di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 23 aprile 2023
Impossibile edificare nuove politiche limitandosi a declamazioni presto appassite, come quella di Macron sul vassallaggio europeo o del governo italiano e delle istituzioni Ue su nuovi accordi di rimpatrio verso Paesi africani, se non vengono rispettate almeno tre condizioni.
Chiarire in cosa consista il vassallaggio (anche della Francia) e dunque spiegare a se stessi la genealogia di una guerra in Ucraina scatenata tecnicamente da Putin, ma favorita da una serie di provocazioni di Washington, della Nato e dell’Unione europea; sapere sino in fondo come funziona oggi l’Unione europea e come funzionano i Paesi chiamati a riprendersi i migranti nel Sud Mediterraneo o in Afghanistan e in Pakistan; stringere alleanze ben congegnate con i Paesi che potrebbero condividere l’idea di un’Europa indipendente da Nato e Usa. Nessuna di queste condizioni è oggi rispettata. Ci sarebbe poi una quarta condizione – l’obbligo di adattare le politiche alle parole – anch’essa non rispettata. Quando è senza conseguenze, la parola è un sacco vuoto. La verità perisce non solo quando scoppia una guerra in casa ma anche, e più insidiosamente, nelle guerre per procura.
Prendiamo il vassallaggio e lo “spirito gregario” (suiviste, in francese) dell’Unione Europea, denunciati da Macron dopo la visita in Cina: vassallaggio per quanto concerne i rapporti con Russia, Cina, e l’impropria “extraterritorialità del dollaro Usa”. Denuncia più che opportuna: meglio tardi che mai. Ma il concetto diventa significativo solo se spieghi come mai – una volta appurato che Mosca è responsabile dell’aggressione del febbraio 2022 – si è scivolati a partire dal 2014 in una guerra per procura; e come mai l’Europa non trova un suo modo indipendente di uscirne presto, e lascia incredibilmente che sia il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg a dettare l’agenda, giovedì scorso a Kiev: “Il posto dell’Ucraina è nella Nato. I membri sono d’accordo. La priorità ora è che l’Ucraina prevalga in questa guerra. Proprio per questo motivo dobbiamo continuare a sostenerla militarmente”. Dove stanno l’indipendenza Ue e la fine del vassallaggio, se continuiamo a far finta che Putin non abbia mai indicato come linea rossa l’adesione di Kiev alla Nato?
Non solo: il concetto d’indipendenza cesserebbe di essere il sacco vuoto che è se Macron s’accollasse la fatica di raccogliere consensi europei, come fece Conte durante il Covid, quando convinse Merkel ad accettare un indebitamento comune avversato da Berlino per decenni. Tutto questo Macron non l’ha fatto, come se ignorasse che i Verdi tedeschi sono più atlantisti che mai e che tutto il fronte Est – egemonizzato dalla Polonia – non si sente affatto vassallo di Washington, ma piuttosto dell’Unione europea.
Non meno responsabili sono le cosiddette sinistre europee, gregarie sul fronte guerra (la sinistra francese è divisa). Elly Schlein aveva annunciato svolte decisive, ma erano proclami futili, e anche sulle parole di Macron tace. “Ereditiamo scelte già fatte e non è sul terreno delle scelte già fatte che si misura come noi proviamo a costruire ciò che c’è nella piattaforma congressuale”, ha detto mercoledì sul “termovalorizzatore” a Roma, ma l’eredità Letta pare intatta anche per l’Ucraina. In che consista la svolta Schlein, su guerra e pace, non è dato sapere. Come svoltare senza ribaltare “scelte già fatte”?
Se le cose stanno così non ha senso parlare di difesa comune europea: con quali alleanze nell’Ue? Contro chi? Contro Mosca e Pechino? O Mosca va umiliata, ma Pechino non tanto, come suggerisce il segretario al Tesoro Usa Janet Yellen (il tetto al prezzo del petrolio russo è una sua idea, Draghi s’è accodato)? L’Ue non segue Macron, secondo il quale non è nel nostro interesse schierarsi su Taiwan. Fino a oggi, difesa europea significa aumento delle spese militari, uniformi tagli al Welfare State ed equiparazione fra interessi geopolitici europei e atlantico-statunitensi, visto che torna la guerra fredda e l’Ue allargata ha stravolto l’Unione dopo la caduta del muro di Berlino. La monotona, istupidita menzione dell’asse franco-tedesco perde senso da quando l’egemone effettivo è la Polonia.
Egualmente sconsiderato è, sulle migrazioni, l’appello ai Paesi terzi in Africa perché impediscano le fughe, anche con la forza. Non dimentichiamo che l’Europa ha la faccia tosta di difendere la democrazia e i nostri cosiddetti valori, esportandoli anche con le armi. Che si guarda dal confutare l’aspirazione Usa all’unipolare supremazia sulla terra, nonostante l’opposizione della maggior parte degli Stati Onu. Non si capisce cosa c’entri Enrico Mattei con simile vassallaggio. E se dall’Ucraina spostiamo lo sguardo verso Africa del Nord, Asia occidentale, Afghanistan, dobbiamo ricrederci.
Gli Stati Europei non hanno mai fatto autocritica sulle guerre di regime change (Afghanistan, Iraq, Libia). Con la Libia abbiamo stretto accordi che dal 2017 finanziano con soldi europei e nazionali le guardie costiere e i campi di tortura che rinchiudono chi tenta la traversata del Mediterraneo. Lo stesso era accaduto nel 2016 con la Turchia (aiuti Ue per 6 miliardi di dollari), dove i migranti sono spesso rispediti nella Siria da cui erano scappati.
Lo stesso succede ora in Tunisia, con cui Italia e Ue stanno negoziando accordi che blocchino le fughe. Il guaio è che Kais Saied, presidente tunisino dal 2019, sta adottando forme violente di xenofobia (pogrom ricorrenti) verso gli immigrati dall’Africa nera. Una dichiarazione pubblicata il 17 aprile da una sessantina di associazioni certifica che “la Tunisia non è né un Paese di origine sicuro né un Paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, POS)”. L’Unione europea ha stanziato per la Tunisia, fra il 2016 e il 2020, più di 37 milioni di euro attraverso il Fondo fiduciario Ue per l’Africa, per esternalizzare la “gestione dei flussi migratori e delle frontiere”. Altri milioni sono in arrivo. L’Ue “sostiene Tunisi attraverso l’addestramento delle forze di polizia, la fornitura di attrezzature per la raccolta e la gestione di dati, il supporto tecnico, l’equipaggiamento e la manutenzione delle imbarcazioni per il pattugliamento delle coste e altri strumenti per il tracciamento e il monitoraggio dei movimenti”.
Quando Meloni annuncia cacce agli scafisti lungo il globo terracqueo c’è da domandarsi se sappia o non sappia quel che dice. Con quali Stati abbiamo negoziato o negoziamo il diritto a operare in acque territoriali non nostre? Oppure Meloni finge che esista una giurisdizione italiana sull’intero globo terracqueo?
Macron si presenta come nuovo De Gaulle, a parole, ma nei fatti la sua strategia è succube della strategia Usa e isolata. Le sue sono parole senza contenuto, dette per occultare dissennate politiche interne di repressione dei movimenti sociali e della democrazia parlamentare. Non è uno stratega, ma un “dilettante senza febbre da palcoscenico”, come diceva Karl Kraus dell’arte teatrale del suo tempo.
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