Se mi sono candidata capolista nelle isole, e se sono qui con voi a Palermo proprio oggi, è per una ragione precisa. È perché Palermo in queste ultime settimane è di nuovo al centro di una vasta operazione politica, che tende ancora una volta a svilire l’enorme battaglia che qui viene condotta contro la mafia, e in particolare contro il processo Stato-mafia. Abbiamo alle nostre spalle più avvenimenti concomitanti (successivi alle minacce di morte pronunciate da Totò Riina contro Di Matteo).
Primo, la circolare del 5 marzo del Csm, che toglie le inchieste sulle trattative Stato-mafia e sul possibile coinvolgimento dei servizi militari nelle stragi del ’92-’93 ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Si tratta, come ha detto Messineo, di una vera e propria «norma anti Di Matteo e anti Tartaglia».
In contempranea abbiamo avuto la condanna definitiva di Dell’Utri a 7 anni di reclusione, per concorso in associazione mafiosa: 18 anni di rapporti «mai interrotti» dal 1974 al 1992. Nella requisitoria il sostituto procuratore generale Aurelio Galasso ha detto: «Sono dimostrati i rapporti mai interrotti che Dell’Utri ha avuto con le famiglie mafiose palermitane, in favore delle quali ha svolto un ruolo di mediatore del patto di protezione personale e delle sue attività, siglato nel 1974 da Silvio Berlusconi». I rapporti di Berlusconi con la mafia – e ricordo che il governo sta negoziando con lui la riscrittura della nostra Costituzione – sono dunque certificati. Non è poca roba: sono 40 anni.
Intanto, a Milano, si apre una nuova inchiesta sulle ruberie ai danni dell’Expo 2015. Sembra di esser tornati ai primi anni Novanta.
Infine, il comportamento quantomeno singolare del Pd: come principale suo candidato antimafia, il partito di Renzi ha deciso di presentare Giovanni Fiandaca, un giurista prestigioso ma noto per la battaglia che sta conducdendo per giustificare la trattativa che è oggi sotto processo. È un segnale molto allarmante, che la Lista denuncia a critica. Soprattutto perché il giurista è stato proposto come futuro presideinte della Commissione antimafia di Starsburgo.
Tutti questi eventi n0n sono senza rapporti con la politica nazionale, e nemmeno con la politica europea. Sappiamo che esiste una commissione antimafia nel parlamento europeo, dove la nostra Lista intende pesare e contare al massimo grado.
Siccome la materia è complessa e per la Lista di massima importanza, invito dunque Antonio Ingroia a sedere a mio fianco. Antonio ha aderito fin dal primo giorno alla nostra Lista, e ha messo dunque a nostro servizio il suoi saperi e la sua esperienza. Ricordo ai giornalisti che ha dedicato dieci anni della sua vita a indagare sulle trattative Stato-mafia.
Il Presidente della Repubblica ha detto nei giori scorsi, quando è scoppiata la seconda Tangentopoli milanese: «Non tirerei in ballo adesso le europee, su vicende che sono strettamente italiane». E ancora: «Il superamento di fenomeni di corruzione in Italia, che sono però non esclusivi del nostro Paese, è legato molto alla creazione di qualcosa che sia impegno, solidarietà e anche regole comuni dell’Europa». Credo che si debba tirarli in ballo proprio adesso, nelle europee: perché i poteri delle mafie sono transnazionali, e anche in Europa vanno combattuti. Se vuole che l’Italia diventi europea e democratica, se vuole sgombrare il campo dalle dietrologie che riguardano la sua presunta ostilità alla Procura di Palermo si impegni a chiedere che il Csm faccia marcia indietro, e la Procura continui la sua opera.
Naturalmente la Lista ha molti altri punti nel proprio prgramma. Ne parleremo. Ma la mia presenza oggi qui è tutta dedicata al rapporto fra mafia, Stato e Europa.