Il Sud dell’Europa deve diffidare delle trappole Ue

di Barbara Spinelli

«Il Fatto Quotidiano», 22 ottobre 2020

Dice Gentiloni, Commissario europeo per gli affari economici, che la discussione sui prestiti del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) “è un duello italo-italiano, dal quale cerco di stare lontano”. Farebbe invece bene ad avvicinarsi un po’ perché il duello, se proprio vogliamo scegliere questa fuorviante definizione, non è affatto italo-italiano ma inter-europeo.

Lo spiega correttamente Enrico Letta su «El País»: perché il Sud Europa cessi di diffidare del Mes occorre che il Meccanismo muti radicalmente. Deve cambiare il nome che porta, le condizioni che impone, e sostituire con la solidarietà comunitaria il dominio intergovernativo che esercita.

Quel che è accaduto nei giorni scorsi è infatti molto significativo, e vede coinvolti nella ridiscussione del Mes ben tre Paesi del Fronte Sud: Italia, Spagna e Portogallo. Un giorno potrebbe aggiungersi Parigi, se il Fronte si rafforzerà.

In altre parole, stiamo assistendo a una nuova tappa nel negoziato tra Ue e Paesi membri sui fondi di ricostruzione. Non bisogna dimenticare che l’Unione ha una costituzione complicatissima, perché ibrida: in parte è federale (ha una moneta unica) in parte è fatta di Stati che custodiscono meticolosamente le proprie sovranità, agendo da soli o – da qualche tempo – in gruppi separati. Dopo l’accordo di luglio sul Recovery Fund hanno fatto sentire la propria voce due fronti distinti: i Frugali (Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia) e il gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia). I primi restano ostili agli aiuti a fondo perduto, pur avendoli approvati a luglio. I secondi chiedono che non vi siano, nell’uso dei fondi Ue, condizioni legate al rispetto dello Stato di diritto.

Adesso esce allo scoperto il Fronte mediterraneo, cioè i Paesi più colpiti dal Covid. Sono gli stessi che nel primo decennio del secolo hanno maggiormente sofferto l’austerità, costretti a tagliare spese sanitarie e Welfare con forbici spietate. Nel Fronte ritroveremmo sicuramente la Grecia, se ancora governasse la sinistra: la nazione fu devastata dai cosiddetti “aiuti” dell’Ue e del Fondo monetario.

Gentiloni deve dunque essersi accorto, se non dorme, di quel che sta succedendo in Sud Europa. Domenica, il premier spagnolo Pedro Sánchez, in sintonia con Roma e Lisbona, fa sapere a «El País» che del Fondo di Ricostruzione prenderà per ora solo gli aiuti a fondo perduto, escludendo in un primo tempo i prestiti (prenderà 72,700 miliardi invece di 140). La quota prestiti non è respinta ma semplicemente posposta, “visto che la Commissione europea permette che le richieste di prestiti siano presentate entro il luglio 2023: ricorreremo ai prestiti, se ne avremo bisogno, per il bilancio 2024-2026”.

I motivi che inducono Sánchez alla prudenza (non al duello) sono identici a quelli indicati nella stessa domenica da Conte: il problema centrale, nel caso Recovery Fund come per il Mes, sono le condizionalità che un giorno saranno comunque imposte a fronte di debiti eccessivi. Vero è che le condizioni capestro legate ai prestiti Mes (i parametri del Fiscal Compact) sono state sospese a causa del Covid, ma sospeso non significa abolito né rivisto. Sánchez teme l’ora in cui le condizioni saranno reintrodotte, per il Mes come per il Recovery Fund, e che lo siano “troppo presto”. Se non fa nemmeno accenno al Mes è perché in Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia il ricordo della troika resta traumatico (la Grecia doveva “ricevere una lezione” ed essere crushed – schiantata – dissero i leader europei al ministro del Tesoro Usa Geithner nel febbraio 2010). A questo si riferisce probabilmente Conte, quando sostiene che “i prestiti Mes, dovendo essere restituiti, andranno a incrementare il debito pubblico”, comportando per forza “aumenti delle tasse e tagli” al welfare.

Anche il secondo motivo che spinge Sánchez a diffidare dei prestiti è simile a quello segnalato da Conte: i prestiti (Mes o Recovery Fund) presentano vantaggi contenuti in termini di interessi.

Grazie agli acquisti della Banca Centrale europea, l’Italia può oggi emettere Btp decennali pagando tassi che sono al minimo storico. È quanto dice Sánchez: gli interessi sul debito pagati dai singoli Paesi sono discesi a tal punto che i prestiti dell’Unione europea non comportano vantaggi di rilievo.

In altre parole, sia Spagna che Italia e Portogallo temono l’accumularsi del debito, anche se i fondi Mes hanno come unica condizione d’accesso la loro destinazione alla sanità.

Definendo “demagogica” l’idea che i prestiti aumentino il debito, Italia Viva mente sapendo di mentire: è come se proclamasse che è demagogico sostenere che l’acqua è bagnata. Quanto a Zingaretti, sorprende il silenzio sui ragionamenti dei compagni socialisti in Spagna e Portogallo.

