Il caso di Raif Badawi: proposta di risoluzione comune sull’Arabia Saudita

Il Parlamento ha adottato lo scorso 12 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sull’Arabia Saudita e, più precisamente, sul caso di Raif Badawi con 460 voti a favore, 153 contro e 29 astensioni.

Raif Badawi, blogger e attivista dei diritti umani, è stato accusato di apostasia e condannato dal tribunale penale di Jeddah, nel maggio 2014, a 10 anni di carcere, 1 000 frustate e a una sanzione pecuniaria di 1 milione di SAR (228 000 EUR) dopo aver creato il sito web “Free Saudi Liberals”, uno spazio di discussione sociale, politica e religiosa considerato un insulto all’Islam; che la condanna prevede altresì il divieto per Raif Badawi di utilizzare qualsiasi mezzo d’informazione e di viaggiare al di fuori del paese per 10 anni dopo la sua scarcerazione.

 Il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto la prima serie di 50 frustate di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda e ha riportato ferite tanto profonde che, quando è stato trasportato alla clinica del carcere per essere sottoposto a un controllo medico, i dottori hanno constatato che non avrebbe potuto sopportare un’altra serie di frustate.

Ho dunque co-firmato questa risoluzione comune che condanna con fermezza la fustigazione di Raif Badawi e invita le autorità dell’Arabia Saudita a porre fine a ulteriori fustigazioni di Raif Badawi e a procedere al suo rilascio immediato e incondizionato. La risoluzione inoltre invita le autorità dell’Arabia Saudita a rilasciare senza condizioni l’avvocato di Raif Badawi, nonché tutti i difensori dei diritti umani e gli altri prigionieri di coscienza detenuti e condannati solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e condanna fermamente ogni forma di punizione corporale, in quanto trattamento inaccettabile e degradante, lesivo della dignità umana;

Oltre a questa risoluzione, il 4 Febbraio ho co-firmato un’interrogazione scritta rivolta a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nella quale con 32 colleghi del GUE/NGL, Verdi, ALDE, S&D, prendendo esempio dal caso di Raif Badawi, le chiediamo quali misure preveda di adottare per esercitare pressioni sull’Arabia Saudita in merito all’umanizzazione del suo diritto penale. L’articolo 3 paragrafo 5 del Trattato sull’Unione Europea precisa infatti che “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.”

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo, –   viste le sue precedenti risoluzioni sull’Arabia Saudita, in particolare quelle concernenti i diritti umani e, segnatamente, la risoluzione dell’11 marzo 2014 sull’Arabia Saudita, le sue relazioni con l’UE e il suo ruolo in Medio Oriente e Nord Africa(1)–   vista la dichiarazione del portavoce del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, del 9 gennaio 2015,

–   vista la dichiarazione dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che fa appello alle autorità saudite affinché sospendano la punizione di Raif Badawi,

–   visti l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e l’articolo 19 del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966,

–   vista la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti,

–   vista la Carta araba dei diritti dell’uomo, ratificata dall’Arabia saudita nel 2009, il cui articolo 32, paragrafo 1, garantisce il diritto all’informazione e la libertà di opinione e di espressione, e il cui articolo 8 vieta la tortura fisica o psicologica e ogni trattamento crudele, degradante, umiliante o disumano,

–   visti gli orientamenti dell’Unione europea sulla tortura e altri maltrattamenti e gli orientamenti sui difensori dei diritti umani,

–   visti l’articolo 135, paragrafo 5, e l’articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che Raif Badawi, blogger e attivista dei diritti umani, è stato accusato di apostasia e condannato dal tribunale penale di Jeddah, nel maggio 2014, a 10 anni di carcere, 1 000 frustate e a una sanzione pecuniaria di 1 milione di SAR (228 000 EUR) dopo aver creato il sito web “Free Saudi Liberals”, uno spazio di discussione sociale, politica e religiosa considerato un insulto all’Islam; che la condanna prevede altresì il divieto per Raif Badawi di utilizzare qualsiasi mezzo d’informazione e di viaggiare al di fuori del paese per 10 anni dopo la sua scarcerazione;

B. considerando che il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto la prima serie di 50 frustate di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda e ha riportato ferite tanto profonde che, quando è stato trasportato alla clinica del carcere per essere sottoposto a un controllo medico, i dottori hanno constatato che non avrebbe potuto sopportare un’altra serie di frustate;

C. considerando che le sentenze giudiziarie che impongono punizioni corporali, inclusa la fustigazione, sono rigorosamente vietate dal diritto internazionale in materia di diritti umani, compresa la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, che l’Arabia Saudita ha ratificato;

D. considerando che il 6 luglio 2014 l’avvocato di Raif Badawi e attivista di primo piano nella difesa dei diritti umani, Waleed Abu al-Khair, è stato condannato dal tribunale penale specializzato a 15 anni di carcere, seguiti da un divieto di viaggio per altri 15 anni, dopo aver costituito l’organizzazione per i diritti umani “Monitor of Human Rights in Saudi Arabia”;

E. considerando che quello di Raif Badawi è uno dei numerosi casi in cui sono state applicate condanne severe ed esercitate vessazioni nei confronti degli attivisti dei diritti umani sauditi e di altri promotori delle riforme perseguiti per aver espresso le loro opinioni, molti dei quali sono stati condannati nell’ambito di procedimenti non conformi alle norme internazionali in materia di giusto processo, come confermato dall’ex Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani nel luglio 2014;

F. considerando che l’Arabia Saudita vanta una vivace comunità di attivisti online e il più alto numero di utenti di Twitter in Medio Oriente; che tuttavia Internet è sottoposto a una pesante censura e che migliaia di siti web sono bloccati e i nuovi blog e siti web necessitano di una licenza del ministero dell’Informazione; che l’Arabia Saudita figura nell’elenco dei “Nemici di Internet” di Reporter senza frontiere in ragione della censura dei media sauditi e di Internet e delle punizioni inflitte a chi critica il governo o la religione;

G. considerando che la libertà di espressione e la libertà di stampa e dei mezzi d’informazione, sia online che offline, sono requisiti indispensabili e catalizzatori cruciali della democratizzazione e delle riforme e costituiscono controlli essenziali del potere;

H. considerando che, nonostante l’introduzione di caute riforme durante il governo del defunto re Abdullah, il sistema politico e sociale saudita rimane profondamente antidemocratico, rende le donne e i musulmani sciiti cittadini di seconda classe, discrimina gravemente la nutrita forza lavoro straniera presente nel paese e reprime duramente ogni voce di dissenso;

I.   considerando che il numero e la frequenza delle esecuzioni sono motivo di grave preoccupazione; che nel 2014 sono state giustiziate oltre 87 persone, la maggior parte delle quali è stata decapitata pubblicamente; che dall’inizio del 2015 sono state giustiziate almeno 21 persone; che, stando alle notizie, tra il 2007 e il 2012 avrebbero avuto luogo 423 esecuzioni; che la pena di morte può essere imposta per un’ampia serie di reati;

J.   considerando che il Regno dell’Arabia Saudita è un attore politico, economico, culturale e religioso influente in Medio Oriente e nel mondo islamico nonché un fondatore e membro di primo piano del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) e del G20;

K. considerando che nel novembre 2013 l’Arabia Saudita è stata eletta membro del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani per un periodo di tre anni;

L. considerando che il cosiddetto Stato islamico e l’Arabia Saudita prevedono punizioni pressoché identiche per una moltitudine di reati, tra cui la pena di morte in caso di blasfemia, omicidio, atti omosessuali, furto o tradimento, la lapidazione a seguito di adulterio e l’amputazione di mani e piedi in caso di banditismo;

M. considerando che l’Arabia Saudita svolge un ruolo di primo piano nel finanziamento, nella diffusione e nella promozione a livello mondiale di un’interpretazione dell’Islam particolarmente estremista; che la visione alquanto settaria dell’Islam è stata fonte di ispirazione per organizzazioni terroristiche quali il cosiddetto Stato islamico e al-Qaeda;

N. considerando che le autorità saudite affermano di essere un partner degli Stati membri dell’Unione, in particolare nel quadro della lotta mondiale al terrorismo; che una nuova legge antiterrorismo, adottata nel gennaio 2014, contiene disposizioni che consentono di interpretare ogni espressione di dissenso o associazione indipendente come un reato di stampo terroristico;

1. condanna con fermezza la fustigazione di Raif Badawi quale atto crudele e scioccante per mano delle autorità saudite; invita le autorità dell’Arabia Saudita a porre fine a ulteriori fustigazioni di Raif Badawi e a procedere al suo rilascio immediato e incondizionato, dal momento che è considerato un prigioniero di coscienza, detenuto e condannato unicamente per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione; invita le autorità saudite a provvedere all’annullamento del suo verdetto di colpevolezza e della sua condanna, ivi compreso il divieto di viaggio;

2. sollecita le autorità saudite a garantire che Raif Badawi sia tutelato dalla tortura e da altre forme di maltrattamento, riceva tutte le cure mediche eventualmente necessarie e abbia contatti immediati e regolari con la sua famiglia e gli avvocati di sua scelta;

3. invita le autorità dell’Arabia Saudita a rilasciare senza condizioni l’avvocato di Raif Badawi, nonché tutti i difensori dei diritti umani e gli altri prigionieri di coscienza detenuti e condannati solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione;

4. condanna fermamente ogni forma di punizione corporale, in quanto trattamento inaccettabile e degradante, lesivo della dignità umana; esprime preoccupazione circa il ricorso alla fustigazione da parte degli Stati e ne chiede con forza l’assoluta abolizione; invita le autorità saudite a rispettare la proibizione della tortura in quanto sancita nello specifico dalla convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata e ratificata dall’Arabia Saudita; invita l’Arabia Saudita a firmare il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici;

5. pone l’accento sul processo di riforma del sistema giudiziario avviato dall’Arabia Saudita al fine di rafforzare la possibilità di una migliore tutela dei diritti individuali, ma resta seriamente preoccupato per la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, che continua ad essere considerato uno dei paesi più repressivi al mondo; ritiene che il caso di Raif Badawi sia un simbolo dell’attacco alla libertà di espressione e di dissenso pacifico nel paese e, più in generale, delle politiche distintive del Regno dell’Arabia Saudita improntate all’intolleranza e all’interpretazione estremista della legge islamica;

6. esorta le autorità saudite ad abolire il tribulane penale specializzato istituito nel 2008 con l’obiettivo di giudicare i casi di terrorismo, ma sempre più spesso usato per perseguire i dissidenti pacifici con accuse, a quanto pare, di matrice politica nell’ambito di procedimenti che violano il diritto fondamentale a un giusto processo;

7. invita le autorità saudite a consentire l’indipendenza della stampa e dei media e a garantire la libertà di espressione, associazione e riunione pacifica per tutti i cittadini del paese; condanna la repressione degli attivisti e dei dimostranti che manifestano pacificamente; sottolinea che la difesa pacifica dei diritti giuridici fondamentali o la formulazione di osservazioni critiche tramite i social media sono espressioni di un diritto indispensabile;

8. rammenta alla leadership saudita l’impegno di “mantenere i più elevati standard di promozione e tutela dei diritti umani”, assunto nel 2013 in occasione della presentazione della domanda di adesione al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha avuto esito positivo;

9. ritiene che l’Arabia Saudita sarebbe un partner più credibile ed efficace nella lotta contro le organizzazioni terroristiche, come il cosiddetto Stato islamico e al Qaeda, se non applicasse pratiche anacronistiche ed estremiste quali decapitazioni pubbliche, lapidazioni e altre forme di tortura analoghe a quelle commesse dall’IS;

10. invita il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione a sostenere, in modo attivo e creativo, i gruppi della società civile e le persone che difendono i diritti umani in Arabia Saudita, anche organizzando visite nelle carceri, monitorando i processi e rilasciando dichiarazioni pubbliche;

11. incarica la sua delegazione per le relazioni con la penisola arabica di sollevare il caso di Raif Badawi e degli altri prigionieri di coscienza durante la sua prossima visita in Arabia Saudita e di riferire successivamente alla sottocommissione per i diritti dell’uomo;

12. invita l’UE e i suoi Stati membri a riconsiderare il loro rapporto con l’Arabia Saudita in modo tale da garantire il perseguimento dei propri interessi economici, energetici e di sicurezza, senza tuttavia compromettere la credibilità dei suoi principali impegni in materia di diritti umani;

13. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Servizio europeo per l’azione esterna, al Segretario generale delle Nazioni Unite, all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, a Sua Maestà il Re Salman bin Abdulaziz, al governo del Regno dell’Arabia Saudita, nonché al segretario generale del Centro per il dialogo nazionale del Regno dell’Arabia Saudita.

Risoluzione sulle misure antiterrorismo

Il Parlamento ha adottato lo scorso 11 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sulle misure anti-terrorismo con 532 voti a favore, 136 contrari e 36 astensioni. Come vuole la procedura della plenaria, vista l’adozione della risoluzione comune, le risoluzioni dei singoli gruppi sono tutte cadute senza essere sottoposte al voto.

Sono stata nominata, insieme alla mia collega Cornelia Ernst, relatrice ombra su questo dossier qualche settimana prima. Abbiamo steso (in stretta cooperazione con i Verdi, con i Liberali (ALDE), con i Socialisti (S&D) e con il gruppo dei 5 Stelle) un progetto di risoluzione comune molto buono ma molto criticato dalla destra (ECR, PPE). I suddetti partiti di destra hanno dunque proposto il proprio testo di compromesso co-firmato in seguito da EFDD, S&D e ALDE. Siamo riusciti con l’aiuto dei Verdi, del Movimento 5 Stelle, dei Liberali e dei Socialisti ad inserire comunque alcuni buoni emendamenti in questo testo finale, ma il senso del testo era comunque troppo securitario e poco centrato sulla prevenzione. Per tale ragione ho votato insieme al mio gruppo politico contro la proposta di risoluzione comune e restiamo convinti che la proposta iniziale dei gruppi di sinistra su cui avevo lavorato era decisamente migliore e mandava un messaggio di inclusione, tolleranza e prevenzione cui l’Europa ha bisogno in questo momento.

Ecco dunque il testo della risoluzione del GUE (che non è stato votato in plenaria dato che la risoluzione comune è passata).

PROPOSTA DI RISOLUZIONE2.2015

PE547.529v01-00

B8-0124/2015

presentata a seguito di una dichiarazione della Commissione

a norma dell’articolo 123, paragrafo 2, del regolament0

sulle misure antiterrorismo (2015/2530(RSP))

Cornelia Ernst, Barbara Spinelli, Marie-Christine Vergiat, Marina Albiol Guzmán a nome del gruppo GUE/NGL

Il Parlamento europeo,
– vista la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,– visti gli articoli 2, 3 e 6 del trattato sull’Unione europea (TUE),– visti gli articoli pertinenti del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),– vista la sua risoluzione del 14 dicembre 2011 sulla strategia antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future(1),– vista la sua risoluzione del 10 ottobre 2013 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA(2),

– vista la sua risoluzione del 27 febbraio 2014 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2012)(3),

– vista la risoluzione del 12 marzo 2014 sul programma di sorveglianza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, sugli organi di sorveglianza in diversi Stati membri e sul loro impatto sui diritti fondamentali dei cittadini dell’UE, e sulla cooperazione transatlantica nel campo della giustizia e degli affari interni(4),

– vista la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI(5),

– vista la relazione dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA) del 27 ottobre 2010 dal titolo “Esperienze di discriminazione, marginalizzazione sociale e violenza: studio comparativo della gioventù musulmana e non musulmana in tre Stati membri dell’UE”,

– vista la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), dell’8 aprile 2014, che annulla la direttiva in materia di conservazione dei dati,

– visto il suo recente deferimento alla CGUE dell’accordo PNR UE-Canada,

– visti l’articolo 115, paragrafo 5, e l’articolo 110, paragrafo 4, del suo regolamento,

– visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che il rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà civili è un elemento fondamentale per il successo delle politiche antiterrorismo;

B. considerando che il recente aumento del razzismo, compresa l’islamofobia e l’antisemitismo, è estremamente preoccupante e non alimenta un dibattito costruttivo improntato all’inclusione ma contribuisce solamente a un’ulteriore polarizzazione;

C. considerando che la ricerca ha dimostrato che la discriminazione e la marginalizzazione sociale sono tra i principali fattori che scatenano comportamenti violenti; che studi recenti indicano che l’appartenenza religiosa non contribuisce a spiegare i comportamenti violenti(6);

D. considerando l’urgente necessità di una definizione giuridica chiara del concetto di “profilazione” sulla base dei pertinenti diritti fondamentali e delle norme in materia di protezione dei dati, onde ridurre le incertezze su quali siano le attività vietate e quali quelle non vietate;

E. considerando che la CGUE ha recentemente dichiarato nulla la direttiva in materia di conservazione dei dati per mancanza di proporzionalità, precisando nella sua sentenza le condizioni chiare a cui deve attenersi qualsiasi raccolta di dati su larga scala e qualsiasi misura di conservazione affinché soddisfino il criterio della legalità;

1. condanna tutti gli attacchi terroristici commessi nel mondo; esprime profondo cordoglio alle vittime dei recenti attacchi terroristi a Parigi, alle loro famiglie e alle vittime del terrorismo nel mondo;

