Intervista di Antonietta Demurtas, Lettera43.it, 30 gennaio 2015
Creditori contro debitori. È questo il nuovo fronte politico su cui l’Unione europea sta combattendo la sua guerra civile. Altro che destra e sinistra o Nord contro Sud.
La crisi economica ha cambiato regole e strategie. Ma soprattutto ideali. E in prima linea c’è ancora una volta la Germania.
«SENZA I TEDESCHI NESSUNA EUROPA».
«La battaglia culturale sulle dottrine economiche buone contro la crisi deve partire proprio da Berlino», dice a Lettera43.it l’eurodeputata Barbara Spinelli, capolista per ‘L’Altra Europa con Tsipras’ nelle ultime elezioni europee.
«Perché senza i tedeschi un’altra Europa non la potremo avere».
Intanto a cercare di abbattere quella vecchia, basata sull’austerità e il rigore di bilancio, è stata la Grecia.
«L’ECONOMIA PASSATA IN PRIMO PIANO».
La prima cannonata è arrivata con la vittoria di Syriza, il partito di sinistra radicale che per la prima volta è salita al potere. Ma per governare si è alleata con la destra.
Una scelta che non deve più stupire, perché «considerata l’enormità della crisi e il prezzo pagato da così tanti cittadini, l’economia passa davvero al primo posto», sottolinea Spinelli.
Insomma gli ideali politici di un tempo non servono più per cambiare la società: «Quello che bisogna riconquistare oggi», dice Spinelli, «è la solidarietà tra gli europei».
Un valore «ormai in via di estinzione», molto più di quello politico. «E poi bisogna vedere oggi cos’è la destra e cos’è la sinistra».
DOMANDA. Ma questa vittoria di Syriza è di destra o di sinistra?
RISPOSTA. È prima di tutto una vittoria importantissima per la Grecia, perché è un riscatto dopo anni di miseria e impoverimento, ma anche di umiliazione. Il Paese è stato usato come una cavia per le politiche di austerità.
D. Che ripercussioni può avere sull’Europa?
R. Può avere un’importanza enorme perché in questi sei anni la terapia anti-crisi, basata sul contenimento della spesa pubblica ed essenzialmente sulla riduzione del reddito dei cittadini, è fallita. Siamo di nuovo caduti in una profondissima deflazione.
D. Eppure c’è chi ci crede ancora: «Gli impegni per la Grecia restano gli stessi», ha ribadito il vice presidente della Commissione Ue, il falco rigorista finlandese Jyrki Katainen.
R. Invece se l’Europa fosse intelligente questa sarebbe davvero la grande occasione per dire: proviamo altre ricette, altre visioni della crisi, altri modi di uscirne.
D. Per ora sono più quelli che parlano di Grexit: di fare uscire la Grecia dall’euro.
R. La cosa interessante e promettente è che questa di Syriza è la vittoria di una forza radicalmente critica delle politiche europee, ma intenzionata a restare nell’Ue. Quindi non ha vinto un partito che vuole uscire dall’euro.
D. In un momento in cui si parla di radicalizzazione solo in termini negativi (politici e religiosi), quella di Syriza può rappresentare un’eccezione positiva?
R. Sì, perché in fondo siamo abituati a pensare che la sinistra radicale sia contro il capitalismo, contro l’Unione europea. Invece qui abbiamo una sinistra che è radicale perché vuole cambiamenti e miglioramenti nella conduzione dell’economia capitalistica. E allo stesso tempo crede nelle istituzioni comunitarie.
D. Tanto da volere anche un’Europa federale?
R. Sì, i principali dirigenti del partito, da Tsipras al vice presidente dell’europarlamento Dimitris Papadimoulis, sono tutti adepti del Manifesto di Ventotene. Che è anche il tema del primo capitolo del libro che sta scrivendo l’eurodeputato Manolis Glezos.
D. In Europa chi può andare nella stessa direzione?
R. La Spagna è già molto avanti. Con Podemos ha una sinistra simile, in un certo modo anche più libera di Syriza.
D. Perché?
R. Perché Syriza ha messo insieme dei pezzetti un po’ vecchi della sinistra radicale con parti nuove. Podemos è completamente nuova, non si basa più sul contrasto destra-sinistra, ma si rivolge a tutto l’elettorato, senza etichette politiche. E a questa radicalità non eravamo abituati.
D. In che cosa consiste esattamente?
R. Nel salvare il welfare state, nell’essere fedeli alle conquiste sociali che l’Europa ha fatto nel Dopoguerra e che non sono state fatte solo dalla sinistra, ma da tutti: italiani, francesi… Si tratta quindi di salvare quello che teneva insieme l’Ue.
D. In Italia e Francia questa radicalità esiste?
R. La sua affermazione sarà un processo più lento, perché c’è una sinistra socialdemocratica moderata ancora molto forte, che ha finito con l’adottare le politiche dell’austerità e che quindi dovrebbe lei stessa cambiare.
D. E se non ci riesce?
R. Si dovrebbero formare delle forze alternative a Hollande e a Renzi.
D. L’economista francese Thomas Piketty ha invitato i socialisti francesi e italiani a unirsi a Tsipras prima prima di sparire definitivamente. È uno scenario possibile?
R. Sì, ma prima questi partiti di centrosinistra dovrebbero fare un mea culpa: ammettere di essersi sbagliati, che il trattato sui bilanci adottato nel 2012 è stato un fallimento.
D. Troppo orgogliosi per farlo?
R. Che lo facciano o no dipende da loro, per ora hanno fatto delle aperture a Syriza, ma solo a parole.
D. L’Italia ha fatto una battaglia sulla flessibilità però.
R. Era tutta aria fresca, perché flessibilità vuol dire combattere per delle percentuali. Invece è proprio il meccanismo del fiscal compact che va rinegoziato tutto. Oggi in Europa, più che la divisione tra destra e sinistra, c’è quella tra debitori e creditori: uno squilibrio che non deve più esistere.
