L’Europa si opponga alla neo-apartheid

di Barbara Spinelli

«Il Fatto Quotidiano», 31 gennaio 2020

Prima o poi il principio di realtà doveva prevalere: proclamata solennemente dall’Onu 46 anni fa, la formula che avrebbe pacificato il Medio Oriente – “Due Stati-Due popoli” – si sarebbe rivelata caduca e improponibile, sommersa dalla forza delle armi e dai fatti creati sul terreno. Chiunque abbia visitato i territori occupati, o abbia solo adocchiato una mappa, poteva rendersene conto da anni: è inverosimile un funzionante Stato palestinese su una terra disseminata di colonie israeliane a macchia di leopardo. Fra il 1967 e il 2017, gli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est sono saliti a circa 200, abitati da circa 620.000 israeliani, protetti dai soldati della madre patria e cittadini israeliani a tutti gli effetti. I palestinesi sono circa 3 milioni. I due popoli sono in conflitto costante. L’accesso alle singole colonie avviene attraverso posti di blocco simili ai checkpoint lungo i confini di Israele.

Eludendo le risoluzioni Onu, il Piano Trump – congegnato da Jared Kushner, genero e consigliere presidenziale – fotografa l’esistente e costruisce su di esso una “visione” che più ingannevole non potrebbe essere: ai palestinesi sarà concesso di chiamarsi Stato – si assicura nelle 181 pagine del Piano – ma a condizione che mai diventi uno Stato autentico. Non saranno edificate altre colonie, ma nessuna delle esistenti sarà smantellata o assoggettata al nuovo Stato: resteranno parte di Israele e connesse a esso tramite esclusive vie di trasporto controllate dalla potenza occupante (anche oggi è così: comode autostrade per israeliani; strade più lunghe e impervie per i nativi). Israele avrà la sovranità militare sull’intera area palestinese, controllerà lo spazio aereo a ovest del Giordano e a quello aereo-marittimo di Gaza, nonché i confini dal nuovo Stato. Le risorse naturali saranno cogestite.

Tale sarà dunque la futura Palestina: una riserva per pellerossa, un Bantustan. Non uno Stato con qualche enclave israeliana chiamata a rispondere almeno amministrativamente alla Palestina, ma una serie di enclave palestinesi incuneate nella Grande Israele. Non si sa con quali mezzi bellici Gaza sarà disarmata e le sue ribellioni sedate.

A ciò si aggiunga che la valle del Giordano sarà comunque annessa da Israele “per motivi di sicurezza”, come annunciato recentemente da Netanyahu nonché dal suo “grande avversario” Benny Gantz, suo sosia almeno per il momento.

Quando parla di Stato palestinese, Trump mente sapendo di mentire, e con un proposito preciso. Una volta appurato che i due Stati in senso classico non sono più realisticamente praticabili, la formula da aggirare a ogni costo è quella che sta mettendo radici nel popolo palestinese e in un certo numero di israeliani (a cominciare dagli arabi israeliani): il possibile Stato bi-nazionale, dove i due popoli convivano in pace e i suoi cittadini alla fine si contino democraticamente. Se dovesse nascere uno Stato unitario israelo-palestinese (federale o confederale), due sono infatti le vie: o uno Stato ebraico stile bianca Sudafrica, non democratico visto che una parte della popolazione vivrebbe senza diritti in apartheid, oppure Israele resterà democratica ma in tal caso verrà prima o poi e legalmente reclamata la regola aurea della democrazia, consistente nel voto eguale per ciascun cittadino: un uomo, un voto.