L’ultimo argomento usato da Conte è non meno cruciale, e condiviso in particolare da Paesi come Spagna e Portogallo che hanno subìto la troika. Il primo Paese che chiederà prestiti al Mes riceverà una sorta di stigma e verrà visto come insolvente, inaffidabile (lo puoi punire, “schiantare”). Non conviene dare quest’impressione proprio ora che gli interessi sulle emissioni di Btp sono così bassi.

Nelle stesse ore in cui si sono fatti sentire Conte e Sánchez, il premier portoghese António Costa ha espresso dubbi del tutto analoghi: la sua assoluta preferenza va agli aiuti a fondo perduto. Ai prestiti ricorrerà in un secondo momento “solo se strettamente necessario”.

Tutto questo conferma il delicato compito di Conte: trovare un accordo in Italia tra i partiti di governo, neutralizzando con argomenti forti le reticenze di Pd e Italia Viva, e lavorare al contempo a un’intesa nell’Ue, utilizzando al massimo le più che giustificate preoccupazioni dei Paesi che hanno vissuto prima la randellata dei piani di austerità, poi quella del Covid. Non sottovalutiamo le acrobazie che deve compiere Conte, nella duplice veste di presidente del Consiglio italiano e di co-governante nel non meno litigioso Consiglio europeo.

Non sottovalutiamo nemmeno l’incapacità dell’Unione di riconoscere i disastri di cui si è resa responsabile dopo la crisi del 2008. Qualche giorno fa, Vitor Gaspar, dirigente portoghese del Fondo monetario ed ex ministro delle Finanze, ha messo in guardia contro il ripetersi compulsivo di quei disastri, sostenendo sul «Financial Times» che i Paesi industrializzati “possono indebitarsi liberamente senza dover assoggettarsi a nuovi piani di austerità all’indomani della pandemia”. Manca per ora nell’Unione qualsiasi impegno in questo senso.

© 2020 Editoriale Il Fatto S.p.A.

Mes, usciamo dai sensi di colpa e ricordiamo Atene. Come fa Conte

di Barbara Spinelli

«Il Fatto Quotidiano», 21 aprile 2020

Quel che più sconcerta, nelle discussioni italiane sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes), è lo sconcerto di molti commentatori, confortati dall’appoggio che ricevono da buona parte del Partito democratico. Possibile che Conte sia così sprovveduto o ideologico – si chiedono costoro – da respingere l’offerta di aiuti senza condizioni? Il governo Conte deve essersi ammattito, se insiste nel giudicare “inadeguata” l’assistenza del Mes e se pensa di poter ottenere quel che Germania e Olanda non concederanno, e tanto meno a noi peccatori: una messa in comune del debito nell’eurozona, attraverso l’emissione di eurobond. Ammattito due volte: perché resiste a qualcosa che può solo avvantaggiarci, e perché non si è accorto come il Mes sia mutato rispetto ai tempi in cui l’Unione, rappresentata nella Trojka da Commissione e Banca centrale, e affiancata dal Fondo Monetario, aiutò la Grecia a distruggere il proprio Stato sociale.

Chi accusa Conte di riaccendere lo scontro fra chi vuole più Europa e chi ne vuole di meno dà evidentemente per scontato che Mes sia sinonimo di buona Unione, e non-Mes sia sinonimo di non-Europa e sovranismo.

Nulla di più lontano dalla realtà, se si perde un po’ di tempo a leggere i comunicati europei, a usare le parole con un minimo di precisione, e a osservare quel che accade fuori casa. Vero è che le condizioni per accedere agli aiuti del Mes diminuiscono – lo shock Coronavirus non è stavolta asimmetrico ma colpisce simmetricamente tutti gli Stati – ma non per questo scompaiono. Il Report approvato dall’eurogruppo in vista del vertice Ue di giovedì prossimo parla di “condizioni standard per tutti”, definite in anticipo dagli organi del Mes, e di aiuti temporanei legati solo alle spese sanitarie. La formula è vaga sull’accesso ai prestiti ma si fa più concreta sul dopo-Covid (quando verrà alla luce l’aumento del debito cui si è sobbarcato il paese richiedente). Finita l’emergenza, quest’ultimo dovrà “restare fedele all’impegno di rafforzare i fondamentali economici e finanziari, coerentemente con il quadro di coordinamento economico-fiscale e di sorveglianza dell’Unione”. Niente di nuovo in Occidente, dopo il Covid-19.

L’assistenza “senza condizioni” del Mes non è peraltro prevista dai Trattati dell’Unione, così come modificati il 25 marzo 2011 da una decisione del Consiglio europeo (quando al governo c’era Berlusconi, ha opportunamente ricordato Conte). Fu allora che l’articolo 136 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione venne corredato di un’aggiunta rilevante: “Gli Stati membri la cui moneta è l’euro possono istituire un Meccanismo di stabilità […]. La concessione di qualsiasi assistenza finanziaria […] sarà soggetta a una rigorosa condizionalità”. Anche se giovedì si giungesse a un’intesa sul Mes che soddisfi l’Italia, i paesi contrari agli eurobond potranno sempre – in un secondo momento – appellarsi a quest’articolo.

