Enrico Calamai: giustizia per i nuovi desaparecidos

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Giornate di studio del GUE/NGL

Firenze, 18-20 novembre 2014

Intervento di Enrico Calamai durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.

La logica di quello che nei fatti è un aberrante dumping di vite umane sembra essere: ne colpisci uno, ne educhi cento o mille. Ma il fatto sorprendente è che anche se ne colpisci cento, continuano a tentare di arrivare perché privi di alternative, in fuga come sono da dittature, terrorismo, catastrofi ecologiche e miseria estrema e crisi troppo spesso da noi stessi provocate. E allora, ecco che le frontiere vengono spinte sempre più in là, fino a renderli impercettibili nella tragedia del loro respingimento, dispersi nell’ambiente, impensabili e inesistenti perché quod non est in actis, non est in mundo.

Sono, in una parola, i nuovi desaparecidos, e il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita nel cono d’ombra di un sistema mediatico ormai prevalentemente iconografico, in cui si dà per scontato che tutto ciò che esiste viene rappresentato e ciò che non viene rappresentato non esiste, in maniera che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere.

Vale la pena soffermarsi un momento sul rapporto visibità/invisibilità. La strage di Lampedusa dell’ottobre 2013, in cui persero la vita circa 350 persone, tra cui una giovane madre col figlioletto nato e morto tra le fiamme, fece un tale scalpore da costringere le autorità italiane e quelle di Bruxelles a recarsi sul posto, a vedere di persona quel mostruoso spiegamento di bare. Ne conseguì l’avviamento di Mare Nostrum, che pur con tutti limiti inerenti a un’operazione che agisce a valle delle scelte politiche che causano il problema, ha ridato dignità alla Marina militare italiana, permettendole di salvare 130mila vite umane in un anno, ma che, trascorso per l’appunto un anno, viene cancellato per asserite ragioni di bilancio, come se fosse possibile e lecito porre un prezzo alle vite umane.

Inutile illudersi, Frontex e Triton rappresentano il ritorno a misure di polizia, non di salvataggio, facendo affidamento sulla stanchezza dell’opinione pubblica di fronte al periodico riaffiorare della sinusoide delle stragi, che, in ogni caso, riflette soltanto per difetto il numero delle vittime. Pur senza addentrarsi troppo in una contabilità evidentemente approssimativa, sorge comunque un dubbio: se in un anno di attività di Mare Nostrum ne sono stati salvati 130mila e ne sono comunque morti 3000 circa, quanti ne saranno morti negli ultimi vent’anni di cui 19 senza Mare Nostrum? Quanti ne seguiranno?

C’è, in tutto questo, qualcosa che rientra nella categoria dell’intollerabilità del diritto ingiusto, secondo la formula elaborata dal giurista tedesco Radbruch al termine della II guerra mondiale.

A noi della Campagna “Giustizia per i nuovi desaparecidos” sembra sia il caso di parlare di crimini di lesa umanità e che occorra intervenire con ogni possibile urgenza per porre fine allo stillicidio di morti, presumibilmente destinato a subire una nuova impennata con la chiusura di Mare Nostrum.

In occasione del semestre di Presidenza italiana, abbiamo presentato un appello al nostro Governo chiedendo che vengano intrapresi i passi necessari a smantellare la situazione di fatto e di diritto che è causa di tali crimini. E ci proponiamo di attivare tutte le vie legali, a livello nazionale e internazionale, a partire da un tribunale internazionale d’opinione, per porre fine all’impunità di coloro che risultino coinvolti, sia in passato che attualmente, nella formulazione e nell’attuazione della politica di morte sopra tratteggiata.

Chiediamo l’aiuto delle forze politiche di sinistra presenti a livello europeo per abbattere il muro di gomma dell’inconsapevolezza dell’opinione pubblica e avviare fin da subito un percorso di verità e giustizia.

Dobbiamo interrompere questa catena infame, porre al più presto fine a un meccanismo che costantemente rimescola vittime e benessere, trasformandoci in collettività subalterna e silenziosa di una democrazia, che non può essere altro che forma vuota ove non accompagnata da autentico rispetto dei diritti umani.

Annamaria Rivera: militarizzazione delle frontiere, retoriche del rifiuto e incremento del razzismo

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Giornate di studio del GUE/NGL

Firenze, 18-20 novembre 2014

Intervento di Annamaria Rivera durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.

1. Il fatto che l’Unione Europea coltivi una sorta di sovranazionalismo armato, a difesa delle proprie frontiere, non solo è causa d’una strage di migranti e potenziali rifugiati di proporzioni mostruose, di cui dirò dopo, ma ha anche contribuito indirettamente, a mio avviso, a incoraggiare i nazionalismi “nazionalitari” o etnici, quindi al successo delle destre, anche estreme, in tutta Europa. Oltre che economica, la crisi europea è anche politico-ideologica, come ci ricorda da alcuni anni Slavoj Žižek.

Non per caso, nell’intero continente, a occupare il primo posto nella scala del rifiuto e del disprezzo sono rom, sinti e camminanti, le popolazioni che più di altre incarnano, almeno simbolicamente, il rifiuto di confini e frontiere.

Secondo un sondaggio recente (2014) sulle attitudini nei confronti di rom, musulmani ed ebrei, realizzato dal Pew Research Center, comparando l’Italia, la Francia, la Spagna, il Regno Unito, la Germania, la Grecia e la Polonia, per antiziganismo è l’Italia, seguita dalla Francia, a collocarsi in testa alla classifica. L’84% del campione intervistato esprime ostilità o paura per la presenza di appena 180mila fra rom e sinti (70mila dei quali cittadini italiani) corrispondenti a un magro 0,23% della popolazione totale [1].

In realtà, essi continuano a svolgere un ruolo vittimario assai simile a quello storicamente attribuito agli ebrei, a tal punto che sugli “zingari”, come un tempo sugli ebrei, tutt’oggi fioriscono e si propalano voci, leggende e “false notizie”, per dirle alla Marc Bloch: anche le più arcaiche, come quella della propensione al rapimento di bambini, pur smentita da dati e lavori scientifici (v. Tosi Cambini, 2008).

