Classificando i capi di governo che nel 2021 saranno più influenti, il giornale Politico mette Giuseppe Conte in cima ai politici più “attivi” (“The Doers”), accanto alla figura dominante che resta Angela Merkel. Fa una certa impressione se ripercorriamo con la mente gli ultimi dibattiti in parlamento, e le parole di disprezzo pronunciate non tanto da Salvini o Meloni quanto da rappresentanti della maggioranza come Matteo Renzi, che hanno giurato a sé stessi di affossare il premier a ogni costo: proprio nel mezzo della seconda ondata Covid, alla vigilia della terza ondata che ci aspetta, con più di 60.000 morti alle spalle. Un piccolo uomo, Renzi, che coltiva l’unica arte in cui eccelle: l’egolatria e l’invidia.
La classifica fa impressione, ma non stupisce: durante la fase più buia del confinamento, Conte è diventato molto popolare fra gli italiani. Adesso che siamo in piena seconda ondata la sua popolarità scende, ma quella delle sue politiche di contenimento e restrizioni (la sua figura di Doer) non scende affatto.
Simile consenso manda in bestia chi congiura contro di lui, nella maggioranza. Indispone non solo Renzi, ma buona parte del Pd e quasi tutti i giornali mainstream. Questo e non altro è stupefacente nella classifica di Politico: che Renzi, e chi dietro la sua persona si nasconde, siano così sconnessi dalla realtà, e lontani da quello che gli italiani percepiscono mentre traversano l’agonia del Covid.
C’era un tempo in cui erano molti in Europa a guardare Conte dall’alto, quasi fosse un quadrupede scimmiesco sceso or ora dall’albero. Il 12 febbraio 2019 a Strasburgo ero nei banchi del Parlamento europeo quando uno dei suoi più arroganti deputati, il liberale Guy Verhofstadt, inveì contro il presidente del Consiglio presente in aula come invitato. Lo prese a male parole: “Per quanto tempo ancora sarà il burattino mosso da Di Maio e Salvini?”. L’aggressione fu un evento inusitato, ma non meno inusitata fu la replica, lapidaria, del presidente del Consiglio: “Non sono un burattino. Forse i burattini sono coloro che rispondono a lobby e comitati d’affari”. Ricordo che provai vergogna: non come italiana, ma perché avevo conosciuto bene, e sistematicamente evitato, le lobby e i comitati d’affari cui Conte alludeva.
Quando sento Renzi, quando provo a immaginare che gli fa da sponda nella maggioranza e fuori, mi dico che è come se la classe politica italiana continuasse a essere quella descritta da Verhofstadt, mentre nel frattempo non solo l’Europa s’è ravveduta ma anche il popolo italiano. A cambiare i giudizi su Conte è stata una serie di sue iniziative: il suo agire durante il Covid, a partire dal primo lockdown; il suo affidarsi al Comitato tecnico scientifico; lo spazio riaperto alla programmazione, dopo quarant’anni di trionfo dei mercati. Le varie task force cui sarà affidata l’implementazione del Recovery Plan sono parte di questa svolta, che sta avvenendo in buona parte d’Europa (anche la Francia ha resuscitato il vecchio Commissariato al Piano e ha un Monsieur Vaccin che si chiama Alain Fischer. Anche Angela Merkel si appoggia sull’Istituto Robert Koch (RKI) e su virologi di prestigio come Christian Drosten). Ovunque parlamentari e presidenti di regioni sono chiamati a fare passi indietro, in maniera più o meno negoziata e faticosa. Non meno faticosa in Germania: mentre il Parlamento italiano s’infiammava, mercoledì, la Merkel pronunciava nel Bundestag una supplica disperata, perché nel suo Paese i contagi e i morti aumentano e una gran parte di Länder recalcitrano.
La tenacia di Conte durante il primo lockdown divenne così un modello, in Europa. Nei suoi podcast settimanali, il virologo Drosten citava ripetutamente i metodi italiani e in particolare lo studio su Vo’ Euganeo, la cittadina dove si era verificato il primo decesso per coronavirus in Italia (Crisanti era il coordinatore della ricerca) e dove era stata scoperta l’importanza dei contagiati asintomatici. Ancora di recente, quando la Francia annunciò il secondo confinamento, i governanti francesi accennarono all’assunzione di nuovi medici in Italia.
Il Recovery Plan è spesso descritto come iniziativa franco-tedesca e di sicuro lo è. Ma essa non avrebbe avuto luogo se Conte – con Madrid e Lisbona – non avesse spinto per ottenere il salto di qualità che l’Unione non aveva saputo fare dopo la crisi del 2008: l’indebitamento in comune, per fronteggiare la più grande sciagura abbattutasi nella storia del continente.
Non è detto che Conte supererà le faide della sua maggioranza. Ma una cosa è certa: esistono poteri che faranno di tutto per abbatterlo, e azzerare il cambio di rotta impresso alla politica e all’economia del paese. Sono forze indifferenti alla sciagura pandemica, che non ascoltano i moniti di Crisanti o Massimo Galli, che vogliono restituire prerogative alla politica classica: quella che si è resa responsabile della nostra gigantesca impreparazione sanitaria, che per anni ha mostrato di non saper spendere i soldi Ue permettendo che ne lucrasse la malavita. Quando penso a quel che accadde nel 2019 a Strasburgo, mi dico che le accuse di Verhofstadt dovrebbero oggi essere rivolte a chi vuol abbattere Conte. Mi chiedo a cosa mirino i disfattisti: di quali lobby, di quali comitati d’affari siano oggi i burattini. Sento risuonare un immenso “chi se ne frega” a proposito della pandemia, più che mai acuto da quando sono in arrivo i vaccini.
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