Un altro punto a favore della scommessa di Conte: la sua intransigenza sul Mes ha dato forza ai paesi che chiedono un’Unione attrezzata per il disastro economico scatenato dal Covid. Disastro non paragonabile a nessun altro disastro recente o non recente. Che i meccanismi europei nella loro totalità vadano reinventati è opinione che si sta diffondendo, non solo a Sud: la lettera di nove governi in favore degli eurobond, diramata il 25 marzo, è firmata anche da Belgio, Lussemburgo, Irlanda. Si diffonde, anche, la consapevolezza che tali meccanismi poggiano su dottrine neo-liberiste che lungo gli anni, in nome di uno Stato dimagrito, hanno divorato servizi pubblici, spesa sanitaria, ricerca, e affidato al mercato globalizzato la produzione di dispositivi sanitari di prima necessità (medicine, mascherine, ventilatori). “Lo smantellamento del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per l’insieme dei nostri sistemi economici” (Gaël Giraud, «La civiltà cattolica», Quaderno 4075, 2020, volume II).

Non stupisce dunque che il ricorso al Mes sia ormai inviso in molti paesi dell’Unione, e non è escluso che Spagna e Francia giocheranno al rialzo, giovedì, scommettendo come Conte sul massimo che potranno ottenere, nella speranza di ottenere almeno qualcosa di concreto. Il Premier spagnolo Pedro Sánchez ha appena proposto un Fondo di Ricostruzione (1,5 trilioni di euro, pari all’1% del Pil europeo) che sia agganciato al bilancio europeo e aiuti i paesi in difficoltà con trasferimenti di risorse (“grants”) anziché con prestiti destinati ad aumentare il loro debito pubblico. Di questo “debito perpetuo” si pagherebbero solo gli interessi.

In parallelo con la Spagna sembra muoversi anche Macron, in un’intervista al «Financial Times» del 16 aprile in cui afferma che l’Italia non va abbandonata e che “gli Stati membri non hanno altra scelta se non quella di istituire un fondo per la ripresa post Covid pari a 400 miliardi di euro”, capace di emettere debito comune, garantito congiuntamente e basato sui bisogni degli Stati anziché sulla grandezza delle loro economie. “Se non lo faremo i populisti vinceranno: in Italia, Spagna, forse in Francia”. “Sarebbe un errore storico ripetere che ‘i peccatori debbono pagare’, come si fece come nel primo dopoguerra”, conclude Macron, evocando il “fatale, colossale errore della Francia che in quegli anni reclamò riparazioni dalla Germania, scatenando reazioni populiste e il successivo disastro”.

Quell’errore non si ripeté nel 1945 ma può ripetersi oggi, con la Germania che oggi colpevolizza gli indebitati (in tedesco Schuld definisce sia il debito che la colpa) e con l’Olanda che si oppone agli eurobond continuando a profittare dei propri paradisi fiscali: un punto su cui insistono Sánchez e Conte, nell’intervista alla «Süddeutsche Zeitung» pubblicata ieri su questo giornale. Dopo il ’45 l’Europa fu ricostruita grazie al Piano Marshall, e al Welfare State predisposto durante la guerra da William Beveridge in Gran Bretagna. Anche allora si fece una scommessa temeraria, giocando al rialzo come promettono oggi Italia, Spagna o Francia.

Può darsi che il vertice di giovedì produca compromessi al ribasso (Macron è volubile). Può darsi che Conte, isolato, non usi il veto. Ma darsi per sconfitti sin da ora vuol dire interiorizzare l’equivalenza debito-colpa (“Chi siamo noi, per rifiutare 37 miliardi?”). Vuol dire non aver capito la natura dell’odierna minaccia, e far finta che il Covid sia una crisi come le altre, padroneggiabile con vecchi fallimentari dispositivi.

© 2020 Editoriale Il Fatto S.p. A.

Detenzione di minori non accompagnati nelle celle delle stazioni di polizia in Grecia

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-001400/2018
alla Commissione

Articolo 130 del regolamento

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Beatriz Becerra Basterrechea (ALDE), Tanja Fajon (S&D), Maria Grapini (S&D), Maria Gabriela Zoană (S&D), Tokia Saïfi (PPE), Pina Picierno (S&D), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Maite Pagazaurtundúa Ruiz (ALDE), Sergio Gaetano Cofferati (S&D), Mercedes Bresso (S&D), Silvia Costa (S&D), Bart Staes (Verts/ALE), Marlene Mizzi (S&D), Malin Björk (GUE/NGL), Carlos Coelho (PPE), Ramón Luis Valcárcel Siso (PPE), Antonio López-Istúriz White (PPE), Anna Hedh (S&D), Marita Ulvskog (S&D), Jytte Guteland (S&D), Jens Nilsson (S&D), Wajid Khan (S&D), Luigi Morgano (S&D), Javier Nart (ALDE), Ana Gomes (S&D), Gérard Deprez (ALDE), Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), Curzio Maltese (GUE/NGL), João Pimenta Lopes (GUE/NGL), João Ferreira (GUE/NGL), Vilija Blinkevičiūtė (S&D), Nikolaos Chountis (GUE/NGL), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Javier Couso Permuy (GUE/NGL), Michaela Šojdrová (PPE), Petras Auštrevičius (ALDE), Julie Ward (S&D), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Nathalie Griesbeck (ALDE), Jean Lambert (Verts/ALE), Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Tania González Peñas (GUE/NGL), Marisa Matias (GUE/NGL), Claude Turmes (Verts/ALE), Dietmar Köster (S&D), Claude Moraes (S&D), Eva Joly (Verts/ALE), Soraya Post (S&D), Benedek Jávor (Verts/ALE), Hilde Vautmans (ALDE), Monika Beňová (S&D), Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Bodil Valero (Verts/ALE), António Marinho e Pinto (ALDE), Helmut Scholz (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Jordi Solé (Verts/ALE), Sirpa Pietikäinen (PPE), Martina Anderson (GUE/NGL), Stefan Eck (GUE/NGL), Sophia in ‘t Veld (ALDE), Josef Weidenholzer (S&D), Nessa Childers (S&D), Olle Ludvigsson (S&D), Anna Maria Corazza Bildt (PPE) e Caterina Chinnici (S&D)

