sui rifugiati – per me sono ambedue troppo restrittive, ma la questione non è appunto questa. [2]

Il problema è che determinate politiche, a volte perfino nate in stati di emergenza e per giustificare stati di emergenza – un’agenda sulla migrazione e sui paesi più o meno sicuri di rimpatrio, un’agenda sulla sicurezza in anni di terrorismo e guerre – non dovrebbero essere iscritte in nessuna costituzione, allo stesso modo in cui non dovrebbero esserlo il Fiscal Compact o altri provvedimenti economici, proprio perché contingenti (penso agli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi) oltre che controversi.

[1]  L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

[2] Per esempio: pur concordando con i relatori sulla necessità di una riforma del sistema di asilo, non credo che essa possa fondarsi sulle misure indicate. La militarizzazione del sistema di controllo delle frontiere esterne, la definizione estremamente limitativa del concetto di Stati terzi insicuri – esclusivamente le zone di guerra – con conseguente agevolazione del rimpatrio per coloro che non provengano da tali specifiche “zone insicure” e la chiusura – per i migranti – delle frontiere con i Balcani occidentali, sembrano configurarsi come misure volte al consolidamento di un modello di difesa comune piuttosto che allo sviluppo di un reale ed efficace sistema di asilo europeo.

How to save the European Citizens’ Initiative

COMUNICATO STAMPA GUE/NGL

How to save the European Citizens’ Initiative (ECI) – Parliament to vote on Schöpflin report

Ahead of tomorrow’s vote on the Schöpflin report on the European Citizens’ Initiative, Italian GUE/NGL MEP Barbara Spinelli outlined her views for and against the report and why it is important to save the ECI:

“The European Union discovered participatory democracy after a crisis: Ireland’s ‘No’ vote to the Treaty of Nice in 2001. The European Citizens’ Initiative, that is now part of the Treaties, was a response to that crisis. However, the crisis is getting worse and participatory democracy is moribund: no legislative proposals have followed successful Initiatives.

“Although the Schöpflin report is far from perfect, because it does not allow modifications to the Treaties, it was adopted unanimously in the Constitutional Affairs (AFCO) Committee since it greatly eases the legal follow-up to the Initiatives.

“But I call on this Parliament to reject amendment 4 to paragraph 30 which will transform the ECI into a bow without arrows. This amendment urges the Commission to start preparing a legal act on successful ECIs but only after issuing a positive opinion.

“Up until now 29 initiatives out of 49 submissions have gone through the process of registration and only three of them have reached the 1 million signature threshold. Only the ECI Right2Water received a positive – although vague – communication from the European Commission. None of the successful ECIs has led to legislative follow-up.  In addition, Commissioner Malmström, answering petitions submitted against the TTIP, stated recently: ‘I do not take my mandate from the European people’. If that is the case, I am curious to know from whom does the European Commission take its mandate?”


Si veda anche

Come salvare l’Iniziativa cittadina europea

Le insidie della difesa comune

Bruxelles, 13 ottobre 2015. Intervento di Barbara Spinelli in occasione dell’Audizione pubblica organizzata dalle Commissioni Affari Esteri (AFET) e Affari Costituzionali (AFCO) “Politica estera e di sicurezza comune nel quadro del trattato di Lisbona: come sbloccare il suo pieno potenziale”.

Barbara Spinelli ha co-presieduto tale riunione (in sostituzione del Presidente della Commissione AFCO Danuta Maria Hübner (PPE- Polonia)) con il Presidente della Commissione AFET Elmar Brok (PPE – Germania).

Relatori:

  • Panos Koutrakos, Professor of European Law, London City University
  • Nicolai von Ondarza, Deputy Head of Research Division, Stiftung Wissenschaft und Politik (German Institute for International and Security Affairs)
  • Stefano Silvestri, Scientific advisor at the International Affairs Institute (IAI)
  • Mr Olivier de France, Research director, French Institute for International and Strategic Studies (IRIS)

Le insidie della difesa comune

È opinione diffusa, e lo dimostrano le reazioni positive alle proposte di Jean-Claude Juncker sulla creazione di un esercito europeo, che l’Unione debba accelerare i tempi, in questo campo: usando le possibilità offerte dai Trattati, come le cooperazioni rafforzate o i voti a maggioranza. Da decenni, la politica estera e di difesa comune è stata parola d’ordine ricorrente, nel discorso europeista o federalista. Non dimentichiamo che la comunità dimezzata che abbiamo oggi, quasi esclusivamente economica, nasce dal fallimento della Comunità di difesa (CED) nel ’54.

