Radicalizzazione violenta: i rischi della politica della paura

Perché ho raccomandato di votare contro la Relazione sulla prevenzione della radicalizzazione

(relatrice Rachida Dati, PPE – relatore ombra per il GUE-NGL: Barbara Spinelli)

Non è stata una decisione semplice. Dopo mesi di discussione tra la relatrice e i rappresentanti “ombra” degli altri gruppi politici, ho deciso di dare al mio gruppo un’indicazione di voto contrario. Nonostante i negoziati si siano svolti nel rispetto delle reciproche posizioni, e una serie di nostri emendamenti non irrilevanti sia stata accolta nella Commissione Libertà pubbliche e nell’Assemblea plenaria, il risultato finale ha risentito in maniera a mio parere affrettata degli attentati parigini del 13 novembre: il gruppo politico PPE nel suo insieme ha accentuato negli ultimi giorni la natura repressiva del rapporto e ulteriori misure anti-terrorismo sono state adottate, senza che ancora siano valutate la necessaria proporzionalità nonché la necessità legale. La politica della paura, sotto molti aspetti, ha prevalso nella maggioranza dei gruppi, pur creando importanti divisioni nel gruppo socialista, in quello dei Verdi, e perfino nel GUE-NGL.

Inizialmente avevamo presentato 95 emendamenti, la maggior parte dei quali basati su rapporti e raccomandazioni di 13 ONG [1], che mi sono state vicine con consigli molto circostanziati sino al momento del voto. Un certo numero di tali proposte era già stato incorporato nella risoluzione sotto forma di emendamenti di compromesso o durante il voto in Commissione Libertà pubbliche. Mi riferisco in particolare agli emendamenti sul ruolo delle scuole e in genere dell’educazione nella prevenzione della radicalizzazione violenta (promozione di corsi sulla tolleranza e diritti umani), sugli indispensabili investimenti in progetti sociali volti a superare l’emarginazione economica e geografica, sulla domanda rivolta agli Stati membri di attuare diligentemente gli strumenti anti-discriminazione dell’UE e di adottare misure efficaci per affrontare la discriminazione, l’incitamento all’odio e i reati di odio nel quadro della strategia di lotta alla radicalizzazione violenta.

Altri nostri emendamenti sono stati adottati durante il voto in plenaria, e questo migliora la risoluzione. In particolare, è inaspettatamente passato un mio emendamento che fa risalire l’estendersi in Europa dell’islamofobia a “anni di guerra contro il terrorismo”, soffermandosi sulle argomentazioni sfruttate in questo quadro dagli estremisti violenti per reclutare i giovani e biasimando il fatto che “l’Europa non sia più un luogo in cui i musulmani sono benvenuti o possono vivere in condizioni di parità e praticare la loro fede senza essere discriminati e stigmatizzati”. Così come è stato approvato un nostro emendamento, nel quale si esprime cordoglio e solidarietà con le vittime degli attentati di Parigi e con le loro famiglie, condannando al tempo stesso l’uso di stereotipi, di parole e di pratiche xenofobe e razziste: uso che tende a collegare gli attacchi terroristici alla questione rifugiati. Nella stessa direzione va un emendamento – anch’esso approvato – in cui ricordiamo che l’aumento dell’islamofobia nell’Unione europea contribuisce all’esclusione sociale dei musulmani e raccomandiamo dunque l’approvazione di un quadro europeo per l’adozione di strategie nazionali intese a combattere l’islamofobia, anche allo scopo di lottare contro la discriminazione che ostacola l’accesso all’istruzione, all’occupazione e all’alloggio. Infine, un emendamento GUE sancisce che combattere il traffico di armi deve essere una priorità dell’UE nella lotta contro le forme gravi e organizzate di criminalità internazionale. Ulteriore punto adottato: il potenziamento della cooperazione nell’ambito dei meccanismi di scambio di informazioni, nonché della tracciabilità e distruzione delle armi proibite.

