Occidente, democrazia zombi

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 21 settembre 2024

Verrà il momento in cui andare a votare sarà un nonsenso, a meno di non abbellire l’evento con spettacoli gratuiti, a ogni seggio: concerti, fuochi d’artificio, varietà.

Già oggi nelle principali democrazie occidentali le elezioni sono puro spettacolo teatrale: sono elezioni zombi per una democrazia zombi, afferma lo storico Emmanuel Todd nel suo ultimo libro (La Défaite de l’Occident, La disfatta dell’Occidente).

Niente di quanto dicono e promettono i candidati è verosimile, essendo presto smentito. Anche il linguaggio che usano – stigmatizzazioni automatiche, formule in stile pubblicitario ripetute tante volte che paiono rivolgersi ai sordi – serve a dissimulare, nascondere, perpetuare il potere di élite dominanti che solo per finta si sottopongono al voto. Le élite sono al servizio delle lobby sulle questioni essenziali (pace e guerra, finanze, energia, clima) e le lobby aborrono lo scrutinio universale.

Nel vocabolario delle élite europee spiccano parole nebbiose e sconclusionate, utili a screditare il dissenso. L’accusa di sovranismo è la principale: chiunque reclami più indipendenza, nazionale o europea, commette peccato sovranista. Altro epiteto infamante: populista. La storia del populismo è lunga e complessa, ma è oggi usata per denigrare la sovranità popolare e svuotare il suffragio universale.

Gli episodi di democrazia zombi si moltiplicano negli ultimi tempi, annullando non tanto le alternanze politiche – i passaggi di governo da un campo all’altro – quanto la possibilità che le alternanze producano alternative. Il potere enorme e tutelare del gruppo centrale che governa malgrado le elezioni incorpora le sinistre centriste e non tollera alternative. Nel 2013 Mario Draghi incensò il “pilota automatico” che negli organi dell’Unione europea era indifferente alla sovranità popolare e alla dialettica destra-sinistra. Nel 1993 Clinton coniò il termine “democrazia di mercato”. Continuamente evocati, i Valori imbellettano l’erosione delle democrazie operata dall’ideologia neoconservatrice che resta ai comandi ed è legata alle grandi industrie dell’energia e degli armamenti.

Il caso statunitense va menzionato per primo, visto che si tratta della superpotenza da cui l’Europa vuole dipendere. Nella campagna contro Donald Trump, Kamala Harris pretende di rappresentare la sinistra in lotta contro l’estrema destra. E certamente Trump è totalmente imprevedibile, dunque pericoloso. Ma ecco che improvvisamente, a spalleggiare Harris, scendono in campo personaggi neoconservatori di destra ben più nefasti di Trump: tra questi campeggia Dick Cheney, già vicepresidente di Bush jr, che in realtà comandò e stravolse gli equilibri internazionali al posto del Presidente, e che è responsabile di 5 milioni di morti nelle guerre successive all’attentato dell’11 settembre, in Afghanistan e in Iraq oltre che in vari altri Paesi del globo.

È Cheney l’ideatore-organizzatore delle prigioni di Guantanamo, del Memorandum che legalizzava la tortura in Iraq e in Afghanistan, della sorveglianza di massa dei cittadini (Patriot Act), del ricorso della Cia al trasporto, alla detenzione illegale e alla tortura di prigionieri sospettati di terrorismo in undici Paesi europei tra cui l’Italia (Extraordinary Rendition). È lui che mise in pratica l’estensione dei poteri presidenziali, tramite la “teoria dell’esecutivo unitario”. Anche Alberto Gonzales, consigliere giuridico di G.W. Bush e responsabile del Memorandum sulla tortura, appoggia Kamala Harris.

Sia Cheney sia Gonzales sarebbero liberi di cambiare casacca, se la cambiassero. Non l’hanno cambiata e tuttavia Harris si è detta “onorata” dalla scelta di Cheney, nel duello televisivo con Trump, e ha fatto capire che continuerà a capeggiare il Partito Unico della Guerra che Biden ha guidato in questi anni: alimentando il conflitto Usa-Russia in Ucraina e sostenendo con armi e danaro la guerra di Israele su più fronti (genocidio a Gaza, ritenuto “plausibile” dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu; offensiva anti-Palestinese in Cisgiordania, mortiferi attacchi cibernetici in Libano e Siria, missili ieri su Beirut). Nel dibattito con Trump, Harris ha promesso di aiutare Israele contro i nemici esterni: cioè Iran, Hezbollah, Huthi dello Yemen. “Abbiamo le forze armate più letali del mondo”, ripete con fierezza. Sull’immigrazione proclama che anche lei erigerà muri al confine col Messico, più efficacemente di Trump.

