Una Carta per i diritti internet

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Bruxelles, 5 dicembre 2016

Punto in agenda: Carta dei diritti digitali fondamentali nell’Unione europea. Presentazione alla presenza di Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo, e del prof. Heinz Bude, sociologo, uno degli autori della Carta.

Grazie innanzitutto al Presidente Schulz e al Professor Heinz Bude. Mi felicito per la presentazione della Carta, e contrariamente a quanto detto da alcuni colleghi la ritengo necessaria. È necessario che il mondo internet sia presentato alla stregua di un “bene comune”, e che come tale comporti regole precise, attinenti i diritti all’anonimato, all’oblio, alla cancellazione, e la questione non meno centrale del digital divide. Leggendo la vostra Carta ho provato a paragonarla con una Carta simile, che il prof. Bude sicuramente conosce: si tratta della Dichiarazione dei diritti in internet che il Parlamento italiano ha approvato nel luglio del 2015. Nonostante ritenga che la Carta dei diritti digitali presentata oggi sia di grande interesse, vorrei sottolineare alcuni punti presenti nella Dichiarazione italiana che potrebbero essere vantaggiosamente inclusi nella Carta europea.

Nel preambolo si parla di sfide e minacce che vengono da internet. Per parte mia parlerei anche delle opportunità che si aprono grazie a questo mezzo, e non sottolineerei troppo le minacce ma le tratterei più concretamente nell’articolato, indicando quel che bisogna fare – anche preventivamente – nel caso di violazioni della dignità e di abusi della libertà di espressione. A proposito degli articoli 3 e 15 concernenti il digital divide, metterei in risalto gli aspetti sociali della diseguaglianza di fronte a internet, elencando i diritti sociali che devono esser garantiti per quanto riguarda l’accesso alla rete e l’apprendimento del suo uso, e sottolineerei le difficoltà multiple di adattamento al mondo digitale: difficoltà che si registrano più acutamente in certe regioni non sviluppate o rurali come anche nelle generazioni più anziane. In un’Europa che invecchia, il “divide” è al tempo stesso sociale, geografico e generazionale.

Per quanto riguarda l’articolo 4 concernente la sicurezza, è corretto ribadire che le forze dell’ordine non devono avere accesso ai dati privati e che le eccezioni possono essere consentite solo sulla base della legge, per salvaguardare importanti principi legali. Tali eccezioni tuttavia dovrebbero essere permesse solo a seguito di un’autorizzazione motivata dell’autorità giudiziaria, come specificato appunto nella Dichiarazione italiana scritta dal professor Stefano Rodotà.

Sull’articolo 6 e 7 riguardante il profiling e l’algoritmo, è giusto stabilire che le schedature e l’uso di tecniche probabilistiche (algoritmi) vanno permessi solo sulla base della legge. Quel che aggiungerei è la possibilità di opporsi al profiling come all’algoritmo: in questo consiste infatti il diritto all’identità.

Sull’articolo 5 – concernente data protection e data sovereignty – c’è nella vostra Carta un accenno al fatto che sia necessario il consenso dell´utente affinché   avvenga il trattamento dei dati personali. Aggiungerei tuttavia una precisazione: tale consenso non va considerato permanente, e di conseguenza può essere revocato. Cito in proposito uno dei passaggi chiave della Dichiarazione italiana: “Il consenso non può costituire la base legale per il trattamento quando vi sia un significativo squilibrio di potere tra la persona interessata e il soggetto che effettua il trattamento”.

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(parte dell’intervento non pronunciata nel dibattito):

Altri punti della Carta italiana che varrebbe la pena incorporare:

Le modalità di accesso ai dati sono indicate con maggiore chiarezza nella Dichiarazione italiana: in essa si parla non solo di diritto di accesso, ma anche di rettifica e di cancellazione dei propri dati raccolti in rete. In questo quadro, si stabilisce che “la raccolta e la conservazione dei dati devono essere limitate al tempo necessario, rispettando in ogni caso i principi di finalità e di proporzionalità e il diritto all’autodeterminazione della persona interessata”.

Anche sul diritto all’oblio, la Dichiarazione italiana opera alcuni distinguo preziosi, che consentono di evitarne gli abusi da parte del potere politico o finanziario. È un punto che mi pare importante. Si stabilisce infatti che tale diritto va certo rispettato, ma che “non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell’opinione pubblica a essere informata”, e si precisa che “tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all’attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate”.

Non per ultima, la questione degli squilibri globali di potere che possono crearsi tramite internet: in un articolo della Dichiarazione italiana, concernente il “governo della rete”, si esige che la sua disciplina non dovrà dipendere “dal potere esercitato da soggetti dotati di maggiore forza economica”.