Oggetto:  Detenzione di minori non accompagnati nelle celle delle stazioni di polizia in Grecia

Human Rights Watch riferisce che in Grecia, dalla fine del dicembre 2017, 54 minori non accompagnati sono stati trattenuti presso celle delle stazioni di polizia o centri di detenzione per immigrati [1]. La ricerca ha rilevato che tali minori vivevano in condizioni di insalubrità, spesso con adulti diversi dai loro familiari, e potevano essere oggetto di abusi e maltrattamenti da parte della polizia.

La detenzione di minori è contraria al diritto internazionale in materia di diritti umani [2], come dichiarato anche dal gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo e dal relatore speciale sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

L’articolo 6 del regolamento (UE) n. 604/2013 stabilisce che gli Stati membri cooperano strettamente tra loro, tengono debitamente conto delle possibilità di ricongiungimento familiare e, in caso di minori non accompagnati, adottano “il prima possibile opportune disposizioni per identificare i familiari, i fratelli o i parenti del minore non accompagnato nel territorio degli Stati membri”.

È la Commissione a conoscenza di tale situazione e, in tal caso, quali iniziative intende intraprendere per sostenere misure alternative alla detenzione, accelerare il ricongiungimento dalla Grecia con i familiari e garantire la ricollocazione sicura dei minori non accompagnati richiedenti asilo, anche se non hanno legami familiari?

[1]     Secondo Human Rights Watch e diversi studi, tra cui una relazione elaborata su richiesta della Commissione, la detenzione ha un grave impatto a lungo termine sui minori e provoca altresì danni allo sviluppo, ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico e perdita della memoria: http://odysseus-network.eu/wp-content/uploads/2015/02/FINAL-REPORT-Alternatives-to-detention-in-the-EU.pdf

https://www.hrw.org/news/2018/01/23/asylum-seeking-kids-locked-greece

http://www.unhcr.org/58a458eb4

[2]     Assemblea generale delle Nazioni Unite, dichiarazione di New York per i rifugiati e i migranti: risoluzione adottata dall’Assemblea generale il 3 ottobre 2016, A/RES/71/1, “Noi, capi di Stato e di governo e alti rappresentanti (…) perseguiremo inoltre alternative alla detenzione, mentre tali valutazioni sono in corso”. http://www.refworld.org/docid/57ceb74a4.html – Osservazione generale n. 21 (2017) del comitato delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo per quanto concerne i minori di strada – cfr. paragrafo 44 “la privazione della libertà, ad esempio in celle di detenzione o centri chiusi, non costituisce mai una forma di protezione”.

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IT

E-001400/2018

Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(7.6.2018)

La protezione dei minori è una priorità centrale della politica migratoria dell’UE. Il diritto dell’Unione prevede che il trattenimento, anche sotto forma di custodia protettiva, dovrebbe essere utilizzato in ultima istanza e in circostanze eccezionali, solo se strettamente necessario, per il minor tempo possibile e mai in istituti penitenziari. La Commissione ha recentemente sottolineato la persistente mancanza di adeguati centri di accoglienza per minori non accompagnati, sia sulle isole che sul territorio continentale. Le autorità greche dovrebbero accelerare il processo volto a creare, con il sostegno finanziario dell’UE, 2 000 nuovi posti in accoglienza […] in tutta la Grecia. In tutti i punti di crisi in Grecia sono state istituite e addestrate squadre di protezione dei minori” [1]. Pertanto, le autorità nazionali devono garantire la disponibilità e l’accessibilità di una serie di alternative percorribili per il trattenimento di minori migranti. I fondi dell’UE sono disponibili per sostenere tale obiettivo.

In base alle informazioni pubblicate dal Servizio greco di asilo [2], 9 168 richieste di trasferimento sono state inviate ad altri Stati membri per ragioni legate al ricongiungimento familiare, a legami di dipendenza e a questioni umanitarie e 4 758 trasferimenti hanno avuto luogo nel 2017, compresi i trasferimenti di minori non accompagnati, rispetto alle 4 912 richieste di trasferimento e ai 962 trasferimenti nel 2016. La Commissione continua a monitorare la situazione e ha sottolineato la necessità di rafforzare ulteriormente la capacità del servizio greco per l’asilo, compresa l’Unità Dublino greca, al fine di garantire la sostenibilità e il miglioramento delle operazioni.

Per quanto riguarda la ricollocazione dalla Grecia, 21 999 persone, tra cui 546 minori non accompagnati, sono state trasferite dalla Grecia in altri Stati membri.

