Kiev, soldi e sangue: la furbata dell’Ue

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 20 dicembre 2025

“O i soldi per l’Ucraina oggi o il sangue domani”, aveva tuonato il premier polacco Tusk in apertura del Consiglio europeo, giovedì.

Con una furbata, i leader dell’Unione hanno finito col posticipare l’uso degli averi russi ormai indefinitamente – dunque illegalmente – congelati in Europa, e presteranno a Kiev 90 miliardi di euro per continuare la guerra ancora due anni, tramite indebitamento comune sui mercati. L’Ue avrà dunque i soldi e anche il sangue (ucraino).

Belgio e Italia hanno svolto un ruolo centrale nell’affondamento dell’idea di Merz-Von der Leyen: l’uso immediato dei 210 miliardi russi, il 90% dei quali congelati in Belgio, malgrado le sicure ritorsioni russe. La furbata è del cancelliere Merz: i fondi russi si useranno più in là, quando Kiev dovrà rimborsare il prestito. Con l’intesa: comunque quel denaro è nostro, non importa se per guerreggiare o ricostruire. Ungheria, Cechia e Slovacchia non anticiperanno nulla.

Così l’Ue prosegue l’opera iniziata lunedì a Berlino con la Dichiarazione dei Volonterosi. Il proposito è finanziare un baluardo ucraino al confine con la Russia, dotato di un esercito del tutto sproporzionato e protetto da soldati europei (il “porcospino d’acciaio” di Von der Leyen). Nessuno Stato Ue supererebbe numericamente l’esercito di Kiev: 800.000 soldati in tempo di pace, nonostante la catastrofe demografica del Paese. Volodymyr Ishchenko, sociologo ucraino favorevole al piano Trump respinto dai Volonterosi, ricorda su «La Stampa» che la popolazione scenderà a 15 milioni alla fine del secolo, rispetto ai 52 del 1992.

Questo significa che Berlino, cui Merz promette l’esercito “più potente d’Europa”, schiererà oltre 800.000 uomini: 500-600.000 soldati in più rispetto a oggi, cifra irraggiungibile se la leva sarà volontaria. Zelensky rinuncia finalmente a entrare nella Nato, ma non è detto che cancelli dalla Costituzione l’impegno a farne parte e torni alla neutralità iscritta nella Carta fino al 2019.

È fantasioso affermare che su simili questioni l’Unione decide di superare il diritto di veto, come per il trattato Schengen o l’Euro, visto che Gran Bretagna e Norvegia sono tra i Volonterosi. A Berlino non ha parlato l’Ue, ma una frazione dell’Occidente inteso come Nato.

Mosca ha un annoso bisogno di sfere di sicurezza in Europa – non di influenza – ma è difficile che accetti queste condizioni, che non affrontano le radici del conflitto come Putin chiede da quando la Nato, dopo essersi estesa nonostante le promesse a Gorbacëv, si prefisse l’allargamento a Ucraina e Georgia (“la Nato che abbaia alle porte della Russia”, secondo Papa Francesco). Né è credibile la rinuncia alla Nato, quando Usa e Volonterosi garantiscono a Kiev procedure “legalmente vincolanti” simili all’articolo 5 dell’Alleanza, secondo cui l’attacco a un paese membro equivale all’attacco contro tutti (la Nato è flessibile: “Ogni Stato deciderà l’azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l’uso della forza armata”).

Ma soprattutto: nessun governo a Mosca accetterà accordi che non sfocino in trattati internazionali legali e vincolanti. Non c’è forza politica russa che ammetterà garanzie solo verbali come fece Gorbacëv.

Non tutti i Volonterosi sono inoltre d’accordo tra loro. Assieme a sei Stati Ue, e anche alla Banca centrale europea, Meloni osteggiava l’uso degli averi russi. Al momento, Roma non intende neanche mandare soldati in Ucraina come previsto dai Volonterosi.