Israele sarebbe costretta a modificare la propria natura etnico-religiosa (suggellata nel maggio ’17 con una legge che degrada la lingua araba a lingua non ufficiale con statuto speciale). Sarebbe uno Stato ebraico e anche palestinese, non più scheggia americana come temeva Hannah Arendt. Un crescente numero di palestinesi, un certo numero di israeliani e parte della diaspora ebraica considera che “Due Stati-Due popoli” sia un treno ormai passato, e che l’unica prospettiva realistica – anche per superare l’ostilità iraniana – sia lo Stato bi-nazionale. Una soluzione certo delicatissima: non solo perché muterebbe demograficamente lo Stato ebraico, ma perché la trasformazione presuppone una pace duratura fra le due parti. L’Unione europea fu pensata durante l’ultima guerra mondiale ma vide la luce dopo la riconciliazione Germania-Francia. Non siamo a questo punto in Medio Oriente.

Il Piano Trump non aspira a tale riconciliazione. Promette nuove intifade e guerre. Destabilizza la Giordania, chiamata ad assorbire buona parte dei profughi palestinesi di stanza in Israele, e getta nell’imbarazzo Egitto e forse Arabia saudita.

Il piano inoltre contiene vere provocazioni, negando perfino il diritto del futuro Stato a fare appello alle istituzioni internazionali tra cui la Corte penale internazionale. Viene vietato ai suoi cittadini di rivolgersi a qualsiasi organizzazione internazionale senza il consenso dello Stato di Israele, ed è bandito qualsiasi provvedimento, futuro o pendente, che metta in causa “Israele o gli Usa di fronte alla Corte penale internazionale, la Corte internazionale di giustizia o qualsiasi altro tribunale”.

In tutti i modi, infine, si evita di accrescere il peso numerico-elettorale degli arabi israeliani (in crescita, nelle ultime elezioni). Il piano prevede che gran parte delle comunità palestinesi abitanti in Israele – il cosiddetto “triangolo” – sia assegnata al semi-Stato palestinese o altri Stati arabi. Gli arabi israeliani diminuirebbero. Avigdor Lieberman, leader dei nazionalisti di Beiteinu, propose tale trasferimento già nel 2004, avversato dalle sinistre israeliane e dagli arabi israeliani.

Il giornalista Gideon Levy sostiene che Trump ha in mente una nuova Nakba (la “catastrofe” di 700.000 Palestinesi sfollati nel 1948). Mai consultati né convocati, i palestinesi sono stati messi davanti al fatto compiuto alla pari di reietti. In cambio riceveranno croste di pane allettanti (miliardi di dollari, versati da non si sa quali Stati arabi).

Questa pace dei vincitori dovrebbe essere respinta dagli Stati europei, non solo a parole. Non limitandosi a ripetere “Due Stati-Due popoli”, mantra svigorito e ora accaparrato/pervertito da Trump. Bensì difendendo le leggi internazionali e rifiutando di considerare come antisemitismo ogni critica dell’occupazione israeliana (la definizione IHRA dell’antisemitismo, approvata dal Parlamento europeo oltre che dal governo Conte il 17 gennaio scorso). Facendo proprie le parole del nipote di Mandela, Zwelivelile, durante una recente visita a Gerusalemme: “Le enclave Bantustan non funzionarono in Sud Africa e non funzioneranno mai nell’Israele dell’apartheid”.

© 2020 Editoriale Il Fatto S.p. A.

Situazione nella Striscia di Gaza

Javier Nart, deputato ALDE, ha inviato all’Alto Rappresentante Federica Mogherini una lettera – firmata anche da Barbara Spinelli – riguardante l’interruzione, da parte del governo di Israele, dell’approvvigionamento di elettricità alla Striscia di Gaza.

Ms Federica Mogherini
High Representative of the Union for Foreign Affairs
and Security Policy/ Vice President of the Commission

Brussels, 21 June 2017

Dear Ms Mogherini,

We are writing to you in order to express our deep and urgent concern for the situation in the Gaza Strip.

