Hotspot in Italia – galleggianti e non

di sabato, Giugno 18, 2016 0 , , , , Permalink

Bruxelles, 16 giugno 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).

Punto in agenda: Attuazione dell’approccio basato sui “punti di crisi” in Italia

  • Presentazione a cura di Olivier Onidi, vicedirettore generale per la migrazione e l’Asilo, DG HOME, Commissione europea

Nel corso della discussione è intervenuta anche Sophie Magennis, capo dell’unità di supporto politico e giuridico dell’ufficio UNHCR per l’Europea, Bruxelles

Ringrazio il dottor Onidi per la sua presentazione. Le domande che vorrei fare sono due:

Per prima cosa vorrei chiedere, sia a lui sia al rappresentante dell’UNHCR, se non esista il rischio che gli hotspot diventino in qualche modo centri di detenzione. Una denuncia molto chiara in questo senso è venuta dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), concernente la Grecia e gli accordi tra Unione europea e Turchia. Un rischio simile esiste anche Italia.

Il secondo punto su cui mi piacerebbe avere una risposta riguarda gli hotspot galleggianti in mare. Sono contenta delle indicazioni che vengono dalla Commissione, circa la forte limitazione dei compiti che avranno gli eventuali hotspot galleggianti, ma mi domando se anche i compiti che lei ha indicato, per esempio la pre-identificazione di migranti e rifugiati, non siano eccessivi e non vadano nella direzione, esclusiva, di accelerare i rimpatri.

Vorrei ricordare che esistono due sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo contro l’Italia, per l’uso che può essere fatto delle navi su cui vengono trattenuti i migranti (sentenza Hirsi Jamaa, 23 febbraio 2012, sentenza Khlaifia, 1 settembre 2015), e ricordare che solo sulla terraferma i migranti possono essere assistiti nelle loro lingue e fruire del diritto alla difesa. Tutte queste mansioni, anche se si tratta solo di pre-identificazione, sono difficili se non impossibili negli hotspot galleggianti.

Si veda anche:

Comunicato ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) del 19 maggio 2016: È illegittimo qualsiasi hotspot per identificare i migranti in mare

Versione inglese su Statewatch del 9 giugno 2016: Any hotspot to identify migrants at sea is illegal

I piani 2.0 di Renzi e Orbán e la nuova proposta della Commissione

Strasburgo, 7 giugno 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL –

Accordo Renzi-Orbán su “Migration Compact”

Dibattito straordinario sulla nuova proposta della Commissione

Trascrizione

Il piano della Commissione nasce da una fusione molto singolare e poco rassicurante tra due programmi, ambedue esibiti con il moderno, allettante attributo di 2.0: uno del Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi,  l’altro del Presidente ungherese Viktor Orbán. Il primo si chiama “Migration Compact 2.0” , il secondo “Schengen 2.0”. Grosso modo dicono la stessa cosa, specie sui punti concernenti il controllo delle frontiere, il rimpatrio dei rifugiati nei Paesi d’origine o di transito, l’esternalizzazione delle politiche d’asilo.

Il modello cui ambedue si ispirano è l’accordo sottoscritto tra Unione Europea e Turchia, che, come abbiamo avuto modo di constatare nuovamente oggi nel corso della discussione tenutasi in sessione plenaria, la Commissione considera non solo un ottimo esempio, ma, soprattutto, un esempio di grande successo. Sia l’Alto Rappresentante Federica Mogherini che il Vice Presidente Timmermans l’hanno presentato come uno strumento che ha permesso di ridurre drasticamente i morti in mare, nonché di “smantellare il modello degli smuggler”. Una controverità, visto che si continua a morire in mare: non più nell’Egeo ma di certo nel Mediterraneo centrale.

A mio avviso, un’ulteriore ispirazione è il modello australiano di gestione dei migranti e rifugiati. Penso alla proposta di hotspot galleggianti, e all’esternalizzazione sistematica della politica di asilo.

