Bruxelles, 10 settembre 2014. Intervento alla conferenza “Frontera Sur ¿Hay alternativas?”, organizzata al Parlamento europeo da Migreurop, Andalucia Agoge, ADPHA, CEAR, Elin, S.O.S Racismo, con la collaborazione di PICUM, ECRE, AEDH e SJM Espana
Fra pochi giorni, tra il primo e il 5 ottobre, molti di noi si troveranno a Lampedusa per il Sabir Festival-Forum, su invito del sindaco Giusy Nicolini, dell’Arci e del Comitato 3 ottobre, nato all’indomani della grande strage di migranti dello scorso anno (400 persone vi persero la vita) per rappresentare i familiari delle vittime. L’occasione è importante, perché siamo in una vera situazione di emergenza. Lampedusa è diventata in questi anni il nostro muro della vergogna: 20mila morti dal 1988 a oggi, quasi 1900 negli ultimi sette mesi, circa 1600 negli ultimi tre. Malgrado le tante parole di cordoglio e di allarme dette dai governanti, il 2014 è un anno record per l’ecatombe di migranti e fuggitivi.
Prima dell’estate, assieme a due rappresentati della Lista italiana L’Altra Europa con Tsipras – Guido Viale e Daniela Padoan – ho lanciato un appello, rivolto al Parlamento europeo in occasione del semestre italiano di Presidenza europea, in cui si chiede di porre immediatamente fine a tale vergogna, di abbattere questo muro e di creare al suo posto un vero e proprio corridoio umanitario che permetta ai migranti la fuga da guerre, carestie, disastri climatici. I corridoi umanitari vengono in genere garantiti in situazioni di guerra, dove le fughe rischiano di avvenire nel caos o nella costrizione, ammassando i fuggitivi in campi di detenzione e lasciandoli perire. Quella che viviamo è una situazione di guerra. È la “terza guerra a pezzetti”, o a “episodi”, di cui ha parlato Papa Francesco nel suo recente viaggio in Corea. Guerra non dichiarata, guerra dove non si combatte, ma guerra pur sempre. La strage che ne è il prodotto è vissuta dai governi europei e dall’Unione come una fatalità, perché altrimenti non si spiegano le varie misure fin qui adottate o in via di adozione, che – invece di proporsi la fine dell’ecatombe – l’accettano e addirittura l’estendono.
Nella guerra – si dice – la prima vittima è la verità. Ma sono anche vittime, e in prima linea, la legalità, i diritti delle persone che pretendiamo di tutelare da respingimenti arbitrari con la nostra Carta dei diritti fondamentali (articolo 19) [1] e anche con il nostro Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (articolo 80), che parla di solidarietà finanziaria in casi di necessità. [2]
Non creare corridoi umanitari presidiati dall’Unione e dall’ONU, come proposto nel nostro appello e in tanti altri, vuol dire una cosa precisa: lasciare alla malavita e alle mafie italiane e internazionali il monopolio nella gestione dei migranti, dei loro spostamenti e, in definitiva, delle loro stesse vite.
Nel presentare i programmi del semestre, il Presidente del consiglio italiano ha detto con una certa enfasi che l’Europa è un “faro di civiltà”, che incarna la “globalizzazione della civilizzazione”. Cominciamo con il dire a noi stessi che parole simili sono del tutto vane – ecco la verità che muore nelle guerre a episodi – se non riconosciamo che è vero il contrario: che se il Mediterraneo continua a riempirsi di persone morte perché non salvate, quello che vediamo non è la luce d’un faro: come abbiamo scritto nel nostro appello, “nella luce che la nostra civiltà pretende esportare si disvela il nostro cuore di tenebra”.
La prova, l’abbiamo avuta nelle ultime settimane. Lo spettacolo politico cui abbiamo assistito è stato, dal mio punto di vista, una vera sagra delle ipocrisie, delle menzogne: una tragica commedia degli inganni. Quando a Lampedusa avvenne la grande ecatombe del 3 ottobre 2013, venne istituita l’operazione Mare Nostrum. È lo stesso capo di stato maggiore della Marina Militare italiana, Giuseppe De Giorgi, a dire che grazie a essa sono stati salvati 113mila immigrati. Sia la Marina, sia le associazioni della società civile che si occupano di immigrazione – e in primis l’ASGI, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, chiedevano e chiedono tuttora la trasformazione dell’operazione in una missione europea e multinazionale.