On 17 April, Gaza’s sole power plant (GPP) was forced to shut down completely after exhausting its fuel reserves and being unable to replenish them due to a shortage of funds. The shutdown occurred in the context of an ongoing dispute between the Palestinian authorities in Gaza and Ramallah on tax exemption for fuel and revenue collection from electricity consumers. This manoeuvre has caused Gaza’s sole electricity plant to cease operating, which was already insufficient to meet the needs of the 1.9 million residents of the Strip.

Moreover, on Monday 12 June, the Government of Israel announced the cut of its electricity supplies to the Gaza Strip by 40 per cent, in line with a request of the Palestinian Authority (PA). The closure of the power plant reduced supply to four hours per day, and if Israel reduces its supply as announced last week, this will cause supply to fall to approximately two hours per day, according to several humanitarian organizations.

The poor supply of electricity and fuel threatens to create an enormous humanitarian crisis, as 80 per cent of Gazans rely on humanitarian aid to survive. Currently, hospitals are working at minimal capacity and the water pumps and wells use has reduced dramatically.  According to UN sources, this situation will immediately be life threatening for 113 new-borns currently in neonatal intensive care units, 100 patients in intensive care and 658 patients requiring bi-weekly haemodialysis. Current water supply stands at only four to eight hours every four or five days, and sanitation services are weak (120 million litres of untreated sewage are discharged into the Mediterranean Sea every day), as stated in the latest OCHA report.

For the abovementioned reasons, we ask that:

  1. Israel, as the occupying power in the OPT, has the primary responsibility for ensuring the wellbeing of the occupied population and, according to the EU-Israel Association Agreement, the government should comply with the democratic clause contained in Article 2. Thus, Israel must act to guarantee that the electricity supply meets the needs of the Gaza population, as regarded in the IV Geneva Convention, no matter the actions requested by the PA.
  2. Following the deplorable declarations of Mr Usama Al-Qawasmi, spokesperson for Fatah, -stating, “we are not targeting the citizens […], we are targeting Hamas which is running the Gaza Strip”– and Hamas threatening that this decision would increase the likelihood of conflict, we call to urge both parties to take responsibilities towards their own people and address their political tensions. It is deplorable that population is used as bargain chips in political disputes.

The situation is unacceptable and the three parties involved (the PA, the Government of Israel and Hamas) must urgently implement sustainable solutions for the power crisis in the Gaza Strip, resuming the supply of fuel and to commit to take no further actions that infringe the fundamental rights of its own citizens under an illegal Israeli blockade that has lasted for a decade.

With the EU having been the first trade partner for Israel and the first donor for the Palestinian Authority, we must stand as the first political player in the region. Therefore, we urge you, HRVP, to use your political dialogue with Israeli and Palestinian leadership to ensure that this unsustainable situation ends. We have considerable power of influence and pressure given the strategic dependence and relationship we have with the parties. Let us make use of it.

As the UN Special Coordinator for the Middle East Peace Process stated on June 20th at the UN Security Council: “We have a collective responsibility to prevent this. […] a duty to avoid a humanitarian catastrophe”.

File .pdf che riporta anche l’elenco dei firmatari

Legalizzazione degli insediamenti illegali in Cisgiordania da parte di Israele

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-000890/2017
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL), Martina Anderson (GUE/NGL), Barbara Spinelli (GUE/NGL), Sofia Sakorafa (GUE/NGL), Martina Michels (GUE/NGL), Edouard Martin (S&D), Ángela Vallina (GUE/NGL) e Patrick Le Hyaric (GUE/NGL)

Oggetto: Israele legalizza gli insediamenti illegali in Cisgiordania

Il 6 febbraio la Knesset ha approvato un disegno di legge inaccettabile che “legalizza” retroattivamente 4 000 alloggi illegali di coloni, costruiti su terre palestinesi di proprietà privata. Con questa legge – l’ultima di una serie di iniziative a favore degli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati – la Knesset ha dato il via libera a un’appropriazione illegale di terreni.

