Italia, porti chiusi ai soliti sospetti che salvano vite nel Mediterraneo

Dichiarazione di Barbara Spinelli

Bruxelles, 29 giugno 2017

Ancora una volta, le Ong sono sotto attacco perché salvano vite umane lungo la rotta migratoria del Mediterraneo centrale. Di fronte allo sbarco di un gran numero di richiedenti asilo sulle sue coste, il governo italiano ha notificato alla Commissione l’intenzione di rifiutare il permesso di attracco alle navi che non battono bandiera italiana, eccetto gli assetti operativi delle missioni europee (Frontex e Operazione Sophia). Sentendosi abbandonate dall’Unione, le autorità italiane brandiscono una minaccia che nasce dalla disperazione, ma la loro mossa è altamente discutibile e suscita profonda preoccupazione. Migliaia di esiliati forzati vengono usati come moneta di scambio nei negoziati con l’Unione, nel completo disprezzo delle  prescrizioni della Legge del mare e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. È uno scandalo che le Ong vengano criminalizzate, quando ci sono quasi solo le loro navi a salvare vite, al largo della costa libica.

La Commissione promette altro denaro al governo italiano – insieme a un addestramento estremamente controverso della guardia costiera libica, messo in questione anche dalle Nazioni Unite – anziché procedere a un’immediata revisione del sistema Dublino, a stabilire operazioni proattive di ricerca e soccorso europee e ad aprire vie d’ingresso sicure e legali per i rifugiati in fuga da guerre, Stati falliti ed economie distrutte.

Chiediamo al Governo italiano e all’Unione europea di non trasformare le Ong nei “soliti sospetti”, per meglio nascondere i fallimenti delle proprie politiche di asilo.

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Qui la dichiarazione del gruppo GUE/NGL del Parlamento europeo:

Italian government’s plans to stop people who have been rescued from disembarking non-Italian boats

 

L’escamotage della democrazia nell’Unione europea

di giovedì, Giugno 29, 2017 0 , , Permalink

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL. Bruxelles, 28 giugno 2017.

Punto in Agenda:

Dibattito Strutturato “Democracy in the EU”, promosso da Nikolaos Chountis e Barbara Spinelli

Abstract in English

Prima di discutere il tema di questa conferenza, vorrei sottoporvi qualche riflessione su ambedue gli aspetti della questione: la democrazia dei governi nei loro rapporti con l’Unione, e la democrazia di quella che significativamente non è chiamata governo ma governance dell’Unione in quanto tale, con le sue istituzioni e le sue politiche sovranazionali. Di fatto siamo alle prese con un sistema politico ibrido, in parte nazionale in parte sovranazionale, e i due aspetti possono difficilmente essere disgiunti. Ma dal punto di vista del funzionamento democratico è utile esaminarli disgiuntamente, perché a entrambi i livelli la democrazia è oggi malata, e più o meno surrettiziamente messa in questione.

In genere le malattie connesse a quest’intrico di poteri sono affrontate ricorrendo al concetto della sussidiarietà, che dovrebbe fornire un equilibrio giusto, cioè democratico, tra quel che si fa a livello nazionale e quel che si decide attraverso le istituzioni o le politiche decise in comune, sul piano sovrannazionale. Ma dobbiamo riconoscere che man mano che la democrazia si esaurisce, il concetto di sussidiarietà si trasforma in pensiero magico, più che logico o razionale. Sappiamo che il pensiero diventa magico, in Freud, quando pretende di trasformarsi in realtà per il solo fatto di essere pensato.

Comincio con la democrazia nell’Unione. Se parlo di messa in questione surrettizia, è perché essa non è chiaramente esplicitata. Di regola, il vizio rende omaggio alle virtù democratiche. Nessuno, nella Commissione o nell’Eurogruppo o nel Consiglio europeo, si azzarderebbe a dire che le elezioni nazionali o i referendum sono una pietra di inciampo, se non di scandalo. La cosa viene però detta tra le righe, senza farsi molti scrupoli: regolarmente, a ogni tornata elettorale importante, la Commissione o il Presidente del Consiglio europeo o la Bce entrano nei giochi elettorali con prese di posizione a favore di questo o quel candidato a governare i Paesi membri. In genere sono candidati dello status quo, giudicati compatibili con le politiche non solo delle istituzioni ma anche dei mercati. Chi non è ritenuto compatibile viene denominato populista.