Cosa propone il Migration Compact della Commissione? Riproducendo per l’appunto l’esperienza che si sta facendo con la Turchia, prospetta una serie di accordi di rimpatrio con 16 Paesi africani, cui si promettono vasti aiuti allo sviluppo e cooperazione. Un’iniziativa che sarebbe senz’altro positiva, se non fosse per due aspetti altamente pericolosi. Primo, gli aiuti vengono offerti a Paesi evidentemente dittatoriali o altamente instabili, come l’Eritrea, il Sudan o la Libia. Secondo, sono fondati su uno scambio indecente. Cooperazione economica e aiuto allo sviluppo cambiano infatti natura e diventano una sorta di “regalo”, dato in cambio di quella che viene esplicitata dall’Unione come priorità europea assoluta: il controllo delle frontiere e il blocco di chiunque voglia fuggire da quei paesi in direzione del nostro continente. I rifugiati già oggi sono maggioritariamente concentrati in Africa: che non si azzardino ad avvicinarsi all’Europa! Per questo gli accordi hanno aspetti vergognosi, essendo lesivi di diritti fondamentali come il diritto a lasciare i proprio paese e a sottoporre in Europa o altrove le proprie richieste di asilo.

Per concludere, vorrei sollevare alcune questioni che si pongono per il nostro gruppo. A mio avviso, dobbiamo avversare tale piano e continuare le battaglie critiche che da tempo stiamo conducendo contro accordi di questa natura (i cosiddetti processi di Rabat e di Khartoum).

Emerge inoltre un problema di narrativa – è la parola usata oggi da Federica Mogherini  – che è apparso con tutta evidenza nel corso della sessione odierna della plenaria. Quando ho fatto presente che comunque continuiamo ad assistere a naufragi e morti in mare (1000 nel solo mese di maggio), l’Alto Rappresentante ha replicato che non sono più i siriani a morire: cosa che non avevo affatto affermato nel mio intervento. Strana risposta: come se i morti eritrei o afghani o di altri Paesi avessero d’improvviso meno dignità. Sono paradossi, questi, che dobbiamo sempre evidenziare.

La questione della narrativa si pone, inoltre, sul tema dell’aiuto allo sviluppo. In quanto gruppo, tendiamo ormai essere presentati come contrari agli aiuti allo sviluppo, mentre ci siamo sempre dichiarati favorevoli ad essi. Si tratta dunque di spiegare esattamente quel che vogliamo: un diverso modello di aiuto allo sviluppo, che non sia ricattatorio e in cui i Fondi europei per la Cooperazione non vengano sviati verso la gestione e il controllo delle frontiere. E’ oltretutto un modello che va rivisto radicalmente, perché nei decenni ha profondamente distrutto le economie di molti Paesi africani: ha intensificato forme di sfruttamento, a cominciare dai danni inflitti dal crescente accaparramento delle terre africane (land grabbing) da parte delle imprese occidentali.

Si veda anche:

Quanto c’è di marcio nel Migration compact 2.0 di Renzi

La versione inglese dell’articolo è apparsa su openDemocracy: Something rotten in the Migration Compact 2.0 of Matteo Renzi?

Il Governo italiano pensa di avere le mani pulite come Lady Macbeth

COMUNICATO STAMPA

Strasburgo, 7 giugno 2016

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha preso la parola durante la seduta plenaria del Parlamento europeo che si è tenuta questo pomeriggio a Strasburgo, a seguito delle comunicazioni della Commissione “Sull’attuazione degli aspetti esterni dell’agenda europea sulla migrazione: verso un nuovo Migration compact”, fatte dal vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans e dall’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione Federica Mogherini.

«Nel Migration compact citate ben sei volte i diritti fondamentali», ha detto Barbara Spinelli, «ma l’intera vostra proposta li contraddice, li mischia a controverità, è espulsione mal mascherata.

Dite che l’accordo con la Turchia ha salvato vite, ma i morti semplicemente si spostano: sono mille, a maggio, nel Mediterraneo centrale. Dite che bisogna aiutare i fuggitivi nei loro Paesi, annunciate piani di aiuto a sedici Paesi africani, ma condizionate ogni cooperazione economica ai rimpatri e al controllo delle frontiere. L’aiuto promesso è un diktat: o relegate i profughi in vostri campi-prigioni, o niente aiuti! Chi subisce guerre non lasci la Siria, lo Yemen, la Libia, l’Afghanistan. Non si azzardi più a fuggire le dittature in Sudan, Eritrea: Stati cui l’Unione prospetta accordi munifici come quello con la Turchia».