2. esorta tutti gli Stati membri ad attuare adeguatamente la direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato;

3. ribadisce il proprio impegno per il rispetto della libertà di espressione, dei diritti fondamentali, della democrazia, della tolleranza e dello Stato di diritto nonché degli altri principi fondamentali sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale;

4. invita tutti gli Stati membri a sospendere il loro sostegno politico, economico o militare a regimi o gruppi terroristici che si impegnano in attività terroristiche o che le approvano; sottolinea in particolare la necessità che l’Unione europea, i suoi Stati membri e i suoi paesi partner fondino la propria strategia di lotta al terrorismo internazionale, al pari di qualsiasi altra forma di criminalità, sul rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali; sottolinea inoltre che le azioni esterne dell’Unione di lotta al terrorismo internazionale dovrebbero essere in primo luogo mirate alla prevenzione e a una politica che si opponga a qualsiasi intervento militare, con un ripensamento totale del ruolo dell’UE nei negoziati internazionali; sottolinea la necessità di promuovere il dialogo, la tolleranza e la comprensione tra diverse culture e religioni;

5. osserva che, come nel caso di attacchi precedenti, gli autori degli attacchi di Parigi erano già conosciuti dalle forze dell’ordine ed erano stati oggetto di indagini e di misure di controllo; ribadisce che ciò induce a chiedersi se le autorità avrebbero potuto fare un uso migliore dei dati già in loro possesso riguardanti tali individui;

6. rinnova l’invito alla Commissione e al Consiglio a effettuare una valutazione globale delle misure antiterrorismo e di sicurezza in vigore nell’UE, in particolare per quanto riguarda il loro rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, come sancito dai trattati, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, avvalendosi della procedura di cui all’articolo 70 TFUE, e a pubblicare tale valutazione insieme al programma europeo sulla sicurezza;

7. ribadisce la sua ferma richiesta di un controllo democratico e giudiziario e di meccanismi di responsabilità relativi alle politiche antiterrorismo, sottolineando che occorre abrogare le misure che, in retrospettiva, si sono dimostrate non necessarie, efficaci e proporzionali nella lotta antiterrorismo; sottolinea inoltre che occorre indagare sui casi di violazione dei diritti fondamentali e porvi rimedio nonché mettere a punto nuove forme di controllo democratico, sulla base dei poteri conferiti dal trattato di Lisbona al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali;

Un approccio globale alla lotta contro la radicalizzazione e il terrorismo

8. è convinto che, onde prevenire la radicalizzazione violenta, l’obiettivo principale di qualsiasi società debba essere quello di lavorare a favore dell’inclusione e della comprensione reciproca delle convinzioni culturali, etniche e religiose, promuovendo in tal modo una tolleranza radicata;

9. esorta gli Stati membri a investire in sistemi d’istruzione che rispettino le pari opportunità, riducendo la discriminazione sociale sin dalle prime fasi della scolarizzazione, anche formando gli insegnanti a trattare le problematiche sociali e la diversità;

10. avverte che l’assenza di prospettive a lungo termine causata dalla povertà, dalla disoccupazione, dalla ghettizzazione nelle periferie e dall’isolamento di intere aree suburbane può portare alcune persone a un senso di impotenza e persino spingerle a comportamenti di auto-affermazione distruttivi e all’adesione a organizzazioni jihadiste o a movimenti di estrema destra; invita gli Stati membri a intensificare gli sforzi volti a ridurre la povertà, migliorare le prospettive occupazionali, riconoscere i diritti della persona e rispettarla e porre fine ai tagli alla protezione sociale e ai servizi pubblici, che hanno avuto gravi ripercussioni sulla capacità delle autorità locali, regionali e statali di lavorare per la risocializzazione, nonché a fornire un’adeguata assistenza sociale alle persone e alle famiglie che vivono nelle aree suburbane più degradate;

11. sottolinea che la discriminazione rafforza i modelli di radicalizzazione e violenza; rimarca che le norme in materia di parità e non discriminazione devono essere integrate da specifiche strategie volte a combattere ogni forma di razzismo, compresi l’antisemitismo e l’islamofobia;

12. respinge qualsiasi uso della profilazione razziale, etnica e religiosa per individuare gruppi specifici nel quadro delle misure antiterrorismo, in quanto tale uso è contrario ai basilari principi democratici di uguaglianza di fronte alla legge e di non discriminazione; sottolinea le ripercussioni sproporzionate sulle comunità musulmane delle pratiche adottate dopo l’11 settembre;

13. esprime sostegno ai programmi finanziati dagli Stati in cooperazione con le associazioni locali della società civile che riconoscono i diritti delle minoranze etniche e religiose e contribuiscono a migliorare lo status socioeconomico delle rispettive comunità a medio e lungo termine;

Misure di sicurezza ben mirate che rispettano lo Stato di diritto

14. respinge la falsa dicotomia tra sicurezza e libertà; è del parere che la libertà individuale e il rispetto dei diritti fondamentali costituiscano il fondamento e il presupposto della sicurezza in ogni società;

15. ricorda che qualsiasi misura di sicurezza, comprese le misure antiterrorismo, dovrebbe essere concepita con l’intento di garantire la libertà individuale, deve essere pienamente conforme allo Stato di diritto nonché soggetta agli obblighi in materia di diritti fondamentali, compresi quelli relativi alla vita privata e alla protezione dei dati, e deve sempre garantire la possibilità di ricorso in sede giudiziaria;

16. sottolinea che i criteri della necessità e della proporzionalità delle misure che limitano le libertà e i diritti fondamentali assumono la forma di obblighi di legge imposti dalla Carta; si oppone, in tale contesto, alla tendenza a una giustificazione senza sfumature di qualsiasi misura di sicurezza con un riferimento generale alla sua “utilità” nella lotta al terrorismo o alle forme gravi di criminalità;

17. ribadisce che tutte le misure per la raccolta di dati devono basarsi unicamente su un quadro giuridico coerente di protezione dei dati, che offra norme di protezione dei dati personali giuridicamente vincolanti, segnatamente per quanto riguarda la limitazione delle finalità, la riduzione al minimo della quantità di dati, l’informazione, l’accesso, la rettifica, la cancellazione e il ricorso in sede giudiziaria;

18. si oppone all’attuale clima che fa leva sulla paura paranoica per accelerare l’adozione di altre misure antiterrorismo, come quelle sui PNR dell’UE, prima di aver valutato la loro necessità giuridica o l’insieme attuale delle misure antiterrorismo; sottolinea che esiste già un insieme significativo di norme e relativi provvedimenti antiterrorismo in ogni Stato membro, segnatamente:

– la verifica dei dati riportati sul passaporto dei passeggeri, che vengono messi a confronto con le banche dati dei criminali noti e delle persone inammissibili;

– l’accesso da parte delle autorità di contrasto ai dati relativi ai passeggeri e ai dati telefonici di sospettati o persino di gruppi di sospettati legati a una minaccia concreta;

– il sistema d’informazione Schengen, che consente la sorveglianza e la rapida cattura ed estradizione delle persone che rappresentano una minaccia per la sicurezza o che intendono commettere un reato;

19. sottolinea pertanto la necessità che le autorità di contrasto sfruttino le opportunità già esistenti e rafforzino in via prioritaria la loro cooperazione;

20. ritiene che combattere il traffico di armi da fuoco debba essere una priorità dell’Unione nella lotta alla criminalità organizzata internazionale e alle forme gravi di criminalità internazionale; reputa in particolare che occorra rafforzare ulteriormente la cooperazione per quanto concerne i meccanismi per lo scambio di informazioni come pure la tracciabilità delle armi proibite e la loro distruzione; sottolinea a tal proposito la deprecabile applicazione di due pesi e due misure da parte di diversi Stati membri, che vendono armi e attrezzature militari a gruppi specifici in alcune zone di conflitto e condannano al contempo l’uso della forza;

21. chiede una rapida messa in atto della direttiva antiriciclaggio, recentemente approvata;

22. sottolinea che è già possibile effettuare controlli mirati su persone che beneficiano del diritto alla libera circolazione nel momento in cui attraversano i confini esterni in determinati periodi, su certe rotte o per determinati valichi di frontiera, a seconda del livello di minaccia; ribadisce che gli Stati membri dovrebbero utilizzare il quadro Schengen in vigore in modo più completo ed efficace, in luogo di cercare di reintrodurre controlli alle frontiere ulteriori rispetto alle possibilità esistenti;

23. esorta la Commissione a rivedere formalmente la proposta sui dati dei passeggeri (PNR) dell’Unione alla luce dei criteri di necessità e proporzionalità definiti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella sentenza sulla direttiva in materia di conservazione dei dati; incarica il suo servizio giuridico di svolgere un riesame analogo entro sei settimane dall’approvazione della presente risoluzione;

24. rammenta a questo proposito che non esiste una definizione comune di terrorismo e che ciò non fa che aumentare l’ambiguità delle misure antiterrorismo proposte;

Sicurezza informatica

25. ricorda che le misure intese a limitare i diritti fondamentali su Internet a fini di antiterrorismo devono essere necessarie e proporzionate; pone in evidenza che la rimozione di presunti contenuti illeciti dovrebbe essere effettuata esclusivamente sulla base di criteri definiti esplicitamente per legge, previa autorizzazione giudiziaria e nel rispetto delle garanzie procedurali applicabili, e non nel quadro di interventi di sorveglianza privata da parte dei fornitori di servizi Internet; rammenta in tale contesto il diritto alla libertà di espressione previsto dalla Carta e il pericoloso ricorso alla censura nei paesi terzi e negli Stati membri, che produce verosimilmente un effetto inibitore sulla partecipazione democratica libera e aperta dei cittadini;

26. sottolinea che l’utilizzo della crittografia da parte di governi, imprese e cittadini costituisce un pilastro fondamentale della sicurezza informatica europea; esorta la Commissione, il Consiglio e gli Stati membri ad astenersi da qualsiasi tentativo di indebolire la sicurezza informatica regolamentando l’utilizzo della crittografia; pone in evidenza che il divieto dell’uso della crittografia rischia di far diminuire la sicurezza e di aumentare la nostra vulnerabilità agli attacchi informatici;

27. sottolinea l’importanza di software liberi e aperti nel quadro della sicurezza informatica, laddove i codici sorgente accessibili al pubblico possono essere controllati in maniera agevole e indipendente;

28. ricorda l’impegno dell’UE e dei suoi Stati membri per l’applicazione del principio della tutela della vita privata fin dalla progettazione (“privacy by design”) nella normativa in materia di protezione dei dati;

29. chiede una rapida adozione del pacchetto sulla protezione dei dati, anche attraverso l’adozione di un approccio generale all’interno del Consiglio che sia coerente con le norme minime stabilite nella direttiva 95/46/UE;

Dimensione giudiziaria

30. esorta gli Stati membri a intensificare la loro cooperazione giudiziaria sulla base degli strumenti dell’UE disponibili, come il Sistema europeo di informazione sui casellari giudiziari (ECRIS), il mandato d’arresto europeo e l’ordine europeo di indagine penale, nel rispetto della proporzionalità e dei diritti fondamentali; chiede agli Stati membri di trovare al più presto un accordo su tutte le misure proposte in conformità della tabella di marcia sui diritti procedurali e ad affrontare quindi le questioni delle decisioni relative alla custodia cautelare e delle condizioni di detenzione;

31. è convinto che la finalità del nostro sistema di giustizia penale debba essere la riabilitazione delle persone affinché non rappresentino più un rischio al loro reintegro nella società; esorta gli Stati membri a mobilitare le risorse umane necessarie per contribuire alla riabilitazione e alla risocializzazione degli ex detenuti;

32. invita gli Stati membri e la Commissione a istituire o rafforzare sistemi di protezione degli informatori, in particolare nel settore della sicurezza nazionale e delle attività di intelligence;

Dimensione esterna

33. mette in guarda dalla tentazione di ripristinare le miopi e inefficaci prassi del passato caratterizzate dalla collusione con regimi autoritari in nome della sicurezza, della stabilità e della lotta contro l’estremismo violento;

34. critica fortemente il ruolo che i vari interventi occidentali degli ultimi anni hanno svolto nel fomentare la radicalizzazione dei singoli, soprattutto in Medio Oriente e nei paesi del vicinato meridionale; sottolinea che tali politiche promuovono – non combattono – il terrorismo e andrebbero pertanto abbandonate;

35. esprime preoccupazione per l’accento posto, nell’ambito delle politiche antiterrorismo dell’UE, sulle “soluzioni” militari, che si traducono in numerosi programmi di assistenza militare rivolti a regimi autoritari e intesi a rafforzare le capacità militari di questi ultimi, sostenendone così le politiche repressive;

36. fa notare che diversi Stati membri vietano in maniera generale il dispiegamento di forze militari sul proprio territorio; sottolinea che la clausola di solidarietà (articolo 222 TFUE) non deve in alcun caso essere invocata al fine di eludere tali restrizioni nazionali; segnala il pericolo che la clausola di solidarietà possa inoltre essere sfruttata per dispiegare soldati all’interno di uno Stato membro con il pretesto della lotta al terrorismo per combattere “catastrofi di origine umana”, che potrebbero potenzialmente comprendere anche le manifestazioni di protesta ecc.; sottolinea che una tale interpretazione della clausola di solidarietà deve essere respinta con fermezza;

37. ritiene che l’Unione dovrebbe rivedere radicalmente la propria politica esterna, e in particolare la sua strategia per il Mediterraneo meridionale, nel quadro della revisione in corso della politica europea di vicinato – dato il suo insuccesso; invita l’Unione europea a istituire un nuovo quadro per le relazioni con questi paesi e regioni, che sia basato sulla non ingerenza nei loro affari interni e sul rispetto della loro sovranità e sia volto a sostenere lo sviluppo delle regioni limitrofe e a promuovere l’occupazione e l’istruzione, piuttosto che essere basato sulla conclusione di “accordi di associazione” destinati principalmente a definire zone di libero scambio a vantaggio degli interessi delle imprese europee;

38. ribadisce che gli Stati membri e, se del caso, l’Unione, dovrebbero affrontare le cause profonde dell’estremismo violento trattando l’estremismo religioso secondo un approccio che sia compatibile con i diritti umani e il diritto internazionale, piuttosto che incoraggiare o sostenere i gruppi o i regimi repressivi di questi paesi;

39. insiste sul fatto che la cooperazione in materia di sicurezza – dalla condivisione dell’intelligence allo Stato di diritto, dalla riforma della giustizia e dei programmi di giustizia penale all’esternalizzazione della politica di asilo, come nel quadro del processo di Khartoum – deve essere rigorosamente conforme al diritto internazionale;

40. è convinto che, nel settore della sicurezza, l’UE dovrebbe limitarsi ai programmi di cooperazione incentrati sulla deradicalizzazione e sulla lotta all’estremismo violento, ove ritenuto opportuno, ma astenersi dall’imporre le proprie idee economiche o politiche a Stati sovrani attraverso le proprie politiche esterne;

41. ricorda in questo contesto la propria opposizione all’accordo di associazione UE-Israele, considerato che l’UE e molti dei suoi Stati membri giocano nel conflitto israelo-palestinese un doppio ruolo, che continua ad alimentare l’impressione che vengano applicati due pesi e due misure e a fomentare programmi anti-musulmani/anti-arabi;

42. chiede maggiore trasparenza e responsabilità nelle decisioni di politica estera in materia di antiterrorismo; sottolinea la necessità di disporre di procedure giudiziarie adeguate affinché le singole persone o le organizzazioni possano chiedere il riesame giudiziario di eventuali decisioni di politica estera e di sicurezza comune (PESC) che le riguardano;

43. si oppone fermamente all’impiego di droni nelle esecuzioni extragiudiziali di persone sospettate di terrorismo e chiede che l’uso dei droni finalizzato alla sorveglianza e al controllo dei civili sia proibito;

44. chiede che la Commissione e gli Stati membri indaghino più approfonditamente sulla partecipazione europea al programma di torture e consegne elaborato dagli Stati Uniti e permettano all’opinione pubblica di venire a conoscenza del livello di coinvolgimento e di complicità dei loro governi in tali ignobili pratiche illegali, seguendo l’esempio dato dalla relazione di intelligence del Senato degli Stati Uniti;

45. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

Ed ecco il testo della risoluzione comune adottata dal Parlamento Europeo:

Evidenziate in verde, le proposte riprese dall’iniziale progetto di risoluzione comune (presentato da me e il mio gruppo GUE/NGL, dal Movimento5stelle, da S&D, ALDE e Verdi) nella proposta dell’ECR e PPE, prima dei negoziati a Strasburgo.

Evidenziate in giallo, le proposte inserite da me, il mio gruppo GUE/NGL, dal Movimento5stelle, S&D, ALDE e Verdi durante i negoziati con l’ECR e il PPE a Strasburgo e in rosso invece gli elementi eliminati.

