Lettre à l’attention de Mr Hervé Guillou, PDG de Naval Group

Lettera indirizzata al CEO di Naval Group sui diritti dei lavoratori in Egitto e la politica del governo egiziano di “militarizzare” diverse imprese statali.

Un esempio è Alexandria Shipyard, che ha un accordo con la compagnia francese Naval Group ed è adesso sotto il controllo del ministero della difesa egiziano. Ogni ‘reato’ commesso nell’aerea di Alexandria Shipyard sarà perseguito da un tribunale militare. Lo scorso giugno 2016, gli operai di Alexandria Shipyard avevano lanciato uno sciopero pacifico. 26 scioperanti, scelti a caso, sono stati arrestati e adesso sono soggetti a un processo marziale.

Guerra in Libia: chiudere il Mediterraneo è un crimine contro l’umanità

Strasburgo, 16 aprile 2019. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. 

Punto in agenda:

Situazione in Libia

  • Dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

Presenti al dibattito:

  • Federica Mogherini – Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

 

Visto che la terza guerra in Libia non si risolverà pacificamente, chiedo all’Alto Rappresentante di parlar chiaro sui migranti, intrappolati nei Lager libici affinché non vengano da noi.

L’evacuazione dei Lager è limitatissima, conferma l’Onu, dunque Le chiedo quanto segue:

  • che l’operazione Sophia torni subito a dotarsi di navi europee, per impedire naufragi. Il Mediterraneo è l’unica via di fuga: continuare a bloccarla è un crimine contro l’umanità.
  • che la Commissione e il Servizio azione esterna raccomandino agli Stati membri l’immediata cessazione dei rimpatri in un Paese più che mai insicuro.
  • che l’evacuazione sia facilitata da corridoi umanitari, nelle zone di guerra, e che i migranti detenuti ricevano l’acqua e il cibo che manca da giorni.

Vincent Cochetel (inviato speciale dell’UNHCR) ha detto il 9 aprile scorso che nel Mediterraneo non si fa più Search and Rescue, ma Search and Return, e che l’Unione – fornendo alla Libia navi e tecnologie – si rende complice di torture, stupri e schiavitù. Come risponde a queste accuse, Signora Mogherini?

La reazione a catena del caso Assange

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 13 aprile 2019

 

L’arresto di Julian Assange, giovedì mattina nell’ambasciata dell’Ecuador dove era rifugiato da sette anni, è una notizia più che inquietante, se l’arresto sarà seguito da un’estradizione negli Stati Uniti. Sono in gioco diritti fondamentali dei giornalisti, concernenti il rapporto con le fonti delle loro indagini e in modo speciale con i whistleblower (informatori segreti).

Per quanto riguarda l’Unione europea, è messo in questione il progetto di direttiva concernente la protezione dei whistleblower e del loro anonimato, il cui scopo è – tra l’altro – quello di evitare la criminalizzazione dei giornalisti che si rifiutano di rivelare le proprie fonti. Il testo finale della direttiva – oggetto di un lungo negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio – sarà votato nella plenaria di Strasburgo la settimana prossima. È sperabile che sarà salvato un punto cruciale difeso dal Parlamento: la possibilità, per l’informatore, di procedere alle sue rivelazioni facendo ricorso non solo a canali interni ma anche esterni.

È grazie alla piattaforma WikiLeaks e a Julian Assange che l’opinione pubblica mondiale è venuta a conoscenza dei crimini di guerra commessi dalle forze armate Usa in Afghanistan e Iraq, oltre che delle torture inflitte ai detenuti di Abu Ghraib e Guantanamo. La verità sui crimini in Iraq e Afghanistan fu rivelata grazie a centinaia di migliaia di registrazioni fornite ad Assange da Chelsea Manning, ex analista militare dell’esercito statunitense divenuta whistleblower. Chelsea Manning fu arrestata nel 2010, e nella prigione subì torture. Fu liberata nel 2017 perché Obama giudicò sproporzionata la pena che le era stata inflitta (35 anni di carcere duro). Nel marzo scorso è stata di nuovo incarcerata, perché si era rifiutata di testimoniare contro WikiLeaks e Assange, giudicando inaccettabile un “grand jury” le cui procedure prevedono udienze non pubbliche.