[1]     Relazioni sullo stato di avanzamento dell’attuazione dell’agenda europea sulla migrazione, COM(2018) 250 final def. del 14.3.2018, COM(2018) 301 final def. del 16.5.2018.

[2]     http://asylo.gov.gr/en/wp-content/uploads/2018/03/Dublin-stats_feb18%CE%95%CE%9D.pdf

La detenzione di bambini migranti in Grecia viola il diritto internazionale

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli e 70 eurodeputati: la detenzione di bambini migranti in Grecia viola il diritto internazionale

Bruxelles, 9 marzo 2018

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha rivolto un’interrogazione scritta alla Commissione europea a proposito della detenzione di bambini migranti non accompagnati nelle celle delle stazioni di polizia in Grecia.

L’interrogazione è stata cofirmata da settanta deputati di diversi gruppi politici.

Di seguito il testo e le firme:

«Human Rights Watch ha reso noto che in Grecia, alla fine dello scorso dicembre, 54 bambini non accompagnati erano detenuti in celle interne alle stazioni di polizia locali o in centri di detenzione per migranti. Secondo il rapporto dell’organizzazione, I bambini migranti vivevano in “condizioni non igieniche, spesso con adulti estranei” e potenzialmente “soggetti ad abuso e maltrattamento da parte della polizia”.

La detenzione dei bambini viola il diritto internazionale in materia di diritti umani, come affermato dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dal Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti.

L’Articolo 6 del Regolamento 604/2013 stabilisce che gli Stati membri cooperino strettamente tra loro, tengano debito conto delle possibilità di ricongiungimento familiare e, nel caso di minori non accompagnati, si adoperino per “facilitare l’azione appropriata per l’identificazione dei familiari, fratelli o parenti del minore non accompagnato che soggiornano nel territorio di un altro Stato membro”.

La Commissione è informata della situazione e, in caso affermativo, quali passi intende intraprendere per sostenere misure alternative alla detenzione, rendere più veloce il ricongiungimento familiare dalla Grecia e assicurare una ricollocazione sicura dei bambini richiedenti asilo non accompagnati, anche in assenza di legami familiari?»

Firmatari:

Barbara Spinelli (GUE/NGL), Beatriz Becerra Basterrechea (ALDE), Tanja Fajon (S&D), Maria Grapini (S&D), Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL), Maria Gabriela Zoană (S&D), Tokia Saïfi (PPE), Pina Picierno (S&D), Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL), Maite Pagazaurtundúa Ruiz (ALDE), Sergio Gaetano Cofferati (S&D), Mercedes Bresso (S&D), Silvia Costa (S&D), Bart Staes (Verts/ALE), Marlene Mizzi (S&D), Malin Björk (GUE/NGL), Carlos Coelho (PPE), Ramón Luis Valcárcel Siso (PPE), Antonio López-Istúriz White (PPE), Anna Hedh (S&D), Marita Ulvskog (S&D), Jytte Guteland (S&D), Jens Nilsson (S&D), Wajid Khan (S&D), Luigi Morgano (S&D), Javier Nart (ALDE), Ana Gomes (S&D), Gérard Deprez (ALDE), Izaskun Bilbao Barandica (ALDE), Curzio Maltese (GUE/NGL), João Pimenta Lopes (GUE/NGL), João Ferreira (GUE/NGL), Vilija Blinkevičiūtė (S&D), Nikolaos Chountis (GUE/NGL), Molly Scott Cato (Verts/ALE), Javier Couso Permuy (GUE/NGL), Michaela Šojdrová (PPE), Petras Auštrevičius (ALDE), Julie Ward (S&D), Merja Kyllönen (GUE/NGL), Nathalie Griesbeck (ALDE), Jean Lambert (Verts/ALE), Barbara Lochbihler (Verts/ALE), Tania González Peñas (GUE/NGL), Marisa Matias (GUE/NGL), Claude Turmes (Verts/ALE), Dietmar Köster (S&D), Claude Moraes (S&D), Eva Joly (Verts/ALE), Soraya Post (S&D), Benedek Jávor (Verts/ALE), Hilde Vautmans (ALDE), Monika Beňová (S&D), Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL), Elly Schlein (S&D), Ernest Urtasun (Verts/ALE), Bodil Valero (Verts/ALE), António Marinho e Pinto (ALDE), Helmut Scholz (GUE/NGL), Kostas Chrysogonos (GUE/NGL), Jordi Solé (Verts/ALE), Sirpa Pietikäinen (PPE), Martina Anderson (GUE/NGL), Stefan Eck (GUE/NGL), Sophia in ‘t Veld (ALDE), Josef Weidenholzer (S&D), Nessa Childers (S&D), Olle Ludvigsson (S&D), Anna Maria Corazza Bildt (PPE), Caterina Chinnici (S&D)

Allegati:

Secondo HRW e numerosi studi, tra cui un rapporto redatto su richiesta della Commissione, la detenzione ha effetti gravi e di lungo termine sui bambini, che includono “nocumento al loro sviluppo, ansia, depressione, disturbo da stress post traumatico e perdita di memoria”:

http://odysseus-network.eu/wp-content/uploads/2015/02/FINAL-REPORT-Alternatives-to-detention-in-the-EU.pdf

https://www.hrw.org/news/2018/01/23/asylum-seeking-kids-locked-greece

http://www.unhcr.org/58a458eb4

Assemblea generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione di New York su rifugiati e migranti: risoluzione / adottata dall’Assemblea generale, 3 ottobre 2016, A/RES/71/1.

