Bruxelles, 9 novembre 2015
Vertice di La Valletta sulla migrazione: una prospettiva sul Corno d’Africa
Audizione pubblica organizzata da Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL – Francia) in collaborazione con Europe External Policy Advisors (EEPA)
SESSIONE
Cooperazione sulla migrazione nel Corno d’Africa
Intervento di apertura
Ringrazio Marie-Christine Vergiat per aver organizzato questa audizione e per il suo costante impegno a fianco di chi combatte per la democrazia in Eritrea e nei paesi del Corno d’Africa, e contro la logica del processo di Khartoum, e ringrazio i rappresentanti della diaspora eritrea che oggi sono con noi.
Guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani, calamità naturali e crimini ambientali hanno costretto due milioni di cittadini del Corno d’Africa a lasciare le proprie case, in questi primi quindici anni del Duemila. Chi non è diventato profugo interno ha cercato di raggiungere l’Europa affrontando il deserto, le bande criminali, i campi in Libia, la traversata del Mediterraneo.
Queste persone d’ora in avanti troveranno ad accoglierli i cosiddetti hotspot, voluti da Commissione e Consiglio Europeo, dove si deciderà a quale categoria appartengono: se sono profughi titolati a presentare la domanda di protezione internazionale, o se sono migranti economici da rimpatriare. Ricordo che la maggior parte dei responsabili europei si ostina a parlare di “questione immigrati”, anziché di questione rifugiati. La distorsione semantica serve a sbarazzarsi delle proprie responsabilità. Ormai sappiamo bene che la stragrande maggioranza degli arrivi in Europa è composta di rifugiati. Comunque, la frontiera fra migrante e rifugiato è più che esile.
Ogni anno ricordiamo il naufragio di Lampedusa, quando morirono 360 fuggitivi eritrei e 8 fuggitivi somali. Era il 3 ottobre 2013.
“La maniera migliore per onorare la memoria dei morti è quella di salvare i vivi”, disse a Strasburgo don Mussie Zerai – invitato in Plenaria il 29 aprile di quest’anno da me e da Marie-ChristineVergiat – a proposito dell’istituzione, il 3 ottobre, di una giornata europea per la memoria dei profughi scomparsi in mare.
Ma come vengono salvati i vivi dai governanti dell’Unione? Riducendo il soccorso in mare a Frontex e a EunavforMed, il cui compito prioritario non è ufficialmente quello della Ricerca e Soccorso in mare? Riesumando il processo di Khartoum, che – in cambio di molto denaro – consegna il governo della migrazione dall’Africa e dal Medio Oriente alle peggiori dittature, come quella di Isaias Afewerki in Eritrea e di Al Bashir in Sudan?
A luglio – quando la commissione delle Nazioni Unite presieduta dall’avvocato Mike Smith aveva da pochi giorni presentato al Consiglio per i Diritti umani un Rapporto sull’Eritrea – l’Unione Europea ha prospettato un pacchetto di 300 milioni di euro in aiuti allo sviluppo, in favore di quel paese: un regalo al regime di Afewerki. L’obiettivo dichiarato a Bruxelles: “fermare la fuga di migliaia di migranti dal paese”.
Sono rimaste inascoltate, a Bruxelles come a Roma, le proteste della diaspora e l’appello lanciato da numerosi docenti universitari, uomini di cultura, giornalisti, esuli, ex diplomatici, attivisti che denunciavano come il nuovo flusso di denaro dall’Europa avesse l’effetto di legittimare e rafforzare la dittatura che da anni combattono, proprio mentre sta attraversando una fase di grave difficoltà.
La Commissione ONU sta valutando la possibilità di portare Afewerki davanti alla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità. Ma l’Eritrea è stata invitata dal Consiglio europeo al Summit di La Valletta, l’11 e 12 novembre, e il ministro degli esteri di Afewerki – assieme al ministro degli esteri del presidente del Sudan Omar al-Bashir, accusato di crimini di guerra – siederà con gli altri leader africani.
So che una delegazione della diaspora eritrea e il coordinamento dell’Eritrea democratica saranno a Malta, in quei giorni, a far sentire la propria voce. È una voce che parla in nome nostro, che siamo orgogliosi di ospitare oggi a Bruxelles, e che vogliano continuare a rappresentare.