 

Il Parlamento europeo,

– visti gli articoli 2, 3, 6, 7 e 21 del trattato sull’Unione europea (TUE) e gli articoli 4, 16, 20, 67, 68, 70, 71, 72, 75, 82, 83, 84, 85, 86, 87 e 88 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE),

– vista la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare gli articoli 6, 7 e 8, l’articolo 10, paragrafo 1, e gli articoli 11, 12, 21, da 47 a 50, 52 e 53,

– vista la comunicazione della Commissione del 20 giugno 2014 intitolata «Relazione finale sull’attuazione della strategia di sicurezza interna dell’UE per il periodo 2010-2014» (COM(2014)0365),

– vista la relazione di Europol sulla situazione e le tendenze del terrorismo nell’UE (TE-SAT) per il 2014,

– vista la risoluzione adottata dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 24 settembre 2014 sulle minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici (risoluzione 2178(2014)),

– vista la strategia di sicurezza interna dell’UE adottata dal Consiglio il 25 febbraio 2010,

– vista la sua risoluzione del 14 dicembre 2011 sulla strategia antiterrorismo dell’UE: principali risultati e sfide future(1) ,

– vista la sua raccomandazione, del 24 aprile 2009, destinata al Consiglio sul problema di definire un profilo, in particolare sulla base dell’origine etnica o della razza, nelle operazioni antiterrorismo, di applicazione della legge, di controllo dell’immigrazione, dei servizi doganali e dei controlli alle frontiere(2),

– vista la sua risoluzione del 12 settembre 2013 sulla seconda relazione sull’attuazione della strategia di sicurezza interna dell’UE(3),

– vista la valutazione, a cura di Europol, della minaccia sul crimine organizzato a mezzo Internet (iOCTA) per il 2014,

– vista la valutazione, a cura di Europol, della minaccia rappresentata dalla criminalità organizzata e dalle forme gravi di criminalità (SOCTA) per il 2013,

– vista la sua discussione in Aula del 28 gennaio 2015 sulle misure antiterrorismo,

– visto il Consiglio informale Giustizia e affari interni (GAI) tenutosi a Riga il 29 e 30 gennaio 2015,

– vista la sua risoluzione del 17 dicembre 2014 sul rinnovo della strategia di sicurezza interna dell’UE(4) ,

– vista la dichiarazione del Consiglio informale GAI dell’11 gennaio 2015,

– viste le conclusioni del Consiglio GAI del 9 ottobre e del 5 dicembre 2014,

– vista la relazione del coordinatore antiterrorismo dell’UE destinata al Consiglio europeo del 24 novembre 2014 (15799/14),

– visto il programma di lavoro della Commissione per il 2015 pubblicato il 16 dicembre 2014 (COM(2014)0910),

– vista la comunicazione della Commissione del 15 gennaio 2014 dal titolo «Prevenire la radicalizzazione che porta al terrorismo e all’estremismo violento: rafforzare la risposta dell’UE» (COM(2013)0941),

– visto il parere del Gruppo dell’articolo 29 per la tutela dei dati, sull’applicazione dei principi di necessità e proporzionalità e la protezione dei dati nell’azione di contrasto (parere 01/2014),

– visti la sentenza della Corte di giustizia dell’8 aprile 2014 nelle cause riunite C-293/12 e C-594/12, Digital Rights Ireland ltd e Seitlinger e a ., e il parere del Servizio giuridico del Parlamento sull’interpretazione della sentenza,

– visto l’articolo 123, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

A. considerando che il radicalismo terrorismo e l’estremismo violento sono tra le principali minacce alla nostra sicurezza e alla nostra libertà;

B. considerando che i recenti tragici eventi di Parigi hanno ricordato che l’Unione europea sta affrontando una minaccia terroristica costante e in continua evoluzione che, nello scorso decennio, ha colpito gravemente vari suoi Stati membri con attacchi mirati non solo alle persone, ma anche ai valori e alle libertà sulle quali si fonda l’Unione;

C. considerando che la sicurezza è uno dei diritti garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, ma che i diritti fondamentali, le libertà civili e la proporzionalità costituiscono elementi essenziali per il successo delle politiche antiterrorismo;

D. considerando che le strategie preventive di lotta al terrorismo dovrebbero affidarsi ad un approccio poliedrico volto a contrastare direttamente la preparazione di attacchi sul territorio UE, ma anche ad integrare la necessità di affrontare le cause alla radice del terrorismo; che il terrorismo è una minaccia globale che deve essere affrontata a livello locale, nazionale, europeo e mondiale, nell’ottica di rafforzare la sicurezza dei nostri cittadini, difendere i valori fondamentali della libertà, della democrazia e dei diritti umani e far rispettare il diritto internazionale;

E. considerando che diversi gravi attacchi terroristici avvenuti sul territorio dell’Unione dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, i più recenti dei quali risalgono a gennaio di quest’anno, hanno avuto un impatto notevole sul senso di sicurezza tra i cittadini e i residenti dell’UE; che negli ultimi anni la situazione della sicurezza in Europa è cambiata radicalmente a causa di nuovi conflitti e sconvolgimenti nell’immediato vicinato dell’UE, del rapido sviluppo di nuove tecnologie e della crescente e allarmante radicalizzazione che sfocia nella violenza e nel terrorismo, sia all’interno dell’UE sia nei paesi limitrofi;

F. considerando che la diffusione della propaganda terroristica è facilitata dall’uso di Internet e dei social media; che il ciberterrorismo permette ai gruppi terroristici di tessere e intrattenere legami senza l’ostacolo fisico delle frontiere, riducendo pertanto l’esigenza di disporre di basi o rifugi nei vari paesi;

G. considerando che l’UE si trova dinanzi alla grave e crescente minaccia costituita dai cosiddetti «combattenti stranieri dell’UE», ossia singoli individui che si spostano in uno Stato diverso da quello di residenza o cittadinanza al fine di perpetrare o preparare atti terroristici o per impartire o ricevere addestramento terroristico, anche in connessione a conflitti armati; che, secondo le stime, tra i 3 500 e i 5 000 cittadini dell’UE hanno lasciato le proprie case per diventare «combattenti stranieri» a seguito dello scoppio della guerra e della violenza in Siria, Iraq e Libia, il che costituisce una gravissima minaccia per la sicurezza dei cittadini dell’Unione;

1. condanna con la massima fermezza le atrocità commesse a Parigi ed esprime nuovamente il suo profondo cordoglio alla popolazione francese e alle famiglie delle vittime, ribadendo la sua unità nella lotta mondiale contro il terrorismo e l’attentato ai nostri valori e alle nostre libertà democratiche;

2. condanna con forza e in modo categorico tutti gli atti terroristici, la promozione del terrorismo, la celebrazione di coloro che sono coinvolti in atti di terrorismo e il sostegno alle ideologie violente estremiste, ovunque abbiano luogo o siano promossi nel mondo; sottolinea che non vi è libertà senza sicurezza e non vi è sicurezza senza libertà;

3. osserva con preoccupazione il numero in rapida crescita di cittadini dell’UE che si recano in aree di conflitto per unirsi a organizzazioni terroristiche e successivamente tornano nel territorio dell’UE, con conseguenti rischi per la sicurezza interna dell’Unione e la vita dei suoi cittadini; chiede alla Commissione di proporre una definizione, armonizzata chiara e comune, di «combattenti stranieri dell’UE» allo scopo di accrescere la certezza giuridica;

4. evidenzia la necessità di misure maggiormente specifiche volte ad affrontare il problema dei cittadini dell’Unione che partono per andare a combattere al fianco di organizzazioni terroristiche all’estero; afferma che, sebbene in alcuni casi sia possibile avviare procedimenti giudiziari, è opportuno applicare altre misure per prevenire la radicalizzazione che sfocia in estremismo violento, interrompere il viaggio dei combattenti europei e di altre nazionalità e occuparsi di quelli che ritornano; invita gli Stati membri e la Commissione a elaborare migliori prassi sulla base di quelle degli Stati membri che hanno adottato strategie, piani d’azione e programmi efficaci in tale ambito;

Combattere le cause alla radice del terrorismo e la radicalizzazione che porta all’estremismo violento

5. sottolinea che per far fronte alla minaccia costituita dal terrorismo in generale occorre una strategia antiterrorismo basata su un approccio articolato in vari livelli, che affronti in modo esauriente i fattori alla base della radicalizzazione che porta all’estremismo violento, ad esempio dando impulso alla coesione sociale, all’inclusione e alla tolleranza politica e religiosa, impedendo la ghettizzazione, analizzando e controbilanciando l’istigazione online a compiere atti terroristici, contrastando gli espatri mirati all’adesione a organizzazioni terroristiche, prevenendo e bloccando il reclutamento e la partecipazione a conflitti armati, smantellando il sostegno finanziario alle organizzazioni terroristiche e agli individui che intendono aderirvi, assicurando una risoluta azione giudiziaria, ove del caso, e mettendo a disposizione delle autorità preposte all’applicazione della legge strumenti appropriati affinché assolvano ai loro compiti nel pieno rispetto dei diritti fondamentali;

6. invita gli Stati membri a investire in sistemi che affrontino le cause alla radice della radicalizzazione, prevedendo anche programmi educativi che promuovano l’integrazione, l’inclusione sociale, il dialogo, la partecipazione, l’uguaglianza, la tolleranza e la comprensione tra diverse culture e religioni, nonché programmi di riabilitazione;

7. mette in evidenza con profonda preoccupazione il fenomeno della radicalizzazione nelle carceri e invita gli Stati membri a procedere ad uno scambio delle migliori prassi in materia; chiede di riservare particolare attenzione alle condizioni carcerarie e di detenzione, con misure mirate volte a contrastare la radicalizzazione in questo contesto; invita gli Stati membri a impegnarsi maggiormente al fine di migliorare i sistemi amministrativi carcerari, in modo da facilitare l’individuazione dei detenuti coinvolti nella preparazione di atti terroristici, monitorare e prevenire i processi di radicalizzazione e impostare programmi specifici di disimpegno, riabilitazione e deradicalizzazione;

8. sottolinea l’urgente necessità di intensificare la prevenzione della radicalizzazione e di promuovere programmi di deradicalizzazione coinvolgendo le comunità e la società civile a livello nazionale e locale e potenziandone le capacità onde porre fine alla diffusione di ideologie estremiste; invita la Commissione a rafforzare la Rete di sensibilizzazione al problema della radicalizzazione (RAN), che riunisce tutti gli attori coinvolti nello sviluppo di campagne contro la radicalizzazione e nella creazione di strutture e processi di deradicalizzazione per i «combattenti stranieri» che rientrano nel paese di origine, e a sfidare direttamente le ideologie estremiste fornendo alternative positive;

9. sostiene l’adozione di una strategia europea volta a contrastare la propaganda terroristica, le reti radicali e il reclutamento online, che sviluppi gli sforzi già in atto e le iniziative già adottate su base intergovernativa e volontaria, al fine di garantire ulteriori scambi delle migliori prassi e metodi efficaci in tale settore;

10. chiede l’adozione di una raccomandazione del Consiglio riguardante le strategie nazionali per la prevenzione della radicalizzazione, che affronti l’ampia gamma di fattori alla base della radicalizzazione e rivolga raccomandazioni agli Stati membri per l’istituzione di programmi di disimpegno, riabilitazione e deradicalizzazione;

Attuazione e riesame delle misure di applicazione della legge esistenti

11. invita gli Stati membri a sfruttare in modo ottimale le piattaforme, le banche dati e i sistemi di allerta esistenti a livello europeo, come il sistema di informazione di Schengen (SIS) e il sistema di informazione anticipata sui passeggeri (APIS);

12. sottolinea che la libera circolazione nello spazio Schengen costituisce una delle libertà fondamentali dell’Unione europea ed esclude quindi di prendere in considerazione proposte volte a sospendere il sistema Schengen, incoraggiando invece gli Stati membri a rendere più severe le regole vigenti, che già prevedono la possibilità di introdurre temporaneamente controlli dei documenti, e ad applicare meglio il sistema SIS II; rileva che è già possibile effettuare alcuni controlli mirati sulle persone che attraversano le frontiere esterne;

13. si impegna ad adoperarsi per la finalizzazione di una direttiva PNR dell’UE entro la fine dell’anno; esorta pertanto la Commissione a illustrare le conseguenze della sentenza della Corte di giustizia dell’UE sulla direttiva in materia di conservazione dei dati(5) e le sue possibili ripercussioni sulla direttiva PNR dell’UE; incoraggia il Consiglio a far avanzare i lavori sul pacchetto relativo alla protezione dei dati affinché i triloghi sullo stesso e sulla direttiva PNR dell’UE possano eventualmente svolgersi in parallelo; sollecita la Commissione a invitare esperti indipendenti facenti capo alle comunità dell’applicazione della legge, della sicurezza e dell’intelligence come pure rappresentanti del gruppo dell’articolo 29 a fornire opinioni e orientamenti, alla luce delle esigenze in materia di sicurezza, sulla necessità e la proporzionalità del PNR;

14. chiede alla Commissione di procedere a un’immediata valutazione degli attuali strumenti, da ripetere quindi su base periodica, e di condurre un corrispondente esame delle lacune ancora esistenti nella lotta contro il terrorismo, mentre il Consiglio è chiamato a valutare regolarmente le minacce cui è confrontata l’Unione onde consentire all’UE e agli Stati membri di adottare misure efficaci; invita la Commissione e il Consiglio a promuovere una nuova tabella di marcia per la lotta al terrorismo che fornisca un’efficace risposta alle attuali minacce e assicuri un’effettiva sicurezza per tutti, garantendo nel contempo i diritti e le libertà che costituiscono i principi fondanti dell’Unione europea;

15. sottolinea che un aspetto essenziale della lotta contro il terrorismo deve consistere nell’introduzione di politiche volte a proteggere e sostenere le vittime e le loro famiglie; invita pertanto tutti gli Stati membri ad attuare correttamente la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato;

16. ritiene che combattere il traffico di armi da fuoco dovrebbe essere una priorità dell’UE nella lotta alla criminalità organizzata internazionale e alle forme gravi di criminalità internazionale; reputa in particolare che occorra rafforzare ulteriormente la cooperazione per quanto concerne i meccanismi per lo scambio di informazioni come pure la tracciabilità delle armi proibite e la loro distruzione; invita la Commissione a valutare con urgenza le norme dell’UE vigenti in materia di circolazione di armi da fuoco illegali, ordigni esplosivi e traffico di armi collegato alla criminalità organizzata;

17. si compiace dell’imminente adozione a livello europeo di un quadro giuridico aggiornato in materia di lotta al riciclaggio di denaro, quale passo decisivo che dovrà essere attuato a tutti i livelli per garantirne l’efficacia e contrastare così una fonte significativa di finanziamento delle organizzazioni terroristiche;

18. invita gli Stati membri a intensificare la loro cooperazione giudiziaria sulla base degli strumenti dell’UE disponibili, come ECRIS, il mandato d’arresto europeo e l’ordine europeo di indagine penale;

Sicurezza interna dell’UE e capacità di applicazione della legge dell’UE e delle agenzie

19. invita gli Stati membri a prevenire la circolazione di sospettati terroristi rafforzando i controlli alle frontiere esterne, procedendo a controlli più sistematici ed efficaci dei documenti di viaggio, contrastando il traffico illegale di armi e l’uso fraudolento dell’identità nonché individuando i settori a rischio;

20. rileva con preoccupazione l’uso crescente di Internet e della tecnologia delle comunicazioni da parte di organizzazioni terroristiche per comunicare, pianificare attacchi e diffondere propaganda; chiede che le imprese operanti nel campo di Internet e dei social media cooperino con i governi, le autorità preposte all’applicazione della legge e la società civile per combattere tale fenomeno, garantendo nel contempo il rispetto in ogni circostanza dei principi generali della libertà di espressione e della tutela della vita privata; sottolinea che le misure volte a limitare l’utilizzo e la diffusione di dati su Internet a fini di antiterrorismo devono essere necessarie e proporzionate;

21. ribadisce che tutte le attività di raccolta e condivisione dei dati, anche ad opera di agenzie dell’UE come Europol, dovrebbero essere svolte nel rispetto del diritto dell’UE e nazionale ed essere basate su un quadro coerente in materia di protezione dei dati, che preveda norme di protezione dei dati personali giuridicamente vincolanti a livello di Unione europea;

22. sollecita con forza un migliore scambio di informazioni tra le autorità nazionali preposte all’applicazione della legge e le agenzie dell’UE; sottolinea inoltre l’esigenza di migliorare, intensificare e accelerare la condivisione globale delle informazioni nell’ambito dell’applicazione della legge; chiede una cooperazione operativa più efficace tra gli Stati membri e i paesi terzi attraverso il maggiore l’utilizzo dei validi strumenti esistenti, come le squadre investigative comuni, il programma di controllo delle transazioni finanziarie dei terroristi e accordi sui dati del codice di prenotazione (PNR), nonché una condivisione più rapida ed efficiente di dati e informazioni pertinenti, con garanzie appropriate in materia di protezione dei dati e della vita privata;

23. invita la Commissione e il Consiglio a svolgere una valutazione d’insieme delle misure antiterrorismo dell’UE e delle misure correlate, in particolare per quanto riguarda la loro attuazione nella legge e nella pratica negli Stati membri e la misura in cui gli Stati membri cooperano con le agenzie dell’Unione in materia, segnatamente con Europol ed Eurojust, nonché ad effettuare una corrispondente valutazione delle lacune che permangono ricorrendo alla procedura di cui all’articolo 70 TFUE e a includere tale processo di valutazione insieme al nel quadro dell’Agenda europea sulla sicurezza;

