Chi usa Ventotene e chi ne abusa

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 22 marzo 2025

Mercoledì alla Camera Giorgia Meloni ha lanciato una bomba che più sporca non potrebbe essere, contro chi sabato scorso ha manifestato per l’Europa.

Ha citato alcuni passaggi del Manifesto di Ventotene in cui si afferma che lo Stato federale europeo sarà di natura socialista, e potrà nascere solo tramite una rivoluzione che aggiri (temporaneamente) le volontà nazionali. Ha trascurato il resto del Manifesto, dedicato alla natura democratica, economica, sociale che secondo i suoi autori (Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni) avrebbe dovuto avere la Federazione.

Meloni ha omesso il luogo in cui il Manifesto fu scritto: il confino a Ventotene dove il regime relegò circa 800 antifascisti (“Mussolini mandava la gente a far vacanza al confino”, Berlusconi 2003). Una parte dei confinati aveva già fatto anni di carcere: dieci nel caso di Spinelli. I padri fondatori di Fratelli d’Italia sono eredi di quel crimine. Meloni ripete che “è nata dopo”, negando che i neo-fascisti postbellici, con trame nere e golpe falliti, avessero qualcosa a che vedere col Ventennio. Perfino Helmut Kohl, che post-nazista non era, disse un giorno che era venuto al mondo dopo la guerra, ma subito dopo si corresse e ammise che tutti i “nati dopo” erano “corresponsabili” della storia nazista.

Almeno due elementi del discorso governativo andrebbero chiariti. Primo: il bellicismo solo parziale che Meloni può adottare in presenza dell’opposizione della Lega, e dunque l’uso che viene fatto di Ventotene come silenziatore dei dissidi e distrazione parlamentare (a conferma: il leghista Giorgetti ha sorriso contento, in aula). Secondo: le frasi rivoluzionarie estrapolate dal Manifesto, “spaventose” per la presidente del Consiglio.

Primo elemento: Meloni ha usato Ventotene per sgangherare ogni discussione seria sul Piano Riarmo che la presidente della Commissione Von der Leyen ha annunciato il 4 marzo (ieri ribattezzato Readiness 2030: cioè “Pronti alla guerra”). Elly Schlein cerca con lodevole fatica di contrastare la chiamata alle armi, cara ai capitribù del Pd (Gentiloni, Bonaccini, ecc), ma quel che suggerisce non è una linea politica alternativa. È un cambio di vocabolario, non di sostanza: meglio Difesa europea anziché 27 eserciti nazionali, dice, se ci si vuole “preparare alla guerra” come reclamato da Von der Leyen.

Sia Meloni sia Schlein sanno che nelle condizioni attuali è del tutto inconcepibile una Difesa comune gestita da un’autorità unica come avviene per l’euro. Né è possibile la deterrenza: fortunatamente non abbiamo 6000 testate atomiche come Mosca, per dissuaderla. Manca uno Stato europeo, manca una comune politica estera, manca un Parlamento vero. Alcune politiche militari potranno essere coordinate e lo saranno, ma coordinamento non è unità di politiche e di intenti. Il Manifesto di Ventotene è disatteso da tutti, in questo campo. Già l’euro fu costruito senza creare anticipatamente uno Stato unico, ed è il motivo per cui mente chi parla di grandioso successo senza ombre.

L’umiliazione della Grecia e le disuguaglianze sociali innescate negli anni dell’austerità sono la conferma che la vittoria è come minimo monca.

La difesa europea e l’autonomia dell’Unione sarebbero certo utili, per rendere gli europei meno dipendenti dal dispositivo militare statunitense e dalle sue attuali involuzioni fascistoidi, visibili nelle politiche di immigrazione, nella repressione delle dissidenze universitarie, nell’appoggio alle guerre di Israele.

Ma visto che i fautori della difesa europea si richiamano al Manifesto di Ventotene occorre che sappiano l’essenziale: quel testo nacque nell’agosto 1941, nel mezzo della Seconda guerra mondiale, e aspirava a un’unità politica – un governo federale – non per fare le guerre ma per sormontare gli Stati nazione e dar quindi vita a una potenza di pace. E con chi edificarla? Con la Germania, che nel ’41 stava occupando mezza Europa e aveva iniziato l’invasione della Russia.