Gli interventi di questo tipo sono molti, ma ne vorrei citare uno che mi sembra emblematico, risalente ai primi anni della crisi del debito. Mi riferisco a quanto dichiarato da Mario Draghi in una conferenza stampa del 7 marzo 2013, subito dopo un’elezione legislativa in Italia che vide il consolidamento del Movimento Cinque Stelle. Il messaggio fu interpretato come un elogio della democrazia, imprevedibile per definizione: «I mercati sono stati meno impressionati dei politici e di voi giornalisti. Capiscono che viviamo in democrazia. Siamo 17 paesi, ognuno ha due turni elettorali, nazionali e regionali, il che fa 34 elezioni in 3-4 anni: penso sia questa la democrazia, a noi tutti assai cara». Ma Draghi ha detto qualcosa di meno placido e di più contorto, sul voto italiano e le sorprese (brutte o belle dal suo punto di vista) che il suffragio universale può riservare ai mercati, specie nei paesi debitori. Ha dato una forma compiuta e istituzionale a quello che un altro banchiere centrale, l’ex governatore della Bundesbank Hans Tietmeyer, aveva detto fin dal 1998 a proposito della necessaria convivenza, e dell’opportuna equiparazione, tra i due plebisciti: il plebiscito delle urne e il “plebiscito permanente dei mercati internazionali”. Di questi mercati Draghi ha voluto farsi portavoce, spiegando il perché della loro impermeabilità ai verdetti elettorali. Dopo essersi inchinato alla democrazia ha aggiunto, quasi en passant, che l’austerità sarebbe continuata tale e quale, divinamente indifferente a quel che si agita nei bassi mondi. «Dovete considerare – così Draghi ha completato il suo ragionamento – che gran parte delle misure italiane di consolidamento dei conti continueranno a procedere con il pilota automatico». Il Pilota Automatico è qualcosa di liscio e di impenetrabile, che comporta se necessario un’abdicazione delle democrazie. Nel discorso di Draghi, il “permanente plebiscito dei mercati mondiali” prende infine il sopravvento sulle sovranità popolari. L’erosione delle costituzioni nei singoli Stati membri è frutto di questo nuovo rapporto di forze: nelle istituzioni europee come negli Stati membri, i poteri degli esecutivi tendono ad accentrarsi, divenendo preminenti. Non stupisce che Emmanuel Macron, eletto Presidente di una delle costituzioni più autocratiche dell’Unione, sia descritto dalle élite come un Messia.

Il primo marzo scorso in plenaria il Presidente Juncker ha detto una cosa simile, nel descrivere il White Paper sull’avvenire dell’Unione: “Il futuro dell’Europa non può divenire ostaggio dei cicli elettorali, delle politiche partitiche o delle vittorie di breve periodo”. Il che è come dire: l’Unione non può esser prigioniera di uno strumento paralizzante e potenzialmente devastante come il suffragio universale. Si è perfino avventurato in considerazioni storico-filosofiche: “L’Europa è sempre stata una scelta deliberata: una scelta che va difesa dagli attacchi di chi non vuol capire la Storia”. Una conclusione stupefacente, detta da un liberale. Che io sappia, il pensiero liberale classico non contempla questo genere di fideismo storico. Non dovrebbe esistere chi sta dentro e chi fuori dalla Storia, essendo la Storia qualcosa di completamente imprevedibile, che non marcia provvidenzialmente verso il migliore dei mondi possibili. Eppure sentiamo spesso i partiti della conservazione fare questa distinzione fra chi sta fuori e chi dentro la cosiddetta Storia: il pensiero dogmatico e ideologico ha ormai radici ben salde nei partiti che occupano le forze di centro del nostro emiciclo.

