Bologna, 17 gennaio 2015. Discorso di Barbara Spinelli all’assemblea de L’Altra Europa con Tsipras
Questi sono giorni cruciali. Sono giorni cruciali per noi in Italia dove ci stiamo preparando all’elezione del prossimo presidente e dunque a una possibile crisi del Partito democratico. E sono giorni cruciali per quello che sta accadendo in Europa: dai terribili attentati terroristici a Parigi – con le conseguenze che essi possono avere sulle politiche di sicurezza e sui diritti dei cittadini – alle imminenti elezioni in Grecia.
La vittoria di Syriza può davvero rappresentare una svolta, se Tsipras condurrà sino in fondo la battaglia che ha promesso e se sarà sostenuto da un grande arco di movimenti e partiti fuori dalla Grecia. Sarà la prova generale di uno schieramento che non si adatta più all’Europa così com’è, che giudica fallimentari e non più proponibili i rigidi dogmi dell’austerità, e che mette fine allo schema ormai trentennale inventato da Margaret Thatcher, secondo cui “non c’è alternativa” alla visione liberista delle nostre economie e delle nostre società: visione fondamentalmente antisindacale, e inoltre politicamente e costituzionalmente accentratrice.
Ricordiamoci che anche per questo nacque la nostra Lista, nell’inverno 2013-2014: per dire che l’alternativa invece c’era, per denunciare i custodi dell’ortodossia liberista che avevano usato il caso greco come paradigma negativo e cavia di esperimenti di distruzione del welfare state e delle costituzioni democratiche nate dalla Resistenza. Per unire in Italia le forze che non si riconoscevano nella degenerazione di un Partito democratico, sempre più esclusivamente interessato a ideologie centriste e all’annullamento di tutte le forze intermedie della società, di tutti i poteri che controbilanciano il potere dell’esecutivo. Una forza che pretende di incarnare la sinistra, ma che non solo disprezza le tradizioni della sinistra ma le ignora in maniera militante: anche se son sfiorato da qualche nozione di una lunga e densa tradizione – questo dice a se stesso il nuovo Pd – volutamente penso, decido, agisco, comunico, come se di questa tradizione non sapessi rigorosamente nulla. Siamo nati per rimobilitare politicamente e conquistare il consenso di un elettorato che, giustamente incollerito, ha scelto quella che i tedeschi durante il nazismo chiamavano “emigrazione interiore”, e che ha cercato rifugio o nel movimento di Grillo, o – sempre più – nell’astensione, dunque in un voto di sfiducia verso tutti i partiti e tutte le istituzioni politiche.
Eravamo partiti da Alexis Tsipras e dalle sue proposte di riforma europee perché anche noi vedevamo la crisi iniziata nel 2007- 2008 come una crisi sistemica – di tutto il capitalismo e in particolare dell’eurozona – e non come una somma di crisi nazionali del debito e dei conti da tenere in ordine nelle singole case nazionali. Il cambiamento della dialettica politica nei nostri paesi, il salvataggio delle democrazie minacciate da una decostituzionalizzazione che colpisce prima i paesi più umiliati dalle politiche della trojka e dei memorandum, e poi tutti gli altri, erano a nostro parere possibili a una sola condizione: rispondere alla crisi sistemica con risposte egualmente sistemiche, e per questa via scardinare le fondamenta su cui si basa la risposta fin qui data alle crisi dei debiti nazionali dalla Commissione, dagli Stati più forti dell’Unione, dalla Bce. Creando un’Unione più solidale, rifiutando l’idea stessa di un centro dell’Unione circondato da “periferie” indebitate e di conseguenza colpevoli (Schuld in tedesco ha due significati, non dimentichiamolo mai: significa debito e colpa). Ricostituzionalizzando non solo l’Italia o la Grecia o la Spagna o il Portogallo, quindi, ma ricostituzionalizzando e ri-parlamentarizzando anche l’Unione.
Di qui anche la battaglia che noi europarlamentari italiani del Gue conduciamo a Bruxelles e Strasburgo. È una battaglia che va in più direzioni: per la comune e solidale gestione dei debiti nazionali, e per piani europei di investimento ben più consistenti e decisivi del piano Juncker (il piano Juncker conta solo su investimenti privati del tutto fantasmatici, con un incentivo di investimento pubblico minimo: poco più di 20 miliardi, con un improponibile, inverosimile effetto moltiplicatore di 15 punti). Di piani alternativi a quello di Juncker ce ne sono molti, e sono interessanti: dall’idea di Luciano Gallino, che immagina una moneta parallela all’euro da emettere per gli investimenti senza che lo Stato esca dall’euro, a quello di Yanis Varoufakis, l’economista che si è candidato per Syriza in queste elezioni. Studiamoli e facciamoli nostri. Coinvolgiamo Luciano Gallino, che – lo ricorderete – fu tra i principali ideatori della nostra lista fin dal primo giorno. Scrisse lui i passaggi decisivi della parte economica del programma. Consultiamolo sulla questione del debito che sarà discussa nell’assemblea.
