di Barbara Spinelli
«Il Fatto Quotidiano», 22 ottobre 2020
Dice Gentiloni, Commissario europeo per gli affari economici, che la discussione sui prestiti del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) “è un duello italo-italiano, dal quale cerco di stare lontano”. Farebbe invece bene ad avvicinarsi un po’ perché il duello, se proprio vogliamo scegliere questa fuorviante definizione, non è affatto italo-italiano ma inter-europeo.
Lo spiega correttamente Enrico Letta su «El País»: perché il Sud Europa cessi di diffidare del Mes occorre che il Meccanismo muti radicalmente. Deve cambiare il nome che porta, le condizioni che impone, e sostituire con la solidarietà comunitaria il dominio intergovernativo che esercita.
Quel che è accaduto nei giorni scorsi è infatti molto significativo, e vede coinvolti nella ridiscussione del Mes ben tre Paesi del Fronte Sud: Italia, Spagna e Portogallo. Un giorno potrebbe aggiungersi Parigi, se il Fronte si rafforzerà.
In altre parole, stiamo assistendo a una nuova tappa nel negoziato tra Ue e Paesi membri sui fondi di ricostruzione. Non bisogna dimenticare che l’Unione ha una costituzione complicatissima, perché ibrida: in parte è federale (ha una moneta unica) in parte è fatta di Stati che custodiscono meticolosamente le proprie sovranità, agendo da soli o – da qualche tempo – in gruppi separati. Dopo l’accordo di luglio sul Recovery Fund hanno fatto sentire la propria voce due fronti distinti: i Frugali (Austria, Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia) e il gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia). I primi restano ostili agli aiuti a fondo perduto, pur avendoli approvati a luglio. I secondi chiedono che non vi siano, nell’uso dei fondi Ue, condizioni legate al rispetto dello Stato di diritto.
Adesso esce allo scoperto il Fronte mediterraneo, cioè i Paesi più colpiti dal Covid. Sono gli stessi che nel primo decennio del secolo hanno maggiormente sofferto l’austerità, costretti a tagliare spese sanitarie e Welfare con forbici spietate. Nel Fronte ritroveremmo sicuramente la Grecia, se ancora governasse la sinistra: la nazione fu devastata dai cosiddetti “aiuti” dell’Ue e del Fondo monetario.
Gentiloni deve dunque essersi accorto, se non dorme, di quel che sta succedendo in Sud Europa. Domenica, il premier spagnolo Pedro Sánchez, in sintonia con Roma e Lisbona, fa sapere a «El País» che del Fondo di Ricostruzione prenderà per ora solo gli aiuti a fondo perduto, escludendo in un primo tempo i prestiti (prenderà 72,700 miliardi invece di 140). La quota prestiti non è respinta ma semplicemente posposta, “visto che la Commissione europea permette che le richieste di prestiti siano presentate entro il luglio 2023: ricorreremo ai prestiti, se ne avremo bisogno, per il bilancio 2024-2026”.
I motivi che inducono Sánchez alla prudenza (non al duello) sono identici a quelli indicati nella stessa domenica da Conte: il problema centrale, nel caso Recovery Fund come per il Mes, sono le condizionalità che un giorno saranno comunque imposte a fronte di debiti eccessivi. Vero è che le condizioni capestro legate ai prestiti Mes (i parametri del Fiscal Compact) sono state sospese a causa del Covid, ma sospeso non significa abolito né rivisto. Sánchez teme l’ora in cui le condizioni saranno reintrodotte, per il Mes come per il Recovery Fund, e che lo siano “troppo presto”. Se non fa nemmeno accenno al Mes è perché in Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia il ricordo della troika resta traumatico (la Grecia doveva “ricevere una lezione” ed essere crushed – schiantata – dissero i leader europei al ministro del Tesoro Usa Geithner nel febbraio 2010). A questo si riferisce probabilmente Conte, quando sostiene che “i prestiti Mes, dovendo essere restituiti, andranno a incrementare il debito pubblico”, comportando per forza “aumenti delle tasse e tagli” al welfare.
Anche il secondo motivo che spinge Sánchez a diffidare dei prestiti è simile a quello segnalato da Conte: i prestiti (Mes o Recovery Fund) presentano vantaggi contenuti in termini di interessi.
Grazie agli acquisti della Banca Centrale europea, l’Italia può oggi emettere Btp decennali pagando tassi che sono al minimo storico. È quanto dice Sánchez: gli interessi sul debito pagati dai singoli Paesi sono discesi a tal punto che i prestiti dell’Unione europea non comportano vantaggi di rilievo.
In altre parole, sia Spagna che Italia e Portogallo temono l’accumularsi del debito, anche se i fondi Mes hanno come unica condizione d’accesso la loro destinazione alla sanità.
Definendo “demagogica” l’idea che i prestiti aumentino il debito, Italia Viva mente sapendo di mentire: è come se proclamasse che è demagogico sostenere che l’acqua è bagnata. Quanto a Zingaretti, sorprende il silenzio sui ragionamenti dei compagni socialisti in Spagna e Portogallo.
L’ultimo argomento usato da Conte è non meno cruciale, e condiviso in particolare da Paesi come Spagna e Portogallo che hanno subìto la troika. Il primo Paese che chiederà prestiti al Mes riceverà una sorta di stigma e verrà visto come insolvente, inaffidabile (lo puoi punire, “schiantare”). Non conviene dare quest’impressione proprio ora che gli interessi sulle emissioni di Btp sono così bassi.
Nelle stesse ore in cui si sono fatti sentire Conte e Sánchez, il premier portoghese António Costa ha espresso dubbi del tutto analoghi: la sua assoluta preferenza va agli aiuti a fondo perduto. Ai prestiti ricorrerà in un secondo momento “solo se strettamente necessario”.
Tutto questo conferma il delicato compito di Conte: trovare un accordo in Italia tra i partiti di governo, neutralizzando con argomenti forti le reticenze di Pd e Italia Viva, e lavorare al contempo a un’intesa nell’Ue, utilizzando al massimo le più che giustificate preoccupazioni dei Paesi che hanno vissuto prima la randellata dei piani di austerità, poi quella del Covid. Non sottovalutiamo le acrobazie che deve compiere Conte, nella duplice veste di presidente del Consiglio italiano e di co-governante nel non meno litigioso Consiglio europeo.
Non sottovalutiamo nemmeno l’incapacità dell’Unione di riconoscere i disastri di cui si è resa responsabile dopo la crisi del 2008. Qualche giorno fa, Vitor Gaspar, dirigente portoghese del Fondo monetario ed ex ministro delle Finanze, ha messo in guardia contro il ripetersi compulsivo di quei disastri, sostenendo sul «Financial Times» che i Paesi industrializzati “possono indebitarsi liberamente senza dover assoggettarsi a nuovi piani di austerità all’indomani della pandemia”. Manca per ora nell’Unione qualsiasi impegno in questo senso.
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