“Noi, i Capi di Stato e di governo e Alti rappresentanti (…)  perseguiremo inoltre soluzioni alternative alla detenzione mentre tali misure sono in corso”.

http://www.refworld.org/docid/57ceb74a4.html

– Commento Generale N. 21 (2017) del  Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia relativo ai bambini in situazioni di strada – vedi paragrafo 44: “La privazione della libertà, per esempio, in celle di detenzione o centri chiusi, non costituisce mai una forma di protezione”.

Fonti:

http://fra.europa.eu/en/publication/2017/child-migrant-detention

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2013:180:0031:0059:EN:PDF

Europa, l’inganno delle celebrazioni

Articolo apparso su «Il Fatto Quotidiano» del 23 marzo 2017.

L’Unione europea si appresta a celebrare il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma manifestandosi sotto forma di un immenso accumulo di spettacoli. Come nelle analisi di Guy Debord, tutto ciò che è direttamente vissuto dai cittadini è allontanato in una rappresentazione.

Le celebrazioni sono il luogo dell’inganno visivo e della falsa coscienza. Non mancheranno gli accenni ai padri fondatori, e perfino ai tempi duri che videro nascere l’idea di un’unità europea da opporre alle disuguaglianze sociali, ai nazionalismi, alle guerre che avevano distrutto il continente. Anche questi accenni sono inganni visivi. Lo spettacolo delle glorie passate si sostituisce al deserto del reale per dire: “Ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare”.

La realtà dell’Unione va salvata da quest’operazione di camuffamento. Come ricorda il filosofo Slavoj Žižek, la domanda da porsi è simile a quella di Freud a proposito della sessualità femminile: “Cosa vuole l’Europa?”. Cosa vuole l’élite che oggi pretende di governare l’Unione presentandosi come erede dei fondatori, e quali sono i suoi strumenti privilegiati?

La prima cosa che vuole è risolvere a proprio favore la questione costituzionale della sovranità, legittimando l’oligarchia sovranazionale e prospettandola come una necessità tutelare e benefica, quali che siano i contenuti e gli effetti delle sue politiche. Il primo marzo, illustrando il Libro Bianco della Commissione sul futuro dell’UE, il Presidente Juncker è stato chiaro: “Non dobbiamo essere ostaggi dei periodi elettorali negli Stati”. In altre parole, il potere UE deve sconnettersi da alcuni ingombranti punti fermi delle democrazie costituzionali: il suffragio universale in primis, lo scontento dei cittadini o dei Parlamenti, l’uguaglianza di tutti sia davanti alla legge, sia davanti agli infortuni sociali dei mercati globali. Scopo dell’Unione non è creare uno scudo che protegga i cittadini dalla mondializzazione, ma facilitare quest’ultima evitandole disturbi. Nel 1998 l’allora Presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer invitò ad affiancare il “suffragio permanente dei mercati globali” a quello delle urne. Il binomio, già a suo tempo osceno, salta. Determinante resta soltanto, perché non periodico bensì permanente, il plebiscito dei mercati.

In quanto potere relativamente nuovo, l’oligarchia dell’Unione ha bisogno di un nemico esterno, del barbaro. Oggi ne ha uno interno e uno esterno. Quello interno è il “populismo degli euroscettici”: un’invenzione semantica che permette di eludere i malcontenti popolari relegandoli tutti nella “non-Europa”, o di compiacersi di successi apparenti come il voto in Olanda (“È stato sconfitto il tipo sbagliato di populismo” ha decretato il conservatore Mark Rutte, vincitore anche perché si è appropriato in extremis dell’offensiva anti-turca di Wilders). Il nemico esterno è oggi la Russia, contro cui gran parte dell’Europa, su questo egemonizzata dai suoi avamposti a Est, intende coalizzarsi e riarmarsi.

La difesa europea e anche l’Europa a due velocità sono proposte a questi fini. Sono l’ennesimo tentativo di comunitarizzare tecnicamente le scelte politiche europee tramite un inganno visivo, senza analizzare i pericoli di tali scelte e ignorando le inasprite divisioni dentro l’Unione fra Nord e Sud, Est e Ovest, Stati forti e Stati succubi. Si fa la difesa europea tra pochi come a suo tempo si fece l’euro: siccome il dolce commercio globale è supposto generare provvidenzialmente pace e democrazia, si finge che anche la Difesa produrrà naturaliter unità politica, solidarietà e pace alle frontiere e nel mondo. Da questo punto di vista è insufficiente reclamare più trasparenza dell’UE. Il meccanismo non è meno sbagliato se trasparente.

All’indomani della crisi del 2007-2008 la Grecia è stata il terreno di collaudo economico e costituzionale di queste strategie. L’austerità e le riforme strutturali l’hanno impoverita come solo una guerra può fare, e l’esperimento è additato come lezione. La Grecia soffre ormai la sindrome del prigioniero, ed essendosi sottomessa al memorandum di austerità deve allinearsi in tutto: migrazione, politica estera, difesa. Deve perfino sottostare alla domanda di cambiare le proprie leggi in modo da permettere la detenzione dei rifugiati e le loro espulsioni verso Paesi terzi. Nel vertice di Malta del 3 febbraio si è evitato per pudore di menzionare l’obiettivo indicato nell’ordine del giorno: ridefinire il principio di non-respingimento iscritto nella Convenzione di Ginevra.