Restano i punti negativi. Il GUE-NGL è contrario da tempo all’introduzione della Direttiva PNR (soprattutto se estesa ai voli interni all’Unione, come richiesto nella risoluzione): si tratta di una misura che il Garante europeo per la protezione dei dati e altre importanti autorità hanno definito non necessaria né proporzionata. Allo stesso modo, concordiamo con l’analisi effettuata da European Digital Rights (EDRI) secondo cui gli standard di crittografia non dovevano essere arbitrariamente indeboliti, come di fatto lo sono nel rapporto approvato dal Parlamento, perché ciò rischia di avere effetti negativi sulla privacy di persone innocenti.

Riteniamo inoltre che la risoluzione criminalizzi le compagnie internet, obbligandole a una sistematica cooperazione con gli Stati e mettendole praticamente sotto la loro tutela. È un messaggio assai pericoloso che per questa via viene trasmesso a regimi autoritari nel mondo, tanto più che di tale misura si chiede l’applicazione perfino per quanto concerne materiale considerato legale.

Anche se di per sé non sono affatto contraria ai controlli alle frontiere, ritengo tuttavia – come si affermava in un emendamento presentato dal gruppo S&D sfortunatamente rigettato – che gli Stati Membri “debbano astenersi dal ricorrere a misure di controllo alle frontiere finalizzate alla lotta contro il terrorismo e all’arresto di individui sospettati di terrorismo, con lo scopo di esercitare un controllo dell’immigrazione“. Più precisamente, l’emendamento manifestava estrema preoccupazione “per le misure adottate da alcuni governi dell’UE, volte a introdurre ulteriori controlli alle frontiere onde impedire l’ingresso nell’Unione di rifugiati e migranti, con il rischio che tali misure siano basate sull’arbitrarietà e su un ‘profiling’ razziale o etnico del tutto contrario ai principi dell’UE, e che viola inoltre gli obblighi internazionali degli Stati membri in materia di diritti umani“.

Al pari dell’European Network Against Racism (ENAR), quel che temo è che una serie di proposte contenute nella relazione possa mettere a repentaglio alcuni diritti fondamentali nell’UE, soprattutto nei confronti dei rifugiati e delle persone di fede musulmana o delle persone percepite come tali, esplicitamente confusi gli uni con le altre.

Particolarmente grave mi è parso il rifiuto di un nostro emendamento specifico contro la vendita di armi a paesi della Lega Araba come Arabia Saudita, Egitto e Marocco, e contro la collusione politica con Paesi terzi a guida dittatoriale. Nonostante il voto a maggioranza espresso sul legame fra l’estendersi dell’islamofobia e gli “anni di guerra contro il terrorismo”, un emendamento GUE più preciso in materia è stato respinto: quello che criticava il ruolo esercitato dagli interventi militari dell’Occidente in Afghanistan, Medio Oriente e paesi dell’Africa del Nord nelle esperienze individuali di radicalizzazione violenta.

Per quanto riguarda la politica interna, è stato rifiutato un nostro emendamento che raccomandava, con terminologia più dettagliata, interventi di risanamento nelle periferie urbane d’Europa.

Per finire, è stato rigettato uno dei nostri emendamenti che consideravamo fondamentale: il rifiuto della “falsa dicotomia tra sicurezza e libertà”. In ogni democrazia il rifiuto di tale dicotomia dovrebbe essere un concetto ovvio. Non lo è più di questi tempi, dominati più dalla paura e dalla collera che dalla ragione e dalla rule of law.

 

[1] Tra cui Amnesty International, Statewatch, European Digital Rights (EDRI), European Network Against Racism (ENAR), Forum of European Muslim Youth and Student Organisations (FEMYSO), A Jewish Contribution to an Inclusive Europe (CEJI).


Si veda anche:

Versione finale del rapporto Dati  (qui il testo inglese):

Terrorismo: non imitare Tony Blair

Statement by GUE/NGL MEP Barbara Spinelli on the prevention of radicalisation report vote

Barbara Spinelli. Radicalizzazione violenta: i rischi della politica della paura

Statement by GUE/NGL MEP Barbara Spinelli on the prevention of radicalisation report vote

Barbara Spinelli, GUE/NGL shadow on the report, states: “It wasn’t an easy decision. After many months discussing the Parliament’s Initiative report on the prevention of radicalisation I decided to recommend a negative vote to my group. Although negotiations with the rapporteurs and the ‘shadows’ went rather well, and a number of our amendments were taken on board at Committee and plenary level, we believe we cannot fall prey to a policy of fear – after the terrorist attacks in Paris –  and adopt further counter-terrorism measures before assessing their proportionality and their legal necessity.”