Basta percorrere i principali capi di accusa formulati dalla Corte distrettuale statunitense, e pendenti su Assange, per capire che la libertà di stampa e la sua indipendenza dal potere politico sono gravemente minacciate. Secondo il giudizio di numerosi giuristi, interpellati in particolare dal sito Intercept, le seguenti accuse sono globalmente invalide:

1) L’accusa di “cospirazione contro lo Stato, legata al fatto che Assange incoraggiò Manning a fornire informazioni e registrazioni provenienti da dipartimenti e agenzie degli Stati Uniti”. L’accusa non regge, secondo i giuristi in questione, perché la funzione del giornalista consiste precisamente nell’incoraggiare le fonti a fornire informazioni di pubblico interesse sulle attività del proprio governo.

2) “È parte della cospirazione il fatto che Assange e Manning adottarono misure atte a occultare la figura di Manning come fonte della divulgazione a WikiLeaks di registrazioni riservate”. Proteggere l’anonimità delle fonti è un caposaldo del giornalismo investigativo, online o cartaceo che sia (fra qualche giorno tale protezione sarà obbligatoria, una volta recepita la direttiva Ue). Se l’anonimità non fosse garantita nessuna fonte segreta uscirebbe allo scoperto, i whistleblower sarebbero in pericolo e la stampa non sarebbe il “cane da guardia” che deve essere in democrazia.

3) “È parte della cospirazione che Assange e Manning fecero ricorso al servizio online Jabber – e a Dropbox – collaborando nell’acquisizione e disseminazione di registrazioni riservate”. Jabber e Dropbox sono strumenti indispensabili nelle comunicazioni fra giornalisti e whistleblower.

Una considerazione a parte va fatta sulle vicende giudiziarie in Svezia, che vedono Assange accusato di stupro. Anche la Svezia infatti chiede l’estradizione: l’accusa è stata nel frattempo archiviata, ma gli avvocati della presunta vittima hanno chiesto la riapertura del processo. L’estradizione in Svezia può avere la sua ragion d’essere, ma a una condizione: che sia del tutto separata dalle questioni poste dalla giustizia americana e legate alle attività investigative di WikiLeaks. La posizione del Partito laburista su questo punto è corretta: nulla da dire su eventuali processi in Svezia, come peraltro già accettato a suo tempo da Assange, ma a condizione che non implichino l’estradizione negli Stati Uniti per imputazioni non inerenti a qualsiasi altro caso giudiziario.

© 2019 Il Fatto Quotidiano

Ue – Operazione Sophia al servizio delle guardie costiere libiche

di giovedì, Aprile 11, 2019 0 , , , , Permalink

Bruxelles, 8 aprile 2019. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo

Punto in agenda:

Proroga del mandato dell’Operazione Sophia di EUNAVFOR MED fino al 30 settembre 2019. Scambio di opinioni con il Servizio europeo per l’Azione esterna

Presente al dibattito:

Pedro Serrano, Segretario generale aggiunto del SEAE

Vorrei esprimere la mia profonda inquietudine per il cambiamento delle modalità di azione dell’operazione Sophia di Eunavfor Med. Il ritiro delle navi, in questo momento, dopo la criminalizzazione delle organizzazioni non governative che facevano ricerca e salvataggio, è un segnale molto chiaro. Il Mediterraneo viene lasciato completamente sguarnito di operazioni di search and rescue, se non quelle affidate a una Libia che non esiste come Stato e per di più  è oggi in preda a un’imprevedibile guerra interna. È una finzione, quella di lasciare la vita di tanti naufraghi in mano alla Libia – uno Stato completamente decomposto già molto prima dell’attuale confronto bellico tra al-Sarrāj e il generale Haftar. Ed è uno scandalo che l’operazione Sophia si occuperà ormai solo di addestrare le guardie costiere libiche e di assisterle con voli di ricognizione.

Si tratta di una scelta che andrebbe rivista, perché dà l’impressione di uno strano equilibrio del terrore nel Mediterraneo, dove la funzione del deterrente è rappresentata dalla morte dei migranti. Se i migranti muoiono, la soluzione finale è raggiunta.

Ricordo che il Papa ha detto esattamente questo: non andare in aiuto dei naufraghi vuol dire decidere di lasciar morire le persone. Questa è la scelta dell’Europa, secondo il Pontefice.