Tale “regolarizzazione” apre la strada al riconoscimento, da parte di Israele, di migliaia di abitazioni di coloni ebrei costruite illegalmente su terre palestinesi di proprietà privata. La legge viola il diritto internazionale e priva i proprietari palestinesi del diritto di utilizzare o possedere i terreni in questione. Si tratta di una violazione dei diritti di proprietà palestinesi e del diritto palestinese all’autodeterminazione.

La creazione di insediamenti da parte di Israele non ha alcuna validità giuridica, costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale e rappresenta un grande ostacolo alla visione di due Stati che vivono fianco a fianco in pace e sicurezza.

Quali pressioni eserciterà l’Unione europea sul governo israeliano affinché metta immediatamente fine alla violazione dei diritti umani dei palestinesi e agli insediamenti?

Perché l’Unione europea non ha ancora congelato l’accordo di associazione UE-Israele, vista la costante violazione dell’articolo 2 dello stesso che sancisce il rispetto dei diritti umani?

———-

IT
E-000890/2017
Risposta della Vicepresidente Federica Mogherini
a nome della Commissione

(5.4.2017)

Gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati sono illegali ai sensi del diritto internazionale, rappresentano un ostacolo alla pace e minacciano di rendere impossibile una soluzione fondata su due Stati. L’UE si oppone fermamente alla politica di insediamento di Israele e alle azioni intraprese in questo contesto. Tale posizione si riflette nelle conclusioni successive del Consiglio “Affari esteri” ed è in linea con la risoluzione 2334 (2016) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

La cosiddetta legge sulla regolarizzazione autorizzerebbe a tutti gli effetti la confisca di terreni palestinesi privati nei territori occupati. L’AR/VP ha già espresso le sue preoccupazioni prima dell’adozione della legge da parte della Knesset: davanti al Parlamento europeo il 22 novembre 2016 e in una dichiarazione l’8 dicembre 2016. Subito dopo l’adozione della legge, l’AR/VP ha esortato il governo israeliano ad astenersi dall’attuazione di questa nuova legge (si veda la dichiarazione del 7 febbraio 2017 [1]). L’UE ha ribadito il messaggio dell’AR/VP durante gli incontri con le autorità israeliane a ogni livello.

La sospensione dell’accordo di associazione UE-Israele costituisce un passo che non può essere fatto senza la decisione unanime di tutti gli Stati membri. L’impegno e il dialogo politico sono il modo più efficace attraverso cui manifestare le nostre preoccupazioni. Inoltre, dal 2009 l’UE ha sospeso il consolidamento delle relazioni UE-Israele, in attesa che vengano compiuti progressi nel processo di pace in Medio Oriente e nell’attuazione dei valori condivisi, di cui i diritti umani sono parte essenziale.

[1]  https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage_it/20104/Statement%20by%20High%20Representative/Vice-President%20Federica%20Mogherini%20on%20the%20%22Regularisation%20Law%22%20adopted%20by%20the%20Israeli%20Knesset

Lettera a Federica Mogherini sulla situazione del giornalista palestinese Mohammed al-Queeq

Di seguito il testo della lettera, sottoscritta anche da Barbara Spinelli

25 February 2016

Dear Ms Mogherini, High Representative of the Union for Foreign Affairs and Security Policy,

We are writing to you, as you are currently holding the position of the High Representative of the European Union for Foreign Affairs and Security Policy/Vice- President of the European Commission, to express our deep and well founded concern for the deteriorating condition of the Palestinian journalist Mohammed al-Queeq, who has today reached his 90th day of hunger strike.

Al-Qeeq, 33, who is a reporter for Al-Majd, was detained by Israeli forces on the 21st of November. He has been on hunger strike since the 25th of that month, initially in protest at his torture upon arrest, and subsequently his sentence of six months imprisonment without trial or charges. He is currently being held in HaEmek hospital in Afula, and while his administrative detention was deemed as suspended by the Israeli supreme court, he still cannot leave the hospital and the Israeli military denied his request to be transferred to a Palestinian hospital in the West Bank. He has maintained his strike and says he will accept treatment only under conditions of freedom in a Palestinian hospital.

