Rifugiati e terrorismo: i criteri infermieristici della Commissione Ue

Bruxelles, 11 ottobre 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Punto in agenda.

Discussione comune

  • Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA)

 Presentazione della relazione annuale sui diritti fondamentali 2016 a cura di Michael O’Flaherty, direttore dell’Agenzia per i diritti fondamentali

  • Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Relazione 2016 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

Presentazione a cura di un rappresentante della DG JUST, Commissione europea

Ringrazio il dottor O’Flaherty per il lavoro che svolge, e senz’altro sono favorevole a un rafforzamento del mandato dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (FRA). Avrei alcune domande su due punti specifici, concernenti la migrazione e il terrorismo:

I rifugiati: a mio avviso bisogna mettere l’accento sulla tendenza, crescente negli Stati Membri e molto forte in questo momento in Germania, a stabilire tetti per l’ammissione dei migranti, in contraddizione con il diritto dei richiedenti asilo di ricevere un esame individuale delle proprie domande. Inoltre, come si evince da rapporto FRA, il ricongiungimento familiare è sempre più ostacolato: mi chiedo in che modo si possa agire visto che le informazioni a disposizione non sono sufficienti. Un’altra domanda che riguarda i rifugiati è a proposito del lavoro svolto dalla FRA non solo negli hotspot in Grecia e Italia, ma anche in Libia e in Tunisia. Mi piacerebbe chiedere al dottor O’Flaherty cosa la FRA ha scoperto in questi paesi.

Terrorismo: L’altro punto importante riguarda le azioni nell’ambito delle politiche antiterrorismo. La mia visione in proposito è molto pessimista. Negli ultimi tempi assistiamo alla tendenza degli Stati membri di incorporare una serie di leggi di emergenza nelle leggi ordinarie. Molti diritti vengono in tal modo sospesi a tempo indeterminato. Il fenomeno è particolarmente evidente nelle politiche sulla sicurezza della presidenza Macron in Francia.

Un’ultima domanda vorrei porla alla rappresentante della Commissione: cosa significa la promessa della Commissione di intervenire ex post in difesa dei diritti dell’uomo, quando è la Commissione stessa a essere responsabile dell’implementazione di politiche che hanno prodotto violazioni del diritto o della Carta dei diritti fondamentali? Non vorrei che le Istituzioni europee divenissero gli infermieri che arrivano dopo avere esse stesse causato disastri dal punto di vista dei diritti.

Europa, l’inganno delle celebrazioni

Articolo apparso su «Il Fatto Quotidiano» del 23 marzo 2017.

L’Unione europea si appresta a celebrare il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma manifestandosi sotto forma di un immenso accumulo di spettacoli. Come nelle analisi di Guy Debord, tutto ciò che è direttamente vissuto dai cittadini è allontanato in una rappresentazione.

Le celebrazioni sono il luogo dell’inganno visivo e della falsa coscienza. Non mancheranno gli accenni ai padri fondatori, e perfino ai tempi duri che videro nascere l’idea di un’unità europea da opporre alle disuguaglianze sociali, ai nazionalismi, alle guerre che avevano distrutto il continente. Anche questi accenni sono inganni visivi. Lo spettacolo delle glorie passate si sostituisce al deserto del reale per dire: “Ciò che appare è buono, e ciò che è buono appare”.

La realtà dell’Unione va salvata da quest’operazione di camuffamento. Come ricorda il filosofo Slavoj Žižek, la domanda da porsi è simile a quella di Freud a proposito della sessualità femminile: “Cosa vuole l’Europa?”. Cosa vuole l’élite che oggi pretende di governare l’Unione presentandosi come erede dei fondatori, e quali sono i suoi strumenti privilegiati?

La prima cosa che vuole è risolvere a proprio favore la questione costituzionale della sovranità, legittimando l’oligarchia sovranazionale e prospettandola come una necessità tutelare e benefica, quali che siano i contenuti e gli effetti delle sue politiche. Il primo marzo, illustrando il Libro Bianco della Commissione sul futuro dell’UE, il Presidente Juncker è stato chiaro: “Non dobbiamo essere ostaggi dei periodi elettorali negli Stati”. In altre parole, il potere UE deve sconnettersi da alcuni ingombranti punti fermi delle democrazie costituzionali: il suffragio universale in primis, lo scontento dei cittadini o dei Parlamenti, l’uguaglianza di tutti sia davanti alla legge, sia davanti agli infortuni sociali dei mercati globali. Scopo dell’Unione non è creare uno scudo che protegga i cittadini dalla mondializzazione, ma facilitare quest’ultima evitandole disturbi. Nel 1998 l’allora Presidente della Bundesbank Hans Tietmeyer invitò ad affiancare il “suffragio permanente dei mercati globali” a quello delle urne. Il binomio, già a suo tempo osceno, salta. Determinante resta soltanto, perché non periodico bensì permanente, il plebiscito dei mercati.