C’è poi il caso francese. A luglio si è votato per una nuova Camera e la sinistra unita nel Nuovo Fronte Popolare è arrivata prima, con un classico programma socialdemocratico: aumento del salario minimo, tassazione di extraprofitti, fiscalità che non favorisca i più ricchi, riforma più equa delle pensioni. Macron non ha accettato l’esito elettorale, pur sapendo che i propri deputati sarebbero dimezzati senza le desistenze al secondo turno delle sinistre. Risultato: l’Eliseo ha nominato Primo ministro Michel Barnier, esponente di uno dei partiti meno votati, i Repubblicani. Macronisti e Destra Repubblicana sono centrali nel nuovo governo, e la politica di ieri, respinta da tre quarti dei francesi, continua indisturbata. In mancanza di maggioranza, non potrà che patteggiare con l’estrema desta. Macron non è riuscito a dividere le sinistre, perché i socialisti restano per ora fedeli all’unità. Il suffragio universale per Macron è un non evento.

Terzo caso: i laburisti di Keir Starmer, che fra il 2018 e il 2020 ha emarginato la vera sinistra di Jeremy Corbyn, profittando delle campagne che lo bollavano come antisemita e forse aizzandole. Sull’immigrazione Starmer rinnega solo in apparenza i conservatori: gli immigrati che aspirano alla regolarizzazione non verranno trasferiti in Ruanda ma in Albania, quali che siano i costi e la legalità. Starmer si dice attratto dal “modello Meloni” e si è recato a Roma per omaggiarlo.

Ultimo caso degno di nota: quello del Parlamento europeo, che non ha potere né rappresentatività in politica estera, ma influisce su media e partiti nazionali. Giovedì ha approvato un’ennesima risoluzione che propugna l’uso di missili occidentali in Russia, dunque lo scontro diretto Nato-potenza atomica russa. Neanche una riga è dedicata ai negoziati. Hanno votato a favore i Popolari, i Liberali, i Verdi, i Socialisti e parte dei conservatori.

Per l’Italia si sono opposti 5 Stelle, Sinistra, Verdi e Lega. Solo due socialisti si sono astenuti, Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Piuttosto ridicoli gli eurodeputati Pd: prima hanno votato la cancellazione del paragrafo sull’uso dei missili in Russia, poi hanno approvato l’intera risoluzione con il paragrafo non eliminato. Nell’Europarlamento dominano i centristi del Pd. E i centristi, come diceva Mitterrand, “non sono né di sinistra né di sinistra”.

Il modo migliore di tradire l’elettore è convincerlo a scegliere il “male minore”. Sono considerati un male minore Kamala Harris, Macron, Starmer, perfino Meloni quando aderisce all’interventismo Neocon. Il male minore è talmente simile al male che meglio fingere che sia un bene e addirittura un Valore europeo.

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Anatomia mancata del tracollo Pd

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 1° giugno 2023

È vero quel che dice Elly Schlein sulla disfatta del centro-sinistra alle elezioni amministrative: “Non si cambia il Pd in due mesi, il cambiamento non passa mai da singole persone. C’è molto da fare a sinistra. È un lavoro di squadra”.

Ma ci sono verità che se le ripeti si trasformano in manovre di escamotage. La squadra del cambiamento non c’è e il giglio magico di Schlein si limita a inveire contro Meloni, offre slogan e non idee proprie. E poi il cambiamento è spesso fatto da singole persone, lo sappiamo.

Quel che drammaticamente manca è l’analisi più che l’ammissione passiva-aggressiva della sconfitta, e lo sguardo autocritico sulla progressiva metamorfosi di un Pd che per 15 anni – sotto la guida di Veltroni, D’Alema, Renzi, Letta – ha rinunciato all’identità e al radicamento dell’ex Pci e dei cattolici di sinistra, nell’ansia di saltare l’era Brandt e apparire forza centrista, ligia all’Europa dell’austerità e alla scelta atlantica di riaccendere la guerra fredda contro l’Asse del Male impersonato da Putin aggressore in Ucraina e in prospettiva da Pechino. Per questo è ex sinistra e non sinistra. Al Parlamento europeo l’ex sinistra sposa le tesi del centro-destra: su Ucraina e sull’aumento degli aiuti militari, anche se finanziati spudoratamente con i soldi del Pnrr. Si dissocia ogni tanto qualche europarlamentare Pd, fin qui mai appoggiato dalla propria direzione. Fuori tempo massimo, ieri Schlein si è detta contraria non all’invio di armi, ma all’uso a scopi militari del Pnrr. Si vedrà oggi se gli europarlamentari Pd seguiranno la troppo tardiva direttiva Schlein, quando si voterà su Ucraina e Pnrr.

Giuseppe Conte queste cose le sa, e giustamente preferisce per ora separare il suo Movimento dal Pd, per meglio affrontare le elezioni europee del 2024 dove si vota con il proporzionale. Nel Parlamento europeo i 5 Stelle hanno idee spesso diverse dai socialisti, votano contro risoluzioni e direttive che rinfocolano una guerra fredda che rischia anche nel Kosovo di sfociare in conflitto per procura. Sono più esigenti dei socialisti anche sull’austerità economica, che l’Ue potrebbe reimporre dopo il Covid.