A ciò si aggiunga una considerazione, concernente la democrazia dentro l’Unione. Alcuni Paesi sono con ogni evidenza più eguali degli altri: il Parlamento tedesco può bloccare le politiche europee, i Parlamenti di altri paesi no. La Corte costituzionale tedesca può determinare il corso delle politiche europee e fissarne i limiti dettati dalle democrazie nazionali, la Corte portoghese non può mettere in questione nemmeno due paragrafi del memorandum di austerità (sentenza del 5 aprile 2013). Alla Grecia viene chiesto dalla Commissione di adattare le leggi nazionali alle politiche di rimpatri forzati di migranti verso la Turchia (per fortuna il governo greco ha risposto negativamente a questa domanda, per il momento). Ad altri Stati più potenti non è possibile fare richieste del genere.

Il secondo punto è la mancanza di democrazia delle istituzioni, e come ho detto il tema non è disgiunto dal primo. L’offensiva contro il suffragio universale e le sovranità popolari ha per forza di cose ripercussioni sulle politiche decise dalle istituzioni. Per meglio renderle invulnerabili, per evitare che il futuro dell’Unione sia preso in ostaggio dalle pratiche del suffragio universale, occorre che tali politiche siano il meno possibile sorvegliate, trasparenti, controllate ed eventualmente refutate: dai Parlamenti, dai referendum nazionali, o anche dal Parlamento europeo. L’accordo obbligatorio del Parlamento europeo sui Trattati tra Unione e Paesi terzi è evitato addirittura con escamotage semantici (è il caso dell’accordo con la Turchia sulla migrazione, chiamato furbescamente “statement” e non equiparabile dunque a un trattato su cui Il Parlamento avrebbe legalmente l’ultima parola). Oppure è evitato negando il coinvolgimento diretto in tali trattati o statement delle istituzioni UE, e sottraendo queste ultime ai giudizi della Corte di giustizia, non abilitata a giudicare accordi bilaterali di rimpatri di migranti. Lo stesso si può dire per quanto riguarda la conformità dei memorandum sull’austerità alle prescrizioni della Carta dei diritti fondamentali: anche qui si pratica l’escamotage, con la scusa che gli accordi sono stipulati tra il governo greco e i creditori, anche se questi ultimi si fanno rappresentare nei negoziati da istituzioni comuni europee come la Commissione e la Banca centrale europea, accanto al Fondo Monetario internazionale (a suo tempo la cosiddetta Troika).

Quanto alla Commissione, i suoi richiami alla democrazia e alla propria legittimità democratica sono costanti e poco credibili: tanto più costanti quanto meno credibili, si direbbe. La procedura dello Spitzenkandidat nelle elezioni del Parlamento non democratizza veramente l’istituzione, visto che il governo dell’Unione pretende di essere un governo tecnico e dunque senza mandato popolare, una volta passate le elezioni e le audizioni del Commissari. Basti ricordare la risposta che il Commissario al Commercio Cecilia Malmström diede nel 2015 a John Hilary, che l’interrogava sulle proteste popolari crescenti contro il TTIP: “Non ricevo il mio mandato dal popolo europeo – I do not take my mandate from the European people“. La cosa è aggravata dall’emendamento che Juncker vuole imporre alle regole di condotta della Commissione, nelle elezioni del Parlamento europeo: i Commissari possono candidarsi senza dover uscire dalla Commissione. Se accettato, l’emendamento contribuirà a politicizzare la Commissione e a de-politicizzare al tempo stesso lo scrutinio europeo e il Parlamento stesso.

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L’unico ricorso è spesso solo giuridico: Corte di giustizia e Corte europea dei diritti dell’uomo. Tanto più significativa la sentenza emessa il 10 maggio scorso dalla Corte di giustizia a Lussemburgo su un’Iniziativa Cittadina – “Stop TTIP” – che la Commissione aveva giudicato irricevibile.

Per questi motivi sono contraria a una fuga dall’Europa verso le sovranità nazionali assolute. Può darsi che la storia andrà in questa direzione, ma al momento la struttura decisionale dell’Unione resta un ibrido, composto di elementi nazionali e sovranazionali. L’Altra Europa cui aspiriamo deve democratizzarsi su ambedue i livelli.