Il caos e le guerre antiterroriste che hanno caratterizzato il dopoguerra fredda ci obbligano tuttavia a ripensare da capo questi obiettivi, e ad affinarli. La spregiudicatezza con cui l’Alleanza atlantica è stata di fatto estesa al di là delle frontiere orientali dell’Unione, la miriade di Stati falliti scaturiti dalle guerre euro-americane e della Nato, l’enorme flusso di migranti che di questo caos sono la conseguenza: sono tutti fattori che non possiamo non mettere nei calcoli, quando auspichiamo una difesa comune senza mettere in questione le vecchie alleanze con Stati Uniti e Nato. Il Presidente Juncker parla di un esercito europeo capace di dissuadere la Russia in Ucraina, ma proprio qui è il problema: è la dimostrazione che né Stati Uniti né Europa hanno ancora una politica russa costruttiva, coerente con i rispettivi e molto divergenti interessi.

A ciò si aggiunga un deficit ulteriore, rivelatosi nel negoziato su euro e Grecia: la comune politica estera e di difesa cui si aspira soffre, come quella economica e monetaria, di una mancanza grave di un’accountability democratica. Chi si batte per un’unificazione delle politiche difensive tende a ignorare la questione della legittimità democratica, se non della legalità. Non sarà forse il tema affrontato dagli oratori che prenderanno la parola in questa sessione, ma mi piacerebbe sapere cosa ne pensino. Parlo della conformità alle Costituzioni nazionali e anche al Trattato di Lisbona, visto che esso prescrive, nell’articolo 21,1-2, l’inserimento dei diritti dell’uomo e delle libertà negli obiettivi della Politica estera e di sicurezza comune (PESC). Manca, nell’Unione, un articolo simile all’articolo 11 della Costituzione italiana, che ripudia la guerra e ammette trasferimenti di sovranità solo se gli obiettivi perseguiti sono la pace e la giustizia. Quasi tutte le Costituzioni nazionali degli Stati membri prevedono controlli parlamentari sulle scelte di pace e di guerra. Non l’Unione né la sua Carta dei diritti fondamentali.

Questo vuoto non resta vuoto, tuttavia. Viene sempre più riempito da ridondanti discorsi sui “valori etici”: ben meno stringenti di una Costituzione. Discorsi che hanno prodotto le guerre umanitarie e l’esportazione delle democrazie: altrettante operazioni fallimentari, che hanno ridotto il peso dell’Europa e l’hanno profondamente screditata.

Credo che le lacerazioni attorno alla tenuta dell’euro debbano farci riflettere. Quel che mi domando, è se una difesa comune e lo stesso voto a maggioranza non siano dei rischi, in assenza di un governo e di un Parlamento che controllino e validino le scelte che verrebbero fatte in materia. La spaccatura sulla Grecia ci lascia in eredità questa questione, a mio parere non risolta. Ricordo che nel trattato CED, su richiesta di Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, c’era un articolo, il nr. 38, secondo cui sarebbe stato impossibile creare una Comunità di difesa senza integrarla immediatamente, non step by step, in una Comunità politica dotata di una democrazia costituzionale (di uno “statuto”, come si disse allora).


Risposta a un’obiezione di Jo Leinen, Eurodeputato del gruppo S&D (“Non c’è rapporto fra un controllo democratico più stringente della futura difesa europea e il presunto rischio dei voti a maggioranza”):

La rinuncia al voto a maggioranza complica certamente il processo decisionale dell’Unione, minacciandola in alcuni casi di paralisi e inazione. Ma gli eventi recenti stanno a mostrare come il diritto di veto possa divenire, per alcuni Stati, l’unico modo per far valere gli articoli delle proprie costituzioni e rispettare il funzionamento della propria democrazia.


Si veda anche

Si fa presto a dire esercito europeo: una riflessione di Barbara Spinelli

eunews: Le insidie della difesa comune

Ue-Grecia: un Eurogruppo fuori legge

Bruxelles, 15 luglio 20115. Interventi di Barbara Spinelli, nel ruolo di Presidente di Commissione, in occasione della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali.