Oggi se si vuole un’Europa che superi la bellicosità congenita degli Stati nazione è con la Russia che urge mettere in piedi una sicurezza comune. Lo prospettò Gorbacëv negli anni 90 del secolo scorso: si rese conto della sconfitta dell’Urss, propose una Casa Comune Europea, e chiese agli occidentali – Usa in testa – di non comportarsi da vincitori e di instaurare assieme a Mosca una pace che escludesse l’espansione atlantica sino ai confini russi. Non fu ascoltato e la Nato s’allargò fino a promettere, nel 2008, l’ingresso di Ucraina e Georgia. Nessun leader russo può accettarlo, e Trump sembra prenderne atto. Non così gli Stati europei, tranne Ungheria e Slovacchia, e lo si può capire.

La sconfitta non solo di Zelensky, ma dell’intero Occidente è fenomenale, e gli europei sono paralizzati, avendo criminalizzato chiunque parlasse con Mosca. Di qui la continuazione degli aiuti all’Ucraina, caldeggiata dal Consiglio europeo e anche dalla Piazza per l’Europa del 15 marzo. Così c’è solo Trump a parlare con Putin. Nel suo Parlamento il Cancelliere Merz dichiara che la Russia minaccia la Germania e l’Europa e dunque urge un formidabile riarmo. L’attore Benigni racconta Ventotene con efficacia, in eurovisione, ma d’un tratto grida che “in Russia esistono fabbriche che sfornano milioni di fake news ogni giorno”. Su «Repubblica» lo scrittore Antonio Scurati lamenta la svanita combattività delle genti europee e constata che da questo punto di vista il nostro sviluppo postbellico “è stato un avanzare regressivo” (che c’entra con Ventotene?). Nel Parlamento solo 5 Stelle e Sinistra Avs si oppongono a invii di armi e chiedono negoziati. Sabato in piazza sventolavano bandiere ucraine e georgiane, non palestinesi. Quelle palestinesi sventolavano in un’altra piazza romana. Tre giorni dopo Netanyahu ricominciava lo sterminio a Gaza con le armi Usa e nostre.

Passiamo al secondo elemento: la rivoluzione che nel Manifesto fa nascere la Federazione. Meloni cita passaggi sconfessati da Spinelli fin dal 1943 e ignora i brani in cui si spiega che vuol dire Europa socialista: “La rivoluzione europea […] dovrà essere socialista, proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la creazione di condizioni più umane di vita”. O passaggi tuttora invisi a destra sul reddito minimo: “La solidarietà sociale verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica dovrà perciò manifestarsi non con le forme caritative, sempre avvilenti, e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori”.

Nel 1941 parlare di rivoluzione era d’obbligo: c’era il fascismo. Ma anche oggi le conseguenze logiche del Manifesto (Stato federale, Stato sociale per tutti, Casa Comune con la Russia, disarmo) implicherebbero una rivoluzione delle menti e della politica. Nessuno si sente di farla.

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Il Manifesto di Ventotene e la crisi dell’Unione

Ventotene, 27 agosto 2016 – Incontro tra Laura Boldrini, Presidente della Camera, con i Presidenti di Parlamento firmatari della dichiarazione ‘Per una maggiore integrazione europea: l’unica via possibile’, promossa da Laura Boldrini, in occasione dell’apertura del XXXV Seminario dei Giovani Federalisti Europei.

Saluto di Barbara Spinelli, europarlamentare del gruppo GUE-NGL

Non posso essere con voi in quest’occasione, ma spero che accoglierete il mio saluto e il mio augurio. Ringrazio il Presidente Laura Boldrini per aver concepito quest’incontro così importante, e soprattutto per aver messo al centro dell’incontro non i capi di Stato e di governo, non le istituzioni europee, ma i Parlamenti nazionali. Laura Boldrini non è potuta venire: la sciagura del terremoto che ha colpito il Centro Italia non glielo permette. Ma la sua idea spero che resti viva: perché è dai Parlamenti nazionali, e non solo dal Parlamento europeo, che deve ripartire una nuova idea di unione europea, e più precisamente: dai cittadini e dai popoli che i Parlamenti sono chiamati a rappresentare.

