Bruxelles, 19 novembre 2015. Commissione per gli affari costituzionali: riunione interparlamentare di commissione sul tema “La futura evoluzione istituzionale dell’Unione: potenziare il dialogo politico tra il PE e i parlamenti nazionali e rafforzare il controllo sull’esecutivo a livello europeo”.
Parte 1: La futura evoluzione istituzionale dell’unione.
Mercedes Bresso and Elmar Brok, co-relatori del rapporto “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del Trattato di Lisbona” (qui il Documento di lavoro in versione italiana e in versione inglese).
Intervento di Barbara Spinelli (relatore ombra); l’intervento, non pronunciato a causa di concomitanti impegni parlamentari, è stato integrato negli atti della riunione.
Desidero affrontare due temi presenti nel documento di lavoro che a mio parere varrebbe la pena approfondire.
Il primo riguarda il ruolo dei parlamenti nazionali nell’attuale e futuro assetto dell’Unione.
La crisi economica, le misure per fronteggiarla, le modalità infine con cui tali misure sono state adottate, sono sfociate in una progressiva erosione delle competenze dei parlamenti e in un parallelo svuotamento – in molti paesi dell’Unione – della democrazia costituzionale. Non basta dire che questo svuotamento costituisce in realtà un primo passo verso la federazione. Se il trasferimento di sovranità condurrà al “federalismo degli esecutivi” denunciato da Habermas, più che un progresso avremo una regressione.
Così come non è sufficiente incorporare il Fiscal Compact nella normativa comunitaria, nell’illusione – o presunzione – che basti trasformare la natura istituzionale del Patto di Stabilità per renderlo papabile. Non era papabile prima, e non lo sarà dopo.
Apprezzo invece la volontà dei relatori di introdurre il metodo comunitario nella governance dell’Unione attraverso una limitazione delle indebite interferenze del Consiglio Europeo e un’attribuzione di maggiori competenze al Parlamento europeo. Ma anche qui ho qualche dubbio: tale processo richiederà tempo, e la piena riaffermazione dell’articolo 2 [1] del Trattato non è compatibile con questi tempi lunghi.
Merita anche attenzione il punto riguardante il controllo esercitato dai parlamenti nazionali sui propri governi: controllo che dovremmo dare per scontato, ma che i relatori giustamente mettono in rilievo. Allo stesso tempo, va detto che non tutto è chiaro. I parlamenti cosa controllano ancora, realmente? Quel che si chiede, è un rafforzamento del loro ruolo nell’attuazione dei programmi nell’ambito degli obiettivi di convergenza: programmi decisi altrove, e che dunque i Parlamenti sono chiamati semplicemente a registrare. Il dilemma andrebbe almeno riconosciuto, come andrebbero riconosciuti i rischi che questa finzione di controllo comporta per la democrazia rappresentativa.
Ho perplessità simili per quando concerne il capitolo Giustizia e Affari Interni. Il problema, secondo me, non dovrebbe essere quello di definire la natura più o meno restrittiva o repressiva della politica di sicurezza o delle politiche sui rifugiati – per me sono ambedue troppo restrittive, ma la questione non è appunto questa. [2]
Il problema è che determinate politiche, a volte perfino nate in stati di emergenza e per giustificare stati di emergenza – un’agenda sulla migrazione e sui paesi più o meno sicuri di rimpatrio, un’agenda sulla sicurezza in anni di terrorismo e guerre – non dovrebbero essere iscritte in nessuna costituzione, allo stesso modo in cui non dovrebbero esserlo il Fiscal Compact o altri provvedimenti economici, proprio perché contingenti (penso agli attacchi terroristici del 13 novembre a Parigi) oltre che controversi.
[1] L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.
[2] Per esempio: pur concordando con i relatori sulla necessità di una riforma del sistema di asilo, non credo che essa possa fondarsi sulle misure indicate. La militarizzazione del sistema di controllo delle frontiere esterne, la definizione estremamente limitativa del concetto di Stati terzi insicuri – esclusivamente le zone di guerra – con conseguente agevolazione del rimpatrio per coloro che non provengano da tali specifiche “zone insicure” e la chiusura – per i migranti – delle frontiere con i Balcani occidentali, sembrano configurarsi come misure volte al consolidamento di un modello di difesa comune piuttosto che allo sviluppo di un reale ed efficace sistema di asilo europeo.