Although al-Qeeq has been denied visitors on the grounds of his extremely fragile medical condition, he has been visited by Archbishop Atallah Hanna, who reported that al-Qeeq is in critical condition and suffering from severe pain. ““The imprisoned al-Qeeq is on hunger strike for the freedom that he deserves. He is entitled to return to his family and to his children who are impatiently waiting. We stand in solidarity with him and with all prisoners and detainees in Israeli jails,” said Hanna.

The HaEmek hospital waiting room in Afula has filled with visitors for al- Qeeq, 40 Palestinians are on hunger strike in solidarity with al- Qeeq in front of the hospital, five of whom have been arrested by Israeli forces, and Knesset member Haneen Zoabi was forced to leave the hospital. Doctors have reported that he has now lost much of his hearing and ability to speak; and describe him as being in danger of death at any time, and predict his experiencing medical consequences that will continue after his detention.

Echoing the UN’s call to either charge or release al-Qeeq, we urge you to take immediate and effective action to ensure his safety. We urge you to make a public statement to demand the release of Mohamed Al Qeeq to a facility where he can receive adequate care in a safe environment. Furthermore we look forward to hearing from you what other action you have taken and what the responses have been from the Israeli officials.

Sincerely,

Bart Staes (Greens)
Paloma Lopez Bermejo (GUE/NGL)
Stefan Eck (GUE/NGL)
Molly Scott Cato (Greens)
Barbara Spinelli (GUE/NGL)
Nessa Childers (S&D)
Marie-Christine Vergiat (GUE/NGL)
Miguel Urban Crespo (Podemos)
Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL)
Yannick Jadot (Greens)
Ivo Vajgl (Alde)
Gabriele Zimmer (GUE/NGL)
Edouard Martin (S&D)
Stelios Kouloglou (GUE/NGL)
Ernest Urtasun (Greens)
Izaskun Bilbao Barandica (Alde)
Anamaria Gomes (S&D)
Martina Anderson (Sinn Féin)
Matt Carthy (Sinn Féin)
Lynn Boylan (Sinn Féin)
Liadh Ní Riada (Sinn Féin)
Merja Kyllönen (GUE/NGL)
Soraya Post (S&D)
Agnes Jongerius (S&D)
Maria Heubuch (Greens)
Judith Sargentini (Greens)
Monika Vana (Greens)
Claude Rolin (EPP)
Jordi Sebastià (Greens)
Tania Gonzalez Penas (GUE/NGL)
Kostas Chrysogonos (GUE/NGL)
Xabier Benito Ziluaga (GUE/NGL)
Javier Nart (Alde)
Philippe Lamberts (Greens)
Marita Ulvskog (S&D)
José Inácio Faria (Alde)
Brando Benifei (S&D)
Patrick Le Hyaric (GUE/NGL)
Pascal Durand (Greens)
Margrete Auken (Greens)
Jean Lambert (Greens)
Anne-Marie Mineur (GUE/NGL)
Eleonora Forenza (GUE/NGL)
Josu Juaristi Abaunz (GUE/NGL)
Zoltán BALCZÓ (NI)
García Pérez (S&D)
Kati Piri (S&D)
José Bové (Greens)
Marisa Matias (GUE/NGL)
Bodil Valero (Greens)
Keith Taylor (Greens)
Catherine Stihler (S&D)
Beatriz Becerra Basterrechea (Alde)
Julie Ward (S&D)
Jens Nilsson (S&D)
Alfred Sant (S&D)

Lettera a Federica Mogherini sul caso di Khalida Jarrar

Testo della lettera, co-firmata da Barbara Spinelli, inviata il 13 aprile 2015 all’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari europei e la politica di sicurezza:

Honourable High Representative,

Recalling the European Parliament resolution of the 4th of September 2008 calling for “the immediate release of the imprisoned members of the Palestinian Legislative Council,” we urge the EU and its Member States to take immediate action in response to the arrest of PLC member Khalida Jarrar, and to ensure the release of all sixteen detained members of the PLC.

