Gli eredi della Lista Tsipras

Bologna, 3 novembre 2014. Intervento in sostegno de “L’Altra Emilia Romagna”

Sono qui con voi, dopo alcuni mesi di impegno molto assorbente nel Parlamento europeo, perché a mio parere siamo di nuovo a un bivio, proprio come dicevamo di essere quando nacque, nell’inverno 2013, la lista L’Altra Europa con Tsipras. Non dico “Siamo in emergenza” perché questa parola è stata sequestrata, come vedremo, e va maneggiata con circospezione estrema. Perché rimanda alla nozione – e alle pratiche politiche e giuridiche – di uno Stato di eccezione dal quale è urgente uscire.

Il bivio è stato raccontato in vari modi, dopo il 25 maggio. Cito solo l’ultimo – il testo di Marco Revelli uscito sul Manifesto il 27 ottobre – cui aggiungerei vari altri testi, tra cui quelli, per me particolarmente importanti, scritti da Guido Viale. In essi vediamo raccontate le divisioni che hanno caratterizzato la nostra esperienza, spesso fratricide, assieme alle nostre aspettative o speranze.

Di questi testi condivido numerosi passaggi, un po’ meno forse il giudizio sostanzialmente positivo sui risultati delle elezioni europee. Il 25 maggio non abbiamo ottenuto il grande successo che molti speravamo: questo dovremmo cominciare a dircelo e a interiorizzarlo con più freddezza, perché ci aiuterebbe a pensare meglio il futuro, e a costruirne uno più solido, senza il senso di delusione che anima molti interventi di protagonisti della Lista. Per definizione, chi è disilluso coltivava un’illusione, dunque fin dall’inizio correva su un binario sbagliato. Parlo dell’illusione che il 4,03 ottenuto nello scrutinio europeo costituisca un successo, anche se Revelli lo chiama “parziale” e Guido Viale “modesto”. In realtà, quando scrivemmo il piano in 10 punti per le elezioni europee, era già chiaro che era disponibile per una vera sinistra uno spazio molto grande: a causa della crisi economica e sociale che si acutizzava e dell’invisibile luce in fondo al tunnel; a causa della mutazione antropologica già in atto nel Partito democratico; a causa della confusione ideologica che regnava nel Movimento Cinque Stelle; a causa d’un astensionismo elettorale che non accennava a ridursi. Il 4,03 per cento che abbiamo raggranellato è notevolmente al di sotto di quello che ci aspettavamo: l’obiettivo era tra il 6 e l’8 per cento, e lo abbiamo mancato.

Abbiamo tre deputati a Bruxelles, e questa è una buona cosa visto che la sinistra radicale italiana era assente nella precedente legislatura europea, ma altri movimenti di contestazione radicale delle politiche di austerità (penso alla Spagna, alla Francia, alla Germania) hanno molti più deputati di noi, sebbene anche in alcuni di quei paesi – Francia, Germania – i risultati si siano rivelati leggermente inferiori alle attese. Inoltre i tre eurodeputati italiani a chi e a cosa possono far riferimento? A una lista che piccola com’è rischia di frantumarsi sempre più, che alcuni considerano alla stregua di un taxi elettorale da dismettere, e che si sta comunque trasformando in qualcosa che ancora non sappiamo bene cosa sia. Non conosco a Bruxelles delegazioni parlamentari che siano smarrite, in patria, come lo è la nostra. Qui, a Bologna con voi, ritrovo oggi un po’ della mia patria.

Dicevo all’inizio che bisogna guardarsi dalla parola emergenza, e vorrei spiegare brevemente perché. Proprio lavorando nel Parlamento europeo (specialmente sull’immigrazione e sulla necessaria modifica dei trattati dell’Unione), si è rafforzata in me la convinzione che tutte le politiche di austerità, e le larghe intese che queste politiche implicano, stanno dando vita a una sorta di diritto europeo dell’emergenza (illuminanti da questo punto di vista i testi di giuristi come Giuseppe Bronzini e Giuseppe Allegri). Dico diritto dell’emergenza perché sono veri e propri organi emergenziali che hanno deciso in questi anni la gestione dei debiti statali: penso al Six-Pack che sanziona gli squilibri economici dentro l’Unione, al nuovo trattato internazionale denominato Fiscal Compact, alla trojka che, sempre in nome dell’emergenza, include il Fondo Monetario nel governo della crisi e mondializza tale governo. Sono tutti organi anfibi – né comunitari né nazionali – che con vari mezzi costituzionalizzano lo stato di eccezione e introducono un livello di governo dirimente e superiore a quello locale, nazionale ma anche europeo. Che esautorano completamente sia i Parlamenti nazionali, e le Costituzioni dei singoli Stati, sia il Parlamento europeo. Essendo accordi inter-governativi, e includendo il Fondo Monetario, non hanno nulla a che fare con il diritto comunitario e con le istituzioni che lo garantiscono: non si possono far valere nelle singole vertenze né le Costituzioni nazionali, né il Trattato di Lisbona, né la Carta dei diritti fondamentali, che pure è in teoria vincolante.