24. sottolinea la necessità che le agenzie europee e le autorità nazionali preposte all’applicazione della legge lottino contro le principali fonti di finanziamento delle organizzazioni terroristiche, tra cui riciclaggio di denaro, tratta di esseri umani e commercio illegale di armi; sollecita al riguardo la piena attuazione della legislazione dell’UE in materia, onde pervenire a un approccio coordinato su scala dell’UE; osserva che solo il 50% delle informazioni riguardanti il terrorismo e la criminalità organizzata sono fornite dagli Stati membri a Europol ed Eurojust;

25. invita gli Stati membri a utilizzare meglio le capacità uniche offerte da Europol, garantendo che le loro unità nazionali forniscano a Europol le informazioni pertinenti in maniera più sistematica e regolare; sostiene inoltre la creazione di una piattaforma europea antiterrorismo all’interno di Europol, così da ottimizzare le sue capacità operative, tecniche e di scambio di intelligence;

26. sottolinea la necessità di rafforzare l’efficacia e il coordinamento della risposta della giustizia penale attraverso Eurojust, di armonizzare in tutta l’UE la qualificazione penale dei reati connessi ai combattenti stranieri per creare un quadro giuridico e di facilitare la cooperazione transfrontaliera, onde evitare lacune dell’azione penale e far fronte alle difficoltà pratiche e giuridiche nella raccolta e ammissibilità delle prove nei casi di terrorismo, aggiornando la decisione quadro 2008/919/GAI;

27. chiede un solido controllo democratico e giudiziario delle politiche antiterrorismo e dell’attività di intelligence all’interno dell’UE, assicurando il pieno controllo democratico indipendente, e insiste sul fatto che la cooperazione nell’ambito della sicurezza dovrebbe essere rigorosamente conforme al diritto internazionale;

Adozione di una strategia esterna dell’UE per la lotta al terrorismo internazionale

28. chiede che l’UE promuova in modo più attivo un partenariato globale contro il terrorismo e cooperi strettamente con interlocutori regionali come l’Unione africana, il Consiglio di cooperazione del Golfo e la Lega araba, e segnatamente con i paesi che confinano con la Siria e l’Iraq e con quelli che risentono maggiormente delle conseguenze del conflitto come Giordania, Libano e Turchia, nonché con le Nazioni Unite e in particolare con il suo comitato antiterrorismo; chiede al riguardo un dialogo più intenso tra gli esperti nei settori dello sviluppo e della sicurezza dell’UE e di tali paesi;

29. sottolinea in particolare la necessità che l’Unione europea, i suoi Stati membri e i paesi partner fondino la propria strategia di lotta contro il terrorismo internazionale sul rispetto dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali; sottolinea inoltre che le azioni esterne dell’Unione per combattere il terrorismo internazionale dovrebbero essere innanzitutto finalizzate a prevenire, contrastare e perseguire il terrorismo;

30. invita il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ad adottare una strategia esterna dell’UE per la lotta contro il terrorismo internazionale, al fine di affrontare le cause di tale fenomeno e integrare l’antiterrorismo; sollecita la Commissione e il SEAE a sviluppare una strategia di cooperazione antiterrorismo con i paesi terzi, garantendo nel contempo che siano rispettate le norme internazionali in materia di diritti umani;

31. esorta l’Unione europea a rivedere la propria strategia per il Mediterraneo meridionale nel quadro del riesame della politica europea di vicinato attualmente in corso e ad adoperarsi per sostenere i paesi e gli attori realmente impegnati a favore di valori condivisi e del processo di riforma;

32. sottolinea la necessità di porre l’accento sulla prevenzione e sul contrasto della radicalizzazione nei piani d’azione e nei dialoghi politici tra l’UE e i paesi partner, tra l’altro rafforzando la cooperazione internazionale, ricorrendo ai programmi e alle capacità esistenti e cooperando con gli attori della società civile nei paesi interessati per combattere la propaganda terroristica e radicale attraverso Internet e altri mezzi di comunicazione;

33. sottolinea che una strategia globale dell’UE in materia di misure antiterrorismo deve avvalersi pienamente anche della politica estera e della politica di sviluppo dell’Unione, al fine di lottare contro la povertà, la discriminazione e l’emarginazione, di combattere la corruzione e promuovere la buona governance nonché di prevenire e risolvere i conflitti, poiché tutti questi problemi contribuiscono all’emarginazione di alcuni gruppi e settori della società rendendoli più vulnerabili alla propaganda dei gruppi estremisti;

34. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai parlamenti degli Stati membri.

 

Relazione del Senato USA sul ricorso alla tortura da parte della CIA: proposta di risoluzione comune

Il Parlamento ha adottato lo scorso 11 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sulla relazione del Senato USA sul ricorso alla tortura da parte della CIA con 363 voti a favore, 290 contro e 48 astensioni.

Ho co-firmato e votato a favore di questa importante risoluzione che riconosce, fra l’altro, la sentenza del tribunale italiano che ha condannato in contumacia 26 cittadini americani (tra cui un ufficiale dell’Aeronautica e 25 della Cia – 5 erano diplomatici cui è stata negata qualsiasi immunità), e due agenti italiani per il loro coinvolgimento, nel 2003, nel sequestro dell’imam di Milano, Abu Omar, grazie alle indagini condotte dai procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici.

La risoluzione, inoltre, incarica la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), in associazione con la commissione per gli affari esteri (AFET) e, in particolare, la sottocommissione per i diritti dell’uomo (DROI), di riprendere l’indagine sui “presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA” e di riferire in merito all’Aula del Parlamento entro un anno (Paragrafo 8 della Risoluzione).

La risoluzione, inoltre, incarica la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), in associazione con la commissione per gli affari esteri (AFET) e, in particolare, la sottocommissione per i diritti dell’uomo (DROI), di riprendere l’indagine sui “presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA” e di riferire in merito all’Aula del Parlamento entro un anno (Paragrafo 8 della Risoluzione).

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo,

–  visto il trattato sull’Unione europea (TUE), in particolare gli articoli 2, 3, 4, 6, 7 e 21,

– vista la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare gli articoli 1, 2, 3, 4, 18 e 19,

– vista la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e i relativi protocolli,

– visti i pertinenti strumenti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, in particolare il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, la convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 10 dicembre 1984 e i relativi protocolli nonché la convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate del 20 dicembre 2006,

– viste le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nelle cause al-Nashiri contro Polonia, Abu Zubaydah contro Lituania, Husayn (Abu Zubaydah) contro Polonia, El-Masri contro ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Nasr e Ghali contro Italia, e al-Nashiri contro Romania,

– vista la sentenza del tribunale italiano che ha condannato in contumacia 22 agenti della CIA, un pilota dell’aeronautica e due agenti italiani per il loro coinvolgimento, nel 2003, nel sequestro dell’imam di Milano, Abu Omar,

– vista la sua risoluzione del 6 luglio 2006 sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di persone, adottata in una fase intermedia dei lavori della commissione temporanea(1),

– vista la sua risoluzione del 14 febbraio 2007 sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri(2),

– vista la sua risoluzione dell’11 settembre 2012 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA: seguito della relazione della commissione TDIP del Parlamento europeo(3),

– vista la sua risoluzione del 10 ottobre 2013 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA(4),

– visto lo studio della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti sul programma di detenzione e interrogatori della CIA e il suo ricorso a varie forme di tortura sui detenuti tra il 2001 e il 2006,

– viste le sue risoluzioni su Guantánamo, compresa la più recente, del 23 maggio 2013, su Guantánamo: sciopero della fame dei prigionieri(5),

– viste le conclusioni del Consiglio sui diritti fondamentali e lo Stato di diritto e sulla relazione della Commissione del 2013 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Lussemburgo, 5 e 6 giugno 2014),

– vista la sua risoluzione del 27 febbraio 2014 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2012)(6),

– vista la comunicazione della Commissione, del 19 marzo 2014, intitolata “Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto” (COM(2014)0158),

– vista la relazione della Commissione, del 3 febbraio 2014, intitolata “Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione” (COM(2014)0038),

– vista la sua risoluzione del 12 marzo 2014 sul programma di sorveglianza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, sugli organi di sorveglianza in diversi Stati membri e sul loro impatto sui diritti fondamentali dei cittadini dell’UE, e sulla cooperazione transatlantica nel campo della giustizia e degli affari interni(7),

– vista la direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio,

– visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che il rispetto dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto è un elemento essenziale di politiche antiterrorismo efficaci;

B. considerando che il Parlamento ha ripetutamente condannato il programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA, che ha comportato molteplici violazioni dei diritti umani, compresi l’uso della tortura e di altri trattamenti disumani o degradanti, sequestri, detenzioni segrete, detenzioni senza processo, nonché violazioni del principio di non respingimento;

C. considerando che, nonostante la loro peculiare natura, le politiche di sicurezza nazionale e antiterrorismo non sono esenti dal principio di responsabilità e che le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani non possono restare impunite;

D. considerando che l’assunzione di responsabilità in relazione alle consegne straordinarie, ai sequestri, alle detenzioni segrete illegali e alla tortura è essenziale per proteggere e promuovere efficacemente i diritti umani nelle politiche interne ed esterne dell’UE e assicurare politiche di sicurezza legittime ed efficaci fondate sullo Stato di diritto;

E. considerando che il Parlamento ha più volte ribadito la necessità di indagini a tutto campo sulla collaborazione degli Stati membri al programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA;

E. considerando che il precedente Parlamento, nella sua risoluzione del 10 ottobre 2013(8), invita l’attuale Parlamento a proseguire nell’adempimento ed esecuzione del mandato conferitogli dalla commissione temporanea sul presunto utilizzo dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri e, di conseguenza, ad assicurare che sia dato seguito alle sue raccomandazioni, a esaminare i nuovi elementi che possono emergere, nonché a utilizzare appieno e sviluppare ulteriormente i propri diritti d’inchiesta;

G. considerando che la relazione della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell’UE, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull’offerta di ingenti somme di denaro da parte della CIA in cambio della loro collaborazione;

H. considerando che la relazione della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti confuta le dichiarazioni della CIA secondo cui grazie alla tortura sarebbero state rivelate informazioni che non sarebbe stato possibile ottenere mediante tecniche di interrogatorio tradizionali e non violente;

I. considerando che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si era impegnato a chiudere entro gennaio 2010 Guantánamo Bay, una struttura nella quale sono detenute 122 persone che non sono state formalmente accusate dinanzi a un tribunale penale, inclusi 54 detenuti che hanno ufficialmente ottenuto l’autorizzazione al rilascio;

1. si compiace della decisione della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti di pubblicare una sintesi della sua relazione sul programma di detenzioni e interrogatori della CIA; incoraggia la pubblicazione integrale della relazione, senza eccessive e inutili revisioni;

2. esprime il suo orrore e la sua ferma condanna per le raccapriccianti pratiche di interrogatorio che hanno caratterizzato tali operazioni antiterroristiche illegali; sottolinea la conclusione fondamentale del Senato degli Stati Uniti, secondo cui i metodi violenti applicati dalla CIA non hanno permesso di ottenere le informazioni necessarie a prevenire nuovi attacchi terroristici; ribadisce la sua condanna assoluta della tortura;

3. ritiene che il clima di impunità concernente il programma della CIA abbia favorito il protrarsi delle violazioni dei diritti fondamentali, come evidenziato anche dai programmi di sorveglianza di massa dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dai servizi segreti di vari Stati membri dell’UE;

4. invita gli Stati Uniti a indagare sulle molteplici violazioni dei diritti umani causate dai programmi di consegne straordinarie e detenzioni segrete della CIA e a perseguirne gli autori, nonché a cooperare con tutte le richieste degli Stati membri dell’UE in materia di informazione, estradizione o mezzi di ricorso efficaci per le vittime in relazione al programma della CIA;

5. ribadisce il suo invito agli Stati membri affinché indaghino sulla presunta esistenza, sul loro territorio, di prigioni segrete che avrebbero ospitato detenuti nell’ambito del programma della CIA e affinché perseguano le persone coinvolte in tali operazioni, tenendo conto di tutti i nuovi elementi di prova emersi;

6. esprime preoccupazione in merito agli ostacoli posti alle indagini parlamentari e giudiziarie a livello nazionale relative al coinvolgimento di alcuni Stati membri nel programma della CIA, all’abuso del segreto di Stato e all’indebita classificazione di documenti, con la conseguente cessazione dei procedimenti penali e l’impunità di fatto dei responsabili delle violazioni dei diritti umani;

7. chiede l’adozione di una strategia interna dell’UE sui diritti fondamentali e invita la Commissione a proporre l’adozione di tale strategia e di un relativo piano d’azione;

8. incarica la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, in associazione con la commissione per gli affari esteri e, in particolare, la sottocommissione per i diritti dell’uomo, di riprendere l’indagine sui “presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA” e di riferire in merito all’Aula entro un anno:

– dando seguito alle raccomandazioni formulate nella sua risoluzione dell’11 settembre 2012 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA: seguito della relazione della commissione TDIP del Parlamento europeo(9),

– facilitando e sostenendo l’assistenza giuridica e la cooperazione giudiziaria reciproche nel rispetto dei diritti umani tra le autorità responsabili delle indagini nonché la cooperazione tra gli avvocati coinvolti nella determinazione delle responsabilità negli Stati membri;

– organizzando un’audizione alla quale partecipino i parlamenti nazionali e i professionisti per fare un bilancio di tutte le inchieste parlamentari e giudiziarie passate e in corso;

– organizzando una missione d’inchiesta parlamentare che coinvolga tutti i gruppi politici interessati degli Stati membri dell’UE che presumibilmente ospitavano siti di detenzione segreta;

– raccogliendo tutte le informazioni e gli elementi di prova pertinenti su possibili tangenti o altri atti di corruzione in relazione al programma della CIA;

9. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

 

Proposta di risoluzione comune sul Pakistan

Il Parlamento ha adottato lo scorso 15 gennaio 2015 la proposta di risoluzione comune (presentata da PPE, GUE/NGL, ALDE, S&D ) sul Pakistan, in particolare la situazione in seguito all’attacco alla scuola di Peshawar. Come vuole la procedura della plenaria, vista l’adozione della risoluzione comune, le risoluzioni singole del gruppo sono tutte cadute senza essere sottoposte al voto.

Ho dunque co-firmato la risoluzione del mio gruppo e votato a favore della risoluzione comune.

La risoluzione adottata dal Parlamento Europeo innanzitutto condanna con forza il brutale massacro degli studenti, perpetrato dal gruppo scissionista di talebani pakistani Tehreek-e-Taliban (TTP), come un atto orribile e codardo ed esprime il suo cordoglio alle famiglie delle vittime dell’attacco della scuola di Peshawar e il suo sostegno ai cittadini e alle autorità del Pakistan. La risoluzione invita inoltre il governo pakistano a garantire la sicurezza nelle scuole e ad assicurarsi che i bambini, indipendentemente dal genere, non subiscano alcuna intimidazione nel recarsi a scuola e ritiene che il governo debba dar prova di una determinazione molto maggiore e intensificare i suoi sforzi per arrestare e processare i militanti del TTP e altri militanti che prendono di mira le scuole per atti di violenza.

Ho appoggiato questa risoluzione anche perché in essa il Parlamento europeo ricorda la sua costante opposizione alla pena di morte in qualsiasi circostanza e sollecita il governo pakistano a rispettare gli accordi internazionali ratificati di recente in materia di diritti umani, incluso il Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, che obbliga le autorità a garantire processi di base equi e vieta loro di ricorrere a tribunali militari per processare i civili quando i tribunali regolari sono funzionanti.

