di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 3 marzo 2021
Nelle stesse ore in cui il governo Conte annunciava il blocco permanente delle vendite di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, il senatore Matteo Renzi volava a Riyad, quasi volesse rassicurare un partner così ingiustamente sanzionato. Era il 29 gennaio, e la crisi di governo scatenata dal capo di Italia Viva era in pieno corso.
La carriera politica di Renzi è sporcata da questa visita: sia per quello che il senatore ha taciuto nella Capitale saudita (la guerra per procura che Sauditi ed Emirati conducono in Yemen; l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi) sia per quello che ha detto, adulando in televisione il principe ereditario Mohammad bin Salman (il “nuovo Rinascimento” incarnato dal “grande principe”; l’invidia per un costo del lavoro così meravigliosamente basso). Renzi sapeva che il governo di cui era parte fino al 13 gennaio aveva deciso l’embargo sulle armi. Sapeva che il principe è il mandante dell’omicidio-smembramento di Khashoggi (2 ottobre 2018). Il rapporto della Cia che lo conferma è uscito in questi giorni, ma già nel giugno 2019 l’Onu ne aveva pubblicato uno simile. Gli 80mila dollari che il senatore ed ex presidente del Consiglio riceve annualmente dai sauditi – in qualità di membro dell’istituto Future Investment Initiative, emanazione della monarchia – non saranno illeciti, ma non cessano di far scandalo.
Nei prossimi mesi o anni sapremo se il governo Draghi cambierà politica sull’Arabia Saudita. Se l’Italia si allineerà alle posizioni di Parigi e Londra, che continuano il loro commercio di armi con Riyad e Abu Dhabi, o se seguirà l’esempio dei governi che come Conte hanno applicato l’embargo: Germania in primis, oltre a Belgio, Danimarca, Finlandia, Grecia, Olanda. Anche il presidente Joe Biden ha deciso di sospendere, sia pure provvisoriamente e parzialmente, le ingenti forniture d’armi garantite da Trump. I motivi dei vari embarghi sono due: l’assassinio di Khashoggi e la guerra iniziata dai sauditi nel 2015, con l’appoggio diretto statunitense e quello indiretto israeliano. Guerra che continua a seminare migliaia di morti fra i civili e che è sfociata in un disastro umanitario di proporzioni gigantesche (più di 24 milioni bisognosi di aiuto umanitario: l’80 per cento della popolazione).
Fin dal 2018 il presidente Conte aveva deciso di revocare le esportazioni di missili e bombe a Arabia Saudita ed Emirati: “Adesso si tratta solo di formalizzare questa posizione e di trarne le conseguenze”, diceva nella conferenza di fine anno, in risposta a una domanda concernente la vendita di armi e l’assassinio di Khashoggi. Una decisione costosa per le industrie italiane degli armamenti, accolta con entusiasmo dalle associazioni umanitarie e di sicuro mal vista dai commercianti d’armi. Veniva infatti annullato, e non semplicemente sospeso, l’accordo di forniture che il governo Renzi aveva negoziato nel 2016, per un totale di 400 milioni di euro (la fonte è la Rete Italiana Pace e Disarmo).
Nonostante le conferme che vengono dalla Cia sulle responsabilità dirette di Bin Salman nell’assassinio di Khashoggi (un giornalista inizialmente favorevole alle riforme del principe) Renzi non fa autocritiche. Aveva promesso di spiegare subito dopo la crisi politica i motivi delle parole dette a Riyad, e dopo parecchi giorni è ricorso a un’intervista a sé stesso, senza senso del ridicolo, seguita ieri da un’intervista al «Giornale». Nessuna marcia indietro: “intrattenere rapporti” con l’Arabia Saudita “non solo è giusto, ma è anche necessario. L’Arabia Saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico ed è uno dei principali alleati dell’Occidente da decenni. Anche in queste ore – segnate dalla dura polemica sulla vicenda Khashoggi – il presidente Biden ha riaffermato la necessità di questa amicizia in una telefonata al Re Salman”.
In parte quel che dice è un’ovvietà: si possono avere “rapporti” con il regime saudita, dittatoriale come tanti altri nel mondo. Ma in questione sono le vendite di armi, non i rapporti diplomatici. In parte Renzi mente spudoratamente (assieme al ministro di Italia Viva Elena Bonetti): l’Arabia Saudita non è affatto “un baluardo contro l’estremismo islamico” (immagino e spero che Renzi alluda al terrorismo e non all’estremismo: simili svarioni lessicali sono inquietanti perché adottano il vocabolario dei monarchi sauditi e di Donald Trump). Erano sauditi gli attentatori dell’11 settembre, come lo erano i fondatori dell’Isis. Riyad è un baluardo per i sunniti che contendono all’Iran sciita il primato nel grande Medio Oriente. È un baluardo per il governo israeliano, che per anni ha premuto su Washington perché uscisse dall’accordo sul nucleare e attaccasse militarmente l’Iran. Renzi mette il piede nella trappola del Grande Gioco mediorientale e adopera il linguaggio di Trump, di Jared Kushner genero dell’ex presidente, di Mike Pompeo, fautori di un patto militare con Riyad. Difficile credere che non sappia quel che fa. Che non abbia letto neanche un articolo di Khashoggi sul «Washington Post».
Non meno inquietante è la disinvoltura con cui il capo di Italia Viva vive il proprio ruolo di ex presidente del Consiglio e senatore. Nella carica che ricopre rappresenta l’Italia, quando si reca in Paesi autoritari. È davvero singolare che non capisca la differenza esistente fra una visita diplomatica e una visita pagata, che culmina in smaccati esercizi di cortigianeria verso un principe ereditario sospetto di assassinio e responsabile in Yemen di una guerra di sterminio dei civili.
Ma probabilmente Renzi si sente sicuro, convinto com’è che non sia questo il momento di far traballare la grande alleanza in via di costruzione fra Israele, Arabia Saudita e gli altri Stati del Golfo, in funzione anti-iraniana. Macron la pensa come lui, i neo-conservatori in Nord America pure, repubblicani o democratici che siano. I deputati che nel Parlamento europeo fanno capo al presidente francese (il gruppo Renew Europe, compreso l’ex ministro per gli Affari europei Sandro Gozi) si sono recentemente astenuti su una risoluzione che chiede il blocco di tutte le vendite di armi a Riyad.
Infine, è probabile che Renzi non potesse dire altro, una volta invitato a intervistare pubblicamente il principe ereditario. L’unica via per evitare lo scandalo era di rifiutare l’invito, e non prender più soldi dalla monarchia. Renzi non ne è stato capace, e i veri motivi di quest’incapacità restano oscuri, nonostante i soliloqui in Internet e le numerose interviste concesse fuori Italia.
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