Insomma, fra le politiche di militarizzazione delle frontiere e il dilagare delle retoriche del rifiuto c’è un legame assai stretto, se non un circolo vizioso.

In gran parte dei paesi europei va diffondendosi sempre più l’uso politico e ideologico di tali retoriche: i cliché dell’“invasione”, dei migranti come fonte d’insicurezza e impoverimento dei “nazionali”, della “clandestinità” come sinonimo di criminalità sono ampiamente utilizzati perfino da istituzioni, talvolta anche da partiti di centrosinistra, soprattutto da formazioni populiste, di destra e di estrema destra, che in Europa conoscono oggi un’ascesa impressionante. In particolare, quella dell’”invasione” e della “marea montante” è una tipica falsa evidenza: come è ben noto, la quota preponderante dei flussi migratori parte dai paesi del Sud del mondo per dirigersi verso altri paesi del Sud.

Sul versante delle istituzioni, in una parte dei paesi dell’Unione Europea prevale un approccio di tipo emergenzialista, conseguenza, fra le altre cose, del fatto che, in realtà, migrazioni ed esodi non sono stati integrati –starei per dire “elaborati” come tendenze strutturali del nostro tempo.

Anche questo spiega perché il razzismo tenda a diventare “ideologia diffusa, senso comune, forma della politica” (Burgio, 2010). E non si tratta del ritorno in superficie dell’arcaico, bensì di una delle fasi del riemergere ricorrente del lato oscuro della modernità europea.

Le discriminazioni istituzionali, l’allarmismo dei media nonché la cattiva gestione dell’accoglienza, almeno in alcuni Statimembri, non fanno che produrre ondate ricorrenti di moral panic, alimentando anche violenza razzista ‘popolare’ nei confronti degli indesiderabili, spesso usati come capri espiatori, particolarmente in questa fase.

In non pochi paesi europei la crisi economica si coniuga con una crisi, altrettanto grave, della democrazia e della rappresentanza, talché la distanza fra i cittadini e il potere si fa siderale e la cittadinanza va trasformandosi sempre più in sudditanza (v. Balibar, 2012). Non sorprende affatto, quindi, che gli effetti sociali della crisi e delle politiche di austerità, coniugati con la condizione e il senso soggettivo di sudditanza, alimentino frustrazione, spaesamento, risentimento sociale, e conseguente ricerca del capro espiatorio. Una buona parte di cittadini penalizzati dalla crisi finisce così per identificare il proprio nemico negli immigrati “che rubano il lavoro” o nei rom che degraderebbero il loro già degradato quartiere di periferia. Sicché si potrebbe sostenere che il razzismo ‘popolare’ sia perlopiù rancore socializzato.

Illustra bene questa tendenza ciò che è accaduto di recente a Tor Sapienza, un sobborgo dell’hinterland romano. In questa “periferia composta da insediamenti casuali e frammentari, di enclave vissute nella cultura dell’emergenza e mai messe in condizione di poter comunicare o interagire, di crescere insieme per diventare società” (Goni Mazzitelli, 2014), una frazione di residenti ha compiuto ripetuti raid contro un centro di accoglienza che, oltre ad alcune famiglie di rifugiati, ospitava poche decine di minori non accompagnati, provenienti da Egitto, Bangladesh, Etiopia e altri paesi subsahariani. Dopo alcuni giorni di assalti violenti, istigati dall’estrema destra, i minori sono stati allontanati da quel centro – che ormai sta per chiudere e separati in diverse strutture provvisorie.

Etichettare questo caso, come altri simili, secondo la formula abusata di “guerra tra poveri” è, a mio avviso, un’espressione di quel “pensiero debole in un mondo complesso” di cui ha parlato qui Carlo Freccero. Infatti, ammesso sia opportuno usare la metafora della guerra, questa è tutt’altro che simmetrica: è, semmai, una guerra contro i più vulnerabili tra i poveri.

2. In assenza d’itinerari sicuri e legali per raggiungere l’Europa, i rifugiati in cerca di protezione e i migranti che aspirano a una vita migliore sono sottoposti dall’Unione Europea a un’autentica prova di sopravvivenza. Non tutti la superano.

Si tenga conto che nel corso del 2013 il 68% delle persone che hanno tentato di raggiungere l’Europa illegalmente per via marittima proveniva dalla Siria, Eritrea, Afghanistan e Somalia, paesi devastati da conflitti, persecuzioni e violenze (Amnesty International, Des vies à la dérive, 2014).

Secondo Fatal Journeys, il recente rapporto dell’OIM (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni), nonostante la missione Mare Nostrum della Marina Militare Italiana, che pure, dal 18 ottobre 2013, ha salvato 115.000 migranti, nei primi otto mesi di quest’anno sono morte nel Mediterraneo almeno 3.072 persone. Cioè il 75% di tutte le vittime di migrazioni illegali su scala mondiale, nello stesso periodo.

Basta scorrere i grafici del Rapporto per constatare che l’Europa è largamente in testa alla classifica delle aree migranticide, per usare un neologismo. E ciò non solo per ovvie ragioni geografiche e per l’aumento vertiginoso di migranti e potenziali rifugiati che cercano di raggiungerla, ma soprattutto perché le politiche proibizioniste europee rendono i viaggi sempre più pericolosi. Al punto che il tentativo di raggiungere il nostro continente è costato la vita a ben 22.400 migranti in soli 14 anni.

I cosiddetti “trafficanti di esseri umani” rappresentano soltanto gli “utilizzatori finali” del sistema di frontiere e muri che l’Europa ha eretto intorno alla sua fortezza. Sono le politiche proibizioniste ad avere creato le condizioni perché si sviluppasse l’offerta di attività irregolari e dunque un aumento spaventoso delle stragi in mare.