Abstract in English

Democracy in the Union and of the Union: necessity to distinguish the two levels of decision making, as the political structure of the Union is an hybrid and constitutional democracy is today threatened on both “governmental” levels.

Democracy in the Union:

what we are facing today is a double erosion: erosion of the constitutions in the Member States (centralisation and preeminence of the executives) and of the popular sovereignties (growing calling in question of the universal suffrage, as expressed in elections and referenda).  Direct involvement in electoral competitions of the Commission and the ECB. The old dichotomy between the “plebiscite” of the national elections and the “permanent plebiscite of the international markets”, suggested as a viable formula in 1998 by Hans Tietmeyer, at the time President of the Bundesbank, has given way to the explicit preeminence of the second “plebiscite”: the constant plebiscite of the financial markets. (Examples).

Democracy of the Union:

what we are facing is a progressive shirking of responsibilities by the EU institutions. The increasing power of such institutions goes hand in hand with a deliberate loss of responsibility not only from a political point of view but also from a judicial one. Such power without responsibility is implemented through semantic and political escamotages and explains the growing disrespect – in EU policies –  of the Charter of fundamental rights, the Convention of human rights, the Court of justice, the European Court of human rights. An evidence of such democratic retrogression is given by the way the Commission denies its involvement and accountability in the austerity memoranda or in the stipulations of international agreement like the EU-Turkey deal or the negotiations on TTIP or Ceta. (Examples).

Effetti delle ordinanze del Tribunale sulla dichiarazione UE-Turchia

di mercoledì, Giugno 28, 2017 0 Permalink

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001437/2017

alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL)

Oggetto: Effetti delle ordinanze del Tribunale sulla dichiarazione UE-Turchia

Il 28 febbraio 2017 il Tribunale dell’Unione europea ha statuito sulle cause NF, NG e NM c. Consiglio europeo (cause T-192/16, T-193/16 e T-257/16) affermando che, a prescindere dal fatto che la dichiarazione UE-Turchia non costituisce una dichiarazione politica né una misura che produce effetti giuridici vincolanti, essa non può essere considerata una misura adottata dal Consiglio europeo né, peraltro, da qualsiasi altra istituzione, organismo, ufficio o agenzia dell’Unione europea, né può essere ritenuta rivelatrice dell’esistenza di una misura tale da corrispondere alla misura contestata. Inoltre, la Corte ha ritenuto che, “anche supponendo che un accordo internazionale avrebbe potuto essere concluso in via informale nel corso della riunione del 18 marzo 2016, […] esso avrebbe costituito un accordo concluso dai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione europea e dal primo ministro turco”.

Alla luce di quanto precede, se la dichiarazione UE-Turchia doveva essere considerata uno strumento internazionale, quale sarebbe la base giuridica per coinvolgere le istituzioni dell’UE nella sua attuazione?

Ritiene la Commissione che gli impegni già assunti sulla base del testo in parola siano compatibili con le ordinanze emesse dal Tribunale?

IT

E-001437/2017
Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione
(1.6.2017)

Come osservato dal Tribunale nelle sue ordinanze, la posizione della Commissione, condivisa dal Consiglio europeo e dal Consiglio dell’UE, è che la dichiarazione UE-Turchia non costituisce un accordo internazionale vincolante.

Per quanto riguarda il secondo quesito, la Commissione rimanda l’onorevole deputato alla quinta relazione sui progressi compiuti in merito all’attuazione della dichiarazione UE‑Turchia [1].

[1]  COM(2017) 204 final del 2 marzo 2017.

Le novità del meccanismo sulla rule of law

di mercoledì, Giugno 28, 2017 0 , Permalink

Bruxelles, 22 giugno 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione interparlamentare organizzata dalla Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE) sull’istituzione di un meccanismo dell’UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali.

