Giornate di studio del GUE/NGL
Firenze, 18-20 novembre 2014
Intervento di Annamaria Rivera durante la sessione del 19 novembre, dedicata al tema “Reframing migration and asylum policies: from border surveillance to migrants and asylum seekers rights approach”.
1. Il fatto che l’Unione Europea coltivi una sorta di sovra–nazionalismo armato, a difesa delle proprie frontiere, non solo è causa d’una strage di migranti e potenziali rifugiati di proporzioni mostruose, di cui dirò dopo, ma ha anche contribuito indirettamente, a mio avviso, a incoraggiare i nazionalismi “nazionalitari” o etnici, quindi al successo delle destre, anche estreme, in tutta Europa. Oltre che economica, la crisi europea è anche politico-ideologica, come ci ricorda da alcuni anni Slavoj Žižek.
Non per caso, nell’intero continente, a occupare il primo posto nella scala del rifiuto e del disprezzo sono rom, sinti e camminanti, le popolazioni che più di altre incarnano, almeno simbolicamente, il rifiuto di confini e frontiere.
Secondo un sondaggio recente (2014) sulle attitudini nei confronti di rom, musulmani ed ebrei, realizzato dal Pew Research Center, comparando l’Italia, la Francia, la Spagna, il Regno Unito, la Germania, la Grecia e la Polonia, per antiziganismo è l’Italia, seguita dalla Francia, a collocarsi in testa alla classifica. L’84% del campione intervistato esprime ostilità o paura per la presenza di appena 180mila fra rom e sinti (70mila dei quali cittadini italiani) corrispondenti a un magro 0,23% della popolazione totale [1].
In realtà, essi continuano a svolgere un ruolo vittimario assai simile a quello storicamente attribuito agli ebrei, a tal punto che sugli “zingari”, come un tempo sugli ebrei, tutt’oggi fioriscono e si propalano voci, leggende e “false notizie”, per dirle alla Marc Bloch: anche le più arcaiche, come quella della propensione al rapimento di bambini, pur smentita da dati e lavori scientifici (v. Tosi Cambini, 2008).
Insomma, fra le politiche di militarizzazione delle frontiere e il dilagare delle retoriche del rifiuto c’è un legame assai stretto, se non un circolo vizioso.
In gran parte dei paesi europei va diffondendosi sempre più l’uso politico e ideologico di tali retoriche: i cliché dell’“invasione”, dei migranti come fonte d’insicurezza e impoverimento dei “nazionali”, della “clandestinità” come sinonimo di criminalità sono ampiamente utilizzati perfino da istituzioni, talvolta anche da partiti di centro–sinistra, soprattutto da formazioni populiste, di destra e di estrema destra, che in Europa conoscono oggi un’ascesa impressionante. In particolare, quella dell’”invasione” e della “marea montante” è una tipica falsa evidenza: come è ben noto, la quota preponderante dei flussi migratori parte dai paesi del Sud del mondo per dirigersi verso altri paesi del Sud.
Sul versante delle istituzioni, in una parte dei paesi dell’Unione Europea prevale un approccio di tipo emergenzialista, conseguenza, fra le altre cose, del fatto che, in realtà, migrazioni ed esodi non sono stati integrati –starei per dire “elaborati”– come tendenze strutturali del nostro tempo.
Anche questo spiega perché il razzismo tenda a diventare “ideologia diffusa, senso comune, forma della politica” (Burgio, 2010). E non si tratta del ritorno in superficie dell’arcaico, bensì di una delle fasi del riemergere ricorrente del lato oscuro della modernità europea.
Le discriminazioni istituzionali, l’allarmismo dei media nonché la cattiva gestione dell’accoglienza, almeno in alcuni Stati–membri, non fanno che produrre ondate ricorrenti di moral panic, alimentando anche violenza razzista ‘popolare’ nei confronti degli indesiderabili, spesso usati come capri espiatori, particolarmente in questa fase.
In non pochi paesi europei la crisi economica si coniuga con una crisi, altrettanto grave, della democrazia e della rappresentanza, talché la distanza fra i cittadini e il potere si fa siderale e la cittadinanza va trasformandosi sempre più in sudditanza (v. Balibar, 2012). Non sorprende affatto, quindi, che gli effetti sociali della crisi e delle politiche di austerità, coniugati con la condizione e il senso soggettivo di sudditanza, alimentino frustrazione, spaesamento, risentimento sociale, e conseguente ricerca del capro espiatorio. Una buona parte di cittadini penalizzati dalla crisi finisce così per identificare il proprio nemico negli immigrati “che rubano il lavoro” o nei rom che degraderebbero il loro già degradato quartiere di periferia. Sicché si potrebbe sostenere che il razzismo ‘popolare’ sia perlopiù rancore socializzato.
Illustra bene questa tendenza ciò che è accaduto di recente a Tor Sapienza, un sobborgo dell’hinterland romano. In questa “periferia composta da insediamenti casuali e frammentari, di enclave vissute nella cultura dell’emergenza e mai messe in condizione di poter comunicare o interagire, di crescere insieme per diventare società” (Goni Mazzitelli, 2014), una frazione di residenti ha compiuto ripetuti raid contro un centro di accoglienza che, oltre ad alcune famiglie di rifugiati, ospitava poche decine di minori non accompagnati, provenienti da Egitto, Bangladesh, Etiopia e altri paesi subsahariani. Dopo alcuni giorni di assalti violenti, istigati dall’estrema destra, i minori sono stati allontanati da quel centro – che ormai sta per chiudere – e separati in diverse strutture provvisorie.
