Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli: “Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia”. Firmano l’interrogazione scritta 24 eurodeputati di vari gruppi politici 

Bruxelles, 11 dicembre 2015

Barbara Spinelli ha presentato un’interrogazione al Consiglio sull’attuazione delle decisioni relative alla ricollocazione di 160,000 richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia. Le due decisioni del Consiglio dell’Unione Europea sono state adottate nel corso delle riunioni del Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni il 14 e 21 settembre e prevedono la ricollocazione di un totale di 160’000 richiedenti asilo provenienti da Grecia e Italia negli altri Stati membri dell’Unione europea. “Come indicato nella comunicazione della Commissione (COM (2015) 510 definitivo), entrambe le decisioni richiedono un immediato follow-up delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri sotto pressione e degli Stati membri che si sono impegnati ad ospitare persone ricollocate“, afferma l’eurodeputata del gruppo GUE/NGL.

Lo stesso documento sottolinea che, a partire dal 14 ottobre, ventuno Stati membri hanno individuato i punti di contatto nazionali, e fino ad ora solo sei Stati membri hanno notificato le capacità di accoglienza messe a disposizione per i profughi da ricollocare. Fino a quel giorno, appena 86 richiedenti asilo erano ricollocati dall’Italia con il nuovo regime. Il 3 novembre, un comunicato stampa della Commissione ha sottolineato che il primo volo di trasferimento dalla Grecia con 30 richiedenti asilo era pronto a partire per il Lussemburgo”.

Barbara Spinelli, insieme a 24 eurodeputati di vari gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede dunque al Consiglio quali misure intenda prendere perché i rappresentanti degli Stati membri si impegnino a ricollocare quanto prima i richiedenti asilo bloccati in Grecia e in Italia in condizioni di allarmante precarietà.

Firmatari:
Barbara Spinelli, Philippe Lamberts, Michèle Rivasi, Yannick Jadot, Pascal Durand, Eva Joly, José Bové, Karima Delli, Igor Soltes, Eleonora Forenza, Merja Kyllönen, Dimitrios Papadimoulis, Malin Björk, Josu Juaristi Abaunz, Takis Hadjigeorgiou, Julie Ward, Liisa Jaakonsaari, José Inácio Faria, Nedzhmi Ali, Neoklis Sylikiotis, Sofia Sakorafa, Kostadinka Kuneva, Patrick Le Hyaric, Dennis De Jong, Stelios Kouloglou

Testo dell’interrogazione (file .pdf)

La Commissione faccia luce sul rimpatrio delle venti giovani nigeriane

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli e trenta eurodeputati chiedono alla Commissione europea di far luce sul rimpatrio di venti giovani donne nigeriane potenziali vittime di tratta

Bruxelles, 10 novembre 2015

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha presentato un’interrogazione scritta alla Commissione europea per chiedere che venga fatta luce sul rimpatrio di venti giovani donne nigeriane, potenziali vittime di tratta di esseri umani, in violazione della sospensione di rimpatrio rilasciata a loro nome dal Tribunale di Roma (Prima Sezione).

L’interrogazione è stata firmata, tra gli altri, da Claude Moraes, presidente della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo, e dagli eurodeputati Elly Schlein, Ignazio Corrao, Laura Ferrara, Fabio Massimo Castaldo, Marina Albiol Guzman, Malin Björk, Marie-Christine Vergiat e Cornelia Ernst.

Il testo dell’interrogazione:

“Lo scorso 17 settembre circa venti donne nigeriane, potenziali vittime di tratta di esseri umani, sono state rimpatriate in Nigeria dall’aeroporto romano di Fiumicino. Man mano che giungeva copia delle notifiche di sospensione – emesse dal Tribunale nel mentre si svolgevano le procedure di rimpatrio e prontamente inviate alla Questura dagli avvocati e della Clinica Legale dell’Università di Roma 3 – attivisti radunati all’aeroporto chiedevano alla Polizia di Frontiera che le persone interessate venissero fatte scendere dall’aereo. Tuttavia una sola donna nigeriana cui era stata concessa dal Tribunale la sospensione dell’esecutività del rimpatrio è stata fatta sbarcare. Almeno altre due destinatarie di un ordine analogo – notificato alle 13.43 dagli avvocati alla Questura di Roma, dunque ben prima che l’aereo lasciasse il territorio italiano, alle 15.30 circa – sono state rimpatriate, contravvenendo alla pronuncia del Tribunale.