Ma anche per i 5 Stelle son giorni amari. Ogni volta che c’è un’elezione locale, i commentatori ripetono la stessa litania, peraltro corretta: il Movimento non ha radici, non ha classi dirigenti che curino i territori. Tra i motivi per cui non le ha, spicca il dogma del limite ai due mandati: un tabù. Impossibile in queste condizioni – dettate da Grillo – far nascere classi dirigenti affidabili perché durature. Il limite dei due mandati, l’appoggio al governo Draghi scambiato dal fondatore per un compagno grillino: questa l’eredità da cui Conte pur volendo non riesce ancora a emanciparsi.

Ma il punto cruciale è il disastro mentale che Pd e Conte non sanno sanare. È l’idea, ricorrente nei commenti di Schlein, che tutto quel che accade – disfatta a sinistra, smantellamento del welfare, impotenza sul clima – sia ascrivibile a una legge naturale ineludibile e non sia opera dell’uomo, politico o economico che sia. Ha detto la segretaria del Pd, credendo di spiegare l’esito del voto: “La sconfitta è netta, il vento a favore delle destre è ancora forte. È evidente che da soli non si vince”.

È significativo che pochi giorni prima Achille Occhetto, massimo sostenitore di Schlein, avesse proferito parole inaudite ma non dissimili sull’alluvione in Romagna: “È stato il Signore che ha creato la terra che da tempo vedeva questi ragazzi che con la vernice lanciavano allarmi ma erano inascoltati. E allora il Signore ha detto: ‘Ci penso io a fare capire chi non vi ascolta’. E ha fatto come quando mandò l’invasione delle cavallette: in tre giorni ha inviato la pioggia di sei mesi”.

Se è stato il Vento, se è stato Dio, non esistono macchie nelle scelte del Pd che Schlein pretende riportare a sinistra, non ci sono responsabilità da assumere: comprese le sue responsabilità di vicepresidente dell’Emilia-Romagna incaricata del Patto per il Clima e del Welfare (quindi della cura del territorio, del dissesto idrogeologico legato alla cementificazione della Romagna, dei soldi non spesi per la manutenzione dei fiumi).

Nessuna differenza dall’ideologia di Meloni, che esalta patria e famiglia considerandole costitutive di quella che chiama “società naturale”. Analogamente al Pd che evoca i Venti e Dio, Meloni ha evocato la Natura, il 30 maggio in un convegno organizzato da Marcello Pera, noto per esser stato già nel 2005 fiero avversario di un’Italia e un’Europa “meticcia”, vittima – si dice oggi – di sostituzioni etniche: “Ho sempre pensato – così Meloni – che tanto la Nazione quanto la Patria fossero società naturali, cioè qualcosa che è naturalmente nel cuore degli uomini […] e prescinde da ogni convenzione. Esattamente com’è una società naturale la famiglia”. Una società naturale non si cambia.

Insensato lamentare l’assenza di “venti di sinistra”. È l’idea del vento e di Dio che punisce i romagnoli che è perversa, o diabolica visto che la teologia politica ci sommerge. La società naturale che “prescinde da ogni convenzione” – Costituzione, leggi internazionali – accantona la società politica e storica. Esclude la responsabilità dei politici, e a sinistra imbavaglia la ricerca di un’identità miseramente abbandonata da quando il Pd abbracciò la Terza Via, screditata dall’austerità e da rovinose guerre di regime change: la via di Blair, Schröder, Clinton, Obama, che sciaguratamente affonda la socialdemocrazia e la distensione di Willy Brandt. Un triste salto della quaglia, nella storia dell’ex Pci. Due Dèi, quello biblico ed Eolo Dio dei Venti, sono alla guida di un’Italia senz’alcuna sovranità se non quella detta “valoriale”. A patire le giuste punizioni divine sono i cittadini che ora hanno le scarpe nel fango.

I cittadini castigati si aggiungeranno ai milioni che non votano più, e che già sono una maggioranza. A loro converrebbe rivolgersi, non limitandosi a inveire contro Meloni ma osando un’anatomia del tracollo. L’ennesimo appello al “campo largo” di sinistra è inane se Schlein si paralizza davanti al Terzo Polo, questo grumo scomposto che s’ostina a imitare Macron, il distruttore dei socialisti. Macron in Francia naufraga, e sta mimetizzandosi con discorsi sempre più retrogradi sulla “de-civilizzazione” delle proteste sociali.

Pericolosa è l’idea di una società naturale governata da Dèi, che d’un tratto accomuna i nostri partiti. Conferma che l’escamotage e la fuga dalla realtà sono sintomi della sovranità limitata cui l’Italia si sente ed è condannata dal dopoguerra: limitazione bene evocata nel 2019 da Carlo Galli (Mulino) e oggi da Luciano Canfora (Laterza). Sui temi che contano di più – guerra, invio di armi, fisco che favorisce evasori, precariato – il principale partito di opposizione dice poco o niente.