In quanto potere relativamente nuovo, l’oligarchia dell’Unione ha bisogno di un nemico esterno, del barbaro. Oggi ne ha uno interno e uno esterno. Quello interno è il “populismo degli euroscettici”: un’invenzione semantica che permette di eludere i malcontenti popolari relegandoli tutti nella “non-Europa”, o di compiacersi di successi apparenti come il voto in Olanda (“È stato sconfitto il tipo sbagliato di populismo” ha decretato il conservatore Mark Rutte, vincitore anche perché si è appropriato in extremis dell’offensiva anti-turca di Wilders). Il nemico esterno è oggi la Russia, contro cui gran parte dell’Europa, su questo egemonizzata dai suoi avamposti a Est, intende coalizzarsi e riarmarsi.

La difesa europea e anche l’Europa a due velocità sono proposte a questi fini. Sono l’ennesimo tentativo di comunitarizzare tecnicamente le scelte politiche europee tramite un inganno visivo, senza analizzare i pericoli di tali scelte e ignorando le inasprite divisioni dentro l’Unione fra Nord e Sud, Est e Ovest, Stati forti e Stati succubi. Si fa la difesa europea tra pochi come a suo tempo si fece l’euro: siccome il dolce commercio globale è supposto generare provvidenzialmente pace e democrazia, si finge che anche la Difesa produrrà naturaliter unità politica, solidarietà e pace alle frontiere e nel mondo. Da questo punto di vista è insufficiente reclamare più trasparenza dell’UE. Il meccanismo non è meno sbagliato se trasparente.

All’indomani della crisi del 2007-2008 la Grecia è stata il terreno di collaudo economico e costituzionale di queste strategie. L’austerità e le riforme strutturali l’hanno impoverita come solo una guerra può fare, e l’esperimento è additato come lezione. La Grecia soffre ormai la sindrome del prigioniero, ed essendosi sottomessa al memorandum di austerità deve allinearsi in tutto: migrazione, politica estera, difesa. Deve perfino sottostare alla domanda di cambiare le proprie leggi in modo da permettere la detenzione dei rifugiati e le loro espulsioni verso Paesi terzi. Nel vertice di Malta del 3 febbraio si è evitato per pudore di menzionare l’obiettivo indicato nell’ordine del giorno: ridefinire il principio di non-respingimento iscritto nella Convenzione di Ginevra.

La politica su migrazione e rifugiati è strettamente connessa ai nuovi rapporti di forza che si vogliono consolidare. Il fallimento dell’Unione in questo campo è palese, e l’élite che la governa ne è cosciente. L’afflusso di migranti e rifugiati non è alto (appena lo 0,2 per cento della popolazione UE), ma resta il fatto che la paura è diffusa e che a essa occorre dare risposte al tempo stesso pedagogiche e convincenti. Se non vengono date è perché sulle paure si fa leva per sconnettere scaltramente le due crisi: quella economica e sociale dovuta a riforme strutturali tuttora ritenute indispensabili, e quella migratoria. Basta ascoltare i municipi che temono i flussi migratori: come fare accoglienza, se i comuni sono costretti a liquidare i servizi pubblici e ad affrontare emergenze abitative? Questo nesso è ignorato sia dai fautori dell’austerità, sia dalle destre estreme che la avversano. Lo è anche dalle sinistre che si limitano a difendere i diritti umani dei migranti e non – in un unico pacchetto, con gli occhi aperti sui rischi di dumping sociale – i diritti sociali di tutti, connazionali e non.

Se avesse deciso di combattere la crisi con un New Deal, mettendosi in ascolto dei cittadini (della realtà), l’Unione potrebbe trasformarsi in una terra di immigrazione, così come la Germania si è col tempo trasformata da terra di immigrati temporaneamente “ospiti” (Gastarbeiter) in terra di immigrati con diritti all’integrazione e alla cittadinanza. Il New Deal non c’è, e il legame tra le varie crisi è negato per meglio produrre un’Europa rimpicciolita, basata non già sulla condivisione di sovranità ma sul trasferimento delle sovranità deboli a quelle forti (nazionali o sovranazionali).