Non sono stati ascoltati, ed è qui che scatta la fiera delle vanità, delle ipocrisie. L’Unione europea (Commissione e governi) tesse le lodi di Mare Nostrum, ma al contempo è decisa a lanciare un’altra operazione, di segno radicalmente diverso: Frontex Plus. Non abbiamo i mezzi né la volontà politica di sostituire Mare Nostrum, dice il commissario europeo per gli affari interni Cecilia Malmström, e fa capire che la differenza sarà enorme: Mare nostrum era dedito alla ricerca e salvataggio (search and rescue) dei fuggitivi, Frontex Plus al pattugliamento e controllo delle coste della Fortezza Europa e dei suoi nuovi muri. Mare Nostrum si avventurava in acque internazionali fino a 170 miglia dalla costa, Frontex Plus non s’azzarderà oltre le acque territoriali europee (12 miglia). E resteranno i campi di detenzione, dove vengono gettate le persone in fuga, compresi i bambini che nell’esodo hanno perso i genitori. La cosa più scandalosa è che la presidenza italiana presenta Frontex Plus come un grande successo, quasi fosse stata decisa l’europeizzazione di Mare Nostrum. Risultato: Mare Nostrum presto sarà affossato e i morti nel Mediterraneo aumenteranno. La cosa è detta e non detta, ma è evidente. Si fingerà che ci sia stata un’europeizzazione della responsabilità di soccorso dei migranti. Il ministro italiano della difesa, Roberta Pinotti, è giunta sino a dire che per proteggere le nostre coste dovrebbero intervenire forze della Nato.
In questa grande finzione non si esita a usare gli argomenti più strampalati, anch’essi menzogneri. Mare Nostrum con le sue azioni di ricerca e salvataggio avrebbe aumentato le fughe e anche i rischi di morte, perché i trafficanti userebbero barconi ancora più insicuri e malandati, dando per scontato che i salvataggi comunque si continueranno a fare. È strano come l’argomento dell’azzardo morale (chi contrae una polizza non fa attenzione ai propri comportamenti viziosi, sapendo di esser coperto dall’assicurazione) sia divenuto la parola d’ordine e la filosofia dell’Unione: in economia come nella politica di immigrazione e asilo.
Tutti i dati e i rapporti delle associazioni più accreditate lo confermano: se le fughe aumentano, non è a causa di Mare Nostrum ma per un semplice motivo. Alle nostre frontiere – nel nostro “estero vicino” – le guerre semplicemente continuano. E continua la degradazione del clima, così come la spoliazione economica, che spinge tanti all’esodo.
Le due cose sono legate: l’assoluta assenza dell’Europa quando sono in gioco pace e guerra (a Gaza come in Iraq, in Libia come in Ucraina) e il muro che stiamo innalzando per rendere inaccessibile la fortezza Europa. E perché c’è questa assenza? Perché a queste guerre, ai disastri economici di tanti paesi dell’Africa del Nord, al caos che si è creato in Libia, paese dove lo Stato s’è sfasciato e che resta tuttavia il punto di partenza del più grande numero di migranti, buona parte degli Stati europei hanno partecipato in prima persona e partecipano ancora. I mali da cui vengono i milioni di profughi li abbiamo fabbricati anche noi, con le nostre mani. Verso di loro ci stiamo macchiando di quello che lo scrittore Herman Broch chiamò, agli albori del nazismo, il peggiore dei crimini: il crimine di indifferenza.
È per questo che ritengo importante la richiesta di istituire un Tribunale internazionale d’opinione per i nuovi desaparecidos del Mediterraneo, avanzata da Enrico Calamai (che fu console italiano in Argentina durante il golpe del 1976 e salvò tanti giovani oppositori dalla politica di scomparsa organizzata dal regime militare): l’obiettivo è procedere, ascoltando le testimonianze dei familiari e dei sopravvissuti, a una sorta di istruttoria che verifichi responsabilità e omissioni non solo degli “scafisti”, ma anche – e soprattutto – dei governi e degli organismi internazionali; che chiami a rispondere, nominandolo, chi rende possibile un crimine di massa, un eccidio governato in modo che ci divenga abituale, fino a farci considerare legittimo il reato di omissione di soccorso.
[1] Articolo 19: Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.
1. Le espulsioni collettive sono vietate.
2. Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. ⇑
[2] Articolo 80: Le politiche dell’Unione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario. ⇑