Queste sono destinate a un incremento ulteriore, dal momento che si è deciso di abbandonare Mare Nostrum in favore dell’operazione Triton, uno degli avatar di Frontex. Come insiste Amnesty International nel rapporto che ho citato, Triton non è affatto un’operazione di ricerca e salvataggio. Privarsi di un Mare nostrum, magari « riformato » e sostenuto concretamente da altri Statimembri, è da cinici o irresponsabili, in presenza –rimarca Amnesty Internationaldi una crisi concernente i rifugiati che si configura come la più grave dopo la Seconda guerra mondiale.

Ricordo che il nuovo regime delle frontiere affermatosi in Europa ha prodotto non solo un’autentica ecatombe, ma anche la proliferazione e perfino l’esternalizzazione dei centri di detenzione per migranti, nei quali, in certi casi, sono rinchiusi finanche richiedentiasilo e minori; e talvolta anche per responsabilità di Frontex. Le condizioni di tali lager spesso muniti di gabbie e filo spinato, e controllati da forze dell’ordine e militari armati sono state condannate dalla stessa Corte di Strasburgo. In alcuni paesi, come l’Italia, sono istituzioni del tutto abusive, in quanto violano la Costituzione e lo stato di diritto.

Questo sistema si è rafforzato anche grazie agli accordi bilaterali con paesi dell’altra sponda del Mediterraneo, cui si delega una parte del “lavoro sporco”. L’Italia ha perpetuato fino a ieri gli accordi di cooperazione perfino con un paese devastato qual è la Libia, il quale, oltre tutto, non ha leggi sull’asilo, pratica gravissime violazioni dei diritti umani, non ha sottoscritto neppure la Convenzione di Ginevra del ’51. Come è ben noto, la Libia, tappa ineludibile soprattutto per i migranti e i profughi subsahariani, è un vero e proprio inferno. Come e peggio che al tempo di Gheddafi, pratiche tuttora correnti sono gli arresti arbitrari, il lavoro forzato e lo sfruttamento schiavile, le deportazioni, i taglieggiamenti, le torture, gli stupri: orrori la cui apoteosi è l’inferno della prigione di Kufra. L’unica differenza è che oggi sono le milizie armate a “dirigere” i centri di detenzione e a compiere le nefandezze cui ho fatto cenno.

È necessario, dunque, modificare radicalmente la legislazione europea (per non dire di quella italiana), nel senso indicato dai relatori/trici che mi hanno preceduta. Ma soprattutto occorre che tra le nostre stesse fila si affermi la consapevolezza che decisiva è la battaglia contro il razzismo e per i diritti dei migranti e dei rifugiati. Da essa non si può prescindere se si vuole scongiurare il lato oscuro della modernità europea, in favore della prospettiva di un’Europa della democrazia, della giustizia sociale, dell’uguaglianza dei diritti.

[1] Pew Reserch Center’s Global Attitudes Project: EU Views of Roma, Muslims, Jews, 12 maggio 2014.


Approfondimenti:

Annamaria Rivera: militarizzazione delle frontiere, retoriche del rifiuto e incremento del razzismo

 

Migranti – L’era dei torbidi

Giornate di studio del GUE/NGL

Firenze, 18-20 novembre 2014

Intervento di Barbara Spinelli durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.

Vorrei condividere qui con voi l’idea che mi sono fatta in questi anni, e in maniera più precisa da quando sono al Parlamento europeo, su migranti, accoglienza, diritti, asilo, esilio.

L’idea che mi sono fatta è che la questione migrazione s’intorbida sempre di più. Da un lato continua a essere percepita come fenomeno principalmente economico, quando buona parte dei migranti è oggi costituita da chi fugge guerre o disastri climatici. Qualsiasi ragionamento geopolitico, di politica estera, viene liquidato. Il caos che abbiamo scatenato con le guerre antiterroriste, e anche con quelle umanitarie, viene sistematicamente sconnesso dai ragionamenti sui nuovi flussi migratori.

Dall’altro lato i governi europei tendono a intervenire aggirando le proprie Costituzioni e la comune Carta dei diritti fondamentali e invocando un diritto emergenziale, con l’alibi che a nuove sfide occorra rispondere con nuovi metodi. In realtà l’emergenza conferisce legittimità a uno stato di eccezione divenuto permanente, grazie al quale i poteri vengono accentrati negli esecutivi e le Costituzioni vengono svuotate: finita l’emergenza, finito quel che viene vissuto come imprevedibile, i governi ci promettono un fantasmatico ritorno allo status quo ante. Ma di fatto il diritto emergenziale diventa diritto ordinario, con conseguenze nefaste sia sulle politiche che vengono adottate, sia sul linguaggio usato per descriverle o anche contrastarle.

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Incontro con una delegazione della società civile irachena

Martedì 4 novembre al Parlamento europeo si è svolto un incontro pubblico con una delegazione della società civile irachena promosso dall’europarlamentare Barbara Spinelli (L’Altra Europa con Tsipras), il GUE/NGL e l’ONG italiana “Un ponte per…”.

Barbara Spinelli ha aperto l’incontro sottolineando il grave pericolo che l’Iraq si trova ora ad affrontare con una guerra nel Nord del Paese condotta dallo Stato islamico. Ha inoltre osservato come il popolo iracheno stia pagando le conseguenze di deliberate strategie adottate dall’amministrazione americana e dai governi fantoccio instaurati nella cosiddetta fase di pacificazione: l’imposizione in Iraq di quote su base settaria e di partito nell’assegnazione delle carichepubbliche, e l’erosione dello Stato iracheno.

I rappresentanti della delegazione hanno confermato che esiste in Iraq una società civile che si oppone fermamente sia all’ISIS, sia al governo settario di Baghdad. Le associazioni coinvolte sono impegnate da anni in campagne per promuovere la riconciliazione nazionale, i diritti dei lavoratori, la libertà di stampa e la lotta alla violenza di genere.