Una seconda cosa che vorrei dire è che la premessa per l’addestramento delle guardie costiere libiche è che la Libia sia considerata un paese sicuro per lo sbarco. Ora, anche se voi ripetete a parole che non è un paese sicuro, addestrando le guardie libiche lo considerate di fatto tale. È dal 2016 che l’Onu afferma che non lo è. Nei giorni scorsi, in piena guerra tra Haftar e al-Sarrāj,  il segretario generale dell’Onu António Guterrez, dopo aver visitato un campo di detenzione di migranti a Tripoli si è detto “deeply shocked” e ha aggiunto espressamente: “Nessuno in questo momento può sostenere che la Libia sia un porto sicuro di sbarco. Questi migranti e rifugiati non sono solo responsabilità della Libia. Sono responsabilità dell’intera comunità internazionale”.

Questa volta è il segretario generale dell’Onu a dire che il disegno dell’Unione non funziona, che qualcosa di diverso  bisogna inventare, che sia compatibile con la legalità internazionale.

Infine, dobbiamo dedicare la massima attenzione a quello che che sta succedendo in questi giorni nei campi di detenzione, e trarne le conseguenze   Nel campo di detenzione di Tripoli i detenuti sono tirati fuori dalle celle, e le guardie gettano loro in mano le armi e li mandano a fare al guerra contro Haftar. I detenuti gridano a questo punto che vogliono tornare nelle celle: una cosa veramente atroce, se si pensa che pur di fuggirne rischiano sistematicamente  la morte in mare. Mi riferisco a un reportage molto documentato di Sally Hayden sull’«Irish Times», uscito il 5 aprile scorso. (1) È a causa di questi messaggi sull’uso dei detenuti per la guerra, che Guterres ha reagito con le parole che ho citato poco prima.

Si veda anche:

Migrants : « Nous appelons à une résolution à la crise juridique et humanitaire du sauvetage en mer », «Le Monde», 10-04-2019.

 

La criminalizzazione delle ong è un dato di fatto

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 4 aprile 2019

Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nel corso della riunione della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento europeo del 2 aprile 2019 sul punto in agenda: “Il seguito dato alla risoluzione del Parlamento europeo del luglio 2018 sugli orientamenti destinati agli Stati membri per prevenire la configurazione come reato dell’assistenza umanitaria”.

Presenti al dibattito: Michael Shotter per la Commissione europea; Milena Zajović , presidente dell’ong Are you Syrious? (AYS – Assistenza ai rifugiati e ai richiedenti asilo, Croazia); Ana Cristina Jorge, direttrice della Divisione di risposta operativa dell’Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera (Frontex). 

 Di seguito l’intervento:

«Vorrei rivolgere agli oratori tre domande. Al rappresentante della Commissione ricordo in primo luogo che il problema non è l’ansia del Parlamento europeo, che voi dite di capire: è l’ansia delle persone che sono intrappolate nei centri di detenzione e nei Lager libici, di cui ci stiamo occupando da tempo in questa Commissione. Ce ne stiamo occupando perché il Mediterraneo è stato svuotato di navi di soccorso, dal momento che l’operazione Sophia avviata a suo tempo dall’Unione non ha più navi ma soltanto aerei di ricognizione e personale per l’addestramento delle guardie costiere libiche, e che le ong sono state estromesse dal Mediterraneo. Lei dice inoltre che mancano prove sufficienti – “evidences” – di una criminalizzazione delle ong. Queste prove le abbiamo tutte quante, e le avete anche voi. Cosa stiamo ancora aspettando, per definirle “evidences” ?

In questo quadro, ringrazio in particolar modo Milena Zajović per l’attività che svolge e per le prove che sta fornendo sulle politiche di push-back dalla Croazia verso la Bosnia e la Serbia. Mi piacerebbe sapere come stia procedendo l’indagine sulla morte di Madina Hussiny, la bambina afgana respinta con la famiglia in Serbia e abbattuta da un treno sulla linea di confine, e  a che punto siamo con il ricorso della famiglia presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Vorrei infine rivolgermi ad Ana Cristina Jorge di Frontex e a tutti gli oratori, per parlare delle accuse che si stanno moltiplicando nei confronti delle ong, grazie al proliferare di nuove fattispecie di reati. C’è lo smuggling naturalmente, che è un crimine discusso da anni, ma ci sono fattispecie  affatto nuove. Tra queste cito la pirateria marittima, menzionata negli ultimi giorni dal governo italiano. La nave mercantile turca El Hiblu 1, arrivata recentemente a Malta con un carico di migranti salvati da naufragio, è stata accusata di aver facilitato forme di pirateria marittima perché i migranti hanno minacciato di buttarsi a mare, pur di non essere riportati in Libia. É stato scritto che hanno dirottato la nave. Non è vero: hanno solo minacciato di gettarsi in mare, come confermato dai giornali maltesi.