La politica su migrazione e rifugiati è strettamente connessa ai nuovi rapporti di forza che si vogliono consolidare. Il fallimento dell’Unione in questo campo è palese, e l’élite che la governa ne è cosciente. L’afflusso di migranti e rifugiati non è alto (appena lo 0,2 per cento della popolazione UE), ma resta il fatto che la paura è diffusa e che a essa occorre dare risposte al tempo stesso pedagogiche e convincenti. Se non vengono date è perché sulle paure si fa leva per sconnettere scaltramente le due crisi: quella economica e sociale dovuta a riforme strutturali tuttora ritenute indispensabili, e quella migratoria. Basta ascoltare i municipi che temono i flussi migratori: come fare accoglienza, se i comuni sono costretti a liquidare i servizi pubblici e ad affrontare emergenze abitative? Questo nesso è ignorato sia dai fautori dell’austerità, sia dalle destre estreme che la avversano. Lo è anche dalle sinistre che si limitano a difendere i diritti umani dei migranti e non – in un unico pacchetto, con gli occhi aperti sui rischi di dumping sociale – i diritti sociali di tutti, connazionali e non.

Se avesse deciso di combattere la crisi con un New Deal, mettendosi in ascolto dei cittadini (della realtà), l’Unione potrebbe trasformarsi in una terra di immigrazione, così come la Germania si è col tempo trasformata da terra di immigrati temporaneamente “ospiti” (Gastarbeiter) in terra di immigrati con diritti all’integrazione e alla cittadinanza. Il New Deal non c’è, e il legame tra le varie crisi è negato per meglio produrre un’Europa rimpicciolita, basata non già sulla condivisione di sovranità ma sul trasferimento delle sovranità deboli a quelle forti (nazionali o sovranazionali).

Ultima realtà occultata dalla società dello spettacolo che si auto-incenserà a Roma: il Brexit. Per le élite dell’Unione è la grande occasione: adesso infine si può “fare l’Europa” osteggiata per decenni da Londra. Sia il compiacimento dell’Unione sia quello di Theresa May sono improvvidi: se non danno assoluta priorità al sociale i Ventisette perdono la scommessa del Brexit; se il Brexit serve per demolire ulteriormente il già sconquassato welfare britannico Theresa May si troverà alle prese con chi ha votato l’exit per disperazione sociale. Anche in questo caso viene misconosciuta o negata la sequenza cruciale: quella che dal dramma ricattatorio del Grexit ha condotto al Brexit. È l’ultimo inganno visivo delle cerimonie romane.

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L’inverno della nostra vergogna

Strasburgo, 18 gennaio 2017

Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo in merito alle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sugli aiuti di emergenza per i rifugiati e i migranti che affrontano condizioni climatiche avverse nei campi profughi europei

Grazie Presidente,

Mi domando quanti richiedenti asilo dovranno morire di freddo, in quest’inverno della nostra vergogna.

Chiedo alla Commissione di ascoltare Amnesty e i Community Leader dei rifugiati a Mòria. Che i migranti nelle isole greche siano spostati verso la terraferma, in luoghi che non siano campi senza elettricità e acqua.

L’accordo UE-Turchia non prevede che i rimpatri avvengano dalle isole, come voluto da Erdogan. In queste condizioni, i rifugiati in Europa non vanno rispediti in Grecia e Italia sulla base del sistema di Dublino.

Diciamoci finalmente che questa non è una crisi dei rifugiati. È la rovina delle nostre politiche d’asilo, di ricollocazione, di riunificazione familiare, di rispetto del diritto alla vita.

Caro Commissario Stylianides, questo inverno così freddo non era imprevedibile.

Con i rifugiati di Mòria, chiedo la fine delle deportazioni in Turchia dei più vulnerabili, e che siano garantite tutte le garanzie procedurali cui i richiedenti hanno diritto.

La realtà inventata della Commissione

Strasburgo, 12 dicembre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, per conto del Gruppo GUE/NGL in apertura dei lavori della Sessione Plenaria.

Punto in agenda: Ordine dei lavori – Richiesta del Gruppo GUE/NGL di introdurre nell’agenda dei lavori di mercoledì 14 dicembre 2016 il seguente dibattito: “Raccomandazione della Commissione europea sull’attuazione della dichiarazione UE-Turchia e il ripristino dei trasferimenti nell’ambito del sistema di Dublino. (Dichiarazione della Commissione)“.

La richiesta del Gruppo GUE/NGL è stata approvata dall’aula a grande maggioranza, con 204 voti a favore e 149 contrari.

Chiediamo per mercoledì una dichiarazione della Commissione e un roll call vote su due stupefacenti raccomandazioni: il ripristino dei trasferimenti Dublino, e l’implementazione dell’accordo UE-Erdogan. Anche i profughi più vulnerabili vanno deportati in Turchia, e Atene è pregata di riscrivere le leggi che lo vietano.