“Indeed, we stand against the introduction of a PNR Directive (especially if extended to internal EU flights): a measure which the European Data Protection Supervisor and other important authorities have declared as neither necessary nor proportionate. Likewise, we agree with European Digital Rights’ (EDRI) assessment that encryption standards should not be arbitrarily undermined, as this would have a negative effect on innocent people’s privacy.

“We also believe that calling for the criminalisation of internet companies is a very dangerous message for regimes in the world, even more if it becomes possible on material that could be deemed legal.

Although we are not per se against border controls, we believe, as stated in an S&D amendment unfortunately rejected, that Member States must ‘refrain from using border control measures aimed at fighting terrorism and stopping the travel of suspected terrorists for immigration control purposes’: as was written in the amendment, we are ‘extremely worried by the measures taken by some governments in the EU to introduce additional border controls in order to prevent the entry into the EU of refugees and migrants, with the risk of such measures being based on arbitrariness and racial or ethnic profiling, which is totally contrary to EU principles and values, in addition to contravening Member States’ international human rights obligations’. Like the European Network Against Racism (ENAR), we are concerned that a number of proposals in the report may endanger fundamental rights in the EU, particularly for Muslims, refugees and people perceived as such.

“Moreover, one of our fundamental amendments has been rejected: the refusal of ‘the false dichotomy of security versus freedom’. In any democracy it’s an obviousness. It stops being evident in these times, dominated more by fear and anger than by reason and rule of law.”


Si veda anche:

Terrorismo: non imitare Tony Blair

Terrorismo: non imitare Tony Blair

Strasburgo, 24 novembre 2015

Dibattito in plenaria sul rapporto di Rachida Dati (Ppe) su “Prevenzione della radicalizzazione e del reclutamento di cittadini europei da parte di organizzazioni terroristiche”.

Intervento di Barbara Spinelli

Ringrazio Rachida Dati, che ha saputo spesso ascoltare voci diverse dalla sua. Gli attentati di Parigi hanno tuttavia inasprito le differenze tra noi: le accuse che in quest’emiciclo ha lanciato al gruppo socialista sono un brutto segno.

È essenziale garantire sicurezza ai cittadini, è vero. Ma c’è anche la sicurezza da interventi abusivi dello Stato. Il dopo 11 settembre negli USA è una lezione da non imitare. Il terrorismo va combattuto con la rule of law. Mai dovremo imitare Blair, che su torture ed extraordinary renditions disse nel 2003: “Le regole del gioco sono cambiate”.

Cosa spinge tanti giovani ad arruolarsi nell’Isis? Tre motivi, non sufficientemente approfonditi nel rapporto:

Le guerre anti-terroriste: gran parte dei foreign fighters appartiene a quella che è chiamata generazione della guerra anti-terrore. Guerra che ha seminato caos, creato l’Isis, rovinato la reputazione delle democrazie. Non possiamo riempire di armi Arabia Saudita o Qatar, principali finanziatori del terrorismo.

Le banlieue: nessun investimento è stato fatto per ridurre la ghettizzazione di chi le abita. Fu tragica la scelta di Sarkozy di togliere fondi a polizia di prossimità e associazioni locali.

Internet e prigioni, dove più si recluta. Accrescere il controllo dello Stato su internet non serve, ed è pericoloso applicare ciecamente la segregazione nelle carceri. Né serve sigillare ancor più tutte le frontiere, minacciando ancor più la vita dei profughi.

Ue-Grecia: un Eurogruppo fuori legge

Bruxelles, 15 luglio 20115. Interventi di Barbara Spinelli, nel ruolo di Presidente di Commissione, in occasione della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali.