Contro questa legislazione intergovernativa di emergenza (chiamata anche “direttorio degli esecutivi” o, come dice Habermas, “federalismo degli esecutivi”) occorre fare resistenza: nel Parlamento europeo e nei Parlamenti nazionali. E, per quanto riguarda l’Italia, nei singoli territori, non essendo i singoli territori rappresentati come forza di opposizione in Parlamento. Perché i territori sono il nostro banco di prova e la sola opportunità che abbiamo.

Sono mesi che discutiamo la possibilità di creare una nuova “soggettività politica”, che rappresenti la sinistra nel momento in cui il Pd non è più di sinistra. Sono favorevole a questo tentativo di radicamento territoriale dell’opposizione, proprio perché vedo che una volontà simile ha dato forza a formazioni molto plurali e nuove come Syriza in Grecia, o Podemos in Spagna. O a formazioni come la Linke in Germania. Ben più della forma che assumeremo (partito o confederazione o associazione), contano a mio parere le battaglie che l’opposizione di sinistra e ecologista farà sul terreno, nelle varie regioni italiane, e questo fin da ora, nelle imminenti elezioni locali.

Così d’altronde abbiamo fatto quando raccogliemmo le firme per le elezioni europee e provammo a farci conoscere. Fu il punto più alto della nostra esperienza, a mio parere: quello sì fu un grande successo, e del tutto inatteso. È quando sposti in alto l’asticella che l’impresa vale la pena e può riuscire: è quello che ha detto oggi, qui, Domenico Gattuso in nome della sua lista L’Altra Calabria. È a quel modello che dovremmo secondo me tornare, come dice giustamente Guido Viale nella risposta al documento di Revelli, se vogliamo crescere e consolidarci o in qualche modo rinascere.

Per concludere, vorrei ricordare che pur essendo completamente assorbita dal lavoro nel Parlamento europeo, non perdo di vista quel che accade da noi. Ma quel che più mi importa è quel che nasce o rinasce o si esprime dal basso, un po’ meno quello che succede nei rapporti fra Pd e altri soggetti politici. Perché nelle realtà locali vedo rispecchiate le battaglie che dentro il Gue tento di fare a Bruxelles, e più precisamente:

1) La battaglia per il primato e la dignità delle persone quando è in gioco l’immigrazione, innanzitutto. L’immigrazione che sta cambiando natura, perché in Europa affluiscono non più solo migranti in cerca di benessere economico ma fuggitivi da guerre e da disastri climatici di cui i paesi industrializzati, l’America, l’Europa sono responsabili in massimo grado. Se viviamo in un mondo caotico, se a migliaia cittadini europei corrono a combattere per l’Isis, vuol dire che il caos è diventato non solo la natura ma forse il vero obiettivo del “direttorio mondiale degli esecutivi”.

2) La battaglia per una Costituzione europea che non sia un semplice e poco rispettato Trattato inter-nazionale. Al diritto europeo dell’emergenza è così che si può e si deve rispondere: non con un altro discorso emergenziale, ma dando alle varie battaglie e iniziative, ai vari No che vengono detti, una dimensione costituente.

In Italia tocchiamo con mano la de-costituzionalizzazione della democrazia: i diritti sociali che vengono violati o liquidati con disinvoltura estrema, la separazione dei poteri che si dilegua, il sistema di pesi e contrappesi che viene ridotto all’impotenza se non addirittura eliminato. In Europa perde forza la Carta dei diritti fondamentali, a cominciare dal diritto di sciopero e dal divieto di licenziamenti ingiustificati, garantiti rispettivamente dagli articoli 28 e 30; e perde forza persino il Trattato di Lisbona, a cominciare dai basilari articoli 2 e 3, che prescrivono sì politiche economiche basate sul libero mercato, ma a condizione che siano assicurati – cito dal testo – l’uguaglianza, la non discriminazione, la piena occupazione, il progresso sociale, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente.

Sono dunque qui per appoggiare le varie liste regionali che si sono formate e si stanno formando (da L’Altra Emilia Romagna a L’Altra Calabria, L’Altra Liguria, e via continuando) perché è qui che nasce il nuovo, che i cittadini si attivano non trovando sponde nel Parlamento italiano e nei vecchi partiti (il Pd di Renzi è un partito falsamente nuovo: ha sempre meno iscritti, e questo è nuovo, ma ci sono novità che sono decrepite fin dalla nascita. Il Pd geneticamente modificato raccoglie vasti e fluttuanti consensi perché agisce come lobby o agenzia pubblicitaria esperta in slogan. Sul piano politico, si prefigge di strappare l’adesione di un elettorato di centro-destra, e in quest’ottica cerca deliberatamente lo scontro con sinistre e sindacati).

Questo significa che uno spazio c’è, per ridare ai cittadini che vogliono davvero cambiare l’Italia e l’Europa una rappresentanza che sia all’altezza di quel che chiedono o sperano. Sono cittadini in gran parte di sinistra, ma non solo: sono ecologisti, difensori dei diritti, dei beni e dei servizi pubblici, della laicità. E sono cittadini che non cercano più nemmeno la rappresentanza, astenendosi dal voto in massa. Aprire questo spazio e consolidarlo comincia da qui. Dalla nostra capacità di ascolto, di proposta, di resistenza. Dalla nostra capacità di riconoscere che per cambiare l’Italia occorre cambiare l’Europa, sì, ma che anche l’inverso va tentato: solo cambiando noi stessi e l’Italia cambieremo l’Europa.

Grazie.


Il video dell’intervento

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