Tra i delegati iracheni presenti, Ilham Al-Jasim (confederazione dei lavoratori e dei sindacati), Nadia Al-Baghdadi (Iraqi Social Forum), Yanar Mohammed (attivista per i diritti delle donne), Husam Jejoo (attivista yazidi), Ismael Dawood (“Un ponte per…”). La delegazione si proponeva con questo incontro di sensibilizzare l’opinione pubblica europea sulla questione dei diritti della popolazione irachena e in particolare delle donne, dei giornalisti, dei sindacati e dei funzionari pubblici. La delegazione ha chiesto che vengano esercitate maggiori pressioni sul governo iracheno perché siano applicate le norme internazionali aderendo alla Corte penale internazionale, attuando concreti provvedimenti contro i responsabili di violazioni dei diritti umani, ritirando la Al-Jaafari Personal Status Law, la Al-Jaafari Judiciary Draft Law e il progetto di riforma della Costituzione irachena, nonché attivandosi più decisamente per la protezione dei diritti delle donne (con particolare riferimento alle norme sull’identificazione delle donne prive di documenti). Per quanto concerne i diritti dei giornalisti, la proposta della società civile irachena è di emendare la Journalist Protection Law che contiene “un linguaggio vago e manca di concrete misure a protezione dei giornalisti”.

I partecipanti hanno infine convenuto sulla necessità di contrastare al tempo stesso la politica settaria del governo e   le ampie privatizzazoni in campo economico: due retaggi dell’occupazione americana, che hanno aggravato le tensioni e trasformato gli uffici governativi in feudi di partito, con effetti distruttivi dello Stato di diritto e dell’idea stessa di Stato.

Gli eredi della Lista Tsipras

Bologna, 3 novembre 2014. Intervento in sostegno de “L’Altra Emilia Romagna”

Sono qui con voi, dopo alcuni mesi di impegno molto assorbente nel Parlamento europeo, perché a mio parere siamo di nuovo a un bivio, proprio come dicevamo di essere quando nacque, nell’inverno 2013, la lista L’Altra Europa con Tsipras. Non dico “Siamo in emergenza” perché questa parola è stata sequestrata, come vedremo, e va maneggiata con circospezione estrema. Perché rimanda alla nozione – e alle pratiche politiche e giuridiche – di uno Stato di eccezione dal quale è urgente uscire.

Il bivio è stato raccontato in vari modi, dopo il 25 maggio. Cito solo l’ultimo – il testo di Marco Revelli uscito sul Manifesto il 27 ottobre – cui aggiungerei vari altri testi, tra cui quelli, per me particolarmente importanti, scritti da Guido Viale. In essi vediamo raccontate le divisioni che hanno caratterizzato la nostra esperienza, spesso fratricide, assieme alle nostre aspettative o speranze.

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Circolare del Viminale e maltrattamenti a danno di migranti: richiesta alla Commissione di attivare procedure di infrazione

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Senza che il Parlamento europeo ne fosse informato, nello spazio Schengen sono avvenute, tra il 13 e il 26 ottobre, retate brutali contro persone in fuga da zone di guerra, dittature, carestie e disastri climatici. L’operazione congiunta Mos Maiorum, promossa dalla presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea sotto la direzione del ministero dell’Interno a Roma, era necessaria – così ha assicurato ai parlamentari europei il sottosegretario Della Vedova, lo scorso 22 ottobre a Strasburgo –  per il contrasto delle organizzazioni criminali che della sofferenza fanno un traffico lucroso.  Fin da subito tuttavia è apparso chiaro l’obiettivo dell’iniziativa: una criminalizzazione sistematica dei migranti. Il nome stesso dato all’operazione – Mos Maiorum – rimanda simbolicamente alla convinzione della superiorità militare e morale del limes romano opposto ai barbari. Per contrastare le mafie degli esseri umani – questa la tesi esposta a Strasburgo dagli ideatori dell’operazione – era necessaria una gigantesca operazione di schedatura degli immigrati “irregolari”, così come richiesto dal regolamento Eurodac.

Abbiamo appreso – e ne abbiamo prontamente informato il Parlamento [1] – che le forze di Pubblica sicurezza italiane sono state incaricate dal Ministero dell’Interno di identificare, anche tramite l’uso della violenza, i migranti privi di documenti. La circolare in nostro possesso, priva del frontespizio a tutela degli informatori, porta l’intestazione del Dipartimento di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno italiano, ed è stata emanata, secondo le informazioni che abbiamo raccolto, il 25 o il 26 settembre scorso. Vi si legge che “alcuni Stati membri lamentano, con crescente insistenza, il mancato fotosegnalamento di numerosi migranti che, dopo essere giunti in Italia, proseguono il viaggio verso i Paesi del Nord Europa”.

Il primo foglio contiene quelle che vengono definite “linee di indirizzo operativo cui attenersi per il corretto adempimento delle procedure di fotosegnalamento e per armonizzare le procedure in uso”.

Vi si specifica che, al fine di “informare i migranti sulle conseguenze derivanti dalla mancata collaborazione con le Autorità italiane nell’identificazione, è in via di distribuzione, alle unità che svolgono attività di soccorso in mare, presso le località di sbarco, nonché alle Questure di accoglienza, un volantino informativo multilingue (ALL. 2), che sarà consegnato ai migranti”.

Assieme alla pagina che alleghiamo, è infatti giunto in nostro possesso un volantino multilingue – verosimilmente l’allegato cui si fa menzione nella circolare – che spiega esplicitamente, in italiano, in inglese, in francese e in arabo, che “i migranti che fanno ingresso illegale nel territorio dello Stato italiano, anche se soccorsi in mare, devono essere identificati mediante l’acquisizione delle generalità ed il fotosegnalamento” effettuato dalla Polizia. Il rifiuto di fornire le proprie generalità, continua il documento, ovvero la resistenza “all’acquisizione delle fotografie del volto e delle impronte digitali delle dita delle mani, costituisce reato e determina la denuncia all’autorità giudiziaria. In ogni caso”, si esplicita, “la Polizia procederà all’acquisizione delle foto e delle impronte digitali, anche con l’uso della forza se necessario”. [2]

Durante le scorse settimane, numerosi resoconti e testimonianze mostrerebbero che a seguito dell’emissione della circolare – peraltro precedente di quasi tre settimane l’inizio dell’operazione congiunta Mos Maiorum – il ricorso alla forza è stato applicato in modo sproporzionato e irragionevole. Siti e giornali italiani hanno pubblicato fotografie di corpi segnati da ferite e contusioni, e raccolto  testimonianze di migranti malmenati, segregati e minacciati. [3]

In Italia, l’on. Erasmo Palazzotto (Sinistra Ecologia e Libertà), che ha recentemente ispezionato alcuni CIE, CPA e CARA in seguito a segnalazioni di maltrattamenti e tortura, è sul punto di depositare un’interrogazione parlamentare in cui si chiede conto della circolare del ministero dell’Interno e della sua attuazione.

