Mercoledì 9 Dicembre si è svolta presso il Parlamento europeo la proiezione di “Dragan aveva Ragione”, organizzata da Barbara Spinelli (GUE/NGL).
Il documentario è stato preceduto da un dibattito sulla discriminazione dei Rom e sullo scandalo «Mafia Capitale», che ha rivelato un diffuso sistema di corruzione e frode finalizzato a sfruttare centri di accoglienza e campi rom (e profughi) nella regione Lazio.
Sono intervenute le eurodeputate Soraya Post (S&D) e Laura Ferrara (EFDD), l’autore del film Gianni Carbotti insieme a Moni Ovadia, Dijana Pavlovic, Sergio Bontempelli e Marco Brazzoduro.
Sinopsi:
Aveva ragione il capo nomade Dragan. Nei campi nomadi era la cosiddetta “mafia capitale” a comandare. Il docufilm “Dragan aveva ragione”, girato dai militanti radicali Camillo Maffia e Gianni Corbotti, lo racconta facendo luce sul degrado di questi campi a Roma. Quasi tutti gestiti dalle cooperative oggi sotto accusa nell’inchiesta condotta dal procuratore capo di Roma Pignatone. Peccato che l’allarme lanciato da questo documentario, ampiamente usato dalla procura romana, sia stato ignorato dal servizio pubblico televisivo. Camillo Maffia dice di averne molte da raccontare. A cominciare dai sospetti su chi promuove le mafie della prostituzione e della droga dentro ai campi regolari (solo 9) che, nonostante i 24 milioni di euro spesi ogni anno per mantenerli, versano tuttora in condizioni indegne. Che fine fanno questi soldi?
Link utili:
Aveva ragione il grande capo Dragan. Era «Mafia Capitale» a comandare
Dragan aveva ragione, un docufilm sugli sgomberi dei rom del buonista Marino
“Dragan aveva ragione”: comunicato stampa della Fondazione Romanì Italia
“Dragan aveva ragione” sul sito Romatoday
Master Blaster va al Senato: “Dragan aveva ragione” di Gianni Carbotti e Camillo Maffia
Bruxelles, proiezione al Parlamento europeo del documentario Dragan aveva ragione
Intervento di Barbara Spinelli
Vi ringrazio per essere venuti a quest’incontro, e specialmente i registi del film che vedremo fra poco: Camillo Maffía e Gianni Corbetti. Un saluto particolarmente affettuoso a Moni Ovadia: è uno dei protagonisti del documentario. Ringrazio anche Dijana Pavlovic, che è tra i promotori della legge di iniziativa popolare per il riconoscimento dello stato di minoranza storico-linguistica dei rom e sinti, e Sergio Bontempelli, studioso e operatore legale per i diritti dei rom e sinti. Con Bontempelli ho cercato di oppormi allo sgombero dei campi rom di Lungo Stura Lazio a Torino, di Torre del Lago Puccini a Viareggio, della Bigattiera a Pisa. Saluto – non per ultimi – il professor Marco Brazzoduro, vicepresidente dell’Associazione 21 luglio, e le colleghe Soraya Post (gruppo S&D) e Laura Ferrara (, con le quali condivido importanti battaglie contro la corruzione e la discriminazione dei rom: due piaghe intrecciate, in Italia. Un grande grazie infine a Chiara de Capitani, che è stata l’architetto di questo nostro incontro.
Nell’agosto 2013, duecento rom serbi fuggirono dal campo di Castel Romano, sulla Pontina, dove imperversavano violenze e soprusi. Si accamparono in via Salviati, alla periferia est della capitale, dando vita a un insediamento informale, definito quasi subito abusivo. Lo sgombero avvenne poco dopo e fu ordinato dall’allora sindaco di Roma Ignazio Marino, oggi non più in carica. La comunità rom lo aveva votato sperando in una promessa di integrazione. Promessa non mantenuta: la discriminazione abitativa e lavorativa continua.