«Voi dite: i fuggitivi devono divenire “più resilienti, autosufficienti”, restando nei paesi d’origine o di transito. Mi chiedo se sappiate di cosa parlate, quando psicologizzate  sfacciatamente sulla resilienza.

Chi ha inventato tutto questo – e accuso il governo italiano in primis – pensa di avere le mani pulite e il cuore bianco, come Lady Macbeth prima di accorgersi di quel che ha fatto. Le ha sporche di violazioni sistematiche del diritto internazionale, e di un accordo vergognoso con la Turchia. Signor Timmermans, Signora Mogherini: state facendo già ora le politiche chieste in Europa dalle destre più estreme».

 

Quanto c’è di marcio nel Migration compact 2.0 di Renzi

Articolo di Barbara Spinelli pubblicato su «Il Fatto Quotidiano» del 6 giugno 2016

Solo in apparenza e per opportunismo le istituzioni europee e i governi degli Stati membri sono preoccupati dalle estreme destre che crescono in tutta l’Ue e in alcuni casi già governano. Si dicono allarmati dalla loro chiusura verso immigrati e rifugiati, dalla xenofobia. La verità è diversa e ci vuole poco per accorgersene. Da fine 2015 le politiche d’immigrazione comunitarie e nazionali incorporano ed emulano le linee difese dalle destre estreme.

Gli slogan di Salvini e Le Pen – “aiutiamoli a casa loro”, “respingiamoli in massa”, senza minimamente curarsi delle ragioni delle fughe (guerre, fame, siccità) – non sono più loro esclusive parole d’ordine. Sono ormai l’ossatura della politica comunitaria. Il governo austriaco che chiudeva le frontiere (e che oggi propone di relegare i rifugiati nelle isole greche, seguendo l’esempio australiano) obbediva già agli slogan del partito di Norbert Hofer. Il Migration compact 2.0 di Renzi, approvato dalle istituzioni europee, dice esattamente questo: aiutiamoli a casa loro, in Africa soprattutto, visto che da lì parte il maggior numero di richiedenti asilo o migranti. Il modello da imitare è quello dell’accordo Ue-Turchia stipulato il 7 marzo, che garantisce sovvenzioni dirette di 6 miliardi di euro. L’accordo (ma viene chiamato statement, dichiarazione, per aggirare l’approvazione che il Parlamento europeo deve dare ai Trattati) è giudicato pericoloso e potenzialmente illegale da tutte le maggiori ong: perché i rimpatri forzati e per gruppi etnici verso la Turchia violano la Convenzione di Ginevra e la Carta europea dei diritti fondamentali (divieto di respingimento), secondo cui ogni domanda d’asilo deve essere esaminata individualmente, non secondo l’appartenenza a una collettività. Perché la Turchia respinge una notevole parte dei rimpatriati nelle stesse zone di guerra da cui erano fuggiti (Siria), non esitando a sparare sui fuggitivi siriani che vorrebbero scappare in Turchia. Perché la Turchia ha sì ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, ma con precise limitazioni geografiche: Ankara non si assume obblighi verso profughi non europei. Non ha ratificato il Protocollo di New York del ’67 che ha rimosso gli originari limiti che definivano rifugiati solo i profughi europei sfollati per eventi antecedenti il ’51. In altre parole, quello di Erdogan non è uno “Stato sicuro”. L’intesa comunque porrebbe naufragare, visto che Ankara non ha ottenuto la liberalizzazione dei visti per i connazionali.

Nonostante ciò, l’accordo è presentato come eccellente. È anzi il prototipo degli accordi con una serie di Stati africani suggeriti nel Migration Compact 2.0 come soluzione ottimale della questione rifugiati. Ecco i 4 principali obiettivi del piano:

1) Aiuti allo sviluppo e cooperazione economica vanno massicciamente rilanciati, ma in stretta e assai contestabile connessione con il management delle frontiere, con la gestione dei rifugiati e, molto genericamente, con le questioni di sicurezza. Mettere tutto ciò sullo stesso piano è contestabile dal punto di vista del diritto internazionale.