Sono raccomandazioni disattente al diritto. I ri-trasferimenti in Grecia sono vietati fin dal 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, poi dalla Corte europea di giustizia e da Corti nazionali. Mi domando quale sia il metodo, in tanta follia. Una Commissione incapace di ricollocare i profughi, indifferente alla miseria economica imposta ad Atene, finge una potenza che non ha sradicando i diritti dell’uomo. Dice che i rifugiati in Grecia stanno oggi molto meglio. Non c’è una sola testimonianza che confermi questa realtà totalmente inventata.

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Si veda anche:

La petizione lanciata da DiEM25, e cofirmata da Barbara Spinelli, per fermare l’accordo tra Unione europea e Turchia.

Ruolo dell’Agenzia europea per la guardia costiera e di frontiera nel ritorno forzato di 10 richiedenti asilo siriani dalla Grecia alla Turchia

È stata oggi presentata la domanda con richiesta di risposta scritta alla Commissione su “The role of the European Border and Coast Guard Agency in the forced return of 10 Syrian asylum-seekers from Greece to Turkey on 14 October 2016”, firmata anche da Barbara Spinelli.

 

Relazione del Parlamento Europeo sulla ricollocazione di richiedenti asilo da Grecia e Italia verso il resto dell’Unione Europea

Strasburgo, 15 settembre 2016

Oggi il Parlamento europeo ha votato la Proposta di relazione presentata dall’eurodeputata dei Verdi/ALE Ska Keller sulla “proposta di decisione del Consiglio che modifica la decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio, del 22 settembre 2015, che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell’Italia e della Grecia”. La Risoluzione è stata adottata con 470 voti favorevoli, 131 contrari e 50 astensioni.  Qui l’edizione finale della Risoluzione: http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?type=TA&reference=P8-TA-2016-0354&language=IT&ring=A8-2016-0236

Dopo il voto Barbara Spinelli, in qualità di Relatore per il Gruppo GUE/NGL, ha dichiarato:

A seguito dell’accordo UE-Turchia, la Commissione ha proposto che una quota di 54.000 persone che devono essere ricollocate da Grecia e Italia verso altri Stati Membri sia invece reinsediata dalla Turchia. Attualmente poche migliaia di richiedenti asilo sono state ricollocate da Grecia e Italia, e da vari mesi circa 60.000 richiedenti asilo sono bloccati in Grecia.

Il Parlamento ha adottato dunque la relazione dell’eurodeputata Ska Keller (Greens/EFA), che modifica radicalmente la proposta iniziale della Commissione stabilendo una serie di garanzie per i richiedenti asilo e specifici doveri degli Stati Membri, fra cui quello di accettare al più presto ricollocazioni verso il proprio territorio da Grecia e Italia. “Mi felicito per l’approvazione del rapporto”, ha dichiarato l’eurodeputata Barbara Spinelli (GUE/NGL), “e in particolare per l’adozione a grande maggioranza di un mio emendamento volto a rafforzare le garanzie di ricongiungimento familiare dei richiedenti asilo bloccati in Italia e Grecia”.

“Il mio unico rammarico è che non sia passato l’altro mio emendamento, critico della base giuridica scelta dalla Commissione nella sua proposta: base che di fatto esclude il Parlamento nella sua funzione di co-legislatore, conferendogli un ruolo che rende non vincolanti i suoi pareri. La base prescelta (Articolo 78 §3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) è usata solitamente in casi di emergenza legata a ‘improvvisi’ afflussi di rifugiati. Da tempo gli afflussi non sono più improvvisi, sicché non c’è motivo per cui il Parlamento non sia coinvolto a pieno titolo (seguendo la procedura ‘ordinaria’ prevista dall’Articolo 78 §2 del suddetto Trattato).”

 

Si veda anche:
L’emergenza rifugiati che emargina il Parlamento

 

Le devastazioni del Brexit

Strasburgo, 5 luglio 2016. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. 

Punto in agenda: Discussione Prioritaria – Conclusioni del Consiglio europeo del 28 e 29 giungo 2016

Dichiarazioni del Consiglio europeo e della Commissione.

Presenti al dibattito:

Donald Tusk – Presidente del Consiglio Europeo

Jean-Claude Juncker – Presidente della Commissione Europea

 

Il Brexit potrebbe essere più devastante per noi che per il Regno Unito. C’è xenofobia nel voto inglese, ma c’è dell’altro: e se fingiamo di ignorarlo, la xenofobia si impadronirà dell’Europa. La nemesi del Brexit non cade dal cielo: prima venne il disprezzo con cui l’Unione seppellì il referendum greco anti-austerità. Avevamo un anno per riconoscere che era una vittoria di Pirro. Un anno sprecato. Ora che ci inventeremo? Delegare più sovranità? I Paesi restanti non l’accetteranno. Colpevolizzare il suffragio universale? Ci punirà ancora di più. La guerra di classe non è finita. Le vecchie classi impoverite, e le nuove che abbiamo privato di un nome, ci dicono, come il Commendatore nel Don Giovanni: “Ah, tempo più non v’è”. Delegare poteri crescenti a un’oligarchia sempre più sorda al suffragio universale non serve. Solo cambiare radicalmente le politiche, e democratizzarle, può servire a qualcosa.