Barbara Spinelli è intervenuta nel corso della prima sessione “Towards a Democracy, Rule of Law and Fundamental Rights Pact at EU level – lnterinstitutional perspective and role of national parliaments”

Relatori per la prima sessione:

  • Sophie in’t Veld MEP (Alde), Relatore LIBE della Relazione su un Meccanismo in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali
  • Francisco Fonseca Morillo, Vice Direttore Generale DG JUST, Direzione Generale della Giustizia e dei Consumatori, Commissione europea
  • Vaclav Hampl, Presidente della Commissione per gli affari europei, Senato della Repubblica Ceca

Avendo partecipato in prima persona ai lavori e avendo sostenuto con forza la relazione di Sophie in ‘t Veld, considero molto utile questo nostro incontro, tanto più in quanto si sta cominciando realmente a discutere della proposta e, in maniera del tutto naturale, ad affrontare anche i malintesi e dubbi che essa sta producendo. Utile, perché possiamo provare insieme, forse col tempo, a superarli. Per cercare di fugare questi dubbi e malintesi, vorrei innanzitutto sottolineare quanto segue – ovviamente la collega in ‘t Veld mi potrà smentire se lo ritiene opportuno: la relazione è nata per fare un bilancio critico di tutti gli sforzi e i metodi che sono stati utilizzati finora per far fronte a eventuali violazioni della rule of law nell’Unione europea e a garantirne il rispetto. Pur poggiando e continuando a poggiare sui meccanismi esistenti, il nuovo meccanismo previsto nel testo della Risoluzione parlamentare presenta un indubbio valore aggiunto. C’è, a mio parere, un salto di qualità. Due sono le principali novità:

1) Si tratta un meccanismo permanente che non tende a intervenire in un’ottica di riparazione del danno ma di prevenzione, e quindi a evitare l’aspetto punitivo che possono avere altri meccanismi, poggiando, al contempo, sull’indipendenza e l’imparzialità di giudizio. Non si parla di nominare esperti avulsi dalla realtà politica ma di individuare le persone, le istituzioni, le associazioni cittadine che aiutino a garantire questa imparzialità di giudizio.

2) Altro punto secondo me importante, anche al fine di superare quest’aspetto potenzialmente punitivo, è che le istituzioni stesse dell’Unione sono sotto sorveglianza. A mio parere, mancano nella relazione indicatori e parametri precisi applicabili alle istituzioni, ma è comunque importante che esse siano contemplate come oggetto di esame.

Vorrei concludere con una breve osservazione di carattere personale sulla terminologia “valori condivisi”. Il concetto di valori è sicuramente nominato nei Trattati ma è una parola che genera equivoci perché spesso collegata a elementi molto soggettivi: i valori sono legati alla cultura, e a quelle che sono state indicate nel dibattito odierno come “tradizioni nazionali”. Se dovessi riscrivere il Trattato preferirei parlare di “fondamenti normativi” dell’Unione. È su questi che si basa la Risoluzione redatta da Sophie in ‘t Veld, e su essi si fonda quel che che abbiamo in comune nell’Unione. I fondamenti normativi, le norme, il diritto, non sono soggettivi: sono iscritti nei Trattati e nella Carta dei diritti fondamentali. Non sono oggetto di discussione tra fazioni pro o contro. Al collega che ha chiesto quale sia il “modello” cui ci riferiamo con il nuovo meccanismo, rispondo che la questione non è il modello di riferimento, ma precisi articoli del Trattato e della Carta dei diritti fondamentali. Ritengo che più discutiamo, più chiariamo la questione, più facciamo luce su questi temi, più le nostre posizioni potrebbero avvicinarsi l’una all’altra, compresa quella della Commissione che, a mio avviso, ha sollevato troppi dubbi rispetto a tale meccanismo. Sono convinta che ci troviamo di fronte a un meccanismo nuovo qualitativamente, e non a uno dei tanti meccanismi già esistenti.

Situazione nella Striscia di Gaza

Javier Nart, deputato ALDE, ha inviato all’Alto Rappresentante Federica Mogherini una lettera – firmata anche da Barbara Spinelli – riguardante l’interruzione, da parte del governo di Israele, dell’approvvigionamento di elettricità alla Striscia di Gaza.

