Macron combatte la realtà

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 29 agosto 2024

Prendendo la parola alla cerimonia finale delle Olimpiadi, il 12 agosto, Emmanuel Macron si è imbarcato in un’affermazione stupefacente, che d’un tratto lo mette a nudo: “Manca la voglia che la vita riprenda il suo posto”, ha detto con nostalgia sul volto.

On n’a pas envie que la vie reprenne ses droits. Il lungo fumetto dei Giochi olimpici, l’ecumenismo dei preparativi, le cerimonie semi-turistiche in gloria della Francia, gli abbracci, gli applausi, la competizione allegra, la Senna in cui ti puoi incantevolmente tuffare nonostante i batteri: questo l’universo di celluloide che Macron adora, che rimpiange, che trasforma in orrenda metafora politica, che vorrebbe diventasse il nostro, di noi tutti, eterno vademecum.

La “Vita” che sciaguratamente riafferma i suoi diritti altro non è che la Realtà: sono le Legislative che hanno premiato le sinistre unite pur dando loro un’esigua maggioranza relativa. Macron sconfitto non ne “ha voglia”, ne è nauseato, si installa nella strategia della denegazione. La Costituzione della V Repubblica è talmente vaga che può permetterselo, visto che è lui a nominare il primo ministro che vuole. Ma una denegazione simile va oltre il fattibile, oltre l’opinabile e le varie esegesi costituzionali. Sconfina in un farsesco colpo di mano, in un brutale Truman Show di cui Macron è regista e primo attore. La Costituzione gli dà molti poteri, ma non quello di designare la coalizione di governo, perché è al premier che appartiene la proposta dei propri ministri.

Mitterrand aveva definito la Quinta Repubblica un “colpo di Stato permanente”, nel 1964, e la predizione quasi si avvera. Lunedì il presidente ha annunciato che la sinistra unita non andrà al governo, e che Lucie Castets, candidata premier del Nuovo Fronte Popolare, non è di suo gradimento. Ha poi fatto sapere che in ulteriori consultazioni non avrebbe più ricevuto la France Insoumise di Mélenchon né l’estrema destra. In un comunicato diramato lunedì ha invitato socialisti, ecologisti e comunisti a formare una coalizione col centro macroniano e con le destre dei Repubblicani. L’unica “voglia” che ha, nella transizione dal fumetto alla brutta Realtà, è quella di sfasciare l’unione delle sinistre e se possibile anche il Partito socialista, sfracellandolo nell’abbraccio. Marine Le Pen, che Macron diceva di voler arginare, ringrazia.

Per il momento gli invitati al banchetto – socialisti, ecologisti, comunisti – reagiscono esterrefatti, come se si trovassero alle prese con uno che non ci sta con la testa. È spazientita anche la destra dei Repubblicani. Ma buona parte dei socialisti è pronta a cedere alle lusinghe del pifferaio, a rispondere all’appello. La parola magica che nobiliterà i transfughi è socialdemocrazia. I socialdemocratici sono giudicati rispettabili se agiscono come alleati del centrodestra, delle politiche di austerità, dei mercanti d’armi che riforniscono Ucraina e Israele, del riarmo anti-russo. Il colpo di mano è ideologico e dimentica la storia.

La socialdemocrazia classica si batteva per la distensione con Mosca, per “osare più democrazia” e più giustizia sociale, come prometteva Willy Brandt nel 1969. Niente di tutto questo in chi si erige oggi a socialdemocratico e invece di rappresentare l’elettorato di sinistra “rompe con il partito della collera dell’estrema sinistra anti-socialdemocratica” – la definizione è di Serge July, ex direttore di Libération – e perfino accusa Mélenchon di antisemitismo (accusa rivolta a chiunque sia inorridito dallo sterminio di palestinesi e città a Gaza).

I socialdemocratici di oggi sono neo-conservatori: l’idolo è Tony Blair. Il giorno stesso in cui un attentatore ha esploso una bombola di gas davanti alla sinagoga Beth-Yaacov, sabato a La Grande-Motte nel Sud della Francia, Jacques Attali, ex “consigliere speciale” del socialista Mitterrand, ha affermato, senza arrossire, che il responsabile è Mélenchon, colpevole di “genocidio simbolico”. La categoria è raggelante e inedita, ma l’intervistatore l’ha digerita senza scomporsi.

Eppure Mélenchon aveva tentato una contromossa, prima del diniego presidenziale. Aveva ipotizzato un governo senza ministri del proprio partito, se davvero era lui il problema. L’uscita, astuta, smaschera l’Eliseo: continuando a opporre il veto a un governo di sinistra che cerchi le maggioranze sulle singole leggi, Macron conferma che è il programma del Fronte Popolare a dargli la nausea e non la presenza di ministri del partito di Mélenchon. Il pretesto è che un governo che non ha la maggioranza sarà subito rovesciato. Nemmeno lui l’aveva, dopo le Legislative del 2022.

Sono oltre sei settimane che il governo Attal governa come se non fosse dimissionario, che la tele-realtà perdura, e che la Realtà continua a essere oscuro oggetto di esecrazione nella testa di Macron. E non solo nella sua testa, ma in quella dei grandi gruppi economici, delle classi che Macron ha blandito con ripetute agevolazioni fiscali, dei padroni delle reti televisive e di gran parte dei giornali nazionali. Il programma del Fronte Popolare è classicamente socialdemocratico, ma per tutti costoro è un incubo, perché prevede aumenti di salari, giustizia fiscale progressiva, fine delle agevolazioni fiscali macroniane, gratuità scolastica estesa, tasse sui superprofitti di multinazionali e industrie come energia e farmaceutica.

La grottesca battaglia di Macron contro la Realtà è iniziata alla vigilia delle Olimpiadi, il 23 luglio, in un’intervista che aveva come sfondo la Torre Eiffel. È stato il momento in cui il presidente ha inaugurato il fumetto delle Olimpiadi, presentandole addirittura come modello: se “sono state organizzate così bene da un sindaco socialista, da una presidente della regione a destra, da un presidente della Repubblica al centro”, perché non provare pure in politica? Ha poi detto che “nessuno può applicare il programma” del Fronte Popolare: per stare a galla, occorre che le sinistre “escano in qualche modo dalle evidenze, si assumano le loro responsabilità, sappiano fare compromessi”.

Ancora una volta è dalla Realtà che bisogna uscire: dalle evidenze. Nella stessa intervista ha esortato: “L’urgenza del Paese non è distruggere quello che si è fatto sinora, ma costruire e andare avanti”. Il verbo ricorrente è continuare: “Continuare a essere più forti e più giusti… continuare a creare ricchezza e a andare avanti… continuare a reindustrializzare, a creare competitività, a essere il Paese più attraente d’Europa”. Continuare come se nulla fosse e le elezioni fossero chimere. “Da cinque anni è questa la nostra fierezza e tutto questo va consolidato, reinvestendo al contempo nel nostro esercito, nelle nostre forze di sicurezza interna, nella nostra giustizia, nella nostra scuola”.

Macron continua a non accettare il verdetto elettorale e a ignorare le volontà di un popolo che votando in parte sinistra unita e in parte estrema destra rifiuta proprio questo: continuare come si è fatto sinora, con Macron al centro e nell’illusione di “uscire dall’evidenza”.

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