We express our strongest condemnation of the latest Israeli escalation against Palestinian legislators and the suppression of the Palestinian political leadership, namely the arrest of PLC member Khalida Jarrar after a raid on her family home in Ramallah at approximately 01:00.

Jarrar is a prominent feminist and advocate for the rights of Palestinian political prisoners. She is the Palestinian representative on the Council of Europe and chair of the Prisoners’ Committee of the PLC. Jarrar is also Vice President of the Board of Directors of Addameer Prisoner Support and Human Rights Association, a prominent Palestinian human rights NGO, and its former Executive Director.

The arrest of Jarrar comes approximately seven months after an Israeli military court attempted to forcibly transfer her on August 20, 2014, from her home in Ramallah to Jericho.

Jarrar set up a protest tent in the PLC headquarters and received widespread international and Palestinian support, causing the order to be shortened to one month and therefore quashed on September 16, 2014. This attempt to forcibly transfer a person under occupation is a violation of the Fourth Geneva Convention, and was widely condemned around the world, including by Members of European Parliament.

Jarrar is also a member of the Palestinian national follow-up commission for the International Criminal Court. The arrest of Jarrar is a clearly political attempt to undermine Palestinian leadership and thwart Palestinian attempts to pursue justice in the International Criminal Court.

The arrest of Jarrar and other Members of the Palestinian Parliament and their transfer from occupied territory into Israel are not only in violation of Articles 49 and 76 of the Fourth Geneva Convention but also blatantly violate international conventions and practices regarding the immunity of elected officials. Palestinian parliamentarians are frequently held in administrative detention without charge or trial, or tried in military courts that are mechanisms to produce a political result and in no way meet standards for a fair trial.

We call for the immediate release of Jarrar and all detained Palestinian parliamentarians and an immediate and definitive halt of all measures targeting our Palestinian Parliamentary colleagues, including arrests and expulsions from Jerusalem.

We urge you to use your position to garner support among institutions of the EU and its Member States and work to persuade them to take meaningful action to place significant pressure on Israel to ensure the release of Jarrar and Palestinian political prisoners, including all 16 detained members of the Palestinian Legislative Council.