E certo Schlein è appena arrivata, bisogna darle tempo, già così viene considerata un’estremista. Ma se arriva per dire che le “scelte già prese” sono intoccabili (è quanto ha affermato il 19 aprile sul termovalorizzatore a Roma) non si vede per far che sia arrivata. Se il Pd parla di Venti e di Dio aderendo di fatto alla “società naturale” di Meloni e all’austerità da anni presentata dall’establishment come legge naturale, allora decisamente Godot non è arrivato, nonostante tante sempre più fioche attese.

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I biscazzieri di Bruxelles

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 22 dicembre 2022

Quel che è sicuro, nello scandalo delle colossali tangenti versate a eurodeputati, ex eurodeputati e loro assistenti dal Qatar e dal Marocco, è l’inadeguatezza, la cecità, l’abissale mancanza di autocritica del Parlamento europeo.

Neanche chi lo presiede pare all’altezza. “L’Europa è sotto attacco, la democrazia è sotto attacco”, ha esclamato il 12 dicembre Roberta Metsola, conservatrice maltese, aggiungendo che gli attaccanti sono Stati terzi che interferiscono nelle politiche dell’Unione. “Meglio stare al freddo che essere comprati!” ha concluso, mimando la gravitas d’una Sibilla.

Troppo facile tuttavia e soprattutto fuorviante prendersela con le lobby straniere anziché con se stessi. “Lo scandalo non è l’attacco, ma il danno autoinflitto da un’assemblea storicamente refrattaria a regole vincolanti di integrità”, commenta Alberto Alemanno, fondatore dell’associazione Good Lobby. Il Parlamento è certo screditato dall’ipercorruzione di alcuni deputati, in special modo italiani. Ma veramente “sotto attacco” sono i cittadini che eleggono i propri rappresentanti in Europa, che pagano le risorse delle sue istituzioni, e che si trovano beffati da una truffa che ha arricchito con centinaia di migliaia di euro una serie di eletti e assistenti.

Il linguaggio bellico è inoltre del tutto inappropriato: le lobby – straniere ma anche europee– non irrompono col mitra negli uffici dei deputati o della Commissione ma, dopo aver individuato i più corrivi, “attaccano” con valigie colme di banconote e offerte di viaggi lussuosi. Chi è seduto in quegli uffici può dire, senza timore di cadere per terra stecchito: ‘No, guardi ha sbagliato porta’. C’è qualcosa di marcio nell’Unione, se c’è chi non sa dirlo. Già sono pochi i cittadini che votano alle Europee. Chi vorrà ancora farlo, dopo simili sbandate?

La faccenda ha molti aspetti che vanno esaminati, per capire come sia stato possibile che le istituzioni Ue – compreso il decantato Parlamento – siano scese così in basso.

C’è in prima linea l’aspetto istituzionale. Quel che andrebbe finalmente ammesso è che una parte cospicua di parlamentari, italiani ma non solo, si fa eleggere perché desiderosa di più vistose carriere nazionali (è il caso di tanti eletti che presto tornano in patria come ministri o deputati: come spiegano agli elettori questi traslochi, se mai li spiegano?). Ma l’essenziale è la “mal-amministrazione” di cui si macchiano, il gusto di soldi che diventa una loro seconda pelle: per forza la metamorfosi colpisce anche i parvenu dell’ex sinistra, da quando s’è fatta establishment.

Lo stipendio percepito dagli eurodeputati, al netto delle tasse dovute all’Unione, è di circa 7.300 euro. Accanto a questa somma incassano un compenso di 338 euro per pagare soggiorno, vitto e trasporti, per ogni giorno che firmano il registro delle presenze (non di rado arrivano la sera per intascare il bonus giornaliero). Ma soprattutto ricevono l’indennità Spese Generali: circa 4.500 euro esentasse al mese, per il funzionamento degli uffici (computer, carta, basi d’appoggio nazionali, ecc.). Una somma esorbitante – che fai con tutti quei soldi, una volta acquistati computer e simili? – e non rendicontata, malgrado i soldi siano dell’Ue, non tuoi. I deputati non sono obbligati a restituire all’Unione le somme non spese: né durante né dopo il mandato. Il manuale di fine mandato invita il deputato a restituire il non speso, “se vuole”. Se non vuole l’intasca e non sono bruscolini.

C’è poi l’aspetto politico. Il legislativo europeo non è paragonabile a quello nazionale, non avendo di fronte a sé un esecutivo che rispecchi gli equilibri scaturiti dal voto. Non esiste divisione fra sinistra e destra, fra governativi e non governativi, tra chi vince e chi perde alle urne. La Commissione non risponde davanti al popolo: è una tecnostruttura, non un governo. E in Parlamento si perpetua un ferreo patto maggioritario, sulle questioni fondamentali e quale che sia l’esito delle elezioni, fra Popolari, Socialisti, Alleanza dei Democratici e Liberali, che include sempre più spesso i Verdi ed esclude le cosiddette estreme: destra, M5S, sinistra. È il granitico blocco centrale che nega sistematicamente, da anni, provvedimenti stringenti che obblighino i parlamentari a una cultura della rendicontazione e della trasparenza. Contro tale mal-amministrazione si è rivolta l’Ombudsman dell’Ue, l’impeccabile Emily O’Reilly, denunciando nel maggio 2019 il rifiuto opposto da tale blocco a concedere l’accesso della stampa alla documentazione sulle Spese generali dei deputati. In spagnolo l’Ombudsman ha un nome ben più attraente: Defensor del Pueblo.