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo,– viste le sue precedenti risoluzioni sul Pakistan, in particolare quelle del 27 novembre 2014(1), del 17 aprile 2014(2), del 10 ottobre 2013(3) e del 17 febbraio 2013,

– vista le dichiarazioni del Presidente del Parlamento europeo del 16 dicembre e dei presidenti della sottocommissione per i diritti dell’uomo e della delegazione per le relazioni con l’Asia meridionale del 17 dicembre 2014,

– viste la dichiarazione del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sull’attacco contro una scuola a Peshawar, Pakistan, del 16 dicembre 2014, la dichiarazione dell’UE a livello locale sulla ripresa delle esecuzioni in Pakistan del 24 dicembre 2014 e il comunicato stampa sulla visita del rappresentante speciale dell’Unione europea per i diritti umani in Pakistan del 29 ottobre 2014,

– vista la dichiarazione del Premio Nobel per la pace e vincitrice del premio Sacharov Malala Yousafzai del 16 dicembre 2014,

– visto l’accordo di cooperazione tra il Pakistan e l’Unione europea, il piano d’impegno quinquennale, il dialogo strategico UE-Pakistan e il regime SPG+ di preferenze commerciali,

– viste le dichiarazioni dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani del 16 dicembre 2014 e del comitato dell’ONU sui diritti dell’infanzia sull’attacco terroristico contro una scuola a Peshawar del 17 dicembre 2014,

– vista la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948,

– vista la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia del 1989,

– viste le conclusioni del Consiglio del 16 novembre 2009 sulla libertà di religione o di credo, in cui il Consiglio sottolinea l’importanza strategica di tale libertà e di lottare contro l’intolleranza religiosa,

– vista la relazione del 5 agosto 2011 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del Relatore speciale dell’ONU sul diritto all’istruzione sulla tutela dell’istruzione durante le emergenze,

– vista la sua risoluzione del 12 marzo 2014 sul ruolo regionale e le relazioni politiche del Pakistan con l’UE(4),

– visto il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, di cui il Pakistan è firmatario,

– visti l’articolo 135, paragrafo 5, e l’articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che il 16 dicembre 2014, sette uomini armati hanno sferrato un attacco mortale contro una scuola pubblica dell’esercito nella città di Peshawar – che è circondata su tre lati dalle aree tribali ad amministrazione federale (FATA) – uccidendo più di 140 persone, tra cui 134 studenti e ferendone quasi altrettanti;

B. considerando che l’attacco ha provocato forte shock all’interno e all’esterno del Pakistan, ed è considerato come il più crudele atto terroristico della storia del paese, tanto più che ci sono volute otto ore prima che i militari riprendessero il controllo della scuola; considerando che molte persone, tra alunni e personale scolastico, sono state uccise o ferite in quell’intervallo e i sopravvissuti alla tragedia sono rimasti profondamente traumatizzati;

C. considerando che Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace e del premio Sacharov, è stata colpita alla testa da un colpo sparato da un talebano nell’ottobre 2012 per aver difeso il diritto delle ragazze all’istruzione in Pakistan;

D. considerando che il gruppo Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) ha rivendicato la responsabilità del massacro e ha dichiarato che uno degli obiettivi dell’attacco alla scuola era di inviare un messaggio forte ai sostenitori di Malala, la quale difende il diritto all’istruzione delle donne e dei bambini, nonché di “vendicarsi” della campagna dell’esercito contro i militanti;

E. considerando che dall’inizio dell’offensiva del governo contro i talebani e altri gruppi militanti nella zona tribale ad amministrazione federale (FATA), una delle aree più povere del Pakistan, oltre un milione di persone è stato sfollato verso l’Afghanistan o diverse parti del Pakistan;

F. considerando che la libertà di credo e di religione in Pakistan è minacciata sia dalla violenza terroristica sia dalle diffuse violazioni delle leggi sulla blasfemia; considerando che le donne e le ragazze sono doppiamente esposte sia alla conversione forzata sia alle diffuse violenze sessuali;

G. considerando che secondo la relazione della Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA, coalizione globale per proteggere l’istruzione dagli attacchi) dal 2009 al 2012 vi sono stati oltre 800 attacchi contro scuole in Pakistan; considerando che i militanti hanno reclutato anche bambini da scuole e madrasse, alcuni di essi per diventare terroristi suicidi; considerando che, secondo la relazione, almeno trenta bambini e decine di insegnanti e altro personale scolastico, incluso un ministro provinciale dell’istruzione, sono stati uccisi in attacchi contro scuole e trasporti scolastici tra il 2009 e il 2012;

H. considerando che il comitato dell’ONU sui diritti dell’infanzia ha suggerito che il Pakistan istituisca un sistema di risposta rapida per reagire contro gli attacchi agli istituti di istruzione, al fine di ristrutturarli e ricostruirli rapidamente e sostituire il materiale scolastico in modo che gli studenti possano essere reintegrati nelle scuole o nelle università nel più breve tempo possibile; considerando che recenti modifiche alla Costituzione hanno introdotto il diritto all’istruzione gratuita e obbligatoria come diritto fondamentale;

I. considerando che alcune ore dopo l’attacco alla scuola pubblica militare di Peshawar, il primo ministro Nawaz Sharif ha sospeso la moratoria della pena di morte che era in vigore da sei anni; considerando che finora numerosi detenuti condannati a morte con accuse di terrorismo sono stati giustiziati; considerando che secondo funzionari pakistani 500 condannati potrebbero essere giustiziati nelle prossime settimane; considerando che secondo le stime in Pakistan 8 000 persone si troverebbero nel braccio della morte;

J. considerando che il 6 gennaio 2015, in reazione al massacro della scuola, il parlamento pakistano ha adottato un emendamento alla Costituzione che autorizza i tribunali militari nei prossimi due anni a processare le persone sospettate di militare in gruppi islamisti e potrebbe far sì che gli accusati passino dall’arresto all’esecuzione nel giro di alcune settimane; considerando che, in quanto parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), il Pakistan è tenuto a sostenere e adottare misure atte a garantire processi di base equi e non può fare ricorso a tribunali militari per processare i civili quando i tribunali regolari sono funzionanti;

K. considerando che il Pakistan ha recentemente ratificato sette dei nove accordi internazionali più significativi in materia di diritti umani, incluso il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e la Convenzione della Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, che contengono una serie di disposizioni relative all’amministrazione della giustizia, al diritto a un processo equo, all’uguaglianza di fronte alla legge e alla non discriminazione;

L. considerando che le raccomandazioni del relatore speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati nella sua relazione del 4 aprile 2013 riguardano tra le altre cose la riforma del sistema giuridico al fine di garantire la difesa dei diritti fondamentali e l’efficacia del sistema; considerando che le organizzazioni dei diritti umani richiamano regolarmente l’attenzione sulla corruzione nel sistema giudiziario;

M. considerando che l’UE e il Pakistan hanno approfondito e ampliato i loro legami bilaterali, come testimoniato dal piano d’impegno quinquennale, lanciato nel febbraio 2012, e dal secondo dialogo strategico UE-Pakistan, tenutosi nel marzo 2014; considerando che l’obiettivo del piano d’impegno quinquennale UE-Pakistan è di instaurare una relazione strategica e creare un partenariato per la pace e lo sviluppo fondato su valori e principi condivisi;

N. considerando che la stabilità del Pakistan riveste un’importanza fondamentale per la pace nell’Asia meridionale e oltre; considerando che il Pakistan svolge un ruolo importante nel promuovere la stabilità nella regione e potrebbe essere chiamato a dare l’esempio nel rafforzare lo Stato di diritto e i diritti umani;

1. condanna con forza il brutale massacro degli studenti, perpetrato dal gruppo scissionista di talebani pakistani Tehreek-e-Taliban (TTP), come un atto orribile e codardo ed esprime il suo cordoglio alle famiglie delle vittime dell’attacco della scuola di Peshawar ed il suo sostegno ai cittadini e alle autorità del Pakistan;

2. esprime il suo pieno impegno volto a combattere la minaccia rappresentata dal terrorismo e dall’estremismo religioso e la sua disponibilità ad assistere ulteriormente il governo pakistano in questa lotta;

3. si aspetta che il governo pakistano adotti misure urgenti ed efficaci, in linea con le norme sullo Stato di diritto riconosciute a livello internazionale, per affrontare la minaccia contro la sicurezza rappresentata dai gruppi di militanti attivi all’interno del Pakistan e nella regione circostante, senza eccezioni; sottolinea che le autorità non dovrebbe sostenere alcuna forma di terrorismo o estremismo;

4. invita il governo pakistano a garantire la sicurezza nelle scuole e ad assicurarsi che i bambini, indipendentemente dal genere, non subiscano alcuna intimidazione nel recarsi a scuola; ritiene che il governo debba dar prova di una determinazione molto maggiore ed intensificare i suoi sforzi per arrestare e processare i militanti del TTP e altri militanti che prendono di mira le scuole per atti di violenza, poiché, se non lo farà, la sua credibilità internazionale sarà compromessa;

5. ricorda la sua costante opposizione alla pena di morte in qualsiasi circostanza; si rammarica della decisione del primo ministro pakistano Nawaz Sharif di abrogare una moratoria non ufficiale in vigore da quattro anni della pena capitale, e chiede che tale moratoria sia immediatamente ripristinata;

6. chiede al governo pakistano di riservare le leggi antiterrorismo ad atti di terrore, invece di usarle per i processi di cause penali ordinarie; deplora fortemente il ricorso ad una giustizia militare sommaria che non presenta le condizioni minime delle norme internazionali dello Stato di diritto, e sottolinea che il mantenimento della concessione delle preferenze SPG+ è subordinato al rispetto di alcune norme di base sancite dalle convenzioni dell’ONU e dell’OIL;

7. accoglie con favore la volontà dei partiti politici pakistani di presentare un piano nazionale di lotta contro il terrorismo; sottolinea che per lottare contro il terrorismo e l’estremismo religioso è essenziale lavorare sulle cause che ne sono alla base, anche riducendo la povertà, assicurando la tolleranza religiosa e la libertà di credo, rafforzando lo Stato di diritto e garantendo il diritto e l’accesso sicuro all’istruzione per le bambine e i bambini; chiede una strategia a lungo termine per prevenire la radicalizzazione dei giovani in Pakistan e lottare contro la “vasta crisi dell’istruzione” che secondo l’UNESCO colpisce il Pakistan, in particolare aumentando gli investimenti in un sistema scolastico finanziato con fondi pubblici e assicurandosi che le scuole religiose dispongano del materiale necessario al fine di fornire ai giovani un’istruzione equilibrata ed esaustiva;

8. sollecita il governo pakistano a rispettare gli accordi internazionali ratificati di recente in materia di diritti umani, incluso il Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, che obbliga le autorità a garantire processi equi di base e vieta loro di ricorrere a tribunali militari per processare i civili quando i tribunali regolari sono funzionanti;

9. chiede un impegno internazionale rinnovato per lottare contro il finanziamento e il sostegno delle reti terroristiche;

10. invita la Commissione, l’alto rappresentante/vicepresidente Federica Mogherini, il Servizio europeo per l’azione esterna e il Consiglio ad impegnarsi appieno al fine di far fronte alla minaccia rappresentata dal terrorismo ed assistere ulteriormente il governo pakistano e il popolo del Pakistan a proseguire i loro sforzi per eliminare il terrorismo;

11. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al rappresentante speciale dell’Unione europea per i diritti umani, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Segretario generale delle Nazioni Unite, al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nonché al governo e al parlamento del Pakistan.

Ecco il testo della risoluzione GUE/NGL in francese.

Evidenziato in verde un emendamento da me proposto (non ripreso dalla mozione comune e dunque non sottoposto al voto del Parlamento Europeo).

Le Parlement européen,– vu la Déclaration universelle des droits de l’Homme,

– vu ses précédentes résolutions sur le Pakistan, et notamment celle de novembre 2014 sur les lois sur le blasphème et la peine de mort et celle d’octobre 2012 sur la discrimination contre les filles au Pakistan, en particulier le cas de Malala Yousafzai,

– vu le Pacte international relatif aux droits civils et politiques,

– vu la Convention internationale des Droits de l’Enfant,

– vu la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants des Nations unies,

– vu la Déclaration de la Conférence mondiale sur les droits de l’homme de 1993

– vu les recommandations de mars 2013 de la commission de l’ONU sur l’élimination de la discrimination faite aux femmes,

– vu le rapport du Rapporteur spécial de l’ONU sur la protection du droit à l’éducation en période d’urgence adressé à de l’Assemblée générale de l’ONU, et notamment son chapitre sur la protection du droit à l’éducation contre les attaques,

– vu le rapport du Rapporteur spécial de l’ONU pour l’indépendance des juges et des avocats, Gabriela Knaul, du 4 avril 2013, faisant suite à sa mission au Pakistan du 19 au 29 mai 2012,

– vu le communiqué de la délégation de l’UE au Pakistan du 24 décembre 2014 sur la reprise des exécutions au Pakistan,

– vu le Document final de l’Examen périodique universel: Pakistan, adoptée par le Conseil des droits de l’homme de l’ONU en avril 2013,

– vu les communiqués de presse de Human Right Watch relatifs au massacre de Peshawar, notamment sur l’usage de la peine capitale,

– vu les conclusions des journées d’étude de la FIDH et de la Commission des droits de l’Homme du Pakistan (HRCP) du 28 et 29 janvier 2014,

– vu le rapport “Éducation prise pour cible 2014” de la Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA),

– vu l’article 135, de son règlement,

A. considérant que depuis 2001, plus de 40 000 citoyens pakistanais ont perdu la vie dans des attaques terroristes et des attentats-suicide ; considérant que plusieurs centaines de personnes ont été tuées dans des attaques, des attentats ou des incidents liés au terrorisme depuis le début de l’année 2014 ;

B. considérant que le massacre dans une école de Peshawar, principale ville du nord-ouest du Pakistan, le 16 décembre 2014, durant lequel 148 personnes ont trouvé la mort, dont 132 élèves, et provoquant presque autant de blessés, représente l’acte terroriste le plus sanglant jamais perpétré dans le pays ;

C. considérant que cet acte odieux a été revendiqué par les talibans pakistanais du Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP), coalition de groupes djihadistes opérant dans le Waziristan, région frontalière afghano-pakistanaise de peuplement pachtoune ;

D. considérant qu’un porte-parole du TTP a justifié l’attaque dans cette école appartenant à l’armée comme une réponse à l’offensive déclenchée en juin par l’armée pakistanaise au Nord-Waziristan qui a tué des centaines de terroristes talibans ;

E. considérant que, comme en Irak, en Syrie et ailleurs, le drame est venu rappeler que les musulmans sont les premières victimes de la violence islamiste ;

F. considérant que certains éléments du TTP se seraient récemment ralliés aux appels d’Abou Bakr Al-Baghadi, le chef de l’organisation du Daesh,

G. considérant la Déclaration de la Conférence mondiale sur les droits de l’homme de 1993 qui qualifie les actes, méthodes et pratiques terroristes comme des « activités visant à la destruction des droits de l’homme, des libertés fondamentales et de la démocratie »

H. considérant que le premier ministre Nawaz Sharif, en réponse à l’attaque de Peshawar, a annulé le moratoire de 4 ans sur la peine capitale dans les cas liés au terrorisme et a prévu d’accélérer le rythme des exécutions ; considérant que son ministre de l’intérieur a annoncé l’exécution d’environ 500 condamnés à mort dans les deux à trois prochaines semaines ; considérant que le jour même du massacre un mineur a subi la peine capitale ; considérant que dès le 19 et 21 décembre 2014, six terroristes condamnés ont été exécutés ; considérant que, selon les organisations des droits de l’Homme, il y a plus de 8000 personnes dans le couloir de la mort au Pakistan;

I. considérant que malgré ce moratoire – officieux – des exécutions de militaires étaient encore ponctuellement pratiquées ; considérant que l’UE elle-même a rappelé aux lendemains de ce massacre, notamment par la voie de sa délégation au Pakistan, que « la peine de mort n’est pas un outil efficace de lutte contre le terrorisme » et qu’elle « regrette la décision du gouvernement du Pakistan de lever le moratoire sur les exécutions, en place depuis 2008 »

J. considérant que le Pakistan a récemment ratifié sept des neuf principaux droits de l’Homme internationaux, notamment le Pacte international relatif aux droits civils et politiques (PIDCP), la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants des Nations unies ainsi que la Convention sur les droits de l’enfant, et que cette dernière interdit explicitement l’usage de la peine capitale pour les mineurs de moins de 18 ans ;

K. considérant que le 24 décembre 2014, au terme de discussions avec les dirigeants des partis politiques, le premier ministre pakistanais a annoncé la mise en place d’une série de mesures pour lutter contre le terrorisme, dont la mise en place de tribunaux militaires pour juger les terroristes et pour une durée de deux ans, la fin de l’aide financière aux organisations considérées comme terroristes, un contrôle de l’Etat sur les écoles religieuses (madrasas) ou encore l’interdiction pour les terroristes de s’exprimer sur Internet et dans la presse ;

L. considérant les recommandations du Rapporteur spécial de l’ONU pour l’indépendance des juges et des avocats dans son rapport du 4 avril 2013, notamment sur la réforme du système juridique pour respecter les droits fondamentaux et assurer son efficacité; considérant que les organisations des droits de l’Homme font régulièrement état de corruption dans le système judiciaire ;

M. considérant que, malgré le rétablissement de la démocratie au Pakistan en 2008 après neuf années de régime militaire, la situation des droits politiques, sociaux et humains demeure un sujet de préoccupation profonde ;

N. considérant que des drones américains procède régulièrement à des attaques et des exécutions extrajudiciaires dans les régions tribales du Pakistan; considérant que ces attaques alimentent le développement de l’extrémisme religieux, considérant que les décennies de violence et de guerre en Afghanistan ont entraîné la déstabilisation de la région dans son ensemble et le renforcement des groupes religieux extrémistes ;

O. considérant que la population du Pakistan est majoritairement de confession musulmane; considérant que les questions religieuses sont utilisées à des fins politiques et causent de nombreux conflits, notamment meurtriers, dont les premières victimes sont souvent des femmes et des enfants, considérant que les autorités pakistanaises sont souvent incapables de protéger la population civile, en particulier les femmes, les minorités ethniques et religieuses, des journalistes et d’autres groupes vulnérables, et de traduire les coupables en justice ;

P. considérant que les lois sur le blasphème vont à l’encontre de la promotion et de la protection de la liberté de religion ou de conviction et qu’elles menacent la paix entre croyants d’une part et entre non croyants et croyants d’autre part ;

Q. considérant que l’organisation de groupes de citoyens, parfois constitués en véritables milices, attaquant des particuliers à la suite d’accusations de blasphème comme le massacre du 4 novembre 2014 par une foule d’un couple de chrétiens accusés de blasphème à Kot Radha Kishan, en périphérie de Lahore, dans le Pendjab, qui selon des rumeurs auraient profané un Coran la veille représente un danger pour la sécurité publique ;

R. considérant que le Pakistan durant ces quatre dernières décennies, a connu plus d’attaques terroristes dans des établissements d’éducation que tout autre pays et que ces attaques perturbent gravement les processus éducatifs, particulièrement dans les écoles de filles ; considérant l’utilisation d’établissements d’enseignement à des fins militaires au Pakistan ;