Fino a ora il Viminale non ha risposto alle nostre sollecitazioni, né a quelle delle associazioni che si occupano di tutela dei migranti.

La gravità di questa operazione, che rischia di diventare prassi anche a compimento di Mos Maiorum, risulta tanto più evidente quando si consideri la sua pretesa di ottemperare alle disposizioni europee di Eurodac. Il Regolamento del Consiglio che istituisce il Sistema Eurodac [4] per il confronto delle impronte digitali (al fine, recita il testo, di un’efficace applicazione della convenzione di Dublino II, tale da permettere di determinare quale paese dell’Unione europea sia competente per l’esame di una domanda d’asilo), non fa in alcun modo menzione della possibilità dell’uso della forza, ma prevede che ciascuno Stato membro proceda “tempestivamente, in conformità alle salvaguardie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, al rilevamento delle impronte digitali di tutte le dita di stranieri di età non inferiore a quattordici anni, che siano fermati dalle competenti autorità di controllo in relazione all’attraversamento irregolare via terra, mare o aria della propria frontiera in provenienza da un paese terzo, e che non siano stati respinti” (art. 8).

Seguendo l’esempio dei numerosi eurodeputati che nel 2010 denunciarono la circolare del governo francese che dava avvio allo smantellamento di alcuni campi rom, ritengo pertanto necessario chiedere alla Commissione di valutare l’attivazione di eventuali procedure che sanzionino l’Italia per la violazione degli obblighi derivanti dal diritto comunitario.

Barbara Spinelli

La Circolare del Ministero dell’Interno (file .pdf)

 

NOTE

[1] Intervento di Barbara Spinelli su Mos Maiorum, Sessione plenaria del 22 ottobre 2014, Strasburgo

[2] La notizia della circolare era stata data già il 30 settembre 2014, passando pressoché inosservata, da un articolo corredato da ampi stralci virgolettati. A pubblicarlo, con il titolo Profughi. Il Viminale: “Foto e impronte digitali vanno prese a tutti, anche con la forza”, è il sito Stranieri in Italia, che spesso riporta documentazione ricevuta dal Viminale.

[3] (Fonti: 1234).

[4] Regolamento (CE) n. 2725/2000 del Consiglio dell’11 dicembre 2000.

 

Request to the Commission to activate an infringement procedure

Circular issued by the Italian Ministry of the Interior on September 25, 2014, and ill-treatment of migrants

Without the European Parliament being informed, between October 13 and 26 brutal police roundups occurred in the Schengen area against people fleeing war zones, dictatorships, famine and climate disasters. The joint operation Mos Maiorum, promoted by the Italian Presidency of the Council of the European Union and coordinated by the Interior Ministry in Rome, was necessary – as Under Secretary Della Vedova assured to the European Parliament, on October 22 in Strasbourg – to counter criminal organizations exploiting the suffering of many to the advantage of their own lucrative traffics. However, the goal of this initiative was clear from the beginning: a systematic criminalization of migrants. The very name given to the operation – Mos Maiorum – symbolically refers to the belief in the moral and military superiority of the Roman «limes» opposed to the barbarians. In order to combat human trafficking – this is the approach described in Strasbourg by the authors of the initiative – it was necessary a massive operation of profiling and data collection involving “illegal” immigrants, as required by the Eurodac Regulation.

After inquiry, we discovered – and we promptly informed the Parliament [1] – that the public security forces have been entrusted by the Italian Ministry of the Interior to identify, even with the use of force, the undocumented migrants. The Circular in our possession (without the original title page, in order to protect our sources) bears the heading of the Department of Public Security of the Italian Ministry of the Interior and was issued, according to the information we have collected, on September 25th or 26th CY. It says that “some Member States complained, with increasing insistence, for the failure of photo-signaling many migrants who, once arrived in Italy, continued their journey to the northern European countries”.

The first sheet contains what are defined as “operational guidelines to be followed for the proper performance of procedures of photo-signaling and to harmonize the procedures in use.”

It states that, in order to “inform migrants about the consequences of non-cooperation with the Italian authorities who are in charge to identify, a multilingual leaflet (ALL. 2) is in the process of distribution to the units engaged in rescue at sea, at the places of landing, as well as in Police Headquarters, which will be delivered to the migrants”.

Along with the page, a flyer came in our possession – probably the attachment which is mentioned in the circular – that explicitly explains in Italian, English, French and Arabic that “migrants entering illegally in the territory of Italy, even if rescued at sea, shall be identified by means of the obtainment of personal and biometric details” carried out by the police. “The refusal either of providing personal details or undergoing biometric details is a crime and results in judicial charges”. “The police authorities will anyway obtain photos and fingerprints, even with the use of force, if necessary.” [2]

During the past few weeks, numerous reports and testimonies confirm that following the issue of the Circular – which, by the way, precedes the start of the joint operation Mos Maiorum by almost three weeks – the use of force was applied in a disproportionate and unreasonable manner. Websites and Italian newspapers have published photographs of bodies marked by wounds and bruises, and collected testimonies of migrants beaten, threatened and segregated. [3]

In Italy, the deputy Erasmo Palazzotto (SEL, Sinistra ecologia e Libertà), who recently inspected some CIEs (Identification and Expulsion Centers), CPAs (First Aid Centers) and CARAs (Asylum Seekers Reception Centers) following allegations of ill-treatment and torture, is about to submit a parliamentary question regarding the Circular issued by the Ministry of the Interior and its implementation.

