Con molte settimane di ritardo, Macron ha finalmente annunciato mercoledì un secondo lockdown: era ora che lo facesse, considerato l’espandersi incontrollato del virus sin da luglio.
Era ora che la lunga e ottusa illusione finisse, anche se di essa permangono alcuni inquietanti frammenti: come quando il presidente assicura che “tutti in Europa sono sorpresi dall’evoluzione del virus”, o che il primo confinamento “aveva abbattuto (stoppé) il Covid”. Il lockdown sarà alleviato –non chiudono servizi pubblici, imprese, scuole, nidi, residenze per anziani; le università tornano a insegnare online – ma il colpo è duro. Ancor più duro dopo l’attentato islamista che ha ucciso tre cittadini in una basilica a Nizza, a tredici giorni dalla decapitazione a Conflans. La Francia fronteggia la doppia sciagura lockdown-terrorismo nel pieno della propria impotenza.
Il lockdown durerà fino al 1° dicembre (“come minimo”: il traguardo è 5.000 positivi al giorno). Ogni quindici giorni ci sarà una revisione: alcune attività potranno riaprire se i contagi scenderanno. Lo scopo – in Francia come altrove – è “salvare il Natale” e la sua manna consumistica.
Il ritardo dell’intervento francese è messo in rilievo da molti esperti. Il Comitato scientifico aveva consigliato già in estate di aprire gli occhi, con misure più drastiche o nuovi lockdown, e si era trovato alle prese con un Eliseo stizzito, e con un fronte mediatico che ripeteva il mantra: “Nessun altro confinamento, visto che non lo vogliamo”. L’11 settembre il governo dava assicurazioni perentorie in tal senso.
Nei giorni precedenti l’Eliseo si era scontrato con il presidente del Comitato scientifico, Jean-François Delfraissy, che di fronte alla progressione esponenziale del virus giudicava ormai insufficienti mascherine obbligatorie e test migliorati. Il capo dello Stato lo richiamò all’ordine, spiegandogli che non spetta ai tecnici ma solo ai politici prendere decisioni. Jean Castex, nuovo premier, offrì dunque misure blande. Il periodo di isolamento dei casi positivi passò da 14 giorni a 7. I laboratori in affanno furono invitati a esaminare solo i sintomatici. Si diffuse la notizia di un vaccino imminente (ieri Macron ha detto che non arriverà prima dell’estate prossima).
In un primo tempo furono quindi sconfitti sia il Comitato scientifico sia il ministro della Salute Olivier Véran, che preferivano chiusure radicali di bar e ristoranti nelle città da mesi sotto flagello. Il 5 ottobre furono chiusi i bar, ma non i ristoranti. Poi venne il coprifuoco, ma era troppo tardi. A Parigi chiunque ha potuto constatare nelle ultime settimane come i bar, fungendo anche da ristoranti, restassero sovraffollati: all’aperto e dentro, e di giorno prima del coprifuoco serale.
Il ritardo ha assunto forme di diffuso negazionismo ed è costato migliaia di morti, una situazione ospedaliera allo stremo, il quasi azzeramento delle terapie intensive a Parigi o Marsiglia, dove il virus aveva fatto un ritorno distruttivo sin da luglio-agosto. Macron ha dovuto ammettere mercoledì che in assenza di una nuova stretta, i “morti supplementari saranno 400.000 entro qualche mese”.
Il Comitato scientifico e i virologi più avvertiti hanno fortunatamente ripreso il sopravvento, anche se moniti e critiche permangono: l’epidemiologa Catherine Hill, ad esempio, ha denunciato dopo il discorso di Macron l’incapacità, immutata, di controllare le catene di contagio, di tracciare i contatti dei positivi, di testare rapidamente sintomatici e asintomatici. Posizioni simili sono paragonabili, da noi, a quelle di Massimo Galli o al verdetto di Andrea Crisanti (“Siamo al punto di partenza, i sacrifici degli italiani sono stati resi inutili. Il tracciamento si è sbriciolato”).
È un conforto che i verdetti deprimenti siano infine ascoltati. Chi ha vissuto ultimamente in Francia, specie a Parigi, era quotidianamente sbigottito: bar pieni zeppi, strade sovraffollate, mascherine portate controvoglia, come se indossarle fosse una fissa di indisponenti ipocondriaci. Se non ci sono stati episodi spettacolari come quelli italiani (Salvini o Sgarbi che si strappano la maschera) è perché il rifiuto era diffuso capillarmente in Francia, tra giovani e non giovani che non sono mai stati bene informati o il più delle volte hanno disdegnato ogni informazione. Ci sono voluti più di sei mesi per ammettere che il virus non si propaga solo attraverso le famose goccioline – come ripetono ancora tanti esperti in Italia – ma attraverso goccioline che evaporando diventano aerosol, cioè l’aria che respiriamo. Ci sono voluti più di sei mesi perché le mascherine divenissero obbligatorie anche nei luoghi aperti.
Ieri Macron ha respinto con giusti argomenti la strategia dell’immunità collettiva, ma più volte ne ha subito le lusinghe. La fece propria quando indisse le elezioni municipali, per ricredersi due giorni dopo e decidere il lockdown, o in estate quando mostrò fastidio verso l’allarme degli scienziati. Occorre “cavalcare la tigre”, era la parola d’ordine. Bisogna “vivere col virus”, ripeteva l’Eliseo quando s’accorse (senza ammetterlo) che il primo confinamento non aveva “stoppato” alcunché. Per l’ennesima volta è ora costretto ad abbandonare la grande illusione dell’immunità collettiva constatando che il trittico anti-Covid (testare-tracciare-isolare) si è, come dice Crisanti, sbriciolato.
L’Eliseo adotta adesso l’inevitabile lockdown, ma elementi cruciali tuttora mancano: un’analisi dei macroscopici fallimenti post-confinamento e l’ammissione che la tigre non può essere “cavalcata”, a meno di non accettare centinaia di migliaia di morti entro poche settimane.
Non per ultima, manca la coscienza che in tempi di pandemia e terrorismo non è davvero il caso di lacerare il Paese, e che dopo gli attentati di Conflans e Nizza occorrono parole di sostegno ai cattolici, ma anche di conciliazione con la vastissima comunità musulmana. La denuncia del terrorismo islamista dovrà prima o poi combinarsi con una presa di distanza sistematica dall’islamofobia.
Tornando più particolarmente al Covid: ogni volta che Macron ha abbandonato la chimera dell’immunità collettiva le cose sono andate un po’ meglio in Francia. Ma anche ora, come all’uscita dal primo lockdown, è del tutto assente una chiara indicazione su quel che occorrerà fare o evitare di fare dopo il 1° dicembre, sugli errori da non ripetere, sulle grandi illusioni di cui bisognerà sbarazzarsi, specie nelle vacanze di Natale quando strade e negozi torneranno ad affollarsi.
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