Bruxelles, 12 ottobre 2015. Intervento di Barbara Spinelli in occasione della Riunione della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni.
Punto in Agenda:
- Sentenza nella causa C-362/14 – Maximillian Schrems contro Commissario per la protezione dei dati
Presentazione a cura del Servizio giuridico del PE della sentenza del 6 ottobre della Corte (“Approdo sicuro”- “Safe Harbour”)
La sentenza Schrems: una rivoluzione
Grazie Presidente.
Come già emerso in questa sala, ammetto di essere anch’io molto sorpresa dallo stupore sollevato dalla sentenza in esame. Questa rivoluzione dei diritti digitali, che ha portato, ad esempio, l’Italia ad approvare dopo quindici anni di discussioni una Dichiarazione dei diritti in internet, dimostra una cosa ormai evidente: ancora una volta, sono i giudici ed è l’azione di alcuni cittadini coraggiosi a salvare l’Europa. Cito Max Schrems ovviamente, ma anche Edward Snowden prima di lui. Sono loro a salvarci dalla nostra inerzia nel dare attuazione alla Carta dei diritti fondamentali, nel promuovere il Better Law Making – come già evidenziato dalla collega Sophie Int’Veld – e nel difendere il rule of law in Europa. Sono loro a ricordarci che i dati personali non trovano effettiva protezione negli Stati Uniti.
Anch’io parlerei dunque di una rivoluzione: la sentenza infatti si pone nel solco tracciato dalle precedenti due pronunce del 2014 (Digital Rights Ireland e Google Spain SL), con cui la Corte di giustizia riaffermava la centralità della protezione dei dati personali e rafforzava il diritto all’oblio su internet. Tale rivoluzione deve a questo punto avere effetti sui vari negoziati: su Safe Harbour, sospendendolo, ma anche su TTIP, su TISA, su PNR, su tutte le trattative in corso con gli Stati Uniti. Bisogna andare verso un Habeas Corpus Digitale, ovvero una Carta europea dei diritti digitali.
Vorrei soffermarmi su due punti in particolare che sono stati messi in risalto dalla sentenza:
1) Il ruolo della Commissione europea: i giudici hanno stabilito che le decisioni della Commissione europea non possono in alcun modo precludere il potere d’indagine delle autorità nazionali riguardo al livello di protezione offerto dal Paese in cui i dati siano trasferiti; essa non ha tale competenza. E questo, a mio parere, è ancora più vero a fronte di Stati Membri la cui normativa nazionale possa offrire un livello di tutela più elevato.
2) L’applicabilità dei principi safe harbour negli stessi Stati Uniti: la Corte ha chiarito che tali principi non trovano applicazione nei confronti delle autorità pubbliche ed anche le imprese private sono tenute a disapplicarli laddove possano entrare in conflitto con esigenze di sicurezza nazionale e di pubblico interesse che dovessero prevalere sul regime dell’approdo sicuro. Come affermato dai giudici, ci troviamo dunque di fronte a possibili ingerenze senza limiti.
Vorrei infine concludere ringraziando il Presidente di questa Commissione, Claude Moraes, per i suoi richiami ad una maggiore cooperazione, in materia, tra Commissione europea e Parlamento, per aver messo in luce i difetti comunicativi della Commissione europea, e sull’insistenza con cui ha sottolineato, in particolare, la necessità di una più proficua collaborazione con la Commissione parlamentare LIBE.
Si veda anche:
Comunicato stampa della Corte di giustizia dell’Unione Europea (file .pdf)
Testo della sentenza (in inglese)