Corridoi umanitari e migrazione di popoli (appunti per una sinistra governante)

Relazione introduttiva a una conferenza con Olivier Clochard (ricercatore di Migreurop) – Riunione gruppo GUE-NGL – Bruxelles, 2 settembre 2015

La crisi dell’Europa si è acutizzata, quest’estate, non solo sul fronte della Grecia e dell’austerità ma anche su quello della migrazione. Si registrano violenze e morti lungo la rotta balcanica (71 morti asfissiati in Austria, muro di filo spinato in Ungheria, conflitti ai confini tra Grecia ed ex Repubblica jugoslava di Macedonia). Continuano le morti nella rotta del Mediterraneo centrale (200 annegati al largo delle coste libiche). E una terza via di fuga si sta aprendo, lungo la nuova rotta artica: passando attraverso la Russia, un numero crescente di fuggitivi spera di raggiungere la Norvegia. Solo quest’anno i fuggitivi morti nel tentativo di entrare nell’Unione sono 2500. È chiaro ormai che siamo davanti a un’autentica migrazione di popoli, e non a situazioni di emergenza o a una crisi passeggera.

Le risposte fin qui date dall’Unione sono parziali, inefficaci, del tutto inadeguate. Si sta facendo di tutto per evitare l’unica soluzione che potrebbe evitare il crescente numero di morti e i conflitti tra Stati all’interno dello spazio Shengen: l’aperture di vie legali di fuga. Vorrei fare un elenco di queste false misure e soluzioni, e metterle a raffronto con quanto suggerito, al contempo, sia dall’Onu sia dal Vaticano. Le misure inadeguate cui penso sono grosso modo sei:

1. LOTTA AI TRAFFICANTI (SMUGGLERS). È la più diffusa parola d’ordine, fatta propria dalle varie autorità nazionali come da quelle europee, e ripresa acriticamente dai giornali mainstream. La tesi è che bisogna moltiplicare e inasprire la lotta ai trafficanti, nuovo nemico pubblico numero uno, per evitare disastri come quelli verificatisi quest’estate. Tutte le colpe e le responsabilità vengono trasferite sulla figura dello smuggler, come già era parso chiaro nel comunicato del Consiglio europeo straordinario del 23 Aprile 2015 e nell’Agenda della Commissione del 13 Maggio 2015. Si susseguono prese di posizione molto dure contro i muri – ad esempio di Jean-Caude Juncker – ma lo stesso Juncker insiste sulla lotta prioritaria ai trafficanti e su accordi per il rimpatrio con paesi terzi, dittature comprese. Lo smuggler è ormai criminalizzato quale che sia il suo movente: anche quando è una persona che non specula finanziariamente sul migrante, che agisce con il consenso di quest’ultimo. Quando è semplicemente un assistente nella fuga, un Flüchtlingshelfer. Siamo alle prese con una degenerazione grave del linguaggio che viene adoperato, con effetti moltiplicatori delle condotte repressive.

2. USO DEL “CRITERIO DI SOVRANITA” DEL REGOLAMENTO DUBLINO-3. È la linea adottata negli ultimi giorni da Angela Merkel. È una sorta di opting out individuale, non certo da respingere, ma contrariamente a quello che si dice non prelude al superamento né alla revisione del sistema di Dublino, sempre più diffusamente criticato ma nella sostanza mai messo in questione. C’è la disponibilità tedesca a farsi carico di un certo numero (non specificato) di profughi siriani, dunque l’impegno a non rispedirli nei paesi d’ingresso (Grecia o Italia). Facendo ciò, il Cancelliere usa una clausola del sistema di Dublino (la cosiddetta “clausola della sovranità”), senza appunto metterlo in questione.

È una posizione apparentemente più aperta, ma piena di incognite. Si apre ai siriani ma non a fuggitivi di altre nazioni (in particolare eritrei, afghani, libici). È una sorta di “refugee-shopping”, speculare al cosiddetto asylum-shopping. Alcuni paesi prenderebbero alcuni profughi che sono a loro parere di minor peso e più “interessanti”. Il caso più allarmante e scandaloso è quello di alcuni paesi dell’Est: i governi di Polonia e Slovacchia hanno fatto sapere che solo i siriani cristiani – e cristiani devoti, come specificato dai governanti slovacchi – saranno accolti. Non i musulmani, perché “creano disordine sociale” e inoltre “mancano le moschee”. La Bulgaria ha fatto dichiarazioni simili. Il principio di non-discriminazione è esplicitamente calpestato.

3. LA CREAZIONE DI MURI E FILI SPINATI. È il caso dell’Ungheria, su cui giustamente si concentrano oggi le attenzioni, ma non dimentichiamo che prima dell’Ungheria, hanno eretto barriere, muri e fili spinati altri Stati membri, come Spagna e Grecia. La zona Schengen rischia di andare in frantumi.