Until this moment, the Interior Ministry did not respond to our requests, nor to those of the associations for the protection of migrants.

The severity of this operation, whose approach may have been adopted also during Mos Maiorum, is all the more evident when one considers its claim to comply with the provisions of the European Regulation Eurodac. The Council Regulation establishing Eurodac system [4] for the comparison of fingerprints (in order, as the regulation specifies, to ensure an effective application of the Dublin II Convention, and to help determining which Member State will be responsible for examining an asylum application), does not mention anywhere the possibility of the use of force, but provides that each member State “shall in accordance with the safeguards laid down in the European Convention on human Rights and the United Nations Convention on the Rights of the Child, promptly take fingerprints of all fingers of every alien of at least 14 years of age who is apprehended by the competent control authorities in connection with the irregular crossing by land, sea or air of the border of that Member State having come from a third country and who is not turned back” (art. 8).

Following the example of several Members of European Parliament who in 2010 denounced the Circular of the French government which gave start to the dismantling of some Roma camps, I therefore will ask the Commission to assess the possibility of activating an infringement procedure against the Italian government, for breach of the obligations linked to Community law.

Barbara Spinelli

The Circular of the Ministry of the Interior (.pdf file)

NOTES

[1] Barbara Spinelli’s speech on Mos Maiorum, Plenary session of October 22, 2014 in Strasbourg 

[2] The news had been reported as early as September 30, 2014, and gone almost unnoticed, in an article full of verbatim quotes published with the title Profughi. Il Viminale: “Foto e impronte digitali vanno prese a tutti, anche con la forza” by the website Stranieri in Italia, which frequently publishes documents received from the Ministry of the Internal.

[3] Sources: 1234.

[4] Council regulation No 2725/2000 of 11 December 2000.

Migranti, Europarlamento critica operazione polizia Mos Maiorum

Askanews, 23 ottobre 2014

Strasburgo (Francia), 23 ott. (askanews) – L’operazione “Mos Maiorum” – organizzata in cooperazione fra le polizie dei paesi Ue e attualemente in corso, con l’obiettivo dichiarato di individuare e indentificare gli immigrati irregolari per cercare di risalire alle organizzazioni criminali e ai trafficanti che li hanno trasportati in Europa – è stata duramente criticata in diversi interventi di eurodeputati durante un dibattito tenuto in plenaria, nella serata di ieri, al parlamento europeo a Strasburgo.

Barbara Spinelli, della Sinistra unitaria europea, ha denunciato in particolare che si tratta di un’operazione in cui vengono “profilati” gli immigrati irregolari procedendo alla loro indentificazione “con l’autorizzazione anche a usare la violenza se necessario”, secondo documenti della polizia di cui l’europarlamentare ha detto di essere in possesso. “È difficile non chiamarla per quello che è, una retata”, ha concluso la Spinelli, che ha ipotizzato la possibilità di una procedura d’infrazione comunitaria contro l’operazione.

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A Lampedusa, 4-5 ottobre 2014

Il cimitero delle barche di Lampedusa

Lampedusa, il cimitero delle barche

Barbara Spinelli, presente con una delegazione di europarlamentari del gruppo Gue-Ngl al Festival Sabir di Lampedusa, che si è tenuto dall’1 al 5 ottobre, il 4 ottobre è intervenuta al Forum Migranti nella sessione tematica Frontiere e prima accoglienza, coordinata da Arci, Migreurop, REMDH.

Davanti all’ecatombe di esseri umani nel Mediterraneo, ha detto Spinelli, non ci si può contentare di vuote frasi di solidarietà, occorre invece agire con iniziative concrete, come l’immediata istituzione di corridoi umanitari e una politica di visti, ma anche pretendendo il rispetto delle leggi e degli accordi già esistenti tra i Paesi membri dell’Unione.

Non è accettabile, ha affermato l’europarlamentare, la sostituzione di Mare Nostrum –iniziativa presa dal governo italiano proprio in conseguenza dell’immane naufragio dello scorso anno a Lampedusa – con l’operazione Frontex Plus, ora rinominata Triton. Ci hanno parlato di un’operazione ambigua, ha spiegato Spinelli, la cui evidente funzione di respingimento viene sovrapposta, con grandi retoriche autocelebrative, alla missione umanitaria finora svolta da Mare Nostrum. La verità è che Triton farà controlli e pattugliamenti, più che ricerche e salvataggi, e non si avventurerà in acque internazionali. Triton ha l’evidente scopo di chiudere i muri della Fortezza Europa.

Vittime della guerra, ha detto Spinelli, non sono solo gli esseri umani, ma la verità e la legalità. Nel caso della guerra contro i migranti, vittime sono una serie di articoli della nostra Carta dei diritti fondamentali, a cominciare dall’articolo 2 (diritto alla vita) e dall’articolo 19 (divieto di respingimento). Così come è violato il Trattato di Lisbona (articolo 80), che prescrive la solidarietà anche finanziaria tra Stati membri “ogni qualvolta sia necessario”.

Spinelli ha concluso con un invito a ricordare la storia europea: il problema è politico, ha affermato, perché abbiamo un diritto europeo al quale non corrisponde una politica europea. Avere una politica verso il Sud del Mediterraneo significa costruire uno spazio inclusivo di pace, solidarietà, cooperazione: un New Deal mediterraneo, che comporti una politica di aiuti nei confronti di quei paesi che, molto più dell’Europa, si fanno carico di masse di rifugiati in fuga dai paesi in guerra, primo tra tutti la Siria.

Nel corso della missione a Lampedusa, Barbara Spinelli ha preso parte, il 5 ottobre, alla partenza simbolica della Carovana antimafia “contro la tratta dei nuovi schiavi”, avvenuta dal molo Favaloro del porto, punto di approdo nell’isola per migliaia di migranti.

