di Barbara Spinelli
«Il Fatto Quotidiano», 7 luglio 2020
Uno dei primi compiti dello Stato è di proteggere la salute dei propri cittadini. È scritto nell’articolo 32 della Costituzione e nessun interesse privato può limitare tale diritto fondamentale. Sembra una constatazione ovvia ma non lo è affatto.
Appellandosi a speciali corti arbitrali, le forze di mercato (grandi corporazioni, big pharma, fornitori di servizi idrici o elettrici, investitori stranieri) possono far causa agli Stati quando ritengono che i propri profitti – presenti e anche futuri – siano lesi dalle misure anti-Covid adottate dai governi.
È la trappola che minaccia gli Stati, nel momento in cui tentano di riequilibrare i rapporti con il libero mercato. Sull’onda del Covid, del necessario lockdown, dello sconquasso dei sistemi sanitari, le autorità pubbliche scoprono di esser state troppo dipendenti dal mercato globalizzato, tornano a essere cruciali, provano a dettare condizioni più stringenti alle imprese che chiedono prestiti o aiuti (è avvenuto sia pure parzialmente nel caso del prestito a FCA).
Ma le multinazionali non sono sempre disposte a perdere i vantaggi di cui hanno goduto in quasi mezzo secolo di neoliberismo e privatizzazioni. Non rinunceranno a reclamare risarcimenti per i guadagni che sono venuti meno o che verranno meno. Non si priveranno facilmente del ruolo fin qui svolto – il ruolo padronale di “poteri forti”– come dimostrato dall’atteggiamento sempre più stizzito dei nuovi vertici di Confindustria. Resisteranno finché potranno alla combinazione delle due norme costituzionali: l’articolo 32 sulla salute pubblica e l’articolo 41 che garantisce la libera impresa privata ma stabilisce che quest’ultima deve essere “indirizzata e coordinata a fini sociali” e “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Così il Covid può divenire fonte di guadagni miliardari in modo del tutto legale. La via è quella dei contenziosi tra le big corporation e gli Stati, cui vengono chieste compensazioni per i mancati profitti in occasione del lockdown e di varie misure governative per far fronte alla catastrofe sanitaria. I tribunali commerciali ad hoc che si occupano di questi contenziosi portano il nome di ISDS: investor-to-state dispute settlement, e proteggono le multinazionali da espropriazioni indirette o trattamenti discriminatori del paese di accoglienza. L’Unione europea e il suo Parlamento hanno abolito i passaggi più oscuri del regolamento ISDS e gli hanno dato un nuovo nome: ICS, Investment Court System. È intervenuta anche la Corte di giustizia europea, nel marzo 2018, giudicando il sistema ISDS incompatibile con il diritto europeo. Tra Stati europei il vecchio ISDS non vale più ma molte storture restano, nei trattati commerciali e di investimento con paesi esterni allo spazio dell’Unione.
Resta la possibilità per ogni grande azienda straniera di ricorrere contro gli Stati ed esigere compensazioni, se considera non protetti i propri diritti. Così è previsto in una serie di trattati commerciali e di investimento negoziati negli ultimi anni dall’Unione europea (che sul commercio ha competenza esclusiva) per facilitare gli investimenti stranieri. Ecco qualche esempio: l’Australia è stata citata in giudizio da Philip Morris per una scritta “Il fumo uccide”; Veolia ha citato in giudizio la città di Alessandria di Egitto per aver portato il salario minimo da 41 a 72 euro; Vatten Fall ha fatto appello contro la Germania per nuove normative ambientali contro le centrali atomiche.
La riforma introdotta in occasione dell’accordo commerciale con il Canada (Ceta) introduce per la prima volta il diritto a fare appello contro le decisioni dei tribunali privati, ma con grosse limitazioni. Il tribunale d’appello potrà solo contestare l’interpretazione della legge, non cercare ulteriori prove o ascoltare nuovi testimoni o esperti. La giurisprudenza sarà inoltre vincolante per i casi legati all’accordo con il Canada, ma potrà essere contraddetta da centinaia di tribunali ISDS legati a altri trattati di investimento conclusi dagli Stati europei. Sono numerosi gli studi legali che assistono gli investitori stranieri in casi di risarcimenti. L’agenzia più quotata in Italia è la ArbLit. Il 26 marzo scorso, in pieno lockdown e mentre aumentavano i morti di Covid, l’agenzia pubblicò un articolo in cui si prospettavano attivazioni di cause risarcitorie “in conseguenza delle misure affrettate e mal coordinate” adottate dal governo Conte.
Negli Stati Uniti è attivo lo studio Shearman & Sterling, che in un recente rapporto sugli effetti economico-industriali della pandemia si dice “pronto a consigliare Stati e investitori in relazione a misure adottate dai governi nel contesto della pandemia Covid-19”. Tra le misure sotto accusa: sospensione dei pagamenti delle spese elettriche, controllo degli Stati sulla sanità privata per proteggere la salute pubblica (Spagna e Irlanda), produzione nazionale di ventilatori e equipaggiamenti medici (mascherine, guanti).
Un altro studio legale (Quinn Emanuel) sostiene che ampie compensazioni son dovute nei casi i cui gli investitori si sono sentiti espropriati in seguito a misure anti-Covid. Eguali domande di compensazioni possono essere fatte da parte di aziende costrette e produrre materiale medico. L’accusa potrebbe essere di “espropriazione indiretta e illegale”.
Ancora più grave, le aziende multinazionali potrebbero citare in giudizio gli Stati per i mancati pagamenti dei servizi idrici (lavarsi le mani di continuo è un indispensabile dispositivo anti-Covid), o per non aver prevenuto disordini sociali.
Per ora non sono ancora state attivate cause, e non tutti gli studi legali ricorrono alle parole minatorie di ArbLit. Shearman & Sterling è più prudente, e ammette che gli Stati hanno il “dovere e il diritto di proteggere la salute pubblica e la loro economia”. Gli studi legali si preparano ad affilare le armi, ma sanno che qualcosa sta cambiando: non sono più solo le destre estreme (i cosiddetti populisti) ma anche Macron e Angela Merkel a promettere la riconquista della perduta sovranità e indipendenza, nazionale ed europea. Non manterranno magari le promesse, ma è con questo nuovo linguaggio che si rivolgono ai cittadini cui hanno chiesto – e forse chiederanno ancora – i sacrifici del lockdown.
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