Ms Federica Mogherini
High Representative of the Union for Foreign Affairs
and Security Policy/ Vice President of the Commission

Brussels, 21 June 2017

Dear Ms Mogherini,

We are writing to you in order to express our deep and urgent concern for the situation in the Gaza Strip.

On 17 April, Gaza’s sole power plant (GPP) was forced to shut down completely after exhausting its fuel reserves and being unable to replenish them due to a shortage of funds. The shutdown occurred in the context of an ongoing dispute between the Palestinian authorities in Gaza and Ramallah on tax exemption for fuel and revenue collection from electricity consumers. This manoeuvre has caused Gaza’s sole electricity plant to cease operating, which was already insufficient to meet the needs of the 1.9 million residents of the Strip.

Moreover, on Monday 12 June, the Government of Israel announced the cut of its electricity supplies to the Gaza Strip by 40 per cent, in line with a request of the Palestinian Authority (PA). The closure of the power plant reduced supply to four hours per day, and if Israel reduces its supply as announced last week, this will cause supply to fall to approximately two hours per day, according to several humanitarian organizations.

The poor supply of electricity and fuel threatens to create an enormous humanitarian crisis, as 80 per cent of Gazans rely on humanitarian aid to survive. Currently, hospitals are working at minimal capacity and the water pumps and wells use has reduced dramatically.  According to UN sources, this situation will immediately be life threatening for 113 new-borns currently in neonatal intensive care units, 100 patients in intensive care and 658 patients requiring bi-weekly haemodialysis. Current water supply stands at only four to eight hours every four or five days, and sanitation services are weak (120 million litres of untreated sewage are discharged into the Mediterranean Sea every day), as stated in the latest OCHA report.

For the abovementioned reasons, we ask that:

  1. Israel, as the occupying power in the OPT, has the primary responsibility for ensuring the wellbeing of the occupied population and, according to the EU-Israel Association Agreement, the government should comply with the democratic clause contained in Article 2. Thus, Israel must act to guarantee that the electricity supply meets the needs of the Gaza population, as regarded in the IV Geneva Convention, no matter the actions requested by the PA.
  2. Following the deplorable declarations of Mr Usama Al-Qawasmi, spokesperson for Fatah, -stating, “we are not targeting the citizens […], we are targeting Hamas which is running the Gaza Strip”– and Hamas threatening that this decision would increase the likelihood of conflict, we call to urge both parties to take responsibilities towards their own people and address their political tensions. It is deplorable that population is used as bargain chips in political disputes.

The situation is unacceptable and the three parties involved (the PA, the Government of Israel and Hamas) must urgently implement sustainable solutions for the power crisis in the Gaza Strip, resuming the supply of fuel and to commit to take no further actions that infringe the fundamental rights of its own citizens under an illegal Israeli blockade that has lasted for a decade.

With the EU having been the first trade partner for Israel and the first donor for the Palestinian Authority, we must stand as the first political player in the region. Therefore, we urge you, HRVP, to use your political dialogue with Israeli and Palestinian leadership to ensure that this unsustainable situation ends. We have considerable power of influence and pressure given the strategic dependence and relationship we have with the parties. Let us make use of it.

As the UN Special Coordinator for the Middle East Peace Process stated on June 20th at the UN Security Council: “We have a collective responsibility to prevent this. […] a duty to avoid a humanitarian catastrophe”.

File .pdf che riporta anche l’elenco dei firmatari

L’Onu e il rimpatrio di migranti in Libia

Bruxelles, 22 giugno 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione parlamentare Libertà civili, giustizia e affari interni – LIBE.

Punto in agenda:

Seguito della Dichiarazione di New York: scambio di opinioni sul Global compact per una migrazione sicura, ordinata e regolare

  • Scambio di opinioni con Louise Arbour, rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la migrazione internazionale

Grazie Presidente.

La mia domanda riguarda gli accordi europei di rimpatrio di migranti e rifugiati, specie in Libia e con particolare riferimento ai recenti incidenti avvenuti nelle operazioni di soccorso delle guardie di costiere libiche in acque internazionali, e non solo in quelle della Libia.