Chiediamo alla Commissione di far luce su questi recenti episodi e valutare se ciò costituisca una violazione dell’articolo 19 (2) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, degli articoli 9 e 13 §2 della direttiva 2008/115/CE sui rimpatri e degli articoli 20 e 21 della direttiva “qualifiche” 2011/95/UE.

Barbara Spinelli, Matt Carthy, Neoklis Sylikiotis, Malin Björk, Kostandinka Kuneva, Eleonora Forenza, Patrick Le Hyaric, Luke ‘Ming’ Flanagan, Younous Omarjee, Marie-Christine Vergiat, Josep-Maria Terricabras, Jean Lambert, Beatriz Becerra, Sophie in ‘t Veld, Juan Fernando Lopez Aguilar, Claude Moraes, Jude Kirton-Darling, Julie Ward, Ana Gomes, Nessa Childers, Elly Schlein, Alessia Maria Mosca, Laura Ferrara, Fabio Massimo Castaldo, Maria Arena, Angelika Mlinar, Mary Honeyball, Ignazio Corrao, Cornelia Ernst, José Inácio Faria, Marina Albiol Guzman

Tortura in Arabia Saudita: risposta dell’Alto Rappresentante

IT

E-003382/2015

Risposta dell’alta rappresentante/vicepresidente Federica Mogherini all’interrogazione con richiesta di risposta scritta E-003382-15 del 27 febbraio 2015

(30.10.2015)

L’Alta rappresentante/vicepresidente è a conoscenza del caso di Raif Badawi. Il SEAE segue da vicino, sia a Bruxelles che localmente tramite la delegazione dell’UE a Riyadh, questo caso e quelli di altri attivisti di spicco, tra cui Abu Al-Khair.

IL SEAE, in stretto coordinamento con gli Stati membri dell’UE, ha condotto varie iniziative di sensibilizzazione, a carattere ufficiale o non, presso le autorità saudite in merito al caso di Raif Badawi. Dal canto suo, il portavoce dell’Alta rappresentante ha rilasciato una dichiarazione nella quale viene ribadita la convinzione dell’UE che le punizioni corporali siano inaccettabili e contrarie alla dignità umana, invitando le autorità saudite a sospendere la condanna pronunciata nei confronti di Raif Badawi.

L’Arabia Saudita è un partner importante per l’UE e un attore politico, economico, culturale e religioso influente nel Medio Oriente e nel mondo islamico. L’UE continuerà a impegnarsi per convincere le autorità saudite a rafforzare il dialogo con l’Unione su questioni riguardanti i diritti umani. E continuerà anche a esprimere le proprie preoccupazioni ogniqualvolta necessario, in particolare per quanto concerne il rispetto della libertà di espressione e della libertà di religione o di credo e l’aumento del numero delle condanne a morte.

Come rilevato a più riprese dal Parlamento europeo, l’UE e l’Arabia Saudita devono rafforzare il dialogo, non ridurlo. L’UE non esiterà a difendere i diritti umani e le libertà fondamentali, ma la responsabilità dell’Arabia Saudita per la promozione del cambiamento è un aspetto altrettanto importante. Il processo di riforma giudiziaria in corso è l’opportunità, per il Regno dell’Arabia Saudita, di avanzare ancora su questa strada e, per l’UE, di impegnarsi in maniera costruttiva presso la nuova leadership saudita a favore di un maggiore rispetto dei diritti individuali. L’UE e i suoi Stati membri continueranno inoltre a partecipare attivamente al follow-up della revisione periodica universale dell’ONU concernente l’Arabia Saudita condotta nel 2015.


Si veda anche

Premio Sakharov a Raif Badawi

Durata del trattenimento amministrativo

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-011010/2015
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Tanja Fajon (S&D), Dennis de Jong (GUE/NGL), Nathalie  Griesbeck (ALDE), Cecilia Wikström (ALDE), Martina Anderson (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Jean Lambert (Verts/ALE), Ulrike Lunacek (Verts/ALE) e Malin Björk (GUE/NGL)

Oggetto: Durata del trattenimento amministrativo

La direttiva sui rimpatri (2008/115/CE) e la direttiva sull’accoglienza (2013/33/UE) affermano che gli stranieri e i richiedenti asilo possono essere trattenuti soltanto in circostanze eccezionali, e per il
minor tempo possibile, in base al principio secondo cui il trattenimento non rappresenta altro che un’eccezione al diritto fondamentale alla libertà.