S. considérant que le Pakistan a un taux d’alphabétisation de 58%, encore plus faible dans les zones rurales et chez les filles ;

T. considérant le rapport “Éducation prise pour cible 2014” de la Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA) qui recense sur la période 2009-2012 au moins 838 attaques par des Talibans dans des écoles, la plupart du temps en faisant exploser les bâtiments scolaires, privant de fait des centaines de milliers d’enfants d’accès à l’éducation ; considérant que selon la même source une trentaine d’élèves et 20 enseignants ont été tués et 97 élèves ainsi que 8 enseignants ont été blessés, tandis que 138 élèves et membres du personnel ont été kidnappés, sans compter le personnel et étudiants de l’éducation supérieure également concernés ; considérant également que ce même rapport fait état de preuves de recrutement d’enfants au Pakistan par des groupes armés alors que les enfants se trouvaient à l’école, ou bien s’y rendaient ou en revenaient, notamment dans certains cas pour les entraîner comme kamikazes ;

U. considérant que dans le cadre de la discrimination religieuse régnant au Pakistan, les femmes et les filles souffrent doublement, notamment à travers la pratique de la conversion forcée, et la multiplication des violences sexuelles ;

V. considérant que l’arrestation le 12 septembre 2014 des auteurs présumés de la tentative d’assassinat contre Malala Yousafzai donne aux autorités pakistanaises la responsabilité de se montrer à la hauteur des droits à l’éducation et des droits des femmes et des filles défendus par la jeune récipiendaire du prix Nobel de la paix 2014 et du prix Sakharov 2013 ;

W. considérant que des récents changements constitutionnels ont introduit le droit à un enseignement gratuit et obligatoire comme droit fondamental ;

1. Condamne vivement les assassinats perpétrés par les terroristes à l’école de Peshawar et dénonce cet acte odieux qui peut constituer un crime de guerre au sens du droit international ;

2. Tient à exprimer toutes ses condoléances et apporte sa solidarité aux familles de victimes, à leurs proches et au peuple pakistanais ; demande au gouvernement pakistanais, à la suite de cette tragédie, qu’il ne cède pas à la peur et la colère qui ne ferait qu’engager un cercle de violences sans fin ;

3. Prend acte des annonces du gouvernement pour retrouver et traduire les responsables de ce massacre devant la justice mais regrette vivement la suspension du moratoire sur les exécutions ; demande dans ce cadre à ce que la Commission européenne et le SEAE conditionnent ses accords et son dialogue avec le Pakistan, notamment concernant l’application de GSP+, au respect des droits de l’Homme ;

4. Appelle le gouvernement pakistanais à abolir la peine capitale, châtiment le plus cruel, inhumain et dégradant qui soit, et ce, quel que soit les actes commis ;

5. Espère vivement que ce nouvel attentat particulièrement meurtrier amènera l’armée pakistanaise à faire le bilan de ses méthodes ; regrette ses connexions présumées avec des groupes djihadistes selon ses intérêts stratégiques en Asie du Sud ;

6. Invite le Haut représentant de l’Union pour les affaires étrangères et la politique de sécurité (HR/VP) et le Conseil à exprimer leur préoccupation sur la politique américaine vis-à-vis du Pakistan, qui nécessite un lien beaucoup plus fort entre les aides militaires et non-militaires américaines et le respect des droits humains fondamentaux, y compris le droit à la vie, miné par la peine capitale, et en demandant l’administration américaine de cesser l’utilisation croissante de frappes de missiles de drones sur le territoire pakistanais ;

7. Rappelle aux autorités pakistanaises que des lois sur la lutte contre le terrorisme ne peuvent en aucun se soustraire au respect des droits de l’Homme et du droit international ; est convaincu que le gouvernement donnera tous les éléments juridiques nécessaires aux organisations internationales pour étudier les mesures de lutte contre le terrorisme annoncées par le gouvernement en réponse à l’attaque meurtrière ; rappelle à ce titre aux autorités pakistanaises les recommandations du Rapporteur spécial de l’ONU pour l’indépendance des juges et des avocats dans son rapport du 4 avril 2013 ;

8. Invite les autorités pakistanaises à suivre les recommandations du Rapporteur spécial de l’ONU sur la protection du droit à l’éducation qui demande des efforts ciblés pour prévenir les attaques dans les écoles et autres institutions éducatives et les préparer à ces situations d’insécurité et également d’assurer assistance et réparations aux victimes ;

9. Invite les autorités pakistanaises à suivre les recommandations de mars 2013 de la commission de l’ONU sur la Convention sur l’élimination de toutes les formes de discriminations faites aux femmes, en particulier pour prévenir, enquêter et punir les violences sexistes par des acteurs non-étatiques dans les zones de conflits, y compris par l’adoption de procédures spécifiques d’enquête, la formation des forces de police, des militaires, des avocats, des magistrats, des psychologues et des professionnels de santé ;

10. Exhorte les autorités pakistanaise à abroger de toute urgence les lois relatives au blasphème qui violent les droits à la liberté d’expression et à la liberté de pensée, de conscience et de religion et mettent à mal le climat de tolérance qui doit régner dans le pays ;

11. Invite le Pakistan à poursuivre tous ces efforts et à investir tous les moyens nécessaires pour combattre la pauvreté, l’analphabétisme, l’inégalité entre les sexes, les inégalités sociales et l’intolérance afin de permettre une paix durable dans le pays ;

12. Rappelle notamment au gouvernement pakistanais l’impérieuse nécessité de ne pas se saisir des attaques terroristes dans le monde comme d’un moyen de division des sociétés ; rappelle que les musulmans sont les premières victimes, au sens propre comme figuré, de la violence terroriste et du développement d’intégrismes religieux ;

13. Charge son Président de transmettre la présente résolution au Conseil, à la Commission, à la haute représentante de l’Union pour les affaires étrangères et la politique de sécurité, aux gouvernements et aux parlements des États membres, au gouvernement et à l’Assemblée nationale du Pakistan.

 

Risoluzione sulla situazione in Ucraina

Il 15 gennaio 2015 il Parlamento ha adottato la proposta di risoluzione comune sulla situazione in Ucraina.

Con i colleghi Helmut Scholz, Miloslav Ransdorf, Kateřina Konečná, Patrick Le Hyaric, Kostas Chrysogonos e Georgios Katrougkalos ho proposto a nome del gruppo GUE/NGL una proposta di risoluzione comune che è decaduta senza essere sottoposta al voto, vista l’adozione della risoluzione comune.

Questo il testo della proposta di risoluzione del GUE/NGL:

PROPOSTA DI RISOLUZIONE12.1.2015

presentata a seguito di una dichiarazione del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza

a norma dell’articolo 123, paragrafo 2, del regolamento

sulla situazione in Ucraina (2014/2965(RSP))

Helmut Scholz, Miloslav Ransdorf, Barbara Spinelli, Kateřina Konečná, Patrick Le Hyaric, Kostas Chrysogonos, Georgios Katrougkalos a nome del gruppo GUE/NGL

Il Parlamento europeo,–   visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A.  considerando che le elezioni parlamentari anticipate si sono svolte in un difficile ambiente politico e di sicurezza; che in alcune parti dell’Ucraina non è stato possibile per gli elettori partecipare alle elezioni; che la relazione dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) precisa che sono emerse prove di “casi di intimidazione e ostruzione che hanno influenzato le proprie strategie della campagna elettorale; negli ultimi dieci giorni della campagna, gli osservatori hanno rilevato un marcato aumento della violenza nei confronti dei soggetti interessati alle elezioni, intimidazione e minacce contro candidati e attivisti e casi di mirata distruzione di materiale e uffici della campagna; vi è stata una serie di credibili asserzioni di voto di scambio”; che sono state riportate gravi tensioni presso alcune commissioni elettorali distrettuali all’intorno e all’interno delle quali erano presenti membri armati di un battaglione di volontari; che la “Rete civile OPORA” ucraina e il “Comitato di elettori dell’Ucraina” hanno spesso riportato varie violazioni presso i seggi, come ad esempio “tentativi di consegnare schede senza una verifica dell’identità, presenza di persone non autorizzate presso i seggi, tentativi di voto illegittimo, tentativo di rimuovere la scheda da un seggio, violazione del segreto del voto, fotografie di schede nonché tentativi di depositare schede illegali nell’urna”; che comunque, stando alle conclusioni dell’OSCE, le “elezioni parlamentari anticipate del 26 ottobre hanno segnato un importante passo nelle aspirazioni dell’Ucraina di consolidare le elezioni democratiche in linea con i propri impegni internazionali”;

B.  considerando che il processo politico in Ucraina è dominato dalla guerra civile in corso nelle regioni di Donezk e Lugansk; che i temi dell’unità nazionale, dell’integrità territoriale e della difesa continuano a dominare l’agenda politica; che, d’altro canto, rimangono irrisolti i problemi che hanno portato ai disordini in Ucraina nel 2012, fra cui corruzione, crisi economica e sociale, sfiducia nella politica e disinganno nei confronti del sistema politico dell’Ucraina dovute alla costante influenza politica delle strutture oligarchiche; che non vi è alcun progresso nell’attuazione dell’agenda di riforma; che il fallito avvio da parte del nuovo governo e parlamento della lotta contro la corruzione ha minato la fiducia del popolo ucraino e della comunità internazionale nel processo politico in Ucraina;

C. considerando che l’Ucraina è sull’orlo di un crollo economico e sociale; che il PIL dell’Ucraina si è contratto del 7,5 % da gennaio a novembre 2014 e l’inflazione è balzata al 21 % in novembre; che il rischio di default è in aumento e il paese ha bisogno di 15 miliardi di USD oltre a quanto previsto dagli attuali programmi di sostegno internazionale;

D. considerando che le richieste socioeconomiche del movimento Maidan sono state ampiamente sostituite dall’agenda neoliberale e nazionalistica del nuovo governo; che il bilancio 2015 prevede profondi tagli della spesa sociale con un contemporaneo aumento della spesa per la difesa al 5,2 % del PIL; che questi tagli sono stati decisi in una situazione economica e sociale estremamente difficile; che nei primi nove mesi del 2014 i prezzi sono aumentati del 16,2 %, mentre le tariffe dei servizi sono aumentate del 24,3 % in media; che 1,7 milioni di persone è disoccupato (l’8,4 % della popolazione economicamente attiva) e molte delle persone che lavorano non ricevono lo stipendio; che la situazione dei circa 5,2 milioni di persone che vivono nelle zone di conflitto e post-conflitto è particolarmente difficile a causa del crollo e del caos della infrastruttura economica e dei servizi sociali; che la disponibilità di assistenza sanitaria in queste zone è sempre più limitata;

E.  considerando che le unità paramilitari degli oligarchi e dell’estrema destra non sono state sciolte e continuano le proprie attività violente nel paese; che il ministro dell’interno ucraino, Arsen Avakov, ha offerto loro nuove armi pesanti tra cui carri armati, veicoli corazzati da trasporto truppa, rafforzandone la posizione nella gerarchia militare; che Vadim Troyan, vicecomandante del regimento conservatore Azof e membro attivo dell’organizzazione paramilitare “Patriota dell’Ucraina” è stato nominato dal ministro dell’Interno ucraino capo della polizia di Kiev; che Yuri Mykhalchyshyn, che ha apertamente promosso l’ideologia di Joseph Goebbels, sarà a capo dell’unità propaganda e analisi nel servizio di sicurezza ucraino;

F.     considerando che pace e stabilità a livello europeo e internazionale sono minacciate da crescenti tensioni tra l’UE, l’Ucraina, gli USA e altri paesi occidentali da un canto e la Federazione russa dall’altro; che si sta formando una escalation politica e militare estremamente pericolosa tra l’Occidente e la Russia; che l’anno scorso si sono registrate decine di incursioni militari sensibili tra la Russia e gli Stati membri della NATO, alcune delle quali hanno rischiato di scatenare le ostilità;

G. considerando che il mancato reperimento di una soluzione negoziata reciprocamente accettabile alla crisi ucraina ha avuto gravi conseguenze per l’economia russa; che le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’UE stanno aggravando i problemi finanziari ed economici della Russia con il conseguente declino dei prezzi del petrolio e altri problemi per l’economia russa;

H. considerando che, nonostante gli sforzi della comunità internazionale di portare le parti in conflitto al tavolo del negoziato, la guerra nell’Est dell’Ucraina prosegue; che le parti in conflitto evidenziano una mancanza di volontà politica di trovare un compromesso e applicare gli accordi raggiunti;

I. considerando che il parlamento ucraino ha appoggiato una proposta del presidente Poroshenko di cancellare lo status non allineato del paese ad appena alcune ore dall’annuncio di nuovi negoziati sulla soluzione del conflitto militare dell’Est dell’Ucraina; che l’annuncio di un referendum sull’adesione alla NATO dell’Ucraina aggrava ulteriormente le tensioni politiche nelle relazioni del paese con la Russia che percepisce un’eventuale adesione dell’Ucraina alla NATO come una minaccia diretta alla propria sicurezza e all’equilibrio militare strategico tra la Russia e la NATO;

 

1. chiede con urgenza dialogo e negoziati che pongano fine alla guerra in Ucraina e di trovare soluzioni politiche ai problemi che hanno portato alla crisi ucraina; ribadisce il suo invito a salvaguardare l’unità del popolo ucraino e l’integrità territoriale del paese; sostiene fermamente il processo di Minsk ed esorta le parti ad aderire agli accordi già raggiunti e a sviluppare questi accordi in nuovi negoziati per una tabella di marcia più trasparente e chiara con concreti parametri che devono essere soddisfatti da ogni parte negoziale; appoggia il rafforzamento del ruolo dell’OSCE nella soluzione della crisi ucraina;

2. esorta tutte le parti del conflitto nell’Est dell’Ucraina a cessare la violenza; invita gli Stati Uniti, il Canada, gli Stati membri UE e la Russia ad imporre e ad attuare rigorosamente un embargo sulle armi contro tutte le parti del conflitto e chiede il ritiro dall’Ucraina di tutti i consiglieri militari stranieri e del personale militare e paramilitare; esorta vivamente la Federazione russa e l’Ucraina ad esercitare un effettivo controllo del proprio confine al fine di raggiungere una soluzione pacifica del conflitto e cessare le incursioni in Ucraina di personale armato e di attrezzature militari provenienti da qualsiasi altro paese;

3. denuncia l’ampliamento della NATO ai confini della Federazione russa; respinge fermamente i piani del nuovo governo ucraino di chiedere l’adesione alla NATO come elemento aggiuntivo di confronto con la Federazione russa che destabilizzerebbe ulteriormente la regione e il sistema di sicurezza internazionale nel suo insieme;

4. esorta vivamente la Russia, gli Stati Uniti e la NATO a cessare la politica di pressione militare e chiede l’immediato arresto della spirale di escalation militare, di porre fine alle manovre militari e alle azioni provocatorie e di ridurre la presenza militare nelle regioni in conflitto; respinge fermamente lo spiegamento di ulteriori unità e mezzi militari NATO nell’Europa orientale; avverte che la mancata ripresa di un dialogo orientato ai risultati con la Russia potrebbe avere conseguenze pericolose per la pace e la sicurezza in Europa e nel mondo;

5. chiede all’UE di rilanciare un dialogo politico orientato sugli obiettivi con la Russia, al fine di ricostruire la fiducia e trovare soluzioni a tutti i problemi in sospeso e alle questioni controverse; chiede di ripristinare i formati di dialogo esistenti tra l’UE e la Russia prima dell’inizio della crisi ucraina a tutti i livelli delle istituzioni UE; esorta l’UE a porre fine alle politiche sanzionatorie contro la Russia che hanno comportato una guerra commerciale tra due partner strategici con un impatto negativo in particolare sulle PMI, gli agricoltori e i consumatori in Russia, l’UE e i paesi del vicinato orientale dell’UE e che si sono oltretutto dimostrate politicamente inefficienti e controproducenti;

6. chiede di utilizzare il quarantesimo anniversario dell’Atto di Helsinki nel 2015 per confermarne e attuarne appieno norme e principi, ricostruire la fiducia e avviare i negoziati su un efficiente sistema di sicurezza e cooperazione in Europa sulla base della Carta dell’ONU e delle norme OSCE che tenga conto degli interessi di tutti i paesi d’Europa; sottolinea l’urgenza di riprendere e proseguire il controllo delle armi convenzionali e migliorare l’efficacia delle attuali misure di costruzione di fiducia e sicurezza, rafforzare i meccanismi di trasparenza, ammodernarli e ampliarne la portata; chiede l’elaborazione di nuove misure di costruzione della fiducia e della trasparenza, al fine di prevenire lo scoppio di analoghi conflitti in futuro;

7. prende atto dei risultati delle elezioni parlamentari in Ucraina; ribadisce la propria condanna del processo contro il partito comunista che è iniziato durante la campagna elettorale; invita il nuovo parlamento eletto e le autorità competenti ad affrontare le carenze individuate, ad esempio svolgendo efficaci indagini sulle irregolarità identificate dagli osservatori nazionali ed internazionali durante le elezioni, procedendo con le necessarie azioni legali contro i responsabili delle irregolarità durante le elezioni, riformando il sistema elettorale attraverso un miglioramento della rappresentanza regionale, e incrementando l’influenza degli elettori sui propri rappresentanti in Parlamento, grazie all’adozione di un sistema di rappresentanza proporzionale su collegi plurinominali, e ad attuare appieno le raccomandazioni sia dell’OSCE che della Commissione di Venezia, al fine di rafforzare la trasparenza del finanziamento dei partiti politici e delle campagne elettorali, e garantire che la legislazione elettorale sia compatibile con gli standard internazionali;