2) Priorità deve essere data a 17 “partner strategici”: Algeria, Egitto, Eritrea, Etiopia, Costa d’Avorio, Gambia, Ghana, Guinea, Libia, Mali, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Tunisia. Nessuna preoccupazione sfiora gli estensori circa il non rispetto dei diritti fondamentali e dell’obbligo di non-respingimento in paesi come Eritrea, Sudan, Libia, Mali, Etiopia e Somalia.

3) Fin dal Consiglio europeo del 28-29 giugno, sarà proposto un “piano straordinario”, che prevede accordi con 7 “Paesi-pilota”: 4 Paesi d’origine (Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria, Senegal), 2 di transito (Niger, Sudan), e uno di transito e origine (Etiopia). Qui si sperimenterà il nuovo volto dell’aiuto allo sviluppo: investimenti in progetti sociali e in infrastrutture, condizionati a “precise obbligazioni” nella cooperazione sulla sicurezza militar-poliziesca e il contenimento dei flussi migratori, economici o politici che siano.

4) Il finanziamento: si parla di una sorta di Piano Juncker per l’Africa, come se il Piano per l’Unione avesse funzionato: il bilancio Ue metterebbe a disposizione 4,5 miliardi, che dovrebbero servire da leva per investimenti privati o pubblici pari a 60 miliardi.

Fin qui i punti chiave del piano che il governo italiano difende da tempo, e che la Commissione e i partner europei (Ungheria in testa) mostrano di apprezzare. Questa involuzione dell’Unione ha ormai una storia. La svolta avvenne il 4 marzo 2015, quando il commissario all’immigrazione Avramopoulos ruppe il tabù, in una conferenza stampa: “Dobbiamo cooperare con i regimi dittatoriali nella lotta allo smuggling” di migranti e rifugiati.

Segue un’escalation di momenti di verità della governance europea. Il culmine è raggiunto il 25 gennaio dalle parole che il segretario di Stato belga all’immigrazione Théo Francken avrebbe rivolto all’omologo greco Ioannis Mouzalas, secondo quanto riferito da quest’ultimo alla Bbc: in un Consiglio informale dei ministri dell’Interno e della Giustizia, ad Amsterdam, il belga gli avrebbe consigliato: “Respingeteli o affondateli” (“push back migrants, even if that means drowning them”). Il ministro belga ha smentito, ma Mouzalas ha ripetutamente confermato.

A questo si aggiungano le dichiarazioni ufficiali del massimo rappresentante del Consiglio europeo, il presidente Donald Tusk. Ne elenchiamo alcune:

13 ottobre 2015, lettera ai colleghi del Consiglio europeo. C’è un’apertura alla Turchia (compreso l’appoggio a “zone sicure” in Siria) e una messa in guardia contro le frontiere aperte: “La facilità con cui è possibile entrare in Europa è il principale pull factor per i migranti”. Nessun accenno alla fuga per ben altri motivi: guerre attizzate o acuite dagli occidentali, dittature cruente, respingimenti in massa di eritrei operati dal Sudan, disastri ambientali e fame in gran parte provocati da investimenti e accaparramenti di terre (land grabbing) da parte di imprese occidentali.

22 ottobre 2015, intervento al Congresso di Madrid del Partito popolare europeo: “Non possiamo continuare a pretendere che la gran marea di migranti sia ciò che vogliamo, e che stiamo perseguendo una politica di frontiere aperte”.

3 marzo 2016, appello ufficiale “ai migranti potenzialmente illegali”: “Non venite in Europa. Non credete agli smuggler. Non rischiate le vostre vite e il vostro denaro. Non servirà a nulla!”. Ricordiamo che la stessa identica frase (“It’s all for nothing!”) fu detta nel 2014 dal governo australiano, uno degli Stati più criticati per la politica dei rifugiati.