Nella comunicazione sulla politica di rimpatrio del 28 marzo 2014, la Commissione ha rilevato che la
durata massima del trattenimento è diminuita in 12 Stati membri. Tuttavia, se confrontata con il
numero totale di trattenuti, tale diminuzione riguarda meno del 10 % di loro.

In alcuni Stati membri, come Cipro e il Belgio, gli stranieri sono trattenuti nonostante la mancanza di prospettive di allontanamento ragionevoli. Per alcuni di loro il periodo di trattenimento può essere prolungato oltre la durata massima (Belgio) o a tempo indeterminato (Grecia) in violazione delle disposizioni delle summenzionate direttive.

1. Non ritiene la Commissione necessario rendere obbligatoria per tutti gli Stati membri la pubblicazione, almeno su base annua, dei periodi di trattenimento medio, cumulativo e
prolungato per categoria di trattenuti (donne, uomini, bambini, richiedenti asilo, ecc.), incluso chi
attende l’allontanamento?

2. Quali misure concrete intende la Commissione adottare per mettere fine agli eccessivi periodi di
trattenimento applicati in alcuni Stati membri, che costituiscono un rischio di trattamento inumano
e degradante?


 

IT

E-011010/2015
Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(5.10.2015)

La Commissione, insieme agli Stati membri, rivede regolarmente la raccolta di dati e di statistiche dell’UE riguardanti la migrazione e l’asilo rispetto alla legislazione europea in vigore. Si tratta di una misura introdotta per fornire dati fattuali e obiettivi che possano servire come base per l’elaborazione di politiche basate su elementi concreti. Finora gli Stati membri hanno partecipato e contribuito in modo molto proattivo a questo processo con Eurostat, in un quadro di cooperazione strutturato basato sul consenso. Misure obbligatorie non sono quindi ritenute necessarie, mentre si è convenuto di migliorare le serie di dati individuali e di aggiornarle regolarmente se considerato pertinente e necessario.

Come annunciato nell’Agenda sulla migrazione [1], la Commissione ha adottato un Manuale sul rimpatrio. Pur non essendo vincolante sul piano giuridico, questo documento fornirà alle autorità competenti degli Stati membri orientamenti comuni, buone pratiche e raccomandazioni affinché le utilizzino nello svolgimento delle attività relative al rimpatrio e per le valutazioni Schengen connesse al rimpatrio. Il manuale affronta, fra gli altri punti, la promozione delle partenze volontarie, l’uso proporzionato delle misure coercitive, il monitoraggio dei rimpatri forzati, il rinvio dell’allontanamento, il rimpatrio dei minori, i mezzi di ricorso effettivi, le garanzie in attesa del rimpatrio, condizioni di trattenimento umane e dignitose e le garanzie per le persone vulnerabili.

La Commissione controlla da vicino l’attuazione dell’integralità dell’acquis in materia d’asilo, e non esiterà a prendere le dovute iniziative procedurali nel rispetto dei trattati per garantire che i diritti fondamentali siano sempre rispettati quando uno Stato membro potrebbe avere agito in violazione dei suoi obblighi legali.

La Commissione rinvia inoltre gli Onorevoli Deputati alla sua risposta all’interrogazione E‑009662/2014.

[1]    COM(2015) 240.

Processo di Khartoum e iniziativa UE-Corno d’Africa

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-004122/2015 al Consiglio
Articolo 130 del regolamento

Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Malin Björk (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Dennis de Jong (GUE/NGL) e Kostas Chrysogonos (GUE/NGL)

12.3.2015

Oggetto: Processo globale di Khartoum e imminente iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie

La Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea ha aperto un dialogo intitolato “Processo di Khartoum” che, il 28 novembre 2014, ha portato ad una dichiarazione in cui si chiedeva il varo dell’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie1.

1. Qual è stato il coinvolgimento del Consiglio nel processo di Khartoum e ora nell’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie?

2. Vi è un coinvolgimento specifico della Presidenza lettone in questo follow-up?

3. Può il Consiglio fornire informazioni dettagliate sul contenuto della cooperazione con paesi terzi, tra cui l’Eritrea e il Sudan, in particolare sull’eventuale esistenza di impegni economici?


