Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL – Bruxelles, 9 settembre 2016
Punto in Agenda:
- Situazione in Polonia
Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di Relatrice, per il Gruppo GUE/NGL, della Risoluzione “sui recenti sviluppi in Polonia e loro impatto sui diritti fondamentali sanciti dalla Carta da dei diritti fondamentali dell’Unione europea” che sarà discussa e votata nel corso della Sessione Plenaria di settembre (Strasburgo, 12-15 settembre 2016)
La prossima settimana, nella sessione plenaria di Strasburgo, si discuterà nuovamente della situazione della rule of law e del rispetto dei diritti umani in Polonia, e si voterà su una risoluzione. Come ricorderete, nell’ultima plenaria la questione fu “congelata” in attesa di conoscere gli sviluppi del dialogo avviato dalla Commissione con il governo polacco, nell’ambito del rule of law Framework, ossia del meccanismo predisposto dalla Commissione che ha come scopo quello di far fronte a eventuali minacce allo Stato di diritto che si verifichino all’interno di uno degli Stati Membri.
Dopo una prima Opinione della Commissione datata 1°giugno 2016, purtroppo mai ufficialmente pubblicata, tali sviluppi ci sono in effetti stati: sia nelle posizioni della Commissione, sia in Polonia.
Sviluppi nell’Unione: il 27 luglio la Commissione ha adottato una Raccomandazione – si tratta della seconda fase del meccanismo adottato nel 2014 – in cui si riconosce esplicitamente l’esistenza di una minaccia sistemica della rule of law, aprendo con ciò le porte a un ricorso all’articolo 7 del Trattato (TUE).
Sviluppi in Polonia: si è assistito negli ultimi mesi alla formale adozione di provvedimenti legislativi di dubbia compatibilità con la tutela dei diritti umani, che si aggiungono a quelli dell’anno in corso. Tra questi ultimi ricordo gli emendamenti alla legge sul Tribunale costituzionale, invalidati dallo stesso Tribunale e oggetto di specifico Parere negativo da parte della Commissione di Venezia; il Police Act, anch’esso oggetto di Parere della Commissione di Venezia che ne ha evidenziato le carenze in termini di protezione dei dati personali e dei diritti alla privacy; o ancora la legge sui media, che mina l’indipendenza dell’informazione e accentua il controllo governativo su di essa.
Per quanto concerne gli ultimi sviluppi, il 22 giugno il Presidente della Repubblica polacco ha firmato una legge anti-terrorismo che consente un controllo indiscriminato nei confronti degli stranieri e, più in generale, un’ingerenza massiccia nei diritti alla privacy e restrizioni alla libertà di riunione. Il 22 luglio è stata emanata una nuova legge sul Tribunale costituzionale che, pur risolvendo alcune questioni sollevate dalla Commissione di Venezia, mantiene forti profili di incostituzionalità, come sancito dallo stesso Tribunale costituzionale con sentenza dell’11 agosto e riconosciuto dalla Commissione europea nella propria Raccomandazione.
A ciò si aggiunga la questione dell’aborto. Si tratta di una proposta legislativa cittadina che è stata depositata in Parlamento, ed è fortemente approvata dal governo. La proposta contiene un divieto praticamente totale dell’interruzione di gravidanza, e sostituisce con straordinaria brutalità l’attuale legge sull’aborto, che è già tra le più restrittive esistenti nell’Unione. Quel che si chiede è che l’aborto sia vietato anche in caso di stupro, di malformazione grave del feto, e perfino se la vita della donna è in pericolo (anche se in questo caso il procuratore deve esprimersi sulla liceità dell’interruzione di gravidanza).
Contemporaneamente si assiste a una crescente chiusura delle frontiere, in linea con altri Paesi dell’Unione, e all’adozione di pratiche illegali che negano l’ingresso a richiedenti protezione internazionale, come denunciato da organizzazioni della società civile tra cui la Helsinki Foundation for Human Rights. Cito quanto affermato dal Ministro degli Interni Mariusz Blaszczak in un’intervista a TVN24. A suo parere, il multiculturalismo, la “correttezza politica” e la migrazione di massa sono responsabili degli attacchi terroristici in Europa, e l’Unione sarebbe più sicura con meno Musulmani: primo perché questi ultimi sono “incapaci di integrarsi nelle società europee”; secondo perché “la base dei valori e della cultura europei è la Cristianità”, e spazio per l’Islam non c’è.
A peggiorare il quadro vi è la totale paralisi dell’azione del Tribunale costituzionale polacco dovuta alla decisione delle autorità di non procedere alla pubblicazione delle sue sentenze, e perciò a renderle pienamente effettive. Decisione che rende impossibile il lavoro di revisione della costituzionalità dei provvedimenti sopra descritti e, quindi, dell’osservanza stessa dei diritti fondamentali.
Ritengo che il Parlamento europeo abbia il dovere di pronunciarsi ed esprimere una condanna di questa situazione. Non si tratta di ingerenza in affari interni di uno Stato Membro ma del puro e semplice riconoscimento che vi sono questioni imprescindibili che non ammettono deroghe. La tutela dei diritti fondamentali ne rappresenta il culmine. Penso sia importante che la sinistra, in primis, ponga al centro dell’attenzione tale questione, nell’ottica dello sviluppo di un modello diverso di Europa e di integrazione europea che si fondi innanzitutto sul rispetto del diritto e dei diritti fondamentali e che metta al centro della propria azione strumenti differenti: non il Fiscal Compact o il Meccanismo Europeo di Stabilità, ma la Carta dei Diritti Fondamentali e la Carta Sociale Europea.
Per queste ragioni, consiglierò di votare in favore della Mozione Comune di Risoluzione presentata dai Gruppi S&D-PPE e ALDE. Si tratta di un testo che non contiene parti negative, anche se punti per noi essenziali non vengono inclusi (aborto e migrazione). Su questi punti ho presentato in nome del nostro gruppo emendamenti specifici. Li cito di nuovo: il tema dell’aborto, la discriminazione verso le persone LGBTI, la chiusura e discriminazione verso migranti e rifugiati – soprattutto musulmani – e infine il riferimento al deterioramento della rule of law anche in altri Stati membri, al fine di evitare un doppio standard di valutazione che rischia di avvantaggiare i gruppi politici più forti nel Parlamento (mi riferisco alla differenza tra i governanti ungheresi rappresentati dal PPE e quelli polacchi rappresentati dall’ECR, gruppo assai meno influente politicamente).