La dichiarazione di Berlino è firmata da una parte degli Stati Ue, più influenti perché più popolosi. Mancano 19 governi, tra cui Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia. E c’è chi ancora crede che l’Ue sarebbe più solidale, se venisse abolito il diritto di veto per fare le guerre e ridurre lo Stato sociale.

La «Pravda» annuncia con sarcasmo il fallimento dei Volonterosi e di Von der Leyen, ma non nasconde l’allarme. Ha scritto che è arduo fidarsi di Trump, dopo il post su Truth in cui si sostiene che è stata la sindrome anti-Trump a uccidere il regista Rob Reiner e la moglie. In realtà sono le offensive di regime change contro Venezuela e Colombia e i cambi di umore degli Usa a creare ansia a Mosca e Pechino.

Mosca ha già fatto un notevole passo avanti, quando discusse con Trump la prima bozza dell’accordo: 600.000 soldati concessi all’Ucraina, neutralità senza toglierle sovranità, e i territori russofoni alla Russia visto che Kiev ha sempre negato loro l’autonomia.

Da tempo le dichiarazioni dei Volonterosi sono prive di qualsivoglia razionalità. Il loro ragionamento, compulsivo-ossessivo, è il seguente: visto che Putin usa interferire nelle nostre elezioni, manda droni ovunque, manipola esperti e giornalisti traditori dell’Occidente (detti anche putiniani, sovranisti o trumpian-putiniani) l’Europa deve capire che la guerra è vicina, anzi è già cominciata. Impossibile sfatare simili bufale. Né son giudicate rassicuranti le parole di Putin: “Se volete ve lo mettiamo per iscritto che non intendiamo attaccare l’Europa”. Non senza ragione, Giuseppe Conte osserva: “Ma se l’Ue è convinta che la Russia l’attaccherà, perché Putin dovrebbe aspettare che l’Europa si riarmi?”.

I capi europei lasciano a militari o industrie belliche il compito di compiacersi nel disastro europeo. Il capo di stato maggiore francese Mandon dice il 18 novembre che la Francia crollerà “se non è pronta a perdere i propri figli in guerra”. L’omologo inglese Knighton afferma il 12 dicembre che “molte famiglie sapranno cosa vuol dire sacrificio per la nostra nazione”. Merz intanto si immagina egemone, specie su nord europei, Polonia, Baltici: sul suo Lebensraum, lo “Spazio Vitale” che nel ’900 causò la rovina del Paese e il suo smembramento.

Per la verità la Repubblica di Bonn fu ottusa sin dal dopoguerra, tre anni prima di entrare nella Nato. Nel marzo 1952 una Nota di Stalin propose la riunificazione della Germania in cambio della sua neutralità, ma il cancelliere Adenauer offesissimo la rifiutò. Erano favorevoli alla Nota i capi della socialdemocrazia, tra cui Kurt Schumacher, Willy Brandt, Herbert Wehner. Quella sinistra non c’è più. La situazione geopolitica in Ucraina è identica. Allora fu la Germania di Bonn a divenire il baluardo-porcospino dell’Occidente.

La differenza, rispetto al 1952, è che l’Europa è in declino, anche a causa della guerra in Ucraina e della rinuncia all’energia russa. Si offende invano quando lo dicono Trump o Putin. Vive nell’illusione, minaccia Mosca senza averne la forza, sfida Pechino con dazi su veicoli elettrici. Qualche giorno fa, su «Al Jazeera», lo studioso di geopolitica cinese Andy Mok è stato implacabile: “Oggi sono gli europei a essere in via di sviluppo, non solo tecnologicamente ma anche nella transizione ecologica, nell’industria manifatturiera. La Cina non è più emergente, è già emersa. È ora di riconoscerne la centralità. Prima o poi gli europei dovranno avere quello che gli americani chiamano il Come-to-Jesus-Moment”, il momento in cui vedranno, come in un’epifania, quel che sono e com’è fatta la realtà.

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