Chi scrive era deputato nella penultima legislatura, e nel luglio 2018 si dissociò pubblicamente dall’Ufficio di presidenza del Parlamento – a quel tempo presiedeva Tajani – che aveva respinto le modeste proposte avanzate da un gruppo di lavoro sulla gestione delle Spese generali. “Sebbene siano previste linee guida sulla loro gestione – dichiarai – l’attuale normativa prevede che tale somma forfettaria sia assegnata al conto del deputato ed esclusivamente sottoposta al suo controllo. Il minimo che ci si possa aspettare è che un revisore dei conti esterno e indipendente verifichi le spese dei deputati. I Popolari e parte dei Socialisti hanno giudicato non accettabile questa semplice richiesta. Sono rimasti in minoranza Sinistra unitaria, 5 Stelle, Verdi e Alde”. Fu respinto perfino l’obbligo di tenere gli scontrini delle spese d’ufficio.

Naturalmente non c’è rapporto fra la mal-amministrazione e l’enormità delle tangenti odierne. Ma conoscere le abitudini opache che regnano nella piazza di tutti gli affari (i caffè della Place du Luxembourg davanti al Parlamento di Bruxelles) serve a capire come si possa arrivare alle attuali vette di corruttela.

Quanto alla disciplina delle lobby, va detto che i criteri sono anche geopolitici e che gli abboccamenti non sono imputabili solo al Qatar o al Marocco. Sono praticati massicciamente anche da lobby dei Paesi membri, degli Usa – rivali del Qatar come fornitori di gas liquido – e di innumerevoli Stati terzi (lobby farmaceutiche, militari, alimentari, ecc.). È quantomeno sospetto che l’attenzione non si concentri su tutti i gruppi di pressione e le Ong di copertura, esterni e interni all’Ue. Quanti rotoli di banconote circolano a Bruxelles, non qatarioti o marocchini?

Per concludere, va menzionato uno degli aspetti più nauseabondi dello scandalo: l’intreccio fra sbandieramento dei “valori europei” e malversazioni. Quasi tutti i deputati con bauli pieni di banconote si sono occupati primariamente di diritti umani, e perfino di lotta all’impunità. Il Parlamento europeo straparla di valori all’estero e tace sui disvalori in casa. Non se ne può davvero più di “quei filantropi” descritti da George Eliot in Middlemarch: “che traggono profitto da imbrogli velenosi per dichiararsi nemici della corruzione, o possiedono delle azioni in una bisca per poter meglio difendere la causa della moralità pubblica”.

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Così Bruxelles ha fatto un regalo alle forze illiberali

Intervista di Stefano Galieni, «LEFT»,  4 ottobre 2019

La risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa (2019/2819(RSP) è un attacco alla storia e alla memoria imposto al Parlamento dai polacchi del PiS e da Orban. «Vogliono far scoppiare una nuova guerra fredda ed equiparare l’Unione e la Nato», dice l’ex deputata europea Barbara Spinelli

Al di là del giudizio sul testo, che denota scarse conoscenze storiche, è possibile in nome degli equilibri europei rimuovere la memoria che definiva una comune identità?

«Preferisco parlare di ignoranza “militante” più che di scarsa conoscenza. Un Parlamento che fa risalire la seconda guerra mondiale al patto Ribbentrop-Stalin e omette eventi ben più determinanti come il Trattato di Versailles e l’umiliazione della Germania dopo il ‘14-‘18, la guerra di Spagna, le guerre italiane in Libia ed Etiopia, il Patto di Monaco, si scredita definitivamente e smentisce tutti coloro che dopo le elezioni di maggio avevano celebrato la sconfitta delle forze illiberali. La risoluzione sulla memoria è stata imposta dal governo polacco del PiS e dal Fidesz ungherese di Orbán: la storia europea viene strumentalizzata a fini geopolitici per riaccendere la seconda guerra fredda ed equiparare l’Unione e la Nato. Quel che colpisce è la rozzezza del testo, oltre che le menzogne e omissioni. Nella scorsa legislatura mi sono occupata della legge sull’olocausto in Polonia, che penalizza tutti gli storici polacchi che indagano sull’antisemitismo nazionale (dal massacro a Yedwabne del 1941 al pogrom a Kielce nel dopoguerra). La Polonia deve apparire come nazione assolutamente innocente. Una falsificazione che permea l’intera risoluzione.