Ultima realtà occultata dalla società dello spettacolo che si auto-incenserà a Roma: il Brexit. Per le élite dell’Unione è la grande occasione: adesso infine si può “fare l’Europa” osteggiata per decenni da Londra. Sia il compiacimento dell’Unione sia quello di Theresa May sono improvvidi: se non danno assoluta priorità al sociale i Ventisette perdono la scommessa del Brexit; se il Brexit serve per demolire ulteriormente il già sconquassato welfare britannico Theresa May si troverà alle prese con chi ha votato l’exit per disperazione sociale. Anche in questo caso viene misconosciuta o negata la sequenza cruciale: quella che dal dramma ricattatorio del Grexit ha condotto al Brexit. È l’ultimo inganno visivo delle cerimonie romane.

© RIPRODUZIONE RISERVATA – Il Fatto Quotidiano

Celebrazioni europee fuori luogo

Strasburgo, 15 marzo 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo.

Punto in agenda:

Conclusioni della riunione del Consiglio europeo del 9 e 10 marzo, inclusa la dichiarazione di Roma

Dichiarazioni del Consiglio europeo e della Commissione

Presenti al dibattito:

Donald Tusk – Presidente del Consiglio europeo

Jean-Claude Juncker – Presidente della Commissione europea

Paolo Gentiloni – Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana

Louis Grech – Presidente in carica del Consiglio dell’Unione Europea e Vice Primo Ministro della Repubblica di Malta

Siccome non mi sento di celebrare, né sono oggi fiera dell’Unione, posso dire solo quello mi augurerei si dicesse e facesse, in quest’anniversario.

Mi piacerebbe che l’Unione riconoscesse gli errori che ha fatto, da quando è iniziata la crisi. Che desse assoluta priorità alla giustizia sociale e a un New Deal di grandi dimensioni, perché solo così convincerà i cittadini sempre più disgustati dalle nostre istituzioni.

Mi piacerebbe che smettesse di chiamare populisti tutti coloro che non ottenendo un vero cambio di marcia sentono disgusto, e paura.

Mi piacerebbe che l’Unione cominciasse a pensarsi come terra d’immigrazione, e smettesse di scaricare sull’Africa questioni che noi non sappiamo risolvere, se non con muri e prigioni per rifugiati. Sembrerà un’utopia, ma non dimentichiamo che anche l’unione era, in piena guerra, un’utopia di pochi.

Gli eufemismi dell’Unione europea e i rifugiati

Prefazione di Barbara Spinelli al volume Focus sulle migrazioni, che raccoglie gli atti di tre convegni organizzati a Milano tra il 2015 e il 2016. Per ulteriori informazioni rimandiamo a questa pagina, dove è anche possibile consultare e scaricare gratuitamente la pubblicazione in formato .pdf.

La parola “policrisi” è entrata nel vocabolario europeo in concomitanza con il voto inglese sul Brexit, sostituendosi alla “tempesta perfetta” che andava in voga nel 2007-2008. Ma è parola vuota, perché solo in apparenza crea un legame tra le perturbazioni che sono andate accumulandosi lungo gli anni: la disgregazione sociale scatenata in molti Paesi dalle politiche di austerità imposte con persistente accanimento dalle autorità europee e nazionali; la fuga in massa di rifugiati dalle guerre in Africa, Medio Oriente, Afghanistan; la radicalizzazione e il terrorismo; lo sfaldarsi della libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione; la collera e la disaffezione crescente dei cittadini europei; l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Oltre che vuota, la parola è un eufemismo: si dice polycrisis per imbellire quello che in realtà è un fallimento generalizzato, così come gli antichi Romani chiamavano pace le operazioni che avevano trasformato i territori e popoli conquistati in deserti.

Polycrisis infine è un escamotage: i vari dissesti che l’Unione si trova a fronteggiare sono considerati come esterni all’Unione, quasi che le istituzioni europee e i governi degli Stati membri non ne fossero gli attori, ma le vittime. La parola unificante è stata trovata, ma lo stesso non si può dire per le politiche. Si continua a parlare di crisi dei rifugiati – o ancora più nebulosamente di crisi della migrazione – senza riconoscere che la vera crisi è quella dell’Unione, incapace di far fronte alle difficoltà del momento tenendo insieme l’economia, la questione sociale, le politiche di asilo e migrazione, la politica estera e militare degli Stati, la collera dei cittadini costretti a constatare come l’unità solidale fra Europei sia divenuta prima un’ombra di se stessa, poi un guscio vuoto, infine una menzogna.