Un’altra fattispecie di reato veramente singolare  – citata nelle indagini in corso in Italia – è la « minaccia all’ambiente marittimo» , di cui si renderebbero responsabili azioni di Search and Rescue svolte da navi di soccorso come Sea-Watch 3, definita nelle indagini preliminari come uno yacht inadatto a operazioni di salvataggio. É impressionante la quantità di reati che viene inventata per allontanare dal Mediterraneo tutte le ong, dopo avere eliminato le navi dell’operazione europea Sophia. Il risultato di tutto questo è che il Mediterraneo è ormai completamente affidato alle guardie costiere libiche.

Infine una domanda alla signora Ana Cristina Jorge di Frontex. Lei sa che c’è stata una lettera, nei giorni scorsi, della responsabile della Direzione politica interna e migrazione della Commissione, Paraskevi Michou, in cui si legittimano e si elogiano le guardie costiere libiche: una lettera che il governo italiano ha incorporato in una direttiva sulla chiusura dei porti italiani. La lettera è stata inviata a Fabrice Leggeri, direttore dell’agenzia Frontex. Quello che le chiedo, Signora, è di farci avere la lettera che Leggeri ha scritto alla Commissione, perché evidentemente ha espresso dubbi o formulato domande cui la Commissione ha risposto con questa lettera che sembra scritta dal ministro Salvini.»

Si veda anche:

Riace, dopo il fango un po’ di luce, articolo di Roberto Saviano pubblicato su «L’Espresso» del 7 aprile 2019 in cui si cita intervento di Barbara Spinelli.

Contraddizioni della Commissione sulle guardie costiere libiche

Bruxelles, 2 aprile 2019. Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nella riunione della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) del Parlamento europeo nel corso del dialogo strutturato con Dimitris Avramopoulos, Commissario responsabile per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza.

«Ringrazio il Commissario Avramopoulos per questo nostro ultimo incontro in  Commissione Libe. Per me, è l’occasione per esprimere dubbi che  in questi anni non sono mai stati fugati, sulla coerenza e la sincerità della Commissione in materia di migrazione. Oggi faccio in particolare riferimento alla lettera di cui si è già parlato stamattina in questa sede, inviata dalla responsabile della Direzione migrazione e politica interna della Commissione, Signora Paraskevi Michou, a Fabrice Leggeri, direttore dell’Agenzia europea della Guardia costiera e di frontiera. Lettera in cui si legittimano il funzionamento  della zona SAR (search and rescue) libica, l’”ottima performance” delle guardie costiere libiche, i salvataggi fatti da queste ultime, l’uso “appropriato” del personale libico, l’aumento della sua “capacità e professionalità”. In contemporanea con questa lettera, la portavoce della Commissione Natasha Bertaud ha dichiarato tuttavia che la Libia non può esser considerato un «paese sicuro» per gli sbarchi di migranti. Tra questa lettera e la dichiarazione di Natasha Bertaud c’è una contraddizione evidente.

Capisco che non è la stessa cosa parlare di paese sicuro e di zona SAR, ma il fatto è che il governo italiano (il ministero dell’Interno) ha aggiornato la sua nuova direttiva sui porti chiusi basandosi precisamente su questa lettera della signora Paraskevi Michou, incorporandola nel testo della direttiva e citandola come conferma che rimpatriare i migranti salvati in Libia è legittimo e opportuno.

Vorrei domandare come mai nella lettera della Commissione, che ho letto e riletto, non c’è una sola parola sulle condizioni dei migranti nei campi di detenzione e nei Lager libici. Lei sa benissimo a cosa mi riferisco: l’Onu denuncia una situazione insostenibile dal punto di vista dei diritti umani fin dal 2016, e ha ripetuto la sua messa in guardia per l’ennesima volta nel marzo di quest’anno.

La seconda cosa che vorrei chiederle è come può una zona SAR essere considerata “struttura legittima e appropriata”, se la Libia non è secondo voi un “safe place of disembarkation”?

Ultima domanda: le chiedo di rendere pubblica la lettera di Fabrice Leggeri inviata alla Commissione; lettera che forse esprime dubbi e a cui la signora Paraskevi Michou ha deciso di rispondere con la lunga lettera dettagliata cui ho fatto allusione.»