IT
E-004122/2015

Risposta
16.9.2015

L’iniziativa UE-Corno d’Africa in materia di rotte migratorie – o processo di Khartoum – è stata varata a  Roma il 28 novembre 2014 con una dichiarazione firmata dai ministri di tutti gli Stati membri dell’UE e dai paesi del Corno d’Africa, dall’Egitto e dalla Tunisia, nonché dalla Commissione europea, dall’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza e dalla Commissione dell’Unione africana.
Non è previsto alcun ruolo specifico per il Consiglio o la presidenza.
Il Consiglio invita pertanto gli onorevoli parlamentari a rivolgere i loro quesiti sulla cooperazione con i paesi terzi alla Commissione europea e/o all’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Uso illegale della forza nei centri di accoglienza di Pozzallo e Lampedusa

Bruxelles, 2 settembre 2015

Il commissario europeo per l’immigrazione Dimitris Avramopoulos ha risposto a nome della Commissione all’interrogazione depositata il 13 maggio 2015 dall’eurodeputata Barbara Spinelli, congiuntamente ai colleghi Elly Schlein, Laura Ferrara, Ignazio Corrao, Eleonora Forenza e Curzio Maltese. Nell’interrogazione si chiedevano chiarimenti sulle violenze subite da numerosi richiedenti asilo nei centri di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa e Pozzallo. Fonti diverse e concordanti avevano infatti documentato l’uso illegittimo della forza per costringere i migranti, anche minori, all’identificazione attraverso il prelievo delle impronte digitali. Un comportamento in palese violazione delle salvaguardie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Vari cittadini stranieri, anche minori, dichiararono di aver subito percosse con manganelli elettrici.

La risposta della Commissione è allarmante. Pur preannunciando l’intenzione di intraprendere le azioni necessarie per indagare su tutti i casi in cui vi siano elementi che indichino l’adozione di misure illegali da parte delle autorità nazionali, la Commissione mantiene la più grande ambiguità sull’uso della violenza, anche sui minori. In effetti, nella risposta, la Commissione evidenzia che “eventuali misure coercitive adottate dagli Stati membri devono essere proporzionate, giustificate e rispettose della dignità e dell’integrità fisica della persona interessata” e che “ai bambini di età inferiore ai 14 anni non devono essere rilevate le impronte digitali”: destando con ciò il sospetto che l’uso di misure coercitive sia da considerarsi legittimo, se applicato a minori dai 14 ai 18 anni.

La Commissione fa riferimento ai propri orientamenti, pubblicati nel maggio 2015, in materia di rilevamento delle impronte digitali ai migranti irregolari e ai richiedenti protezione internazionale. In tali orientamenti, la Commissione propone – al paragrafo 7 – che “gli Stati membri possano considerare che non sia mai opportuno utilizzare la coercizione per costringere la rilevazione delle impronte digitali di alcune persone vulnerabili, come minori o donne in stato di gravidanza. Se un certo grado di coercizione viene utilizzato per persone vulnerabili, occorre garantire che la procedura utilizzata sia specificamente adattata a tali persone.


Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-007777/2015

alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Eleonora Forenza (GUE/NGL), Curzio Maltese (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Laura Ferrara (EFDD) e Ignazio Corrao (EFDD)

Oggetto: Uso illegale della forza nei centri di accoglienza di Pozzallo e Lampedusa, Italia, per l’acquisizione delle impronte digitali dei migranti, comprese quelle dei minori, a fini di identificazione

Dal 28 aprile 2015 70 minori non accompagnati sono stati rinchiusi per oltre due settimane in un Centro di primo soccorso e accoglienza (CPSA ) sull’isola italiana di Lampedusa. Dal 25 aprile 2015 113 siriani e palestinesi sono stati detenuti per una settimana in un CPSA a Pozzallo, Sicilia. Varie fonti e documenti attestano l’uso illegale della forza al CPSA di Pozzallo per il rilevamento delle impronte digitali dei migranti – comprese quelle dei minori – a fini di identificazione, in violazione delle norme di salvaguardia sancite dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo. Inoltre, i cittadini stranieri detenuti al CPSA di Pozzallo, compresi i minori, hanno dichiarato di essere stati colpiti con dispositivi tipo Taser.