Questo documentario, seguito da una denuncia di Marco Pannella, è stato cruciale perché è servito agli inquirenti per rivelare il male che sta dietro la gestione dei campi: la mafia, e i suoi legami con classi politiche di destra e sinistra. Ricordo alcune frasi dette in un’intercettazione da un indagato, Salvatore Buzzi: «Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato, e tutti i soldi e gli utili li abbiamo fatti sui zingari”. E ancora: “Tu lo sai a gestire un campo zingari, ma la gente non si rende conto, cioè trattare con gli zingari è proprio devastante perché non è malavita, perché è gente infame proprio di pensieri…».
Non sono qui per riassumere il documentario, ma per ricordare alcune cose essenziali. Di rom e sinti si deve parlare, oggi in modo particolare, perché la Commissione europea sta compilando una lista di “Paesi sicuri” , per far fronte alla questione rifugiati, che permetterà più facili e rapidi rimpatri di persone o gruppi che chiedono asilo politico in Europa. Nella lista figureranno sia i Paesi balcanici sia la Turchia, dove esistono forti comunità rom, spesso oggetto di vessazioni o persecuzioni. La collega Soraya Post ci ricorda che in Turchia i rom sono circa 1 milione. [1] (ufficialmente sono 500.000, ma la cifra si basa su censimenti superati. Gli attivisti della comunità sostengono che il reale numero si avvicina ai 2 milioni). La nozione di “Paese sicuro” non esclude il diritto del singolo a chiedere protezione internazionale e asilo, come prescritto dalla Convenzione di Ginevra, ma rende più complicata e difficile la domanda.
Più fondamentalmente c’è da domandarsi, e lo chiedo anche a voi, come mai una comunità come quella dei rom sia trattata in questo modo infame. Come mai esista una sorta di impunità, per chi non esita a oltrepassare ogni decenza quando parla di rom e sinti. Le frasi di Salvatore Buzzi non sono un’eccezione. Eppure questa comunità è stata vittima, nella prima metà del Novecento, di un genocidio: il Porrajmos, che vuol dire “grande divoramento” o devastazione. La data simbolica è il 2 agosto 1944, il luogo dove è avvenuto lo sterminio è il Zigeunerlager di Birkenau. È l’equivalente della Shoah ebraica, del Metz Yeghern che sterminò gli armeni, ma non ha legittimazione storica, non è entrato nella coscienza degli europei come un crimine contro l’umanità, da espiare. Non esiste tabù civilizzatorio, sui rom. La gente continua a dire con disprezzo zingari, come se in Francia dicessimo, parlando degli ebrei: youpin, che è l’equivalente di sporco ebreo. È uno dei grandi misteri dell’Europa di oggi, che fatico a spiegarmi. È come se un frammento di lingua e di modi di comportamento nazisti fosse rimasto nei nostri tessuti.
Moni Ovadia dice una cosa terribile, nel documentario: dagli anni 80 (ma io direi già prima, dal dopoguerra e specialmente dopo il processo Eichmann), gli ebrei sono “riusciti a entrare nei salotti buoni dei vincitori”. Non è del tutto giusto, perché 6 milioni di uccisi e gasati non sono entrati nei salotti. Certo è però che i rom non sono in nessun salotto buono, mentre il tabù sugli ebrei esiste, anche sul piano linguistico. È come se vivessero in angolo morto d’Europa. Come se in quell’angolo morto la storia fosse andata in modo differente, e Hitler in quel preciso punto non fosse stato sconfitto.
Vorrei suonare il campanello d’allarme. In tutta Europa cresce una destra estrema, senza più tabù: in Francia, Polonia, Ungheria, Italia. La battaglia per dare uno statuto ai rom e al Porrajmos si fa più dura, abbiamo già perso troppo tempo e dobbiamo andare oltre la denuncia, oltre il “ruolo protettivo” che la sinistra in genere affida a se stessa.
[1] Ufficialmente i rom in Turchia sono 500.000, ma la cifra si basa su censimenti superati. Gli attivisti della comunità sostengono che il reale numero si avvicina ai 2 milioni.