Il Migration compact 2.0, unito a simili proposte dell’ungherese Orbán, è una tappa di questa escalation. Pochi giorni fa, alla vigilia del G7 in Giappone, il capo gabinetto di Jean-Claude Juncker, Martin Selmayr, ha twittato: “Un G7 con Trump, Le Pen, Boris Johnson, Beppe Grillo? Uno scenario dell’orrore che mostra perché è importante combattere il populismo. Con Juncker”. Mettere sullo stesso piano quei quattro nomi è una truffa, sicuramente apprezzata da Renzi alla vigilia delle amministrative e cinque mesi prima del referendum costituzionale. Ma più fondamentalmente resta la domanda: se è importante combattere Le Pen e l’estrema destra, perché adottare precisamente le sue politiche, con direttive, accordi e il Migration compact di Renzi?


Si veda anche:

EU considering working with Sudan and Eritrea to stem migration, «The Guardian», Monday 6 June 2016

 

Turchia: contro la liberalizzazione dei visti oggi

Strasburgo, 9 maggio 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione straordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).

Punto in agenda: Terza relazione sui progressi compiuti dalla Turchia per soddisfare i requisiti della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti – Esposizione della Commissione

Grazie Presidente.

Vorrei innanzitutto ricordare che venerdì scorso il Presidente Erdoğan ha detto che non ha alcuna intenzione di cambiare le leggi antiterrorismo – come richiesto dalla Commissione UE –  in cambio di una liberalizzazione dei visti. I giornalisti dissidenti, i militanti curdi, gli accademici che criticano il governo continueranno perciò a essere considerati terroristi.

Sul tema in esame, vorrei chiedere alla Signora Marta Cygan, qui presente in rappresentanza della Commissione, se ci può indicare nello specifico cosa succederà se alcuni “benchmark” essenziali – cioè i requisiti più importanti della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti – non verranno soddisfatti, visto che al momento non lo sono . Chiedo inoltre alla Commissione, come forma di rispetto nei confronti di questo Parlamento, di mettere nero su bianco e illustrarci in modo chiaro e nella massima trasparenza, come sono rispettati, o non sono rispettati, tutti i 72 benchmark posti al governo turco, considerando che sino ad ora le parole pronunciate dalla Commissione a proposito della Turchia hanno lasciato molto a desiderare. Vorrei ricordare che, appena pochi giorni fa, il Commissario Timmermans ha affermato – e cito testualmente – che “i progressi fatti dalla Turchia sono impressionanti”. Quanto al trattamento dei rifugiati, vorrei richiamare qui una frase del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, pronunciata il 23 aprile scorso. Cito: “La Turchia è al momento il migliore esempio, per il mondo intero, di come dovrebbero essere trattati i rifugiati” (Today Turkey is the best example for the whole world on how we should treat refugees. No one has the right to lecture Turkey what you should do. I am very proud that we are partners). Sottolineo il passaggio cruciale: “Il migliore esempio per il mondo intero”. Chiedo quindi nuovamente alla Commissione e alle istituzioni UE di spiegarci i criteri con cui vengono valutati i 72 “benchmark”, e soprattutto di immergersi finalmente nella realtà, con le loro dichiarazioni e prese di posizione: cioè di guardare in faccia quello che sta realmente accadendo in Turchia.

Intervento in apertura dei lavori della Sessione plenaria di Strasburgo

Strasburgo, 9 maggio 2016. Intervento di Barbara Spinelli, per conto del Gruppo GUE/NGL in apertura dei lavori della Sessione Plenaria.

Punto in agenda: Ordine dei lavori – Richiesta del Gruppo GUE/NGL di introdurre nell’agenda dei lavori di mercoledì 11 maggio 2016 il seguente dibattito: “Progressi compiuti dalla Turchia per soddisfare i requisiti della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti (Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione)”.

La richiesta del Gruppo GUE/NGL è stata approvata dall’aula con 181 voti a favore, 92 contrari e 11 astensioni.