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Credo che più che mai dobbiamo mantenere lo slancio iniziale della Lista, insistere nella convinzione che abbiamo avuto quando è nata questa formazione: l’aggancio a Syriza e al caso Grecia era un grimaldello per cambiare l’Europa e dunque la politica italiana. Manteniamo quelle idee, salvaguardando quel che abbiamo costruito ed essendone fieri.
E visto che sono a Bologna, vorrei qui rendere omaggio al grande sforzo che è stato fatto dalla lista Altra Emilia Romagna (e anche Altra Calabria, Altra Liguria) per proseguire il discorso cominciato con la campagna per le elezioni europee. Campagna che ha pur sempre portato dei risultati, visto che nel parlamento europeo ci sono 3 nostri parlamentari.
È il primo punto su cui vorrei insistere, in quest’assemblea. Non ricominciamo da zero. Ricominciamo da tre (i 3 parlamentari appunto). Esistiamo, anche se siamo spesso un soggetto performativo, per usare ironicamente un termine della linguistica. Come europarlamentare mi trovo spesso davanti alla domanda: “E tu, chi sei?”. In quel momento, nominando la Lista, per forza di cose la faccio esistere come soggetto compiuto. Siamo una forza esigua ma si deve ripartire anche dalla nostra esperienza. Il che vuol dire: dai territori che l’hanno continuata a far vivere, dai successi e dalle adesioni che otteniamo localmente. Non aspettiamo, per nascere come soggetto politico, che altri decidano quale alternativa nuova e mai vista debba nascere alla politica di Renzi.
Il secondo punto che vorrei indicare riguarda la natura che si darà la Lista. È un punto collegato al primo, perché si tratta di insistere sempre, di nuovo, sull’intuizione iniziale: sull’aspirazione a essere, come movimento, massimamente inclusivi e unitari, massimamente aperti a tutte le adesioni. Aperti, come lo eravamo nelle elezioni europee, alle persone, ai diversi partiti e ai diversi movimenti della sinistra radicale, e anche a chi non si identifica del tutto con la formazione della Sinistra Europea ma si batte comunque per un’alternativa a Renzi e alle grandi intese popolari-socialisti-liberali nel Parlamento e nelle altre istituzioni europee: penso agli ecologisti, ai militanti delle battaglie anticorruzione e antimafia, e ai delusi del M5S, e infine – ancora una volta, e sempre più – agli astensionisti. È il motivo per cui, vorrei dirlo qui a Bologna, ho personalmente deciso tenere in sospeso la mia adesione alla Sinistra Europea, come parlamentare del Gue. Il nostro progetto politico non era la riproposizione di un insieme di partitini, e anche se essenzialmente di sinistra non era solo di sinistra. Non era antipartitico, ma era rigorosamente non-partitico. A me sembra che le scelte di molte nuove forze in ascesa della sinistra – Podemos in Spagna, il movimento “barriera umana” di Ivan Sinčić in Croazia – vadano precisamente nella stessa direzione.
Sono troppe le cose che abbiamo da fare, ognuno nel posto dove si trova, per aspettare ancora e rinviare il momento di creare le strutture di una nuova formazione politica decisa non solo a battersi ma a vincere, nelle future elezioni locali e nazionali. E dobbiamo farlo nella maniera più condivisa e democratica e unitaria possibile, ma dobbiamo farlo subito, qui. L’ora è adesso perché la crisi acuta è adesso. C’è l’Europa dell’austerità che dobbiamo cambiare, affiancando la battaglia che domani farà Syriza e dopodomani – spero – Podemos e Sinčić e la Linke nel paese chiave dell’Unione che è la Germania. C’è l’Europa-fortezza da mettere radicalmente in questione, con politiche dell’immigrazione che mutino i regolamenti sull’asilo, che garantiscano protezione ai profughi da guerre che attorno a noi si moltiplicano e ci coinvolgono, perché sono guerre che americani ed europei hanno acutizzato e quasi sempre scatenato. Perfino il mar Mediterraneo va ricostituzionalizzato, visto che l’Unione sta violando addirittura la legge del mare, mettendo in discussione il dovere di salvare le vite umane minacciate da naufragio. E vanno aboliti i Cie, i Centri di identificazione ed espulsione, nella loro forma attuale. Ho visitato in dicembre quello di Ponte Galeria a Roma. Non è un centro, è un campo di concentramento. Non per ultimo: in Italia bisogna trovare risposte a un razzismo che sta esplodendo ovunque, non solo nel popolo della Lega, e che sarà sempre più legittimato dalle urne, se non impareremo a parlare in maniera giusta su queste questioni.
Sono talmente tante le cose da fare che non abbiamo letteralmente tempo di occuparci dei piccoli partiti, delle piccole o grandi secessioni dentro il Pd. Siamo in attesa che molti ci raggiungano e aderiscano alle nostre proposte. Siamo sicuri che verranno, perché la crisi è davvero straordinaria ed esige uno sforzo unitario egualmente straordinario. Proviamo a compierlo, fin da quest’assemblea.