Intende la Commissione far luce su questi recenti avvenimenti e valutare se ciò che accade a Lampedusa e al CPSA di Pozzallo costituisca una violazione dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, degli articoli 3 e 5, paragrafo 4, della CEDU, degli articoli 14, lettera b), 17 e 19 della direttiva sull’accoglienza (2003/9/CE) e dell’articolo 8 del regolamento (CE) n. 2725/2000 (regolamento” Eurodac”)?

Intende altresì la Commissione chiarire quali misure pensa di adottare per impedire la detenzione di bambini migranti, vietata dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo?


IT

E-007777/2015

Risposta di Dimitris Avramopoulos

a nome della Commissione

(1.9.2015)

La Commissione non è a conoscenza dei presunti fatti citati dall’onorevole parlamentare, né di alcun elemento di prova di questo tipo. La Commissione intraprenderà le azioni necessarie per indagare su tutti i casi in cui vi siano elementi che indichino l’adozione di misure illegali da parte delle autorità nazionali.

Nell’ambito del pacchetto di misure introdotte nell’agenda europea sulla migrazione nel maggio 2015, la Commissione ha proposto degli orientamenti per gli Stati membri in materia di rilevamento delle impronte digitali ai migranti irregolari e ai richiedenti protezione internazionale [1]. Tali orientamenti prevedono un approccio comune basato sulle migliori prassi in materia di rilevamento delle impronte digitali, conformemente al regolamento Eurodac e al diritto dell’UE. Le eventuali misure coercitive adottate dagli Stati membri devono essere proporzionate, giustificate e rispettose della dignità e dell’integrità fisica della persona interessata. Inoltre, ai bambini di età inferiore ai 14 anni non devono essere rilevate le impronte digitali.

La Commissione sostiene pienamente i diritti dei bambini, come definiti dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, compreso il diritto alla libertà. Il diritto dell’UE pone dei limiti precisi alla detenzione amministrativa per i bambini, che dovrebbe essere utilizzata solo in ultima istanza, ove si ritenga impossibile applicare in maniera efficace misure meno coercitive. Ciò è stabilito all’articolo 11 della direttiva 2013/33/UE sulle condizioni di accoglienza, che si applica a decorrere dal 20 luglio 2015.

[1]     SWD(2015)150 final.

Violazione del diritto europeo nell’Organizzazione europea dei brevetti

26 maggio 2015

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-008382/2015
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Kostadinka Kuneva (GUE/NGL), Lynn Boylan (GUE/NGL), Martina Anderson (GUE/NGL), Pablo Iglesias (GUE/NGL), Lola Sánchez Caldentey (GUE/NGL), Stelios Kouloglou (GUE/NGL), Paloma López Bermejo (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Fabio De Masi (GUE/NGL), Tania González Peñas (GUE/NGL), Helmut Scholz (GUE/NGL), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Matt Carthy (GUE/NGL) e Miloslav Ransdorf (GUE/NGL)

Oggetto:  Violazione dei diritti del lavoro e sindacali nell’Organizzazione europea dei brevetti (EPO)

La Corte d’appello olandese ha recentemente stabilito (causa 200.141.812 / 01 / 17-2-2015) che l’Organizzazione europea dei brevetti (OEB) ha violato i diritti del lavoro di cui i lavoratori sono titolari in virtù dei trattati UE e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Di conseguenza la corte olandese, in via eccezionale, non ha riconosciuto l’immunità di cui l’OEB gode in quanto organizzazione internazionale, dal momento che tale immunità non può consentire violazioni dei diritti umani. Ciononostante l’OEB ha dichiarato che ignorerà la decisione eccependo l’ immunità dall’esecuzione.

Ciò premesso, si domanda:

– la Commissione concorda con questa sentenza, secondo cui, in materia di garanzia dei diritti fondamentali, i trattati UE e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea prevalgono sugli accordi bilaterali e multilaterali, inclusi quelli che assicurano l’immunità a organizzazioni quale l’OEB?

–  In caso affermativo, che cosa intende fare per impedire l’abuso dei diritti d’immunità e per difendere i diritti dei cittadini e dei lavoratori dell’UE nonché l’acquis comunitario all’interno di organizzazioni come l’OEB, che, mentre da una parte esercita funzioni giudiziarie, al tempo stesso viola le norme dell’ordinamento giuridico europeo?