Immagino che nel seminario dei prossimi giorni parlerete prevalentemente di Brexit, ma il Brexit è solo la conseguenza di un processo disgregativo cominciato da tempo. Se l’Europa è stata respinta da gran parte della Gran Bretagna, se in tanti paesi dell’Unione si rafforzano il disgusto, la delusione, la voglia di uscita, non è a causa di una particolare cattiveria nazionalista. L’Europa non cade dal cielo, diceva Altiero Spinelli, ma neppure il nazionalismo cade dal cielo. Sono i poteri costituiti dell’Unione ad aver voluto e a volere questo generale degrado: degrado e pervertimento autoritario delle democrazie costituzionali e delle sovranità popolari, umiliazione e impoverimento monumentale della Grecia con la pretesa di salvare l’euro, ineguaglianze sociali in crescita, inettitudine a fronteggiare un afflusso di rifugiati che pure rappresenta solo lo 0,2 per cento delle nostre popolazioni. E degrado in politica estera: è strano che per celebrare il Manifesto di Ventotene tre capi di Stato e di governo si siano riuniti, a largo di quest’isola, sulla nave ammiraglia dell’operazione Sophia, impegnata non nel salvataggio dei profughi minacciati da naufragio, com’era Mare Nostrum, ma nella lotta contro gli scafisti nel Mediterraneo: come se fossero gli scafisti ad aver cacciato i profughi dai propri paesi d’origine e non le guerre che noi stessi abbiamo scatenato o favorito.

I poteri costituiti nazionali ed europei sono responsabili di questo cumulo di disastri ma ritengo che anche per i federalisti sia giunta l’ora di un ripensamento. Molti anni sono passati dalla morte di Spinelli, e non sono stati anni minori: è crollata l’alternativa sovietica e con essa il mondo bipolare, sono entrati nell’Unione Stati che hanno conosciuto solo gli aspetti dispotici della cessione di sovranità, e insieme all’America l’Europa si è gettata da ben quindici anni in guerre continue e sistematicamente fallimentari contro il terrorismo. Un rapporto normale con la Russia post-sovietica non è stato ancora trovato, né con il Medio Oriente, con Israele, con il Nord Africa. Su ambedue i fronti, Est e Sud, siamo ancora a rimorchio di un alleato statunitense che non sa più proiettare verso l’esterno la propria potenza senza generare caos, violenze, fughe in massa di popoli.

A tutti questi disastri non si può continuare a rispondere con il solito slogan: cedere sovranità ad autorità superiori, federali. La sovranità può e deve essere ceduta solo se questa è la via per ottenere più efficacemente democrazia, giustizia, pace, come tra l’altro è scritto nell’articolo 11 della Costituzione italiana. Un ministero unico dell’Economia – o dell’Interno, o degli Esteri, o della Difesa – potrebbe essere proposto, solo se esistesse la volontà concreta e dichiarata di fare una politica diversa da quella adottata finora: in economia, nelle finanze, nella politica sociale, nel Medio Oriente, nei rapporti con la Russia. Non si delega sovranità se la politica è sempre quella: guerra fredda fuori casa, e in casa Fiscal Compact, austerità punitiva, impoverimento dei popoli. Il fine cui tendere deve essere un piano Roosevelt di rilancio delle economie, una solidarietà sociale e tra Stati, una Costituzione sottoscritta dai popoli. Il federalismo funziona se si mette al servizio di tutto questo. Se è una via, un mezzo. Se diventa fine in sé, a prescindere dalle politiche che si adottano, degenera nell’Unione oligarchica e anticostituzionale che già esiste, e cui Habermas ha dato il nome di “federalismo degli esecutivi”.

Questo vorrei dirvi, come augurio e speranza.  Il Manifesto di Ventotene lo si rispetta se la rotta cambia radicalmente, se i cittadini avranno la certezza che vale la pena cedere sovranità, se si esce dalla dittatura del neoliberalismo e da una politica estera che ha fatto fallimento. Trasformato in idolo, non è utilizzabile nessun libro e nessun Manifesto.

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L’intervento è stato pubblicato su «Il Fatto Quotidiano» del 1° settembre 2016 con il titolo “Contro il federalismo dei governi” (file .pdf).