D. La Germania non sembra essere molto favorevole al cambiamento.
R. La battaglia culturale sulle dottrine economiche buone contro la crisi deve partire invece proprio dalla Germania, perché senza di loro un’altra Europa non la potremo avere. E non sarebbe nemmeno giusto.
D. Ma la cancellazione del debito chiesta da Syriza non ha molti sostenitori a Berlino.
R. Non dico di ripetere la stessa Conferenza del 1953. Che tra l’altro non ha cancellato il debito tedesco, ma lo ha talmente diluito nel tempo e legato a una ripresa economica della Germania che alla fine una parte non è stata pagata perché si trattava di decenni di rinvio.
D. E cosa propone allora?
R. Ci si deve sedere tutti insieme intorno a un tavolo e discutere il debito greco, ristrutturandone una parte, rinviando i rimborsi, con l’idea che è in gioco la ricreazione di una solidarietà ormai perduta. E che è uno dei fondamenti dell’Ue.
D. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago?
R. La Germania non chiuderà in maniera drastica a qualsiasi negoziato. Molte regioni ormai sono governate dai socialdemocratici e dalla sinistra radicale, Linke. E nella prossima legislatura non è escluso che tra loro ci possa essere un’alleanza chiamata rossa-rossa.
D. Invece in Grecia Tsipras ha preferito fare un’alleanza rosso-nero con la destra di Anel. È delusa?
R. No. Purtroppo Tsipras ha tentato varie alleanze: il Kke, partito comunista estremamente stalinista ha subito detto di no, e Potami, partito liberale, ha detto sì, ma a patto che si annacquasse la parte anti-austerity.
D. Meglio allora sacrificare un ideale politico?
R. Il problema di Tsipras è che deve dare risultati economici nell’immediato, deve far respirare di nuovo la popolazione greca. Un po’ come fece François Mitterand quando aumentò subito il salario minimo. Anel è un conglomerato di forze diverse, ma per il momento la maggioranza è anti-austerity. Questo è il link.
D. Un compromesso storico alla greca?
R. No, il compromesso storico è qualcosa di più strutturato e di lungo periodo. Ed era talmente strutturato che poi anche Enrico Berlinguer lo rinnegò. Questo è più un compromesso strategico, che potrebbe anche saltare perché in realtà Tsipras ha bisogno solo di altri due deputati per avere la maggioranza assoluta.
D. E che siano di destra non conta?
R. No, in Grecia oggi la divisione è tra chi è a favore e chi è contro il memorandum della Troika.
D. Così si è sostituito un ideale economico a uno politico?
R. Considerata l’enormità della crisi e il prezzo pagato da milioni di cittadini, sì. Oggi l’economia passa davvero al primo posto. Poi bisogna vedere anche cos’è la destra e cos’è la sinistra.
D. Nel suo ultimo libro, Sottomissione, Michel Houllebecq ha scritto «l’opposizione sinistra-destra struttura il gioco politico da così tanto tempo che ci sembra impossibile superarla. Eppure in fondo non c’è nessuna difficoltà». È d’accordo?
R. Dipende, in Italia per esempio difficilmente vedo possibile un accordo tra sinistra radicale e Lega Nord.
D. Anche perché in Italia la sinistra radicale è praticamente estinta.
R. Non sono d’accordo, diciamo che è in letargo. Bisogna fare come Tsipras, che ha preso tante cellule dormienti della vecchia sinistra e ne ha fatto qualcosa di nuovo.
D. Andando con Anel ha più che altro fatto una chimera.
R. La sinistra in molti Paesi è sociologicamente minoritaria, se vuole governare, per forza deve andare a pescare voti nel centro e nella destra.
D. Insomma come ha fatto Renzi?
R. No, il centrosinistra in Italia ha tagliato fuori la parte radicale, Syriza invece si è assicurata prima di avere tutti i voti della sinistra e poi ha aperto ad altri.
D. In questo caso il fine giustifica i mezzi?
R. In Grecia la situazione è talmente grave – siamo ai livelli della depressione americana degli Anni 30 – che per forza saltano divisioni vecchie tra destra e sinistra. E poi i Greci indipendenti più che alla destra mi fanno pensare al Movimento 5 stelle, che sull’immigrazione è prudente mentre sul sociale e sui diritti è più aperto.
D. Ma quali sono i rischi che Tsipras corre con questa alleanza?
R. Di cedere su alcuni diritti fondamentali, in particolare sui temi dell’immigrazione. Questo è un periodo in cui l’Ue sta combattendo una guerra economica interna, ma all’esterno è circondata da guerre che portano migliaia di richiedenti asilo, non più immigrati, alle nostre porte. E il pericolo è che l’Ue si chiuda in una fortezza.
D. Adesso a controllare quella porta c’è proprio un greco, Dimitris Avramopoulos, commissario europeo con il portafoglio per le Migrazioni, gli Affari interni e la Cittadinanza.
R. Sì ma Avramopoulos, che è di destra, forse andrà a fare il presidente della Repubblica. Una scelta che ha creato scontenti, ma è una mossa strategica molto astuta.
D. Perché?
R. Syriza pensa sia più importante avere un proprio uomo a Bruxelles come commissario all’immigrazione che averne uno presidente della Repubblica, un ruolo che tra l’altro non ha un gran peso come invece in altri Paesi.
D. In Italia ne ha tanto per esempio. Chi le piacerebbe?
R. Tra quelli usciti nessuno, anche se sicuramente il migliore è Romano Prodi. Ma il mio candidato ideale è Gustavo Zagrebelsky, che però non candideranno mai.