–  In che modo la Commissione controlla che le posizioni che i rappresentanti degli Stati membri dell’UE adottano nell’amministrazione dell’OEB siano compatibili con i diritti sanciti dai trattati UE e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – tenendo conto del fatto che in tale organizzazione gli Stati membri dell’UE costituiscono la maggioranza?


IT
E-008382/2015
Risposta del Vicepresidente Frans Timmermans
a nome della Commissione
(24.8.2015)

La Commissione prende atto della sentenza della Corte d’appello dell’Aia del 17 febbraio 2015 nella causa 200.141.812/01. Tuttavia, è sua prassi non esprimersi sulle sentenze pronunciate dagli organi giurisdizionali degli Stati membri.

Alla Commissione sembra che la sentenza della Corte d’appello dell’Aia si basi sulle disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, della Carta sociale europea e delle convenzioni 87 e 98 dell’OIL. Non sembra che la Corte d’appello abbia fatto valere i trattati UE e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, come suggerito dagli onorevoli deputati nella loro interrogazione. La Carta, ai sensi del suo articolo 51, paragrafo 1, si applica solo alle istituzioni e agli Stati membri (nell’attuazione del diritto dell’Unione) e non ad altre organizzazioni internazionali.

Avanzo delle partite correnti in Germania

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-006514/2015 alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Fabio De Masi (GUE/NGL), Javier Couso Permuy (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Lola Sánchez Caldentey (GUE/NGL), Marina Albiol Guzmán (GUE/NGL), Ángela Vallina (GUE/NGL), Pablo Iglesias (GUE/NGL), Stelios Kouloglou (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Marisa Matias (GUE/NGL), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL) e Lidia Senra Rodríguez (GUE/NGL)

Oggetto: Avanzo delle partite correnti in Germania

In Germania l’avanzo delle partite correnti è in costante crescita dal 2000, che coincide approssimativamente con l’unione monetaria. Nel 2013, l’economia tedesca ha registrato un avanzo delle partite correnti pari a 206 miliardi di EUR, che corrispondono al 7,5 % del prodotto interno lordo (PIL), [1] mentre i dati mostrano che per il 2014 e il 2015 l’avanzo potrebbe essere ancora più alto. [2] A tale eccedenza, che viola la soglia massima del 6% raccomandata dalla Commissione, [3] viene imputata la ragione degli oneri aggiuntivi imposti agli Stati membri che stanno lottando per uscire dalla crisi finanziaria. Se un paese registra un’eccedenza, un altro dovrà registrare un deficit, in quanto l’eccedenza dei risparmi/delle esportazioni del paese che registra un avanzo deve essere assorbita da un altro paese sotto forma di investimenti, consumi o importazioni. [4]

Può la Commissione rispondere ai seguenti quesiti:

  1. Quali misure intende adottare, e quali proposte è disposta a proporre, per attenuare l’onere trasferito agli altri Stati membri attraverso i surplus eccessivi della Germania?
  2. Condivide la tesi secondo cui la Germania dovrebbe aumentare le retribuzioni, modernizzare le sue strutture e creare stimoli per rilanciare gli investimenti e i consumi? [5] A tale fine, quali sono le misure che la Commissione intende chiedere alla Germania?

[1]     http://www.bundesbank.de/Redaktion/EN/Downloads/Topics/2014_03_21_german_economys_account_surplus.pdf?__blob=publicationFile

[2]     http://www.economist.com/blogs/freeexchange/2014/09/europes-current-account-surplus

[3]     http://www.reuters.com/article/2014/01/14/us-germany-economy-trade-ifo-idUSBREA0D0MU20140114

[4]     http://www.theguardian.com/business/2014/jul/24/germany-surplus-part-blame-eurozone-stagnation

[5]     http://www.cer.org.uk/sites/default/files/publications/attachments/pdf/2013/bulletin_93_js_st_article2-8164.pdf


 

IT
E-006514/2015
Risposta di Pierre Moscovici
a nome della Commissione
(5.8.2015)

Nella relazione per paese 2015 relativa alla Germania [1] la Commissione mette in luce l’esistenza di squilibri macroeconomici che richiedono un’azione politica risoluta e un monitoraggio. La Commissione arguisce che l’elevato e persistente avanzo delle partite correnti della Germania riflette la bassa domanda interna (compresi gli investimenti), le ingenti entrate nette in conto capitale derivanti dagli investimenti all’estero del settore privato e una forte competitività.