Personalmente considero grave l’assenza di un dibattito a sinistra sui crimini perpetrati dai regimi comunisti, e sul fatto che l’89 è stato per quei popoli un’autentica liberazione. Ma liberazione per andare dove? Lo “sviluppo socioeonomico” post-89 vantato dalla risoluzione ha creato quasi ovunque lacerazioni e risentimenti, che spiegano l’ascesa delle destre estreme nell’ex Germania comunista, o in Polonia e Ungheria».

Il testo richiama ad un uso strumentale della Storia a fini geopolitici. A tuo avviso quale Europa si intende così disegnare? 

«Un’Europa che tace sul contributo della Russia comunista alla liberazione dal nazifascismo (25 milioni di morti) oltre che alla liberazione di Auschwitz. Che deliberatamente ignora il contributo dei comunisti all’antifascismo e alla ricostruzione democratica in Europa occidentale. Che umilia la Russia invece di avviare con essa un rapporto serio, indipendente dalla Nato. Che viola la promessa di non espandere la Nato a Est, fatta a Gorbačëv nel 1990. La guerra fredda con la Russia che si vuole riesumare non è nel nostro interesse, se vogliamo imparare qualcosa dalla storia.

È giusto collegare la risoluzione ad un fatto come la designazione di un Commissario per la “tutela dello stile di vita europeo” che si occuperà di immigrazione? Si tratta di un ripiegamento su se stessa dell’UE?

«È un’offensiva contro le lezioni della storia, più grave di un ripiegamento. Diciamo “mai più Lager”, e ignorando quel che l’Onu ci dice dal dicembre 2016 consegniamo ai Lager libici o sudanesi i migranti in fuga. Che differenza rispetto agli anni ‘30, quando la Lega delle Nazioni condannò l’Italia per l’invasione dell’Etiopia, rimanendo inascoltata?

La tutela dello “stile di vita europeo” mette sullo stesso piano migranti e terroristi. Rimanda agli slogan neo-con, alle guerre anti-terrorismo, alle radici cristiane d’Europa. Difficile non fare un legame fra la risoluzione del Parlamento europeo e le parole dette dal Presidente polacco Duda nel dicembre 2017: “Lo spirito nazionale può essere facilmente avvelenato da false ideologie: comunismo, nazismo, cosmopolitismo, negazione nichilista dei sistemi di valore cristiani”. Come un ubriaco, il Parlamento pretende di stare dalla parte “buona” della Storia accodandosi».

Verbatim della risoluzione

Votazione per appello nominale

Il Parlamento europeo riconosce la tratta degli esseri umani a scopo di estorsione

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli: Il Parlamento europeo approva Il rapporto sulla situazione dei diritti  fondamentali nell’Unione europea nel 2015 riconoscendo la tratta degli esseri umani a scopo di estorsione

Strasburgo, 13 dicembre 2016

Oggi il Parlamento europeo riunito in plenaria a Strasburgo ha votato un rapporto di iniziativa sulla Situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea nel 2015.

Dopo il voto Barbara Spinelli ha dichiarato:

«Giudico positivo il risultato del voto, favorevole alla Relazione sulla situazione dei diritti fondamentali, per la quale avevo presentato numerosi emendamenti. Scopo degli emendamenti era quello di rafforzare i diritti delle minoranze e dei migranti minorenni, di offrire particolare sostegno e soddisfare i bisogni delle donne rifugiate che subiscono una doppia discriminazione: quella di essere migranti e quella di essere donne.

In altri emendamenti avevo chiesto agli Stati membri di facilitare i ricongiungimenti familiari e di assicurare la trasparenza e il rispetto dei diritti fondamentali nei casi di reclusione dei migranti.

Motivo di soddisfazione è stato in particolare l’approvazione di un emendamento in cui chiedevo agli Stati membri di riconoscere la tratta degli esseri umani a scopo di estorsione accompagnata da pratiche di tortura come una forma di tratta degli esseri umani, considerando i sopravvissuti quali vittime di una forma di tratta di esseri umani perseguibile, tale da comportare obblighi di protezione, assistenza e sostegno. Si tratta di riconoscere uno speciale tipo di tratta che non è presente in nessun’altra Relazione del Parlamento europeo e non è riconosciuta dagli Stati membri nonostante numerosissimi eritrei siano vittime di queste pratiche, soprattutto nella regione del Sinai e della Libia.

È fondamentale che il Parlamento abbia riconosciuto la tratta degli esseri umani a scopo di estorsione».