Yours sincerely,

1. Martina Anderson (GUE/NGL)
2. Lynn Boylan (GUE/NGL)
3. Liadh Ní Riada (GUE/NGL)
4. Matt Carthy (GUE/NGL)
5. Neoklis Sylikiotis (GUE/NGL)
6. Patrick Le Hyaric (GUE/NGL)
7. Angela Vallina (GUE/NGL)
8. Marisa Matias (GUE/NGL)
9. Fabio De Masi (GUE/NGL)
10. Anne-Marie Mineur (GUE/NGL)
11. Malin Bjork (GUE/NGL)
12. Gabi Zimmer (GUE/NGL)
13. Dimitris Papadimoulis (GUE/NGL)
14. Marina Albiol Guzman (GUE/NGL)
15. Iosu Juaristi (GUE/NGL)
16. Barbara Spinelli (GUE/NGL)
17. Kostas Chrysogonos (GUE/NGL)
18. Lidia Sendra (GUE/NGL)
19. Paloma Lopez (GUE/NGL)
20. Joao Ferreira (GUE/NGL)
21. Ines Zuber (GUE/NGL)
22. Miguel Viegas (GUE/NGL)
23. Margrete Auken (Greens/EFA)
24. Ivo Vajgl (ALDE)
25. Josep-Maria Terricabras (Greens/EFA)
26. Javier Couso Permuy (GUE/NGL)
27. Marita Ulvskog (S&D)
28. Tanja Fajon (S&D)
29. Molly Scott Cato (Greens/EFA)
30. Javier Lopez (S&D)
31. Judith Sargentini (Greens/EFA)
32. Manolis Glezos (GUE/NGL)
33. Nessa Childers (S&D)
34. Izaskun Bilbao Barandica (ALDE)
35. Younous Omarjee (GUE/NGL)
36. Bart Staes (Greens/EFA)
37. Eleonora Forenza (GUE/NGL)
38. Takis Hadjigeorgiou (GUE/NGL)
39. Curzio Maltese (GUE/NGL)
40. Maria Dolores Lola Sanchez Caldentey (GUE/NGL)
41. Helmut Scholz (GUE/NGL)
42. Sofia Sakorafa (GUE/NGL)
43. Jordi Sebastia (Greens/EFA)
44. Alfred Sant (S&D)
45. Klaus Buchner (Greens/EFA)
46. Edouard Martin (S&D)
47. Kati Piri (S&D)
48. Kostadinka Kuneva (GUE/NGL)
49. Merja Kyllonen (GUE/NGL)
50. Brando Benifei (S&D)
51. Keith Taylor (Greens/EFA)
52. Martina Michels (GUE/NGL)
53. Jill Evans (Greens/EFA)
54. Norbert Neuser (S&D)
55. Luke Ming Flanagan (GUE/NGL)
56. Miguel Urbán Crespo (GUE/NGL)
57. Alyn Smith (Greens/EFA)
58. Pablo Iglesias (GUE/NGL)

La lettera in formato .pdf

Per il Parlamento europeo lo Stato Palestinese c’è

17 dicembre 2014. Voto in aula sul ricoscimento della Palestina, dichiarazione di voto di Barbara Spinelli

Riconoscere lo Stato della Palestina è stato un atto politico coraggioso e di grande importanza del Parlamento europeo (498 voti a favore, 88 contrari, 111 astensioni). L’Unione in quanto tale non parla ancora con un’unica voce in politica estera, e riconoscere gli Stati è legalmente prerogativa degli Stati. Ma l’Assemblea dell’Unione ha forzato abitudini, tempi, pavidità, contro il parere delle destre più gelose delle sovranità assolute degli Stati, e con il suo voto ha affermato di voler esserci e di voler dire la sua parola inequivocabile, su una questione del Medio Oriente che, irrisolta, ha generato lungo i decenni un gran numero di guerre e di morti. In quest’ambito, il Parlamento non ha esitato a lanciare un messaggio di disapprovazione nei confronti del governo israeliano, che si è adoperato in tutti i modi per evitare che l’Europa uscisse allo scoperto con questa dichiarazione, e si conquistasse un diritto di presenza e di parola politica in materia, seguendo la linea degli Stati dell’Unione che già hanno riconosciuto lo Stato Palestinese. L’Alto Rappresentante Federica Mogherini vedrà fortemente accresciuti il proprio peso e la propria influenza, se vorrà esercitarli, dopo la decisione dei parlamentari riuniti a Strasburgo.

Alcuni gruppi politici hanno tentato di dire che la risoluzione approva e legittima lo Stato palestinese a condizione che i negoziati di pace riprendano seriamente e abbiano successo. È un’interpretazione del tutto fallace della mozione appovata. Il riconoscimento «va di pari passo» con i negoziati di pace – questo dice letteralmente il testo – e la condizionalità fortunatamente non c’è.