Quello che vorrei chiedere alla Signora Louise Arbour è di riferirci la posizione dell’ONU sui programmi di training e formazione delle guardie costiere libiche. Il 20 giugno Martin Kobler, rappresentante speciale dell‘ONU in Libia, è intervenuto nella Commissione affari esteri e si è detto estremamente preoccupato per la decisione UE di formazione di tali guardie costiere, invitando i parlamentari europei a guardare su YouTube i video che dimostrano come vengono trattati i migranti nelle operazioni di search and rescue effettuate dalle guardie costiere libiche che teoricamente dovrebbero avere il compito di salvare i migranti e rimpatriarli in Libia. I video mostrano immagini di violenza di guardie costiere armate e di migranti che vengono rigettati in mare, agendo chiaramente in violazione di diritti fondamentali, dei diritti umani e delle Convenzioni internazionali. Sono preoccupata soprattutto perché l’Italia è all’avanguardia nell’operazione di formazione delle guardie costiere libiche. Mi piacerebbe conoscere la sua opinione a riguardo.

***

Nella sua risposta, Luise Arbour non ha preso posizione ma si è ripromessa di indagare la situazione in occasione di una sua imminente missione a Roma.

Ricongiungimenti familiari e trasferimenti Dublino: leggi violate

Bruxelles, 22 giugno 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione parlamentare Libertà civili, giustizia e affari interni – LIBE.

Punto in agenda:

Studio “Attuazione delle decisioni del Consiglio del 2015 che istituiscono misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia”, commissionato dal dipartimento tematico Diritti dei cittadini e affari costituzionali del Parlamento europeo, su richiesta della commissione LIBE

  • Presentazione dello studio a cura di Violeta Moreno-Lax (Università Queen Mary di Londra) e Natascha Zaun (Università di Oxford)

Ringrazio moltissimo la Professoressa Violeta Moreno-Lax, che considero un maestro in questa materia. Ogni testo che scrive è per me un punto di riferimento, e anche quest’ultimo (Attuazione delle decisioni del Consiglio del 2015 che istituiscono misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia) è di grande interesse. Una delle cose importanti che menziona nello studio riguarda i trasferimenti di migranti che si trovano in vari Paesi dell’Unione e che sulla base del sistema Dublino vengono ritrasferiti nel Paese di primo arrivo, cioè Italia o Grecia. Nel caso italiano, i migranti ri-trasferiti tendono a essere due-tre volte più numerosi dei migranti beneficiari delle ricollocazioni prescritte dalla Commissione.

Come sappiamo, ci sono state sentenze delle Corti che chiedevano di non attuare i ri-trasferimenti Dublino verso l’Italia e la Grecia, perché questi Paesi non erano all’altezza di accoglierli dal punto di vista del rispetto dei diritti dell’uomo. Quello che vorrei chiederle è come mai queste sentenze sono semplicemente ignorate.

La seconda domanda riguarda un altro punto dello studio, e cioè l’obbligo – stabilito dallo stesso sistema Dublino – di dare priorità assoluta ai ricongiungimenti familiari: un obbligo cui bisogna ottemperare a prescindere dalle ricollocazioni.

Proprio su questo punto, siamo di recente venuti a conoscenza di un accordo segreto tra il governo tedesco e quello greco, in base al quale Berlino ha chiesto e ottenuto una riduzione drastica dei ricongiungimenti familiari di migranti dalla Grecia: non più di 70 ricongiungimenti per mese. Ciò significa che coloro che hanno già visto riconosciuta la loro richiesta di ricongiungimento familiare in Germania saranno trasferiti in quel Paese in tempi molto lenti: cosa più che dubbia dal punto di vista legale. Vorrei chiedere alla Professoressa Moreno-Lax come possa essere imposto agli Stati Membri di rispettare il diritto assoluto dei richiedenti asilo a tale ricongiungimento, prescritto dal sistema Dublino e non rispettato per evidenti motivi politici-elettorali. È l’unica spiegazione che riesco a trovare a quella che è una vera e propria imposizione del governo tedesco su quello greco, in violazione di precisi obblighi fissati dall’Unione.