4. LA PROPOSTA DI ASILO EUROPEO, AVANZATA DA MATTEO RENZI. Non è una richiesta nuova del governo italiano, ed è basata sulla comune politica dell’asilo prescritta dal Trattato sul Funzionamento UE (art 78). Fu avanzata anche durante il semestre di presidenza italiana, nella prima parte del 2014: non raccolse consensi nel Consiglio. Non so con quanta forza il governo di Roma abbia insistito e insista con metodicità su questo punto. Ancora una volta il sistema Dublino è ufficialmente confutato, e se ne chiede giustamente il superamento, ma le parole di Renzi sono inquietanti: “Andremmo negli Stati di provenienza per valutare le richieste di asilo, evitando i viaggi della morte. Gestiremmo insieme anche i rimpatri”, ha dichiarato testualmente il Presidente del Consiglio in un’intervista al «Corriere della sera» il 30 agosto scorso. L’ottica sembra essere quella della Fortezza Europa e dell’esternalizzazione dell’asilo: si tratta di permettere ai profughi di fare domanda di asilo politico prima di arrivare in Europa, in centri di smistamento allestiti nei paesi di transito. Non si vede come possano essere allestiti tali centri in zone dove regnano il caos e la violenza, come in Siria o Libia. L’avvocato Gianfranco Schiavone, dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (Asgi) afferma: “Il riconoscimento delle domande d’asilo all’estero è estremamente pericoloso per più motivi. Il principale è di carattere politico: c’è il rischio che venga percepito e usato come alternativa all’arrivo diretto da parte delle persone. In un’ottica perversa, dunque, solo quelli che fanno domanda nei paesi di transito sono da considerarsi richiedenti, mentre gli altri finirebbero per essere identificati come truffaldini. Questo scaverebbe una fossa alla convenzione di Ginevra, il cui cardine sta proprio nella possibilità di fuggire e chiedere asilo in un altro paese. Perché di sicuro le persone continueranno a partire lo stesso ma avrebbero meno diritti”.

5. LISTA “SAFE COUNTRIES” E ACCORDI BILATERALI DI RIMPATRIO. Se ne discuterà a Malta, nel Consiglio europeo dell’11 e 12 Novembre. Sarà necessario dedicare a questo punto la massima attenzione. A mio parere, in quell’occasione il nostro gruppo dovrebbe farsi portavoce di tutti coloro – associazioni umanitarie, movimenti – che rifiutano l’esternalizzazione della politica di asilo e la pratica, che diverrà sempre più frequente, del refoulement collettivo. Un discorso approfondito meritano i paesi balcanici candidati all’adesione. È da verificare se tra i criteri di adesione ci sia anche il trattamento dei migranti che transitano attraverso il loro territorio, e se venga loro richiesto, sin d’ora, il pieno rispetto delle leggi internazionali sull’asilo e il non-respingimento.

6. LOGICA DELL’INTERVENTO MILITARE (Eunavfor Med) lungo le coste libiche e nel territorio libico, con la scusa di smantellare e abbattere il cosiddetto “modello degli smuggler”. Non solo è una via del tutto inefficace, e problematica in assenza di accordo dell’Onu e delle autorità libiche (non si sa quali). È anche il proseguimento delle guerre con nuovi interventi militari: di quelle stesse guerre (Afghanistan, Iraq, Libia, Mali) che hanno condotto al caos e agli Stati falliti da cui è partito l’odierno esodo di popoli. Politica estera e migrazione sono profondamente legate.

I CORRIDOI UMANITARI
L’alternativa a queste 6 false soluzioni è, a mio parere, nei punti che abbiamo elaborato nel Gue nel corso degli ultimi mesi. Cito il più importante tra questi punti: l’apertura, ormai più che urgente, di vie legali a disposizione di chi fugge da zone di guerra e di povertà estrema, sotto egida Onu e UE. È l’unico modo per debellare e neutralizzare le reti mafiose dei trafficanti. È la vera urgenza del momento, come sottolineato sia da Ban Ki-moon sia da Papa Francesco. Giacché più si alzano muri, più cresce la forza e l’inventività degli smuggler.

Al tempo stesso, non deve mancarci una visione che sia di medio-lungo periodo, ma che dobbiamo pensare sin d’ora: come organizzare l’Unione europea in vista di un radicale rimescolamento delle popolazioni, delle culture, delle religioni. Come far fronte a una fisionomia europea che è in metamorfosi, e a un fenomeno migratorio che sempre più somiglia a un’autentica migrazione di popoli.

Una cosa vorrei dire in questo quadro, concludendo il mio intervento: quello che sperimentiamo oggi – le fughe, le morti in mare e in terra, le domande di aiuto, le destre estreme che ovunque crescono  – non è che un assaggio di quel che succederà, quando in milioni fuggiranno dai disastri climatici che verranno. Per questo, al prossimo vertice di Parigi sul clima, il tema profughi dovrà esser messo al centro delle nostre preoccupazioni e dei nostri programmi.



Intervento successivo sul corridoio umanitario, nel corso del dibattito.

Condivido interamente le preoccupazioni espresse da Takis Hadjigeorgiou (AKEL, Cipro) a proposito delle vie legali di fuga. Dei corridoi umanitari parliamo da molto tempo, ma oggi è venuta l’ora di studiarne le modalità molto concrete, i costi, le possibilità di successo, l’accettabilità all’interno dell’Unione europea. La sinistra non può avere una vocazione puramente protestataria o di testimonianza, quasi fosse una chiesa, e quando fa proposte deve concepirle in modo tale da renderle funzionanti e operative. In altre parole, deve avere uno spirito “governante” fin da quando è all’opposizione. Il rischio è di cadere altrimenti nella trappola in cui è precipitata la Grecia di Syriza: di protestare, di fare molte promesse elettorali, e alla fine di abbandonarle tutte insieme e d’un sol colpo appena va al governo.

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