Etichettare questo caso, come altri simili, secondo la formula abusata di “guerra tra poveri” è, a mio avviso, un’espressione di quel “pensiero debole in un mondo complesso” di cui ha parlato qui Carlo Freccero. Infatti, ammesso sia opportuno usare la metafora della guerra, questa è tutt’altro che simmetrica: è, semmai, una guerra contro i più vulnerabili tra i poveri.
2. In assenza d’itinerari sicuri e legali per raggiungere l’Europa, i rifugiati in cerca di protezione e i migranti che aspirano a una vita migliore sono sottoposti dall’Unione Europea a un’autentica prova di sopravvivenza. Non tutti la superano.
Si tenga conto che nel corso del 2013 il 68% delle persone che hanno tentato di raggiungere l’Europa illegalmente per via marittima proveniva dalla Siria, Eritrea, Afghanistan e Somalia, paesi devastati da conflitti, persecuzioni e violenze (Amnesty International, Des vies à la dérive, 2014).
Secondo Fatal Journeys, il recente rapporto dell’OIM (l’Organizzazione internazionale per le migrazioni), nonostante la missione Mare Nostrum della Marina Militare Italiana, che pure, dal 18 ottobre 2013, ha salvato 115.000 migranti, nei primi otto mesi di quest’anno sono morte nel Mediterraneo almeno 3.072 persone. Cioè il 75% di tutte le vittime di migrazioni illegali su scala mondiale, nello stesso periodo.
Basta scorrere i grafici del Rapporto per constatare che l’Europa è largamente in testa alla classifica delle aree migranticide, per usare un neologismo. E ciò non solo per ovvie ragioni geografiche e per l’aumento vertiginoso di migranti e potenziali rifugiati che cercano di raggiungerla, ma soprattutto perché le politiche proibizioniste europee rendono i viaggi sempre più pericolosi. Al punto che il tentativo di raggiungere il nostro continente è costato la vita a ben 22.400 migranti in soli 14 anni.
I cosiddetti “trafficanti di esseri umani” rappresentano soltanto gli “utilizzatori finali” del sistema di frontiere e muri che l’Europa ha eretto intorno alla sua fortezza. Sono le politiche proibizioniste ad avere creato le condizioni perché si sviluppasse l’offerta di attività irregolari e dunque un aumento spaventoso delle stragi in mare.
Queste sono destinate a un incremento ulteriore, dal momento che si è deciso di abbandonare Mare Nostrum in favore dell’operazione Triton, uno degli avatar di Frontex. Come insiste Amnesty International nel rapporto che ho citato, Triton non è affatto un’operazione di ricerca e salvataggio. Privarsi di un Mare nostrum, magari « riformato » e sostenuto concretamente da altri Stati–membri, è da cinici o irresponsabili, in presenza –rimarca Amnesty International– di una crisi concernente i rifugiati che si configura come la più grave dopo la Seconda guerra mondiale.
Ricordo che il nuovo regime delle frontiere affermatosi in Europa ha prodotto non solo un’autentica ecatombe, ma anche la proliferazione e perfino l’esternalizzazione dei centri di detenzione per migranti, nei quali, in certi casi, sono rinchiusi finanche richiedenti–asilo e minori; e talvolta anche per responsabilità di Frontex. Le condizioni di tali lager –spesso muniti di gabbie e filo spinato, e controllati da forze dell’ordine e militari armati– sono state condannate dalla stessa Corte di Strasburgo. In alcuni paesi, come l’Italia, sono istituzioni del tutto abusive, in quanto violano la Costituzione e lo stato di diritto.
Questo sistema si è rafforzato anche grazie agli accordi bilaterali con paesi dell’altra sponda del Mediterraneo, cui si delega una parte del “lavoro sporco”. L’Italia ha perpetuato fino a ieri gli accordi di cooperazione perfino con un paese devastato qual è la Libia, il quale, oltre tutto, non ha leggi sull’asilo, pratica gravissime violazioni dei diritti umani, non ha sottoscritto neppure la Convenzione di Ginevra del ’51. Come è ben noto, la Libia, tappa ineludibile soprattutto per i migranti e i profughi sub–sahariani, è un vero e proprio inferno. Come e peggio che al tempo di Gheddafi, pratiche tuttora correnti sono gli arresti arbitrari, il lavoro forzato e lo sfruttamento schiavile, le deportazioni, i taglieggiamenti, le torture, gli stupri: orrori la cui apoteosi è l’inferno della prigione di Kufra. L’unica differenza è che oggi sono le milizie armate a “dirigere” i centri di detenzione e a compiere le nefandezze cui ho fatto cenno.
È necessario, dunque, modificare radicalmente la legislazione europea (per non dire di quella italiana), nel senso indicato dai relatori/trici che mi hanno preceduta. Ma soprattutto occorre che tra le nostre stesse fila si affermi la consapevolezza che decisiva è la battaglia contro il razzismo e per i diritti dei migranti e dei rifugiati. Da essa non si può prescindere se si vuole scongiurare il lato oscuro della modernità europea, in favore della prospettiva di un’Europa della democrazia, della giustizia sociale, dell’uguaglianza dei diritti.
[1] Pew Reserch Center’s Global Attitudes Project: EU Views of Roma, Muslims, Jews, 12 maggio 2014.
Approfondimenti:
Annamaria Rivera: militarizzazione delle frontiere, retoriche del rifiuto e incremento del razzismo