Chiedo a nome del mio Gruppo l’inserimento di un dibattito sui “Progressi compiuti dalla Turchia per soddisfare i requisiti della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visti” da tenersi mercoledì pomeriggio come terzo punto di discussione, posticipando la chiusura dei lavori alle 24:00. La Commissione proporrà tale liberalizzazione senza essersi assicurata che alcuni parametri fondamentali siano pienamente soddisfatti. Penso in modo prioritario a due requisiti: alla revisione delle leggi antiterrorismo e a progressi veri sulla questione di Cipro. Il dibattito è tanto più necessario dopo le dichiarazioni del Presidente Erdoğan di venerdì: “Ankara non ha alcuna intenzione di rivedere le leggi antiterrorismo in cambio delle liberalizzazione dei visti”. Ricordo che in Turchia sono oggi accusati e incarcerati per terrorismo giornalisti, accademici e politici per il solo fatto di aver criticato il regime. I viaggiatori turchi non devono certo pagare per le politiche del proprio governo, ma liberalizzare i visti oggi equivarrebbe a cedere a un ricatto formulato in maniera esplicita. Erdoğan, infatti, minaccia di bloccare l’accordo sui rimpatri dei rifugiati, se la liberalizzazione dei visti non passerà.

Le lacune di un rapporto sull’immigrazione senza condanna dell’accordo UE-Turchia

COMUNICATO STAMPA

Strasburgo, 12 aprile 2016

Il Parlamento ha votato il rapporto sulla “situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione” redatto dalle co-relatrici Roberta Metsola (PPE) e Kashetu Cecile Kyenge (S&D).

Secondo Barbara Spinelli, relatrice ombra per il Gruppo GUE/NGL, i negoziati sono stati difficili a causa del patto di ferro stretto tra Popolari e Socialisti, i due gruppi cui appartengono le co-relatrici. «Avevo inizialmente pensato di consigliare al mio gruppo il voto favorevole al rapporto, ritenendo rilevanti alcuni punti senz’altro positivi, come la richiesta di azioni umanitarie europee di ricerca e soccorso in mare, il mutuo riconoscimento delle decisioni nazionali di asilo e la protezione temporanea che contempla l’apertura di corridoi umanitari in cooperazione con l’UNHCR», ha dichiarato l’eurodeputata. «Da mesi, tuttavia, le politiche dell’Unione vanno in tutt’altra direzione e assistiamo a un degrado senza precedenti. Siamo di fronte a un accumulo di scelte, della Commissione e del Consiglio, che sanciscono al tempo stesso la chiusura delle frontiere come conditio sine qua non della sopravvivenza di Schengen, e un’indifferenza di natura criminosa  verso la sorte dei rifugiati. La più decisiva di queste scelte è l’accordo con la Turchia, accordo giudicato illegale dall’ONU e da molti esperti di diritto internazionale ed europeo».

In proposito Barbara Spinelli ha presentato – tra gli altri – tre emendamenti volti a criticare gli effetti dell’accordo UE-Turchia, che non sono passati a causa del voto negativo di parte del Partito socialista. Per questo l’eurodeputata del GUE/NGL ha consigliato al proprio gruppo politico l’astensione.

«Eravamo partiti con due ambizioni forti», ha detto in Plenaria, «darci una visione olistica del Mediterraneo e delle migliaia di morti in mare; capire che non siamo di fronte a una “questione immigrati” ma a una “questione rifugiati”. Se “olistico” vuol dire superare una difficoltà affrontando insieme i suoi diversi aspetti, e se penso alle politiche europee dell’ultimo anno e mezzo, mi domando se siamo stati all’altezza. Non è visione olistica la concentrazione degli Stati membri e della Commissione (Frontex compresa) sul controllo delle frontiere e sul respingimento dei rifugiati, con la scusa che Schengen si salva solo così; non è visione olistica la frase vergognosa di Donald Tusk che invita i fuggitivi da guerre e dittature e non venire “soprattutto” in Europa; non è olistica Frontex trasformata in Nuova agenzia per i respingimenti collettivi; non è olistico, sopra ogni altra cosa, l’accordo con il regime turco, che respinge tanti rimpatriati nelle zone di guerra siriana mentre in casa reprime i connazionali curdi».