Esclusione di Rom, Sinti e Camminanti dal ruolo di rappresentanti istituzionali nella creazione della Strategia Nazionale di Inclusione della città di Roma

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001533/2017
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento
Barbara Spinelli (GUE/NGL)

Oggetto: Esclusione di Rom, Sinti e Camminanti dal ruolo di rappresentanti istituzionali nella creazione della Strategia Nazionale di Inclusione della città di Roma

La comunicazione COM(2011)173 della Commissione europea sollecita gli Stati membri a elaborare strategie nazionali di inclusione dei Rom. Secondo tale comunicazione, gli Stati membri dovrebbero concepire, realizzare e monitorare le strategie nazionali di integrazione dei Rom in stretta cooperazione e basandosi su un dialogo ininterrotto con la società civile Rom e con le autorità regionali e locali.

Il Consiglio dei ministri italiano ha emanato il 28 febbraio 2012 la Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti e prevede la nascita di tavoli di inclusione ove la società civile Rom è chiamata a decidere, in concerto con le prefetture e le amministrazioni, le politiche su casa, lavoro, scuola, sanità e uso del denaro pubblico stanziato dall’Unione europea sulla base della comunicazione della Commissione europea.

Ciò nonostante, rapporti di fonti giornalistiche e attivisti rilevano che tali tavoli non sono stati attuati dalla città di Roma escludendo dunque Rom, Sinti e Camminanti dal ruolo di rappresentanti istituzionali previsto dalla comunicazione della Commissione e dalla Strategia [1].

Può la Commissione indicare se è al corrente di questa situazione e se ne terrà conto durante le sue prossime valutazioni dei piani di integrazione nazionali?

[1]     http://www.agenziaradicale.com/index.php/diritti-e-liberta/4370-campi-nomadi-a-roma-la-montagna-ha-partorito-un-topolino

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E-001533/2017
Risposta di Věra Jourová
a nome della Commissione
(9.6.2017)

A seguito della comunicazione del 2011 sul quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom fino al 2020, tutti gli Stati membri hanno sviluppato strategie o insiemi integrati di misure di intervento, e designato punti di contatto nazionali per i Rom al fine di coordinare l’attuazione [1]. Nel 2015 la Commissione ha pubblicato una valutazione in cui ha esortato gli Stati membri a trasformare le strutture formali di coordinamento in meccanismi di cooperazione efficaci e a garantire un coinvolgimento trasparente di tutte le parti interessate, comprese le autorità regionali e locali e la società civile Rom [2]. Per promuovere tale processo, la Commissione fornisce un sostegno finanziario per lo sviluppo di piattaforme nazionali per i Rom [3].

Per quanto concerne l’Italia, la Commissione sta seguendo il coinvolgimento delle parti interessate e il coordinamento dell’attuazione, comprese tavole rotonde e gruppi di lavoro. Nella valutazione del 2016 la Commissione ha, tra l’altro, incoraggiato l’uso dei fondi strutturali e d’investimento europei per il periodo 2014-2020 allo scopo di migliorare il coordinamento delle politiche nei confronti dei Rom italiani [4]. La Commissione continuerà a valutare la cooperazione tra tutte le parti interessate e il coordinamento dell’attuazione, nonché il monitoraggio delle strategie nazionali di integrazione dei Rom.

[1]     COM(2011)173 definitivo “Quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom” (eccetto Malta, sul cui territorio non vivono popolazioni Rom).

[2]     COM(2015)299 Report on the implementation of the EU Framework for National Roma Integration Strategies 2015

[3]     http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/rec/topics/rec-rdis-nrcp-ag-2016.html,

[4]     COM(2016) 424 final “Valutare l’attuazione del quadro dell’UE per le strategie nazionali di integrazione dei Rom e della raccomandazione del Consiglio su misure efficaci per l’integrazione dei Rom negli Stati membri — 2016” e SWD(2016)209 final, pag. 67.