Intervento in Commissione LIBE sulla pena di morte

Bruxelles, 7 maggio 2015. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione LIBE (Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni) sulla Pena di morte (dichiarazioni del Premier ungherese Viktor Orbán)

Non ho molto da aggiungere a quanto è stato detto in questa Commissione da chi ha espresso dispiacere e vergogna per le dichiarazioni del Premier Viktor Orbán. Dichiarazioni ritirate, a seguito della reazione negativa della Commissione europea e dell’Unione. Quello che vorrei dire, innanzitutto, è che non si tratta solo di una questione di “valori”. È vero, infatti, quello che alcuni in questa Commissione ha fatto notare: chi decide i valori? chi detta l’ “agenda” in materia etica? Il vero problema concerne non tanto i “valori”, ma i diritti, le Carte su cui è costruita l’Unione Europea, le convenzioni internazionali cui essa aderisce.

Chi non aderisce alla Convenzione dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa e dunque all’abolizione della pena di morte, per esempio, ha uno statuto di osservatore, non di Paese membro; anche se magari si chiama democrazia, come gli Stati Uniti, ma attua ancora la pena capitale.

La dichiarazione di Orbán, e questa specie di “diritto di discussione” che si arroga, è parte di una banalizzazione del tema della pena di morte e del tema dell’intolleranza che va molto oltre il caso ungherese. Se è andato tanto oltre vuol dire che la Commissione europea, che gli organi comuni dell’Unione, hanno lasciato che tale banalizzazione crescesse. Voglio qui ricordare che prima di Orbán, si sono espressi in favore della pena di morte non solo personalità dell’opposizione come Marine Le Pen, o il padre di Marine Le Pen. Nel 2006 il presidente della Polonia Lech Kaczynski ha detto esattamente le stesse cose di Orbán; la Lega, partito di estrema destra in Italia, le ha dette più volte quando era al governo, e ancora di recente il Vice-Presidente del Senato Calderoli, della Lega, le ha ripetute.

A mio parere, la banalizzazione di questo tema è rafforzata dal clima che si è creato attorno alla paura del terrorismo, alla paura del migrante. E qui vorrei, soffermandomi sul questionario inviato dal governo Orbán ai cittadini ungheresi, citare solo alcuni articoli che esso contiene. In particolare l’articolo 5 dove, in maniera manipolatrice, si fa capire che il migrante mette in pericolo non solo l’occupazione, ma il “modo di vivere” del popolo ungherese; l’articolo 7, in cui si denuncia – altra manipolazione – la politica “permissiva” di Bruxelles; e soprattutto l’articolo 12, in cui si chiede ai cittadini ungheresi se non preferiscano sostenere le famiglie ungheresi e la nascita di bambini ungheresi piuttosto che le famiglie e i bambini degli immigrati. Vi prego tutti di leggere l’articolo 12. Grazie.