Altri importanti emendamenti di Barbara Spinelli sono stati bocciati, lasciando unicamente un richiamo all’Articolo 3 della Convenzione di Ginevra: questo spiega il voto negativo di molti parlamentari del GUE/NGL. Nonostante questo l’eurodeputata ha confermato l’astensione, convinta che il rapporto rappresenti comunque un progresso rispetto alle politiche decise ultimamente da Commissione e Consiglio.

Qui si può trovare l’esito nominale dei voti sugli emendamenti presentati da Barbara Spinelli


Si veda anche:

GUE/NGL abstention largely due to lack of criticism of recent EU-Turkey deal on refugees

Il delirio dell’Europa sui rifugiati, di Annamaria Rivera, «il manifesto», 17 aprile 2016

Rapporto sulla situazione nel Mediterraneo: intervento in plenaria

Strasburgo, 12 aprile 2016

Intervento di Barbara Spinelli (GUE/NGL) durante la discussione in plenaria sul rapporto sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione di cui è relatrice ombra. La risoluzione sarà votata dal Parlamento Europeo il 12 Aprile.

Per quasi un anno e mezzo i gruppi hanno negoziato spesso duramente, per giungere all’odierna risoluzione. Eravamo partiti con due ambizioni forti: darci una visione olistica del Mediterraneo e delle migliaia di morti in mare; capire che non siamo di fronte a una questione immigrati ma a una questione rifugiati. Se olistico vuol dire superare una difficoltà affrontando insieme i suoi diversi aspetti, e se penso alle politiche europee dell’ultimo anno e mezzo, mi domando se siamo stati all’altezza.

Non è visione olistica la concentrazione degli Stati membri e della Commissione (Frontex compresa) sul controllo delle frontiere e sul respingimento dei rifugiati, con la scusa che Schengen si salva solo così;

Non è visione olistica la frase vergognosa di Donald Tusk che invita i fuggitivi da guerre e dittature e non venire soprattutto in Europa;

Non è olistica Frontex trasformata in Nuova Agenzia per i Respingimenti collettivi;

Non è olistico soprattutto l’accordo con il regime turco, che respinge tanti rimpatriati nelle zone di guerra siriana mentre in casa reprime i  connazionali curdi.

Questo rapporto contiene notevoli punti positivi, soprattutto per quanto riguarda la domanda di vie legali di accesso all’Unione, di sistemi europei di ricerca e salvataggio, del reciproco riconoscimento delle decisioni di asilo. Sarebbe all’altezza delle ambizioni iniziali se denunciasse a chiare lettere l’accordo con la Turchia, come chiesto in precisi emendamenti del mio gruppo. Se comprendesse che siamo di fronte a una crisi di rifugiati, non di immigrati. Se non lo farà, nemmeno questo Parlamento potrà dire di avere una visione olistica del Mediterraneo.

Rapporto sulla situazione nel Mediterraneo: raccomandazioni di voto per il gruppo

Strasburgo, 11 aprile 2016

Intervento di Barbara Spinelli (GUE/NGL) durante la riunione del gruppo politico GUE/NGL per presentare il rapporto sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione e le sue raccomandazioni di voto per il gruppo. La risoluzione sarà votata dal Parlamento Europeo il 12 aprile durante la seduta plenaria.

Il negoziato che si conclude in questi giorni è durato quasi un anno e mezzo, ed è stato difficile a causa del patto Popolari-Socialisti, i due gruppi cui appartengono i co-relatori. Avevo inizialmente pensato di consigliare il voto favorevole al rapporto, considerando rilevanti alcuni punti senz’altro positivi. Penso alla richiesta di azioni umanitarie europee di ricerca e soccorso, slegate da Frontex; al riconoscimento reciproco delle decisioni nazionali di asilo; alla protezione temporanea che contempla – è una novità – l’apertura di corridoi umanitari in cooperazione con l’UNHCR.

Da mesi, tuttavia, le politiche dell’Unione vanno in tutt’altra direzione e assistiamo a un degrado senza precedenti, di cui il rapporto non tiene completamente conto. Siamo di fronte a un accumulo di scelte, della Commissione e del Consiglio, che sanciscono al tempo stesso la chiusura delle frontiere come conditio sine qua non della sopravvivenza di Schengen e un’indifferenza di natura criminosa verso la sorte dei rifugiati.