Punto in Agenda: Migliorare il funzionamento dell’Unione Europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona
• Scambio di opinioni
• Presentazione a cura di Markku Markkula, presidente del Comitato delle regioni, relativa alla risoluzione sul tema “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea: il trattato di Lisbona e oltre”
Co-relatori: Elmar Brok (PPE – Germania), Mercedes Bresso (S&D – Italia)
Relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

Intervento fatto prima dell’apertura della discussione

Prima di ascoltare il Dott. Markkula, che ci presenterà le opinioni del Comitato delle Regioni, vorrei dirvi una mia opinione sul tema in discussione: ossia come migliorare il funzionamento dell’Unione a trattato costante. In realtà la mia è una domanda che rivolgo a tutti voi e anche a me stessa. Tra il giorno in cui sono stati presentati i due Rapporti di iniziativa – sulle potenzialità del presente Trattato, e sulla sua modifica – e la giornata di oggi, c’è stata una notte che ritengo cruciale nella storia dell’Unione: la notte di domenica scorsa, con le decisioni prese sulle condizioni della permanenza della Grecia nell’eurozona. È stata una notte disastrosa da molti punti di vista: per la Grecia, spinta ad accentuare un’austerità che il suo popolo, già immensamente impoverito, aveva a grande maggioranza respinto, ma anche per l’Unione europea e il suo futuro.
Quello che vi domando, è di dire con tutta sincerità se ritenete possibile mantenere quest’agenda e i due rapporti come se nulla fosse accaduto. Se sia possibile parlare di “potenzialità” dei Trattati, o di cooperazioni rafforzate, dopo un Consiglio europeo che da molti è stato interpretato non solo come umiliazione di una sovranità popolare che si era appena espressa, ma del progetto di un’Europa unita e solidale cui molti di noi aspirano.
Il pericolo consiste nel parlare dell’Europa di altri tempi, non dell’Europa vera e attuale che sotto i nostri occhi rischia di disgregarsi. Che si dia l’immagine di una Commissione parlamentare sostanzialmente indifferente alla natura dirompente di quello che è successo. Che il nostro sia una sorta di parlatoio, più che una Commissione che ha l’ambizione di pensare la democrazia costituzionale dell’Unione e la stessa rule of law su cui essa dovrebbe fondarsi.
Quello che chiedo alla nostra Commissione – e in particolare ai co-relatori del rapporto sui Trattati – è di fermarsi e riflettere. Io non ho una soluzione in tasca, ma domando a tutti noi di mettere in campo un’ambizione forte, sull’Unione che vogliamo. Un’Unione che sia diversa da quella esistente, se non vogliamo che la sua immagine presso i cittadini si degradi ancora di più.
Grazie.

Punto in Agenda: Presidenza del Consiglio
• Scambio di opinioni con Nicolas Schmit, Presidente del Consiglio dell’Unione europea
• Presentazione del programma della Presidenza lussemburghese

La domanda che vorrei porre al Ministro Schmit riguarda, in particolare, la crisi che stiamo attraversando a seguito dell’accordo con la Grecia. Vorrei sottolineare l’assenza, sempre più evidente, del metodo comunitario nelle decisioni dell’Unione e la necessità che si torni a far ricorso a esso, come sottolineato dai deputati Goulard, Castaldo, e – per il mio gruppo – Scholz.
Mi vorrei concentrare su una domanda specifica, che le rivolgo. Se non sia necessario riflettere sulla natura sorprendentemente anomala dell’Eurogruppo, che ho osservato con attenzione nel corso di tutto il negoziato che c’è stato negli ultimi mesi con Atene.
Più volte è successo che per ragioni mai chiarite il Ministro greco venisse escluso dalle riunioni – mi sto riferendo ovviamente all’ex Ministro Varoufakis. Quest’ultimo, interpellando a tale proposito funzionari dell’Eurogruppo, si è sentito rispondere da un avvocato dei servizi giuridici le seguenti parole, che vorrei citare testualmente: “l’Eurogruppo non esiste per la legge, non esiste alcun trattato che l’abbia istituito”.
In altre parole: siamo di fronte a un’istituzione – l’Eurogruppo per l’appunto – che non risponde a nessuno, che agisce in totale segretezza – non tenendo neppure i minutes delle proprie riunioni – e senza, ovviamente, informare di alcunché i cittadini.
Posso solo constatare che ormai ci troviamo al di fuori non soltanto del metodo comunitario, ma della stessa rule of law per quanto attiene alla gestione dell’Eurozona.
Grazie Ministro.