Venerdì 27 e sabato 28 febbraio ha avuto luogo a Firenze il convegno “La democrazia minacciata”, organizzato da Libertà e Giustizia. Secondo le parole del promotore e curatore Paul Ginsborg, “stiamo entrando in una nuova fase politica in cui, per la prima volta in molti decenni, viene messa in dubbio la sopravvivenza stessa della democrazia. Da un lato, perfino in paesi di lunghissime tradizioni democratiche, assumono sempre più importanza partiti politici che mescolano un razzismo esplicito con attacchi di fondo alla democrazia. Dall’altro si trovano una cultura e una politica democratica assolutamente impreparate per la sfida imminente. Invece di essersi irrobustita nei decenni precedenti, la democrazia oggi sempre più assomiglia a un guscio vuoto. Il dilagare della corruzione e delle organizzazioni criminali, l’attacco alla Costituzione, il servilismo di gran parte dell’informazione, la concentrazione del controllo dei media in poche mani, gli ostacoli posti all’espansione dei diritti dei cittadini e dei beni comuni – tutto questo ha portato a una drammatica perdita di fiducia nelle classi dirigenti politiche, non solo italiane”.
Questo il testo dell’intervento di Barbara Spinelli.
Grazie a voi di Libertà e Giustizia, grazie ai moniti insistenti di Gustavo Zagrebelsky, sappiamo che l’Italia sta divenendo un laboratorio di quella che comunemente viene chiamata decostituzionalizzazione – o deparlamentarizzazione – delle democrazie. Il fenomeno si è acutizzato, con la crisi cominciata nel 2007, ma ha una storia pluridecennale alle spalle: sia nei singoli Stati europei, sia nell’Unione stessa.
Qualcuno ricorderà forse quel che ebbe a dire Hans Tietmeyer nel 1998, a quel tempo presidente della Bundesbank. Parlò di due “plebisciti” su cui poggiano le democrazie, quando funzionano: quello delle urne, e quello – soverchiante, decisivo – che battezzò “plebiscito permanente dei mercati”. La coincidenza tra quest’enunciato e l’adozione di lì a poco dell’euro è significativa. Non stupisce infatti che la moneta unica nasca alla fine degli anni Novanta senza Stato: quel che è il suo conclamato vizio d’origine – l’essere una moneta che non è in mano a un sovrano politico europeo, priva di legittimazione democratica, non in grado di assicurare una coesione di tipo federale tra gli Stati membri – si trasforma dal punto di vista dei mercati in vantaggio, se non in virtù. Le parole di Tietmeyer e i modi di funzionamento dell’euro segnano l’avvio ufficiale di un processo di svuotamento della democrazia. Ma questo processo ha origini ancora più lontane.
Già nel 1975, un rapporto scritto per la Commissione Trilaterale da Michel Crozier, Samuel Huntington e Joji Watanuki, denunciava gli “eccessi” delle democrazie parlamentari postbelliche, e affermava il primato della stabilità e della governabilità sulla rappresentatività e il pluralismo, giungendo sino a esaltare l’apatia degli elettori. Il rapporto è stato poi poi pubblicato, con il titolo “La crisi della democrazia”. Ne leggo un passaggio: “Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. In passato [prima degli anni ’60] ogni società democratica ha avuto una popolazione di dimensioni variabili che stava ai margini, che non partecipava alla politica. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che ha permesso alla democrazia di funzionare bene”.