L’aggiustamento all’interno della zona euro è in corso e l’avanzo delle partite correnti della Germania rispetto al resto della zona euro si è significativamente ridotto a partire dal 2007. È di particolare importanza intervenire per ridurre il rischio di ripercussioni negative sull’economia tedesca e, considerate le sue dimensioni, sull’Unione economica e monetaria.

Le constatazioni esposte nella relazione per paese trovano riscontro nella proposta di raccomandazioni specifiche per paese rivolte alla Germania, [2] in particolare nel settore degli investimenti e della tassazione, delle pensioni e del mercato del lavoro nonché nei servizi.

[1]     Commissione europea (2015), “Country Report Germany 2015 including an In-Depth Review on the prevention and correction of macroeconomic imbalances”, SWD(2015) 25 final/2.

[2]     COM(2015) 256 final. Cfr.: http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52015DC0256&rid=1

Accesso delle Ong ai centri di permanenza temporanea

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-009663/2014 alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL), Cornelia Ernst (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Malin Björk (GUE/NGL), Marina Albiol Guzmán (GUE/NGL), Ulrike Lunacek (Verts/ALE), Josep-Maria Terricabras (Verts/ALE), Sylvie Guillaume (S&D), Pina Picierno (S&D), Juan Fernando López Aguilar (S&D), Elly Schlein (S&D), Cecilia Wikström (ALDE), Tanja Fajon (S&D), Kashetu Kyenge (S&D), Jean Lambert (Verts/ALE) e Christine Revault D’Allonnes Bonnefoy (S&D)

Oggetto:  Accesso delle ONG ai centri di permanenza temporanea

La Commissione ritiene (risposta del 13 maggio 2013 all’interrogazione E-002523/2013 del 5 marzo 2013) che, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva 2008/115/CE, le ONG possano controllare la situazione relativa al trattenimento prima dell’allontanamento dei cittadini di paesi terzi. Gli Stati membri hanno il diritto di stabilire che tali visite devono essere soggette a un’autorizzazione, rilasciata sulla base di requisiti procedurali da definirsi in maniera chiara e conforme all'”effetto utile” della direttiva. Un reiterato rifiuto di accesso ai centri di permanenza temporanea senza una giustificazione oggettiva potrebbe essere considerato una violazione.

Nella comunicazione in merito alla politica di rimpatrio dell’UE (COM(2014)0199 definitivo), la Commissione afferma che “in sette Stati membri è tuttora problematico” il recepimento giuridico di tale articolo. Nel frattempo, l’accesso ai centri di permanenza temporanea richiesto da parte di numerose ONG continua a essere ripetutamente negato in modo ingiustificato o insufficientemente giustificato.

1. Quali sono gli Stati membri in cui il quadro giuridico e le relative prassi pongono ancora problemi?

2. Quali misure ha la Commissione adottato per convincere gli Stati membri a recepire la direttiva 2008/115/CE conformemente all'”effetto utile” e al fine di rispettare tale “effetto utile” nella prassi?

3. Ha la Commissione avviato procedure d’infrazione come annunciato nella sua risposta alla succitata interrogazione scritta?


E-009663/2014
Risposta di Dimitris Avramopoulos a nome della Commissione

(4.6.2015)

La Commissione ha espresso a diversi Stati membri la sua preoccupazione circa il corretto recepimento dell’articolo 16, paragrafo 4, della direttiva sui rimpatri. In risposta alle richieste dalle Commissione, tre Stati membri hanno adattato la legislazione nazionale già nel 2014 per renderla conforme al suddetto articolo 16, paragrafo 4. La Commissione prosegue gli scambi con gli altri Stati membri, anche nell’ambito della procedura d’infrazione formale.

Per quanto riguarda il funzionamento e il controllo dei centri di identificazione ed espulsione (CIE) nazionali, compresa la corretta applicazione delle norme sull’accesso delle ONG a queste strutture, sarà utilizzato il sistema di ispezioni previsto dal nuovo meccanismo di valutazione Schengen istituito dal regolamento (UE) n.1053/2013 [1], che inizierà ad essere applicato concretamente nel 2015.