Punto in Agenda: Migliorare il funzionamento dell’Unione Europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona
• Scambio di opinioni
• Presentazione a cura di Markku Markkula, presidente del Comitato delle regioni, relativa alla risoluzione sul tema “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea: il trattato di Lisbona e oltre”
Co-relatori: Elmar Brok (PPE – Germania), Mercedes Bresso (S&D – Italia)
Relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

Intervento fatto prima dell’apertura della discussione

Prima di ascoltare il Dott. Markkula, che ci presenterà le opinioni del Comitato delle Regioni, vorrei dirvi una mia opinione sul tema in discussione: ossia come migliorare il funzionamento dell’Unione a trattato costante. In realtà la mia è una domanda che rivolgo a tutti voi e anche a me stessa. Tra il giorno in cui sono stati presentati i due Rapporti di iniziativa – sulle potenzialità del presente Trattato, e sulla sua modifica – e la giornata di oggi, c’è stata una notte che ritengo cruciale nella storia dell’Unione: la notte di domenica scorsa, con le decisioni prese sulle condizioni della permanenza della Grecia nell’eurozona. È stata una notte disastrosa da molti punti di vista: per la Grecia, spinta ad accentuare un’austerità che il suo popolo, già immensamente impoverito, aveva a grande maggioranza respinto, ma anche per l’Unione europea e il suo futuro.
Quello che vi domando, è di dire con tutta sincerità se ritenete possibile mantenere quest’agenda e i due rapporti come se nulla fosse accaduto. Se sia possibile parlare di “potenzialità” dei Trattati, o di cooperazioni rafforzate, dopo un Consiglio europeo che da molti è stato interpretato non solo come umiliazione di una sovranità popolare che si era appena espressa, ma del progetto di un’Europa unita e solidale cui molti di noi aspirano.
Il pericolo consiste nel parlare dell’Europa di altri tempi, non dell’Europa vera e attuale che sotto i nostri occhi rischia di disgregarsi. Che si dia l’immagine di una Commissione parlamentare sostanzialmente indifferente alla natura dirompente di quello che è successo. Che il nostro sia una sorta di parlatoio, più che una Commissione che ha l’ambizione di pensare la democrazia costituzionale dell’Unione e la stessa rule of law su cui essa dovrebbe fondarsi.
Quello che chiedo alla nostra Commissione – e in particolare ai co-relatori del rapporto sui Trattati – è di fermarsi e riflettere. Io non ho una soluzione in tasca, ma domando a tutti noi di mettere in campo un’ambizione forte, sull’Unione che vogliamo. Un’Unione che sia diversa da quella esistente, se non vogliamo che la sua immagine presso i cittadini si degradi ancora di più.
Grazie.

Punto in Agenda: Presidenza del Consiglio
• Scambio di opinioni con Nicolas Schmit, Presidente del Consiglio dell’Unione europea
• Presentazione del programma della Presidenza lussemburghese

La domanda che vorrei porre al Ministro Schmit riguarda, in particolare, la crisi che stiamo attraversando a seguito dell’accordo con la Grecia. Vorrei sottolineare l’assenza, sempre più evidente, del metodo comunitario nelle decisioni dell’Unione e la necessità che si torni a far ricorso a esso, come sottolineato dai deputati Goulard, Castaldo, e – per il mio gruppo – Scholz.
Mi vorrei concentrare su una domanda specifica, che le rivolgo. Se non sia necessario riflettere sulla natura sorprendentemente anomala dell’Eurogruppo, che ho osservato con attenzione nel corso di tutto il negoziato che c’è stato negli ultimi mesi con Atene.
Più volte è successo che per ragioni mai chiarite il Ministro greco venisse escluso dalle riunioni – mi sto riferendo ovviamente all’ex Ministro Varoufakis. Quest’ultimo, interpellando a tale proposito funzionari dell’Eurogruppo, si è sentito rispondere da un avvocato dei servizi giuridici le seguenti parole, che vorrei citare testualmente: “l’Eurogruppo non esiste per la legge, non esiste alcun trattato che l’abbia istituito”.
In altre parole: siamo di fronte a un’istituzione – l’Eurogruppo per l’appunto – che non risponde a nessuno, che agisce in totale segretezza – non tenendo neppure i minutes delle proprie riunioni – e senza, ovviamente, informare di alcunché i cittadini.
Posso solo constatare che ormai ci troviamo al di fuori non soltanto del metodo comunitario, ma della stessa rule of law per quanto attiene alla gestione dell’Eurozona.
Grazie Ministro.