 

Proposta di risoluzione presentata dal Gruppo GUE/NGL:
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Riconoscere lo stato di Palestina

Agenzia di stampa Fidest, 28 novembre 2014

“Perché l’Europa deve riconoscere lo Stato della Palestina?” chiede Barbara Spinelli intervenendo nella sessione plenaria del Parlamento europeo. “Non per indebolire Israele, ma per sanare le sue ferite, e restituirle una forza politica condannata a perire, se è solo forza militare”. L’eurodeputata del Gue-Ngl/Lista Tsipras si è detta convinta che “non si possa chiedere ai palestinesi l’assoggettamento senza fine e la rinuncia a una statualità. Anche in Europa le cose andarono così. L’unificazione fu possibile quando le frontiere non furono più contese. Solo frontiere certe sono sormontabili”. Per questo, ha continuato Spinelli, “è così importante che sia l’Unione – non solo una serie di suoi Stati – a compiere il gesto decisivo: riconoscere ai Palestinesi il riscatto di una statualità. Se il gesto non viene compiuto, i governi israeliani proveranno un sollievo breve. Ricadranno in sempre nuove guerre, come i sonnambuli nazionalismi che distrussero l’Europa”. (Daniela Padoan)

Fonte

Perché l’Europa deve riconoscere lo Stato della Palestina

di mercoledì, Novembre 26, 2014 0 , , Permalink
Israele, Giordania, Libano, Siria e Palestina in una fotografia scattata da un membro dell'equipaggio della Stazione spaziale internazionale. Image credit: NASA

Israele, Giordania, Libano, Siria e Palestina in una fotografia scattata dalla Stazione spaziale internazionale. Image credit: NASA.

Strasburgo, 26 novembre 2014. Intervento in plenaria di Barbara Spinelli in occasione della Dichiarazione del Vicepresidente della Commissione/Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza*

Perché l’Europa deve riconoscere lo Stato della Palestina? Non per indebolire Israele, ma per sanare le sue ferite e restituirgli una forza politica condannata a perire, se è solo forza militare. Perché nessuno Stato può sopravvivere come democrazia se occupa terre non sue. Penso che Israele abbia bisogno di darsi infine frontiere non solo legali ma legittime. Penso che non si possa chiedere ai palestinesi l’assoggettamento senza fine e la rinuncia alla statualità. Anche in Europa le cose andarono così. L’unificazione fu possibile quando le frontiere non furono più contese. Solo frontiere non più contese sono sormontabili.

Israele deve la sua nascita a capitoli neri della storia d’Europa. Ne siamo co-responsabili. Per questo è così importante che sia l’Unione – non solo una serie di suoi Stati – a compiere il gesto simbolico ma decisivo: riconoscere ai Palestinesi il riscatto d’una statualità.

Se il gesto non viene compiuto, i governi israeliani proveranno un sollievo breve. Ricadranno in sempre nuove guerre, come i sonnambuli governi nazionalisti che distrussero l’Europa in nome di un’etnia o una terra colpevolmente sacralizzata.

 

* il voto sulla mozione era previsto per oggi, 26 novembre. È stato rinviato a dicembre, su pressioni del Partito Popolare.

Due popoli in due stati

di mercoledì, Luglio 9, 2014 0 , , Permalink

Testo del comunicato stampa della delegazione italiana nel Gue composta dai tre eletti nella Lista Tsipras Eleonora Forenza, Barbara Spinelli e Curzio Maltese, 9 luglio 2014

43 morti in due giorni a Gaza, un giovane palestinese bruciato vivo a Gerusalemme Est, migliaia di feriti, case distrutte in nome “della caccia al terrorista”: è questo il bilancio degli ultimi giorni della violenza israeliana contro il popolo palestinese e della rappresaglia al rapimento e all’uccisione di tre giovani israeliani.

Come delegazione italiana della lista L’Altra Europa con Tsipras chiediamo che l’Unione europea interrompa immediatamente il suo complice silenzio, che condanni l’ennesima violazione dei diritti umani da parte del Governo israeliano e che si assuma la responsabilità politica di lavorare per un vero processo di pace che porti al’ unica soluzione possibile: due popoli, due Stati.

Come gruppo della GUE abbiamo chiesto alla conferenza dei presidenti del parlamento europeo che si discuta di tutto questo durante la sessione di Strasburgo della prossima settimana.