8. invita il governo ucraino a rivedere la sua politica di austerità al fine di rispondere alle urgenti esigenze sociali della popolazione, in particolare in materia di riscaldamento, forniture energetiche e assistenza sanitaria;

9. invita il governo e la Verkhovna Rada dell’Ucraina a rispondere alle aspettative della popolazione del paese in materia di efficaci e profonde riforme, allo scopo di porre fine all’attuale crisi e portare il paese alla stabilità politica, economica e sociale, tra l’altro attraverso:

•  una ferma eradicazione della corruzione,

•  lo stabilimento dello Stato di diritto;

•  il decentramento e profonde garanzie di partecipazione democratica del popolo nelle regioni a tutti i principali processi decisionali, in particolare nel campo dello sviluppo socioeconomico;

•  il definitivo distacco degli oligarchi dalla politica sotto controllo democratico;

•  il rispetto dei diritti dell’uomo e dei diritti democratici, fra cui i diritti linguistici;

•  lo scioglimento delle unità paramilitari e il ripristino di un rigoroso controllo statale su polizia ed esercito;

•  un immediato controllo parlamentare trasparente, democratico e legale su tutte le forze di sicurezza del paese e il disarmo di tutte le forze paramilitari e delle cosiddette forze di sicurezza private;

10. esorta vivamente l’UE a subordinare all’attuazione di questa agenda di riforma l’ulteriore assistenza economica e finanziaria all’Ucraina;

11. esprime preoccupazione per il fatto che i politici e le autorità ucraine continuano a manifestare una inaccettabile ignoranza del pericolo dell’estrema destra e addirittura di forze apertamente neonaziste, cooperando con loro nelle elezioni e consentendo loro di assumere posizioni all’interno delle forze dell’ordine; sottolinea che consentire a persone con opinioni di estrema destra di controllare posizioni dotate di notevoli risorse di contrasto costituisce un ovvio rischio per la democrazia; esorta vivamente il governo ucraino e le forze politiche democratiche a spezzare tutti i legami con i gruppi e/o le milizie di estrema destra;

12. ribadisce che una politica in materia di vicinato orientale che trascura gli interessi di tutti gli attori, compresa la Russia, ha fallito; sottolinea l’esigenza di rimodellare la politica di vicinato orientale al fine di sviluppare una cooperazione regionale che non escluda nessun paese; invita la Russia a partecipare proattivamente a tale processo e a dimostrare la propria volontà a partecipare a politiche di buon vicinato;

Ed ecco il testo della risoluzione comune adottata dal Parlamento Europeo:

Il Parlamento europeo,
–  viste le risultanze preliminari dell’OSCE/ODIHR sulle elezioni parlamentari anticipate tenutesi in Ucraina il 26 ottobre 2014,

– viste l’8ª relazione dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) sulla situazione dei diritti umani in Ucraina, del 15 dicembre 2014, e la relazione n. 22 sulla situazione in Ucraina al 26 dicembre 2014 dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA),

– viste la firma in data 27 giugno 2014 dell’accordo di associazione UE-Ucraina, che include un accordo di libero scambio globale e approfondito, e la sua ratifica simultanea da parte del Parlamento europeo e della Verkhovna Rada il 16 settembre 2014,

– visti il protocollo di Minsk del 5 settembre 2014 e il memorandum di Minsk del 19 settembre 2014 sull’attuazione del piano di pace in 12 punti,

– viste la relazione dell’ONU del 20 novembre 2014 sulle gravi violazioni dei diritti umani nell’Ucraina orientale e le relazioni dell’Osservatorio dei diritti umani sugli abusi in Crimea,

– vista la dichiarazione congiunta della commissione NATO-Ucraina del 2 dicembre 2014,

– viste le conclusioni del Consiglio europeo sull’Ucraina del 21 marzo 2014, del 27 giugno 2014, del 16 luglio 2014, del 30 agosto 2014 e del 18 dicembre 2014,

– visto l’esito della prima riunione del Consiglio di associazione tra l’UE e l’Ucraina tenutasi il 15 dicembre 2014,

– viste le conclusioni del Consiglio del 17 novembre 2014,

– visto l’articolo 123, paragrafi 2 e 4, del suo regolamento,

A. considerando che il 26 ottobre 2014 l’Ucraina ha tenuto elezioni politiche che sono state condotte in modo efficiente, ordinato e pacifico e nel rispetto generale delle libertà fondamentali, nonostante il conflitto in corso nelle regioni orientali e l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia;

B. considerando che il nuovo governo, formato da forze filoeuropee, gode della maggioranza costituzionale necessaria per portare avanti le riforme e ha già adottato un accordo di coalizione che getta le basi per un processo di riforma rigoroso volto a promuovere una maggiore integrazione europea, a modernizzare e sviluppare il paese, a instaurare un’autentica democrazia e lo stato di diritto, nonché a elaborare le modifiche costituzionali proposte dal piano di pace di Porošenko;

C. considerando che le cosiddette “elezioni presidenziali e parlamentari” tenutesi a Donec’k e Luhans’k il 2 novembre 2014 si sono svolte in violazione del diritto ucraino e degli accordi di Minsk e pertanto non possono essere considerate valide; che lo svolgimento di tali elezioni ha avuto un impatto deleterio sul processo di pace e di riconciliazione;

D. considerando che il cessate il fuoco del 5 settembre 2014 è stato violato quotidianamente dai separatisti e dalle forze russe; che dal 9 dicembre 2014, grazie all’iniziativa del presidente Porošenko di promuovere un “regime del silenzio”, il numero delle violazioni si è ridotto drasticamente; che tuttavia i punti principali del memorandum del 19 settembre non sono stati attuati dai separatisti sostenuti dalla Russia; che, stando a fonti attendibili, la Russia continua a sostenere le milizie separatiste attraverso un flusso costante di attrezzature militari, mercenari e unità russe regolari, accompagnate da carri armati, sofisticati sistemi anti-aerei e artiglieria;

E. considerando che il conflitto armato nell’Ucraina orientale ha provocato migliaia di vittime militari e civili, un numero ancora maggiore di feriti e centinaia di migliaia di persone che hanno abbandonato le proprie case, fuggendo prevalentemente in Russia, mentre la situazione nella zona di conflitto è fonte di profonda preoccupazione da un punto di vista sia umanitario che sanitario;

F. considerando che l’annessione illegale della penisola di Crimea costituisce il primo caso in Europa, dopo la seconda guerra mondiale, di incorporazione forzata di parte di un paese in un altro, ed è in violazione del diritto internazionale, ivi compresi la carta delle Nazioni Unite, l’atto finale di Helsinki e il memorandum di Budapest del 1994;

G. considerando che il Consiglio “Affari esteri” dell’UE del 17 novembre 2014 ha preso una decisione di principio su ulteriori sanzioni nei confronti dei leader separatisti;

H. considerando che sussistono violazioni diffuse dei diritti umani sia nelle zone occupate dell’Ucraina orientale che in Crimea, soprattutto ai danni dei tatari di Crimea, tra l’altro mediante intimidazioni e una nuova ondata di sparizioni;

I. che sarebbe auspicabile una più stretta cooperazione tra l’UE e gli Stati Uniti in materia di politiche connesse all’Ucraina;

J. considerando che il 23 dicembre 2014 il parlamento ucraino ha votato a favore della rinuncia dello status di paese non allineato;

1. esprime piena solidarietà all’Ucraina e alla sua popolazione; ribadisce nuovamente il proprio impegno a favore dell’indipendenza, della sovranità, dell’integrità territoriale, dell’inviolabilità delle frontiere e della scelta europea dell’Ucraina;

2. condanna gli atti di terrorismo e il comportamento criminale dei separatisti e di altre forze irregolari in Ucraina orientale;

3. accoglie con favore la valutazione positiva delle elezioni politiche del 26 ottobre 2014, nonostante le difficoltose circostanze sul piano politico e della sicurezza, e il successivo insediamento della nuova Verkhovna Rada; si compiace del forte impegno politico del presidente Porošenko, del primo ministro Jacenjuk e del presidente del parlamento Groysman teso a cooperare e a rafforzare il rigoroso processo di riforma; incoraggia vivamente il nuovo governo e il nuovo parlamento dell’Ucraina ad adottare e attuare senza indugio le tanto necessarie riforme politiche e socioeconomiche al fine di costruire uno Stato democratico e prospero fondato sullo stato di diritto;

4. deplora che, come risultato dell’attuale situazione nel paese, non tutte le parti del territorio e della popolazione dell’Ucraina siano rappresentate nella Verkhovna Rada; ricorda che il governo e il parlamento dell’Ucraina devono garantire la tutela dei diritti e delle esigenze dei cittadini che non hanno rappresentanza nel processo decisionale dello Stato;

5. condanna fermamente la politica aggressiva ed espansionistica della Russia, che costituisce una minaccia per l’unità e l’indipendenza dell’Ucraina e pone una potenziale minaccia per la stessa Unione europea, segnatamente l’annessione illegale della Crimea e la conduzione di una guerra ibrida non dichiarata contro l’Ucraina, ivi compresa una guerra informatica che combina elementi di ciberguerra, uso di forze regolari e irregolari, propaganda, pressioni economiche, ricatto energetico e destabilizzazione diplomatica e politica; sottolinea che queste azioni violano il diritto internazionale e costituiscono una grave minaccia alla situazione della sicurezza in Europa; sottolinea che non vi è giustificazione per l’uso della forza militare in Europa a difesa di cosiddette ragioni storiche e di sicurezza o per la protezione di sedicenti “compatrioti che vivono all’estero”; esorta Mosca a cessare di aggravare la situazione ponendo immediatamente fine al flusso di armi, di mercenari e di soldati in appoggio alle milizie separatiste e a esercitare la sua influenza sui separatisti per persuaderli a partecipare al processo politico;

6. chiede il proseguimento dell’attuale regime di sanzioni imposto dall’UE, in particolare in vista della prossima riunione del Consiglio del marzo 2015, finché la Russia non rispetterà pienamente e soprattutto non metterà in atto gli obblighi assunti a Minsk, ed esorta la Commissione a trovare opportune modalità per rafforzare la solidarietà tra gli Stati membri nel caso in cui la crisi con la Russia dovesse persistere; sottolinea la necessità di adottare una serie chiara di obiettivi di riferimento che, una volta conseguiti, potrebbero evitare l’imposizione di nuove misure restrittive nei confronti della Russia o portare alla sospensione delle misure già adottate, obiettivi di riferimento tra i quali: attuazione del cessate il fuoco, ritiro incondizionato dall’Ucraina di tutte le truppe russe e dei gruppi illegali armati e mercenari appoggiati dalla Russia, lo scambio di tutti i prigionieri, tra cui Nadia Savchenko, e il ripristino del controllo dell’Ucraina sul suo intero territorio, inclusa la Crimea; invita il Consiglio europeo, nell’eventualità di ulteriori azioni russe volte a destabilizzare l’Ucraina, ad adottare misure restrittive aggiuntive e ad ampliarne la portata, includendo il settore nucleare e limitando la capacità degli enti finanziari russi di effettuare transazioni finanziarie internazionali; riconosce che l’UE deve essere pronta a sostenere gli Stati membri confinanti, a cui dovrebbe essere garantito il medesimo livello di sicurezza di tutti gli Stati membri;

7. ritiene che le sanzioni dovrebbero formare parte di un più ampio approccio dell’UE alla Russia e degli sforzi del vicepresidente/alto rappresentante volti a rafforzare il dialogo; ricorda che il solo scopo di queste sanzioni è quello di far sì che il governo russo si impegni a mutare la sua politica attuale e a contribuire in modo significativo a una soluzione pacifica della crisi ucraina; sottolinea che il mantenimento, l’inasprimento o il ritiro delle misure restrittive imposte dall’UE dipenderà dall’atteggiamento della Russia e dalla situazione in Ucraina;

8. sottolinea che i canali politici e diplomatici verso la Russia devono rimanere aperti al fine di consentire soluzioni diplomatiche al conflitto ed è pertanto favorevole a formule del tipo “Ginevra” e “Normandia”, se possono essere conseguiti risultati concreti;

9. sostiene la politica di non riconoscimento dell’annessione illegale della Crimea da parte della Russia e, in questo contesto, prende atto con favore delle ulteriori sanzioni recentemente adottate sugli investimenti, i servizi e gli scambi con la Crimea e Sebastopoli;

10. sottolinea che l’attuazione dell’accordo di associazione/accordo di libero scambio globale e approfondito dovrebbe costituire la tabella di marcia per un’adozione rapida delle necessarie riforme da realizzare con urgenza, nonostante le difficoltà causate dal conflitto in alcune zone delle regioni di Luhans’k e Donec’k; invita il Consiglio e la Commissione a compiere ogni sforzo per assistere l’Ucraina nell’adozione e, soprattutto, nella realizzazione di tali riforme, nell’ottica di gettare le basi per la piena attuazione dell’accordo di associazione UE-Ucraina; si compiace, a tal riguardo, dell’avvio della missione consultiva dell’Unione europea (EUAM); condivide il parere della commissione di Venezia secondo cui, affinché una riforma costituzionale sia coronata da successo, è essenziale che sia preparata in maniera inclusiva, garantendo ampie consultazioni pubbliche;

11. chiede un’assistenza tecnica più rapida e più incisiva da parte del “gruppo di sostegno all’Ucraina” della Commissione, che includa l’individuazione dei settori in cui tale assistenza si rende necessaria per sostenere l’Ucraina nell’elaborazione e nell’attuazione di un programma globale di riforma nonché il ricorso a consulenti delle istituzioni dell’UE e degli Stati membri; invita le autorità ucraine a istituire un ministero o un ufficio per il coordinamento dell’assistenza e per l’integrazione nell’UE nonché un comitato di coordinamento interministeriale di alto livello ai quali sia attribuito il potere di monitorare e sorvegliare efficacemente i progressi verso il ravvicinamento all’UE e le riforme e che siano in grado di preparare e coordinare la loro attuazione;

12. è fermamente convinto che sia necessario attuare con urgenza in Ucraina un ambizioso programma anticorruzione, compresa una politica di tolleranza zero nei confronti della corruzione; invita la dirigenza ucraina a eliminare la corruzione sistematica mediante l’attuazione immediata ed efficace della strategia nazionale contro la corruzione e sottolinea che la lotta contro tale pratica deve divenire una delle principali priorità del nuovo governo; propone, a tal fine, di istituire un Ufficio anticorruzione politicamente indipendente dotato delle competenze e delle risorse sufficienti per consentirgli di contribuire in modo significativo al buon funzionamento delle istituzioni statali; accoglie positivamente la richiesta dell’Ucraina a Interpol e l’emissione di un mandato d’arresto contro l’ex presidente Janukovyč con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici; invita gli Stati membri a eseguire il mandato d’arresto di Interpol e ad aiutare a recuperare i beni sottratti indebitamente; plaude alla creazione dell’istituzione del Mediatore per le imprese e invita il governo ucraino a presentare un relativo progetto di legge;

13. ricorda che il 16 luglio 2014 il Consiglio dell’Unione europea ha revocato l’embargo sulle armi all’Ucraina e pertanto non vi sono più obiezioni, né restrizioni giuridiche, che impediscano agli Stati membri di fornire all’Ucraina armi di difesa; ritiene che l’UE debba vagliare soluzioni per sostenere il governo ucraino nel rafforzamento delle sue capacità di difesa e nella protezione delle sue frontiere esterne, sulla base dell’esperienza della trasformazione delle forze armate degli Stati membri dell’UE che erano membri del Patto di Varsavia, in particolare nel quadro di missioni di formazione già effettuate per le forze armate in altre parti del mondo; sostiene l’attuale fornitura di attrezzature non letali;

14. prende atto dell’adozione di una legge che abolisce lo “status di paese non allineato” introdotto nel 2010; pur riconoscendo il diritto dell’Ucraina di operare in libertà le proprie scelte, sostiene la posizione del presidente Porošenko, secondo cui ora l’Ucraina ha urgente bisogno di concentrarsi sulle riforme politiche, economiche e sociali, e l’adesione alla NATO è una questione che dovrebbe essere sottoposta al giudizio dei cittadini in un referendum panucraino da tenersi in una fase successiva; sottolinea che la questione di una più stretta relazione dell’Ucraina con l’UE è distinta dalla questione dell’adesione alla NATO;

15. sottolinea l’importanza di un impegno della comunità internazionale a sostegno della stabilizzazione politica ed economica e delle riforme in Ucraina; invita la Commissione e gli Stati membri a elaborare un importante piano di assistenza per l’Ucraina basato sul principio “più progressi, più aiuti” e sulla condizionalità e a intensificare gli sforzi per fornire assistenza all’Ucraina organizzando, tra l’altro, una conferenza dei donatori e degli investitori e cooperando con le istituzioni finanziarie internazionali per definire ulteriori passi ai fini della ripresa economica e finanziaria del paese; accoglie con favore il pacchetto di sostegno di 11 miliardi di euro destinato all’Ucraina da erogare nei prossimi anni nonché la proposta della Commissione di destinare all’Ucraina 1,8 miliardi di euro aggiuntivi sotto forma di prestiti a medio termine;

