Intervista a Barbara Spinelli di Stefano Feltri , «Il Fatto Quotidiano», 26 maggio 2019
Barbara Spinelli, qual è la posta in gioco delle elezioni europee di oggi e qual è la sua speranza?
La priorità è una riforma radicale dell’Unione, per far fronte a quella che non è più una crisi ma un fallimento generalizzato. Per questo considero del tutto fuorviante, e fittizia, la contrapposizione che si è creata tra cosiddetti europeisti e sovranisti-populisti. L’ascesa delle destre estreme non è la causa del tracollo dell’Unione: ne è il sintomo. L’Ue è senza politica seria da due legislature – ha fallito le politiche migratorie, sociali, ha fallito in politica estera allineandosi a Trump sul Venezuela e mostrandosi incapace di dialogare con la Russia – e quest’afasica inettitudine spiega il rigetto.
Abbiamo parlato molto di Europa in questi anni, ma alla fine c’è stata la solita campagna tutta nazionale.
Non solo in Italia. In molti Paesi quello di oggi è un referendum sui governanti di turno: in Italia si vota su Salvini e il governo, in Francia su Macron. La migrazione è però un tema di cui si è capita la natura europea.
Anche in Germania le elezioni rischiano di mettere fine alla stagione di Angela Merkel. La presa della Germania sull’Europa si allenterà?
Oggi è un po’ più debole economicamente. Ma la centralità tedesca non dipende soltanto da Angela Merkel, è strutturale, ai tempi di Kohl non era diversa.
In Parlamento finirà l’era della grande coalizione tra socialisti e popolari che ha dominato le ultime legislature. Cosa succederà?
Penso che socialisti e popolari si alleeranno ancor più con i liberali dell’Alde e questi saranno rafforzati dai parlamentari di Macron. Quindi non vedo la fine del blocco centrale e conservatore dello status quo che abbiamo conosciuto. La battaglia per avere un’Unione con parametri sociali vincolanti scritti nel trattato non l’abbiamo vinta finora e non la vinceremo nella prossima legislatura, con questa maggioranza. Anche Salvini, sui temi sociali, è neoliberista come il blocco che domina il Parlamento. Perché il migrante africano non diventi capro espiatorio occorre più welfare sociale per tutti.
Che figura ci vorrebbe alla guida della Commissione europea dopo Juncker, diventato il simbolo di tutto ciò che rende l’Ue poco popolare?
Qualcuno che rifiuti il dilemma europeisti-eurocritici, riconoscendo sinceramente che il problema non sono i populisti, ma i fallimenti dell’Unione: sulla Brexit, sulla Grecia, in politica estera. E sulla migrazione, dove Consiglio e Commissione si sono resi complici di pesanti violazioni dei diritti dei rifugiati e del diritto del mare. Hanno sulla coscienza migliaia di morti in mare e nei lager libici.
In che senso sulla Brexit?
Il negoziato è stato gestito bene dall’Ue. Parlo dell’evento Brexit: il referendum è stato cavalcato dall’Ukip, ma l’elettorato che ha scelto di lasciare l’Ue è anche quello degli emarginati, delle vittime dell’austerità. Basta vedere i film di Ken Loach per capirlo. Su questo, nessuna autocritica Ue.
Auspica un secondo referendum o una soluzione drastica?
Sono contraria a un’uscita senza accordo formale di recesso. Sarebbe un disastro perché lascerebbe senza tutela l’Irlanda del Nord e i cittadini europei – 3,5 milioni – che vivono in Gran Bretagna. L’accordo di recesso è un trattato con regole vincolanti: senza di esso rischia di ricominciare la guerra in Irlanda del Nord. Il secondo referendum sarebbe una soluzione. Il pericolo, però, è che i remainers lo perdano di nuovo, considerato il successo del partito Brexit.
Veniamo all’Italia. Con la Commissione che emergerà dopo le elezioni, per noi sarà più facile negoziare su deficit e bilancio?
No. L’Ue sarà retta da un’alleanza popolari-socialisti-liberali e quindi le accuse contro l’Italia di avere un debito eccessivo e di non rispettare i parametri continueranno. Nel Consiglio, dove siedono i governi, i Paesi nordici faranno blocco con Austria e Francia contro l’Italia, la useranno come capro espiatorio dei problemi dell’Unione. In più, faranno poco per superare in maniera seria le paure, gonfiate ma reali, che ci sono da noi sulle migrazioni.
Lega e M5S sono litigiosi ma in coalizione in Italia, mentre a Bruxelles sono e saranno su fronti parlamentari diversi. È un equilibrio sostenibile?
Il comportamento del M5S e della Lega nel Parlamento europeo continuerà a essere diverso. Oggi litigano in Italia, ma a Bruxelles divergono da sempre. C’è una certa sintonia sui temi dell’immigrazione, da quando Di Maio bollò purtroppo le Ong come “taxi del mare”, ma su temi essenziali come l’Europa sociale, l’evasione fiscale, la libertà del web e l’iniqua legge sul copyright, i trattati commerciali, il clima, i rapporti con il Venezuela, Cinque Stelle e Lega non hanno niente a che fare l’uno con l’altro. Sui costi dell’Ue, a cominciare dalla trasparenza sulle esorbitanti “spese generali” dei parlamentari Ue, la battaglia progressista è stata fatta dai Cinque Stelle e dal mio gruppo, la Sinistra europea. Non dalla Lega.
Cinque anni fa la novità era il leader greco Alexis Tsipras, a capo di una nuova sinistra. Oggi?
I Verdi sono in ascesa, soprattutto in Germania. Una parte dei socialisti, in Spagna e Portogallo ma certo non Italia col duo Zingaretti-Calenda, si è spostata a sinistra.
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