Pablo Iglesias denuncia le larghe intese che umiliano la democrazia in Europa

Un discorso di addio al Parlamento europeo che vale la pena ricordare. Pablo Iglesias, che riprende la battaglia politica in Spagna dopo quindici mesi di lavoro a Bruxelles, condanna la grande coalizione parlamentare che blocca e umilia la democrazia in Europa. Condanna il compromesso parlamentare che ha permesso a Jean-Claude Juncker di restare al suo posto nonostante le accuse di frode fiscale che lo hanno coinvolto in Lussemburgo. Condanna la falsa retorica di Gianni Pittella, presidente del gruppo socialista, che cita Dante e intanto avalla tutte le regressioni  delle larghe intese tra popolari, socialisti e liberali. Diffida Manfred Weber, capogruppo dei Popolari, dall’interferire nell’esito delle elezioni portoghesi con giudizi simili a quelli, indecenti, espressi nei giorni scorsi dal Presidente del Portogallo Aníbal Cavaco Silva contro un possibile accordo di governo tra socialisti e sinistre radicali («Devo fare di tutto, e rientra nei miei poteri costituzionali, per prevenire l’invio di falsi segnali alle istituzioni finanziarie, agli investitori e ai mercati»).

Strasburgo, 27 ottobre 2015

KEY DEBATE: Conclusions of the European Council meeting of 15 October 2015, in particular the financing of international funds, and of the Leaders’ meeting on the Western Balkans route of 25 October 2015, and preparation of the Valletta summit of 11 and 12 November 2015

Pablo Iglesias, en nombre del Grupo GUE/NGL. Señor Presidente, la primera vez que intervine aquí fue hace quince meses, en representación de este Grupo. Fue un honor hacerlo y fue un honor competir con usted por la presidencia de este Parlamento. Dije entonces que aspirábamos a una Europa diferente, a una Europa que fuera un poco menos dura con los débiles y un poco menos complaciente con los poderosos. Creo que, por desgracia, esa afirmación de hace quince meses sigue siendo y sigue estando vigente hoy.

Recordé, en aquel discurso de hace quince meses, a los combatientes españoles que lucharon contra el fascismo y contra el horror como la mejor contribución de mi patria al progreso de Europa, como la mejor contribución de mi patria a una Europa social, una Europa democrática y una Europa respetuosa de los derechos humanos. Cuando oigo gritos xenófobos en esta Cámara recuerdo que, en mi patria, a aquellos que insultaban, a aquellos que atemorizaban, se les decía «No pasarán». Pero también me molesta escuchar cierta hipocresía en esta Cámara en algunos que lloran lágrimas de cocodrilo y defienden —dicen defender— los derechos humanos.

Señor Weber, ha hablado usted de extremismos para referirse a lo que puede ocurrir en Portugal. Aprendan ustedes a respetar la democracia. Aprendan ustedes que, a veces, los ciudadanos votan cosas distintas a lo que representan ustedes.

(Aplausos)

El señor representante del Grupo liberal —me va a perdonar que, después de quince meses practicando todas las mañanas frente al espejo, siga siendo incapaz de pronunciar su apellido— ha dicho que esto no es un problema de socialdemócratas, de liberales o de populares. Sí, efectivamente. Efectivamente, ustedes han estado de acuerdo en los elementos fundamentales que han implicado una política exterior europea que ahora estamos pagando y que tiene que ver con la situación de miseria y humillación que están viviendo millares de familias a las puertas de Europa.

Hoy hablamos, otra vez, de guerra y de desolación a las puertas de Europa, de familias a las que se está respondiendo con alambradas. Y yo digo que los europeos no podemos olvidar lo que significa una guerra, no podemos olvidar lo que significan el horror y la pobreza y tener que huir del horror y de la pobreza. Y no podemos humillar a esa gente, porque humillar a esa gente es humillar a Europa. Como es humillar a Europa, señor Weber, acabar con el Estado del bienestar. Como es humillar a Europa acabar con los derechos sociales. Es humillar a Europa entregar a los Gobiernos a la arrogancia de los poderes financieros y atacar la soberanía. Es humillar a Europa favorecer el fraude fiscal, como usted, señor Juncker. Como usted, que favoreció —cuando era ministro de Hacienda— negocios secretos, tratos secretos con multinacionales para que tuvieran que pagar impuestos al 1 %, mientras los ciudadanos europeos tienen que pagar impuestos. Y luego hablan ustedes de presupuestos. Y usted se sienta ahí, señor Juncker, porque gente como usted, señor Pittella, ha permitido que el señor Juncker esté sentado ahí; porque ustedes, los socialistas, han mantenido una gran coalición con los populares en esta Cámara.

Así que, menos citar a Dante, señor Pittella, y más ponerse del lado de la gente y acabar de una vez con esta maldita gran coalición.

(Aplausos)

Vuelvo a mi país para que no haya, para que no siga habiendo en España gente como ustedes en el Gobierno, pero quiero pedirles algo antes de marcharme: cambien su política. La crisis de los refugiados no se resuelve con alambradas. La crisis de los refugiados no se resuelve con policía. Se resuelve con una política responsable. Dejen de jugar al ajedrez con los pueblos del Mediterráneo. Trabajen por la paz en lugar de fomentar guerras. Ayuden a las personas que están huyendo del horror. No sigan destruyendo la dignidad de Europa, señor Juncker.