Sempre il 5, la deputata del Gue ha visitato la sede di Mediterranean Hope – Osservatorio sulle Migrazioni di Lampedusa, un progetto della FCEI finanziato dall’Unione delle chiese metodiste e valdesi, dove ha incontrato Francesco Piobbichi, operatore sociale incaricato della costruzione di un “osservatorio” delle migrazioni a Lampedusa. Nella sede di Hope, Spinelli ha preso visione dei disegni, prossimamente esposti in una mostra, con i quali Piobbichi dà forma e memoria ai racconti dei testimoni: storie di naufragi, salvataggi, incontri tra isolani e migranti.

Le risposte al questionario di MiriEuropa

di mercoledì, Ottobre 1, 2014 0 , , Permalink

Le associazioni UPRE ROMA, NEVO DROM e SUCAR DROM hanno avviato il progetto europeo MiriEuropa (“La mia Europa”) per favorire la partecipazione alla vita pubblica delle persone appartenenti alle minoranze sinte e rom. Tra le iniziative c’era la richiesta di un confronto dapprima con i candidati e poi con gli eletti al Parlamento Europeo, ai quali sono state poste tre domande.
Queste le risposte di Barbara Spinelli, che saranno pubblicate anche sul sito http://www.upreroma.it

D. Le minoranze presenti nell’Unione europea sono numerose ma tutte sottorappresentate nelle istituzioni politiche dell’UE. Intendete sostenere i diritti civili e politici di queste minoranze e come?

R. Una delle ragioni fondamentali della partecipazione della Lista Tsipras, e mia personale, alle elezioni per il Parlamento europeo, riguarda proprio il tema dei diritti civili e politici delle minoranze. L’Europa alla quale penso è un’Europa di cittadini, e quindi un’Europa in cui tutti i cittadini – quale che sia la loro etnia, religione, orientamento sessuale – si trovino sullo stesso piano nell’esercizio dei diritti. Numerosi stati membri dell’Unione Europea sono stati accusati dalla Commissione e da ONG di rilievo per le loro politiche apertamente discriminatorie e lesive dei diritti dei rom e sinti.

Per tali ragioni, conto innanzitutto di sostenere gli appelli delle ONG che richiedono alla Commissione di lanciare procedure d’infrazione contro gli Stati Membri inadempienti, come dimostrato dal recente successo dell’appello di Amnesty International contro la Repubblica Ceca.

In secondo luogo mi impegno a tener conto della situazione particolare dei rom ogni qualvolta mi competerà emendare o votare testi che possano meglio tutelare i loro diritti (sull’accesso ai beni e servizi pubblici, alla libertà di circolazione, contro le discriminazioni).

D. Tra queste minoranze la più numerosa – circa 12 milioni – e la più distribuita sui diversi Paesi è la minoranza rom, unica nazione senza terra e la più discriminata anche a livello istituzionale. La politica comunitaria finora adottata nonostante rilevanti investimenti non ha modificato sostanzialmente le condizioni di esclusione sociale e civile di questa minoranza. Secondo lei in che cosa si è dimostrata insufficiente questa politica?

R. Credo che la questione rom e sinti, in quanto minoranza storicamente discriminata e perseguitata, sia paradigmatica della mancanza di una vera comunità europea, intesa come entità capace di accogliere e riconoscere tutte le sue componenti. La politica europea, malgrado l’adozione di una direttiva contro la discriminazione razziale ed etnica (Direttiva 2000/43/CE) e una per la libertà di circolazione dei cittadini europei (2004/38/CE), si è finora dimostrata insufficiente e frammentata nei confronti della comunità rom: questo significa che il percorso dell’integrazione e della lotta ai pregiudizi è ancora lungo, nonostante il Novecento ne sia stato segnato nel modo più inaccettabile, con pogrom, persecuzioni e politiche di messa a morte e sterminio. L’Unione Europea dovrebbe promuovere un approccio olistico di inclusione dei Rom, che vada oltre le attuali raccomandazioni non vincolanti agli Stati membri, nel rispetto dell’Articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali, che vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sull’origine etnica o sociale o sull’appartenenza a una minoranza nazionale.

D. Lei ritiene che il riconoscimento giuridico di minoranza sia una via per realizzare concreti e reali processi di inclusione sociale e civile delle comunità rom?

R. Sì, sono convinta che sia un passaggio fondamentale e che valga per tutte le minoranze, dal momento che il riconoscimento restituisce loro identità, dignità e accoglienza nella comunità europea. Per quel che mi riguarda – ma certamente posso parlare anche per conto della Lista Tsipras, che non a caso ha avuto tra i suoi candidati un’esponente della lotta per il riconoscimento giuridico di rom e sinti – mi ritengo impegnata a sostenere azioni e iniziative tese al raggiungimento di questo obiettivo.

Le vere emergenze della Lista

Bruxelles, 9 settembre 2014. Intervento alla conferenza «La sinistra in Europa dopo le elezioni europee» organizzata dal Centro Garcia Lorca & Alternatives.

L’Altra Europa con Tsipras è nata per colmare un vuoto che si è creato nella sinistra fin dagli anni Novanta, con la nascita della famosa Terza via, basata sulle politiche di Tony Blair e di Gerhard Schröder.

Più precisamente, la nostra lista è nata da una doppia presa di coscienza: che questo vuoto non fosse in realtà un vuoto, dal momento che in molti paesi, tra cui l’Italia, una parte di cittadini non aveva accettato le politiche liberiste per l’Europa indicate dall’allora premier britannico e dall’allora cancelliere tedesco. C’era un gruppo di cittadini particolarmente impegnato a salvare i servizi pubblici, che aveva combattuto contro la privatizzazione dell’acqua, che non accettava l’austerità e che, soprattutto, non accettava la confusione e l’identificazione fra destra e sinistra, che era invece la parola d’ordine della Terza via.

La seconda presa di coscienza è che in questo vuoto-non-vuoto c’erano partiti della sinistra radicale che erano stati sacrificati da leggi elettorali assurde e che, da soli, non riuscivano a ottenere risultati all’altezza delle proprie aspettative.