16. ribadisce, in tale contesto, che l’accordo di associazione non costituisce l’obiettivo finale delle relazioni UE-Ucraina; sottolinea inoltre che, a norma dell’articolo 49 TUE, l’Ucraina, come qualsiasi altro Stato europeo, ha una prospettiva europea e può domandare di diventare membro dell’Unione europea, purché si attenga ai criteri di Copenaghen e ai principi democratici, rispetti le libertà fondamentali e i diritti umani e delle minoranze e garantisca lo Stato di diritto; esorta gli Stati membri dell’UE a ratificare l’accordo di associazione prima del vertice di Riga;

17. sottolinea l’importanza della sicurezza energetica in Ucraina e sottolinea la necessità di riforme nel settore energetico ucraino, in linea con i suoi impegni nel quadro della Comunità dell’energia; accoglie positivamente l’accordo tra l’UE, la Russia e l’Ucraina sul pacchetto “inverno” al fine di garantire la fornitura di gas dalla Russia fino al marzo 2015 e la solidarietà dimostrata dall’UE, nonché le accresciute quantità di gas che entrano in Ucraina attraverso flussi inversi dagli Stati membri dell’UE;

18. evidenzia la necessità di accrescere in modo radicale la sicurezza e l’indipendenza energetiche dell’Unione e la sua capacità di resistere alle pressioni esterne, nonché di ridurre la sua dipendenza dalla Russia, mettendo in atto nel contempo soluzioni alternative concrete per aiutare gli Stati membri che attualmente si avvalgono della Russia come unico fornitore; invita l’UE a perseguire un’autentica politica energetica esterna comune e ad adoperarsi per la creazione di un’Unione europea dell’energia; incoraggia la piena attuazione del mercato comune interno dell’energia, compreso il terzo pacchetto per l’energia, e il proseguimento incondizionato della causa pendente contro Gazprom;

19. sottolinea che occorre attribuire la priorità a progetti relativi a gasdotti che diversifichino la fornitura energetica verso l’UE e pertanto accoglie con favore l’interruzione del progetto South Stream; invita la Comunità europea dell’energia a sviluppare un programma di cooperazione con l’Ucraina e con i paesi del Caucaso meridionale, dell’Asia centrale, del Medio Oriente e del Mediterraneo, con l’obiettivo di sviluppare le infrastrutture e l’interconnessione tra l’UE e i suoi vicini europei indipendentemente dalla geopolitica russa in materia di gas; riconosce che la fornitura stabile di gas all’Ucraina è fondamentale anche per garantire la sicurezza energetica degli Stati membri;

20. sottolinea la necessità che l’UE, insieme alle autorità ucraine, presti maggiore attenzione alla crisi umanitaria in Ucraina e in Crimea e faccia fronte alla catastrofica situazione umanitaria, in particolare alla condizione degli sfollati interni; invita la Commissione e il commissario per gli aiuti umanitari e la gestione delle crisi a preparare un’azione umanitaria decisa e diretta, attesa ormai da tempo, escludendo le organizzazioni intermediarie, sotto forma di “convogli blu” chiaramente contrassegnati come provenienti dall’UE; invita la Commissione a presentare tale piano d’azione al Parlamento europeo entro i prossimi due mesi; sottolinea la necessità di un’ulteriore assistenza finanziaria per l’Ucraina da parte dell’UE e dei suoi Stati membri per aiutare il paese ad affrontare la disastrosa crisi umanitaria; fa eco all’allarme lanciato dall’OMS, che segnala come l’Ucraina si trovi a fronteggiare un’emergenza sanitaria, con ospedali che non funzionano pienamente e scarsità di medicinali e vaccini, e chiede che venga prestata una maggiore e più efficace assistenza umanitaria agli sfollati interni, in particolare ai bambini e agli anziani, e che il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) abbia un accesso libero e senza restrizioni alle zone interessate dal conflitto; accoglie con favore l’entrata in vigore della tanto attesa legge sugli sfollati interni nonché la decisione di ricorrere a esperti dell’UE attraverso il meccanismo di protezione civile dell’UE per fornire consulenza alle autorità ucraine sulle problematiche attinenti agli sfollati;

21. chiede ulteriori aiuti umanitari e assistenza per le popolazioni colpite dal conflitto; ricorda che la fornitura di aiuti umanitari all’Ucraina orientale deve avvenire nell’assoluto rispetto del diritto internazionale umanitario e dei principi di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza, nonché in stretto coordinamento con il governo ucraino, le Nazioni Unite e il CICR; invita la Russia a consentire l’ispezione internazionale dei convogli umanitari diretti nel Donbas al fine di fugare i dubbi circa i carichi trasportati;

22. sottolinea che l’OSCE ha un ruolo cruciale da svolgere ai fini della risoluzione della crisi ucraina in ragione della sua esperienza nell’affrontare i conflitti armati e le crisi e in quanto sia la Federazione russa che l’Ucraina sono membri dell’organizzazione; si rammarica che la missione di monitoraggio speciale dell’OSCE continui a essere sotto organico e abbia pertanto un rendimento inferiore alle aspettative; invita gli Stati membri, il vicepresidente/alto rappresentante e la Commissione a compiere ulteriori sforzi per rafforzare la missione speciale di monitoraggio dell’OSCE in Ucraina in termini di personale e di attrezzature; ritiene che l’UE debba inviare, se richiesto dalle autorità ucraine, una missione di monitoraggio dell’UE per contribuire a un efficace controllo e monitoraggio del confine russo-ucraino;

23. invita il vicepresidente/alto rappresentante e il commissario per la politica europea di vicinato e i negoziati di allargamento a fare tutto quanto in loro potere per facilitare una soluzione politica alla crisi ucraina che venga rispettata da tutte le parti coinvolte; sottolinea che tale soluzione deve evitare uno scenario di conflitto congelato nell’Ucraina orientale e in Crimea; invita il vicepresidente/alto rappresentante a tracciare un approccio che combini una posizione basata su principi e rigore per quanto riguarda la sovranità dell’Ucraina e la sua integrità territoriale e i principi del diritto internazionale, con la ricerca di una soluzione negoziata della crisi nell’Ucraina orientale e in Crimea; ribadisce che l’unità e la coesione tra gli Stati membri dell’UE costituiscono un presupposto per il successo di qualsiasi strategia dell’UE nei confronti della Russia; invita in tale contesto i governi degli Stati membri ad astenersi da azioni unilaterali e dalla retorica e a intensificare gli sforzi per sviluppare una posizione comune europea nei confronti della Russia;

24. chiede la ripresa di un dialogo nazionale autentico e inclusivo che possa anche condurre a una soluzione per il pagamento delle indennità e delle pensioni sociali e per la fornitura di assistenza umanitaria da parte del governo ucraino alla popolazione nelle zone in conflitto; ritiene che rivesta cruciale importanza lo svolgimento di indagini imparziali ed efficaci in merito a tutti i principali momenti di violenza, compresi quelli verificatisi in piazza Maidan, in via Rymarska, a Odessa, a Mariupol, a Sloviansk e a Ilovaisk; ritiene che le organizzazioni della società civile possano svolgere un ruolo importante nel facilitare i contatti interpersonali e la comprensione reciproca in Ucraina, nonché nel promuovere il cambiamento democratico e il rispetto dei diritti umani; sollecita l’Unione europea a intensificare il suo sostegno alla società civile;

25. accoglie con favore la decisione del governo francese di bloccare la consegna delle portaelicotteri di classe Mistral e invita tutti gli Stati membri a seguire un approccio analogo in merito alle esportazioni non coperte dalle decisioni dell’UE in materia di sanzioni, in particolare per quanto riguarda le armi e i materiali a duplice uso;

26. invita la Commissione e il commissario per la politica europea di vicinato e i negoziati di allargamento a preparare e presentare al Parlamento europeo, entro due mesi, una strategia di comunicazione rivolta all’UE, ai suoi vicini orientali e alla Russia stessa per rispondere alla campagna di propaganda russa, nonché a sviluppare strumenti che consentano all’UE e ai suoi Stati membri di far fronte alla campagna di propaganda a livello europeo e nazionale;

27. riafferma il proprio sostegno ai fini di un’inchiesta internazionale sulle circostanze del tragico abbattimento del volo MH17 delle Malaysia Airlines e ribadisce il proprio appello affinché i responsabili siano assicurati alla giustizia; deplora gli ostacoli incontrati in questo processo ed esorta tutte le parti a dare prova di un’effettiva volontà di collaborare, a garantire un accesso continuo, sicuro e senza restrizioni alla zona del disastro del volo MH17 e a consentire l’accesso a tutte le altre risorse pertinenti che possono contribuire alle indagini; esprime l’auspicio di essere tenuto informato sullo stato di avanzamento di questa inchiesta;

28. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, agli Stati membri, al Presidente dell’Ucraina, ai governi e ai parlamenti dei paesi del partenariato orientale e della Federazione russa, all’Assemblea parlamentare Euronest e alle assemblee parlamentari del Consiglio d’Europa e dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Proposta di risoluzione comune sul riconoscimento dello Stato di Palestina

Il Parlamento ha adottato lo scorso 17 dicembre 2014 la proposta di risoluzione comune (presentata da PPE, GUE/NGL, ALDE, S&D ) sul riconoscimento dello Stato di Palestina con 498 voti a favore, 88 contro e 111 astensioni. Come vuole la procedura della plenaria, vista l’adozione della risoluzione comune, le risoluzioni singole del gruppo sono tutte cadute senza essere sottoposte al voto.

Ho dunque co-firmato la risoluzione del mio gruppo e votato a favore della risoluzione comune.

La risoluzione adottata dal Parlamento Europeo sostiene in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati, e ritiene che ciò debba andare di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace, che occorre far avanzare, e ribadisce il proprio fermo sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e con uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, che vivano fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza, sulla base del diritto all’autodeterminazione e del pieno rispetto del diritto internazionale.

Il testo inoltre esprime grave preoccupazione per la crescente tensione e l’intensificarsi della violenza nella regione; condanna con la massima fermezza tutti gli atti di terrorismo o di violenza e manifesta il proprio cordoglio alle famiglie delle vittime.

La risoluzione, infine, decide di avviare un’iniziativa dal titolo “Parlamentari per la pace” volta a riunire parlamentari europei, israeliani e palestinesi di vari partiti per contribuire a far progredire un’agenda di pace e integrare gli sforzi diplomatici dell’UE.

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sul processo di pace in Medio Oriente,

– viste le conclusioni del Consiglio “Affari esteri” del 17 novembre 2014 sul processo di pace in Medio Oriente,

– viste le dichiarazioni dell’alto rappresentante/vicepresidente sull’attentato alla sinagoga di Har Nof, del 18 novembre 2014, sull’attentato terroristico a Gerusalemme, del 5 novembre 2014, nonché la dichiarazione del portavoce dell’alto rappresentante dell’UE sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente, del 10 novembre 2014,

– visti l’annuncio del governo svedese relativo al riconoscimento dello Stato di Palestina, del 30 ottobre 2014, nonché il precedente riconoscimento da parte di altri Stati membri prima della loro adesione all’Unione europea,

– viste le mozioni sul riconoscimento dello Stato di Palestina approvate dalla Camera dei Comuni del Regno Unito il 13 ottobre 2014, dal Senato irlandese il 22 ottobre 2014, dal Parlamento spagnolo il 18 novembre 2014, dall’Assemblea nazionale francese il 2 dicembre 2014 e dall’Assemblea portoghese il 12 dicembre 2014,

– visto il diritto internazionale,

– visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che l’Unione europea ha confermato a più riprese il proprio sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, che prevede Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e la coesistenza, all’insegna della pace e della sicurezza, di uno Stato di Israele sicuro e di uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, e ha sollecitato la ripresa dei colloqui di pace diretti tra Israele e l’Autorità palestinese;

B. considerando che il conseguimento di una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi rappresenta da oltre mezzo secolo una delle principali preoccupazioni della comunità internazionale, inclusa l’Unione europea;

C. considerando che i colloqui di pace diretti tra le parti sono in una fase di stallo; che l’UE ha chiesto alle parti di adoperarsi per favorire l’instaurazione di un clima di fiducia necessario ad assicurare negoziati significativi, di astenersi dal compiere azioni che pregiudichino la credibilità del processo e di evitare le provocazioni;

D. considerando che nella sua risoluzione del 22 novembre 2012 il Parlamento europeo ha sottolineato che l’unico modo per giungere a una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi consiste nel ricorrere a mezzi pacifici e non violenti, ha chiesto che siano create le condizioni per la ripresa di colloqui di pace diretti tra le due parti, ha sostenuto, a tale proposito, la domanda della Palestina per diventare uno Stato non membro osservatore delle Nazioni Unite, ritenendolo un passo importante al fine di conferire maggiore visibilità, solidità ed efficacia alle richieste della Palestina, e ha invitato gli Stati membri dell’UE e la comunità internazionale, a tale riguardo, a trovare un accordo in questo senso;

E. considerando che il 29 novembre 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di concedere alla Palestina lo status di Stato non membro osservatore in seno alle Nazioni Unite;

F. considerando che il riconoscimento dello Stato di Palestina rientra nelle competenze degli Stati membri;

G. ricordando l’impegno dell’OLP a riconoscere lo Stato di Israele dal 1993;

1. sostiene in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati, e ritiene che ciò debba andare di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace, che occorre far avanzare;

2. sostiene gli sforzi del presidente Abbas e del governo di consenso nazionale palestinese; sottolinea ancora una volta l’importanza di consolidare l’autorità del governo di consenso palestinese e della sua amministrazione nella Striscia di Gaza; esorta tutte le fazioni palestinesi, incluso Hamas, ad accettare gli impegni assunti dall’OLP e a porre fine alle divisioni interne; chiede all’Unione di continuare a garantire sostegno e assistenza al rafforzamento delle capacità istituzionali palestinesi;

3. esprime grave preoccupazione per la crescente tensione e l’intensificarsi della violenza nella regione; condanna con la massima fermezza tutti gli atti di terrorismo o di violenza e manifesta il proprio cordoglio alle famiglie delle vittime; mette in guardia circa i rischi di un’ulteriore recrudescenza della violenza che coinvolga i luoghi sacri, il che potrebbe trasformare il conflitto israelo-palestinese in un conflitto religioso; invita i leader politici di tutte le parti a lavorare insieme con azioni visibili per una distensione della situazione e sottolinea che l’unico modo per giungere a una soluzione sostenibile e a una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi consiste nel ricorrere a mezzi non violenti e al rispetto delle norme internazionali sui diritti umani e del diritto umanitario internazionale; evidenzia che gli atti di violenza possono soltanto alimentare l’estremismo da ambo le parti; esorta tutte le parti ad astenersi da azioni che, con istigazioni, provocazioni, uso eccessivo della forza o ritorsioni, inasprirebbero la situazione;

4. sottolinea inoltre che le azioni che mettono in dubbio gli impegni assunti a favore di una soluzione negoziata devono essere evitate; pone in evidenza che gli insediamenti sono illegali ai sensi del diritto internazionale; invita entrambe le parti ad astenersi da qualsiasi azione suscettibile di compromettere la fattibilità e le prospettive di una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati;

5. ribadisce il proprio fermo sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e con uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, che vivano fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza, sulla base del diritto all’autodeterminazione e del pieno rispetto del diritto internazionale;

6. plaude alla recente visita del vicepresidente/alto rappresentante in Israele e in Palestina, nonché alla sua intenzione di impegnarsi proattivamente a favore di un processo positivo inteso a spezzare il circolo vizioso del conflitto e a creare le condizioni politiche per il conseguimento di effettivi progressi nel processo di pace; ritiene che l’Unione europea debba assumersi la responsabilità di diventare un vero e proprio attore e facilitatore nel processo di pace in Medio Oriente, anche alla luce della necessità di riaprire i colloqui di pace, e anche mediante un approccio comune e una strategia globale per una soluzione del conflitto israelo-palestinese; ribadisce la necessità di un approccio diplomatico sotto l’egida del Quartetto per il Medio Oriente e ricorda l’importanza dell’iniziativa di pace araba;

7. invita il VP/AR ad agevolare il raggiungimento di una posizione comune dell’UE a tal riguardo;

8. sottolinea la necessità di una pace globale, che ponga fine a tutte le rivendicazioni e che soddisfi le legittime aspirazioni di entrambe le parti, incluse quelle degli israeliani alla sicurezza e quelle dei palestinesi alla sovranità; pone in evidenza che l’unica soluzione possibile al conflitto è la coesistenza di due Stati, Israele e Palestina;

9. decide di avviare un’iniziativa dal titolo “Parlamentari per la pace” volta a riunire parlamentari europei, israeliani e palestinesi di vari partiti per contribuire a far progredire un’agenda di pace e integrare gli sforzi diplomatici dell’UE;

10. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Segretario generale delle Nazioni Unite, all’inviato del Quartetto per il Medio Oriente, alla Knesset e al governo di Israele, al Presidente dell’Autorità palestinese e al Consiglio legislativo palestinese.