La più decisiva di queste scelte è l’accordo con la Turchia. Un accordo che viola le Costituzioni nazionali, la Carta dei diritti fondamentali, la Convenzione di Ginevra. Non è escluso che sarà giudicato illegale dalle Corti europee. I colleghi della Commissione Libertà Pubbliche hanno potuto constatare di persona la sorda indifferenza della Commissione, quando interpellata in proposito. È il punto decisivo e discriminante, a mio parere: se passa l’emendamento di condanna presentato dal nostro gruppo, il rapporto potrebbe salvarsi.

Altri elementi del degrado europeo, accanto all’accordo con la Turchia: la chiusura della rotta balcanica – assieme alle violenze che persistono a Idomeni – i muri che si moltiplicano dentro l’Unione, gli hotspot dove i rifugiati tendono a esser imprigionati e maltrattati (a Lampedusa e Grecia), la lista di Paesi terzi sicuri, l’estensione dei poteri autonomi dell’agenzia Frontex (ridenominata Guardia Costiera), che affiancata a Eunavfor Med ottiene piena giurisdizione nei rimpatri, nei rapporti con i Paesi terzi, nella lotta al terrorismo: cioè in politica interna e anche estera.

Il rapporto Kyenge-Metsola avalla questo degrado, affermando alcuni diritti in maniera inedita ma omettendo di esaminare sia il passato (le guerre all’origine delle fughe, di cui siamo in gran parte responsabili) sia il presente e il futuro alla luce delle odierne politiche europee. La strategia del damage control che ho cercato di attuare come relatore ombra ha i suoi limiti. Un primo colpo l’ho ricevuto quando il lavoro che avevo fatto sugli emendamenti è stato annientato (168 correzioni elaborate con 25 Ong e esperti, buttate nel cestino con la scusa che il rapporto andava protetto da emendamenti dell’estrema destra).

Oggi, se rileggo il rapporto devo constatare che alcuni danni sono stati con nostro contributo limitati, e per questo non raccomanderei un No netto. Ma se alcuni nostri forti emendamenti non passano (sulla Turchia in primis, il che vuol dire in sostanza: sul non-refoulement), mi sento di raccomandare almeno l’astensione.

Rimandare i migranti in Turchia viola il principio di non-respingimento

Bruxelles, 4 aprile 2016

Barbara Spinelli rivolge un’interrogazione scritta alla Commissione europea chiedendo conto della conformità dell’accordo UE-Turchia con il divieto di respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra.

Titolo: Conformità dell’accordo UE-Turchia con il principio di non-respingimento

Considerando che, secondo l’Osservatorio siriano per i Diritti umani, sedici profughi siriani, tra cui tre bambini, sono stati uccisi dalle Guardie di frontiera turche nel tentativo di mettersi in salvo in Turchia;

Considerando che l’UNHCR ha evidenziato continue e gravi carenze nelle condizioni procedurali e di accoglienza in Turchia e in Grecia e ha precisato che in tutta la Grecia – che è stata costretta a ospitare un numero sproporzionato di rifugiati in seguito alla chiusura delle frontiere della rotta balcanica e al fallimento dello schema di ricollocazione dell’UE – numerosi aspetti del sistema di accoglienza delle persone richiedenti protezione internazionale sono ancora non funzionanti o assenti;

Considerando che i ricercatori di Amnesty International di stanza nel Sud della Turchia hanno raccolto testimonianze di siriani i quali hanno riferito che i loro parenti sono stati espulsi dal Paese in violazione del diritto internazionale, compresi i minori non accompagnati;

Considerando che l’accordo europeo con la Turchia è stato ritenuto illegale da Peter Sutherland, Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite per le Migrazioni internazionali e lo Sviluppo, giacché deportare migranti e rifugiati senza aver prima vagliato le loro richieste di asilo violerebbe il diritto internazionale;

In base a quali elementi la Commissione ritiene che rimandare i migranti in Turchia non violi il principio di non-refoulement, vincolante per l’Unione europea?