Alle elezioni europee abbiamo vinto per miracolo, perché se è vero che il vuoto non era vuoto, è anche vero che le nostre speranze iniziali erano molto più grandi dei numeri che abbiamo ottenuto alla fine. Questo risultato ha quindi un significato al tempo stesso positivo e negativo. Il segno positivo è che è stato giusto puntare in alto e in largo, voler includere al massimo, rappresentare tutte le anime e tutti i frammenti della sinistra. Il segno negativo è che abbiamo appunto vinto per miracolo, ossia soltanto in parte. Sono stati commessi errori, e gli errori insegnano molto. Sono delle lezioni, sempre. A mio avviso, quello che abbiamo vissuto (vincere per pochissimi voti) ci dice alcune cose sul futuro della lista.

Non dobbiamo dimenticare che siamo nati con il proposito di far nascere qualcosa di simile a Syriza, e che abbiamo scelto Alexis Tsipras come modello anche con il proposito di giungere a un amalgama delle forze della sinistra.

Questo ci dice che costruiremo il futuro della lista solo se cercheremo di essere sempre più inclusivi; solo se nessuno fra noi e fra i diversi partiti che hanno dato vita al nostro comune progetto cercherà di mettere il proprio cappello sulla lista, perché questo è il modo più sicuro di perdere le prossime elezioni. Per salvare la lista, nessun gruppo deve cadere nell’illusione di poter agire solo, senza gli altri.

Credo che questo sia importante soprattutto per voi che siete qui, a Bruxelles, che vi siete battuti per la lista e che continuate a farlo. Forse voi siete più liberi e più indipendenti che in Italia, dove la lista attraversa un periodo difficile.

Sapete perfettamente che le cose cambieranno, in ogni paese, solo se in Europa e nelle istituzioni il paradigma del liberismo verrà smantellato. Meglio sarebbe parlare di “dogma”, anziché di paradigma, dal momento che il liberismo è diventato un’ideologia – e le ideologie non si discutono mentre i paradigmi sì. È come per l’infallibilità papale nella Chiesa: non la si può mettere in questione. Abbiamo assistito a grandi contraddizioni, in questo senso. Per esempio, quando Juncker, il nuovo presidente della Commissione, ha criticato la trojka e il fiscal compact: proprio lui che ha dato il proprio consenso attivo all’una e all’altro. Oppure quando tutti i governi dicono che nelle presenti condizioni è necessario concentrarsi su politiche per la crescita, e alzano la voce invocando parametri più flessibili, ma nessuno di essi fa autocritica sul veleno che essi stessi hanno propinato per anni alle proprie società. La crisi continua a essere curata con il medesimo veleno che l’ha scatenata. Nessuno, nel governo italiano e nell’Unione europea, ammette che questa ricetta semplicemente non funziona. Ricordo qui una frase, attribuita a Albert Einstein: è pura insania ostinarsi a rifare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.

Dunque cosa significa, oggi, volere un’“altra Europa”? Significa, a mio avviso, riconcentrare i nostri obiettivi sui diritti (primi fra tutti quelli che riguardano il lavoro e l’immigrazione) e sulle guerre: sono queste le nostre emergenze. Quando dico “emergenza”, sono consapevole che si tratta di una parola utilizzata dai governi costantemente e da anni; dicono che siamo in emergenza, che la crisi è tale da rendere necessari la riduzione dei diritti, l’accentramento del potere esecutivo, l’indebolimento del potere giudiziario, lo svuotamento delle costituzioni democratiche.

Ma la parola “emergenza” viene brandita abusivamente: in generale, in periodi di crisi si cambiano le cose, mentre qui i governi gridano all’emergenza perché le cose restino come stanno. Il loro obiettivo è garantire lo status quo, e dunque il potere, il dominio dei mercati e degli apparati militari. E mantenere lo status quo significa al contempo immobilizzare i cervelli, far sì che le persone smettano di pensare. Non a caso in Italia è in corso una lotta feroce dell’intero Governo Renzi contro i “professoroni” che si permettono di criticarlo e contro i comitati cittadini. Insomma, contro il libero pensiero.

Di questa parola – “emergenza” – dobbiamo riappropriarci. Dobbiamo strapparla con forza a chi l’ha sequestrata a favore di forze anonime quali i mercati e il complesso militare-industriale.

La vera emergenza è la precarizzazione del lavoro, ed è la questione della sovranità (sovranità che gli Stati-nazione pretendono di aver concesso all’Europa: in effetti l’avevano già perduta, ma l’hanno trasferita a un’Unione europea che non è né solidale né sino in fondo democratica). Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea, lo ha detto chiaramente: potete avere i risultati elettorali che volete, non ci fanno paura, perché a Francoforte le riforme sono assicurate dal “pilota automatico”.

Le vere emergenze sono i morti nel Mediterraneo (più di 20.000 dal 1988) e l’abolizione delle operazioni di salvataggio dei migranti come Mare Nostrum, sostituito da operazioni non più intese a salvarli ma a respingerli. Le vere emergenze sono le guerre e il consenso implicito dell’Europa a queste guerre. Lo vediamo in Ucraina: sulla natura antidemocratica e lesiva delle minoranze che caratterizza l’attuale regime di Kiev l’Unione Europea non ha speso una sola parola, mentre esercita un’enorme pressione sulla Russia, accodandosi alla strategia degli Stati Uniti. Non una sola parola sui morti civili della regione di Donbass, né sulle centinaia di migliaia di ucraini dell’Est che fuggono verso la Russia (non perché putiniani, ma in quanto russofoni), né sulle milizie paramilitari di estrema destra alle dipendenze dirette del ministero dell’Interno a Kiev.

L’unica vera emergenza è quindi l’estensione e la radicalità di questa crisi. Vorrei in conclusione ricordare ciò che ha detto Alexis Tsipras, citando Lenin: “Siamo radicali, sì, ma perché la realtà è radicale”.