(Aplausos)

Intervista al Corriere della Sera, 13 maggio 2015

di Massimo Rebotti

MILANO. La permanenza di Barbara Spinelli nel gruppo della lista Tsipras all’Europarlamento è durata un anno. Giornalista, scrittrice, figlia di Altiero, considerato uno dei padri fondatori della costruzione europea, nel 2014 lancia (con altri) una lista che ha come modello la sinistra greca di Alexis Tsipras. Durante la campagna elettorale mise in chiaro che, se eletta, non sarebbe andata a Bruxelles. Una volta eletta, cambiò idea: «Così garantisco — disse — che il progetto non venga snaturato». Due giorni fa ha annunciato l’abbandono del gruppo (non del seggio) perché «il progetto non è più all’altezza».
Sembra una delle ricorrenti contorsioni della sinistra, difficile da spiegare: «Ma io ci provo – risponde – la lista era nata con l’obiettivo di creare un’aggregazione che andasse oltre i vecchi partitini della sinistra radicale e non ripetesse le esperienze fatte in passato di frammenti che si uniscono, diventando mosaici sconnessi». Eppure pare essere andata proprio così. Spinelli non lo nasconde: «Ma non sono io che mi sono allontanata dalla lista, è la lista che si è allontanata dal progetto originario».

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Intervista a La Repubblica, 13 maggio 2015

di Sebastiano Messina

ROMA – Barbara Spinelli, la sua decisione di lasciare la lista in cui era stata eletta all’europarlamento, “L’Altra Europa con Tsipras”, ha scatenato le polemiche. Il coordinatore di Sel, Fratoianni, la accusa di essere incoerente, rimproverandole di aver voluto tenere il seggio proprio per garantire la tenuta di quel progetto di cui oggi dichiara il fallimento. E sui social network c’è addirittura chi la accusa di tradimento. Come risponde?
“Io non trovo che ci siano né incoerenza né tradimento. Il motivo per cui, da tempo ormai, ho preso le distanze da “L’Altra Europa” è che secondo me è stata la lista ad abbandonare il progetto originario, che era quello di creare un insieme di forze della sinistra molto costruito dal basso, basato sull’associazionismo, sulla società civile. E soprattutto non dominato dai vecchi partiti della sinistra radicale. In questo anno e mezzo, piano piano ho avuto invece l’impressione di un predominio dei piccoli partiti che avevano promesso di sciogliersi ma non si sciolgono mai”.

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Una storia sbagliata (dal blog di Gian Luigi Ago)

Una storia sbagliata (L’Altra Europa vs Barbara Spinelli)

di Gian Luigi Ago

Quanta disinformazione, cattiva coscienza o ipocrisia. Scegliete voi…

Barbara Spinelli, una delle garanti e ispiratrici dell’appello dell’Altra Europa viene candidata alle europee dichiarando che rinuncerà al seggio a favore del secondo eletto in caso di elezione.
Dopo l’elezione viene invitata via lettera da Alexis Tsipras stesso ad accettare comunque l’elezione. Sel e Rifondazione appoggiano questa richiesta ma lasciano a lei la patata bollente di scegliere in quale circoscrizione accettare l’elezione, rifiutando un sorteggio o di accordarsi tra i due partiti.

Così per inciso diciamo anche che le elezioni non servono per spartirsi eletti tra Sel e Rifondazione (uno a te, uno a me…) ma per scegliere delle persone competenti e in grado di ben rappresentare e attuare il programma (su questo vedremo nel finale cosa succederà…).
Così è, anche se le logiche dei partiti ragionano invece in un altro modo…

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Ucraina, smentita a Giulietto Chiesa

Smentita di Barbara Spinelli – Voto su Ucraina alla sessione plenaria del Parlamento europeo tenutasi il 15 gennaio 2015

In un post sulla sua pagina Facebook, Giulietto Chiesa mi accusa di aver dato voto contrario su «un emendamento cruciale, che sollecitava “l’Unione Europea a interrompere la sua politica di sanzioni contro la Russia”».
L’accusa di Giulietto Chiesa è del tutto incomprensibile, ed è il motivo per cui mi domando se sia formulata in buona fede. Il testo cui si fa riferimento è l’emendamento 2 paragrafo 6, nel quale si “esorta l’Unione europea a cessare la sua politica di sanzioni nei confronti della Russia, che si è dimostrata inefficace e controproducente sul piano politico e ha portato a un conflitto commerciale con ripercussioni negative soprattutto sulle PMI, gli agricoltori e i consumatori in Russia, nell’Unione europea e nei paesi del vicinato orientale dell’UE, compresa l’Ucraina”.
Non solo ho inconfutabilmente votato a favore di questo emendamento, come testimoniato dal sito indipendente www.votewatch.eu, ma sono addirittura tra i suoi firmatari, assieme a Helmut Scholz, Miloslav Ransdorf e Patrick Le Hyaric del gruppo GUE-NGL.

Barbara Spinelli,
21 gennaio 2015.