I giudici nazionali sono inoltre tenuti ad applicare la legislazione nazionale nel debito rispetto degli obblighi imposti agli Stati membri dalla direttiva sui rimpatri. La Commissione raccomanda alle ONG il cui diritto di visita ai CIE dovesse subire indebite restrizioni di avvalersi dei mezzi di ricorso legali disponibili a livello nazionale.

[1] Regolamento (UE) n. 1053/2013 del Consiglio, del 7 ottobre 2013, che istituisce un meccanismo di valutazione e di controllo per verificare l’applicazione dell’acquis di Schengen e che abroga la decisione del comitato esecutivo del 16 settembre 1998 che istituisce una Commissione permanente di valutazione e di applicazione di Schengen, GU L 295 del 6.11.2013, pag. 27.

Politiche economiche e diritti sociali

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-011165/2014
alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Krystyna Łybacka (S&D), Helmut Scholz (GUE/NGL), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Josep-Maria Terricabras (Verts/ALE), Klaus Buchner (Verts/ALE), Bart Staes (Verts/ALE), Fabio De Masi (GUE/NGL), Jan Keller (S&D), Marc Tarabella (S&D), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Tibor Szanyi (S&D), Vilija Blinkevičiūtė (S&D), Eva Kaili (S&D), Kostadinka Kuneva (GUE/NGL), Anne-Marie Mineur (GUE/NGL), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Sofia Sakorafa (GUE/NGL), Costas Mavrides (S&D), Lola Sánchez Caldentey (GUE/NGL), Igor Šoltes (Verts/ALE) e Georgios Katrougkalos (GUE/NGL)

Oggetto: Necessità di tutela dei diritti sociali

L’unica vera iniziativa in materia di diritti umani del programma di lavoro della Commissione per il 2015 è l’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), un processo che è in corso ormai da diversi decenni ma che non è mai stato portato a termine. Oltre alle libertà civili di prima generazione, sancite nella CEDU, anche i diritti economici e sociali di seconda generazione, come il diritto a un’equa retribuzione, il diritto alla protezione della salute, il diritto alla sicurezza sociale, ecc. sono una componente essenziale dei diritti fondamentali in generale e sono previsti dalla Carta sociale europea. Sono proprio questi diritti economici e sociali che rischiano ora di essere sacrificati sull’altare della “stabilità” finanziaria, dell’austerità, delle “riforme strutturali”, ecc. È questa la ragione principale per cui un numero sempre maggiore di cittadini si sente lontano dall’UE e dalle sue politiche.

1. È la Commissione consapevole dei pericoli per i diritti sociali inerenti alle politiche economiche che vengono attualmente portate avanti?

2. Sarebbe disposta la Commissione a proporre l’adesione dell’UE alla Carta sociale europea?


Risposta di Marianne Thyssen a nome della Commissione
(15.4.2015)

Come sottolineato nell’analisi annuale della crescita 2015 [1], è fondamentale intervenire simultaneamente per rilanciare gli investimenti, operare riforme strutturali e garantire la responsabilità di bilancio per ripristinare l’occupazione e la crescita. Al contempo, l’analisi ha posto chiaramente l’accento sulla dimensione sociale di tali politiche e sulla necessità di modernizzare i sistemi di protezione sociale per far fronte in maniera più efficace ed efficiente alle esigenze sociali. Questo consentirebbe di combattere la povertà e di rafforzare i sistemi d’istruzione e di formazione, migliorando così le competenze e le capacità delle persone e consentendo loro di affrontare i rischi e svolgere appieno il loro ruolo nell’economia e nella società. In tale contesto, il semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche ha fornito orientamenti specifici per paese mentre i fondi strutturali e di investimento europei finanziano un’ampia gamma di misure che riguardano tra l’altro l’occupazione, l’istruzione e la formazione, l’alloggio e la sanità. Inoltre, le iniziative che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione sono verificate per accertarne la conformità alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che include una serie di diritti sociali e del lavoro.

Sebbene l’UE non abbia aderito [2]] alla Carta sociale europea del Consiglio d’Europa, la Commissione ricorda che il trattato [3] fa riferimento a tale strumento e che, in generale, vi è una convergenza tra quest’ultimo e il diritto dell’UE. Analogamente, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea fa riferimento alla Carta sociale europea.

1 COM(2014) 902 final.

2 Cfr. COM(2014) 910 final.

3 Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.