La questione dei rifugiati svolge in questo degrado un ruolo emblematico ed essenziale per due motivi. Perché scatena nei Paesi dell’Unione paure e xenofobie che vengono sbrigativamente liquidate come populiste o nazionaliste, senza curarsi delle radici sociali delle une e delle altre. E perché la risposta che viene data è una finta soluzione: invece di una strategia seria di asilo e integrazione dei migranti e dei rifugiati si promette una politica di rimpatri in massa nei Paesi di origine e di transito, alla lunga insostenibile legalmente perché negoziata e attuata in violazione di precisi articoli della Convenzione di Ginevra del 1951, che vietano l’espulsione collettiva dei richiedenti asilo. Non solo: la questione dei rifugiati, come quella del terrorismo, facilita l’instaurarsi di un diritto emergenziale permanente, che svuota le Costituzioni nazionali e la Carta europea dei diritti fondamentali e che alimenta il “federalismo post-democratico degli esecutivi” denunciato anni fa da Jürgen Habermas.

***

Il 2016 sarà ricordato come l’anno in cui l’Unione europea avrà definitivamente rotto il patto di civiltà su cui fu fondata dopo la seconda guerra mondiale. Per anni, dopo il grande naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, le istituzioni comunitarie e gli Stati membri hanno tacitamente dato il proprio consenso alla morte in mare di migliaia di profughi in fuga verso le coste europee, non essendo stata in grado di proteggere davvero le proprie frontiere, organizzando la loro gestione in maniera tale da poter assicurare senza traumi vie sicure e legali di accesso ordinato all’Unione. Nello stesso anno ha compiuto un ulteriore passo verso il proprio collasso: non solo ha chiuso una dopo l’altra le frontiere interne, smantellando di fatto lo spazio Schengen, ma ha coscientemente deciso di rispedire i rifugiati nelle zone di guerra da cui erano precipitosamente fuggiti e da cui fuggono ancora. Non può essere interpretato in altro modo l’accordo stipulato con il governo turco il 20 marzo 2016, che consente il rimpatrio collettivo di profughi che riescono a raggiungere la Grecia. Migliaia di questi rimpatriati vengono rispediti dal regime Erdogan nelle zone di guerra siriane da cui erano inizialmente scappati: una deportazione che viola le leggi nazionali, europee e internazionali. Il lavoro sporco viene affidato all’alleato turco, ma è l’Europa in prima persona che si rende responsabile del reato di refoulement, dando vita alla mortifera triangolazione dei rimpatri.

Il modo di procedere dell’Unione sarà forse giudicato, un giorno, alla stregua di un crimine. Sarà comunque giudicato come un modo di procedere vano, perché chi prende la via della fuga da guerre e dittature non smetterà di fuggire. Chiusa la rotta balcanica, per forza di cose si sono aperte o riaperte altre vie di fuga: a cominciare dalla rotta del Mediterraneo centrale, che conduce alle coste siciliane e a Lampedusa. Le politiche europee sono al tempo stesso criminogene e del tutto dissennate: non sono i trafficanti a pagarne il prezzo – come si pretende in ripetuti comunicati e come prescritto nel mandato dell’agenzia Frontex ribattezzata Guardia costiera e di frontiera – ma i profughi e l’Europa tutta intera.

L’Europa paga un prezzo alto in termini di prestigio politico e morale, e per questo l’originario progetto unitario viene spezzato. Gli incentivi a restare insieme e solidarizzare diminuiranno, le destre estreme vengono giustamente accusate di razzismo ma sono loro a dettare ormai un’agenda europea sempre più intrisa di sfiducia reciproca e di misantropia. Per l’occasione va ricordato che la Grecia, messa in ginocchio economicamente da sei anni di inane austerità, è stata lasciata sola e senza soldi anche sulla questione rifugiati. Il circolo vizioso è diabolico: se gli hotspot nelle isole greche non sono in grado di accogliere degnamente e registrare i fuggitivi, è perché l’Unione non assiste economicamente lo stremato governo di Atene, con la scusa che i centri di accoglienza e registrazione non sono organizzati e funzionanti come dovrebbero. Gli assalti ai centri da parte dei neonazisti di Alba Dorata sono giudicati alla stregua di inevitabili danni collaterali dal governo greco come dalla governance europea. Lo stesso dicasi per l’afflusso di rifugiati nel secondo Paese di frontiera: l’Italia. Il 3 novembre 2016 è uscito un rapporto di Amnesty International sugli hotspot italiani,[1] che riporta testimonianze di detenzioni arbitrarie, violenze sistemiche, pratiche di tortura usate per costringere migranti e rifugiati a lasciarsi identificare tramite un uso della forza sproporzionato che il diritto interno e internazionale vietano espressamente. Il rapporto è caduto nel silenzio perché il ricorso alla violenza nel prelievo delle impronte digitali è non solo permesso dalle autorità nazionali ed europee, ma addirittura raccomandato. A ciò si aggiungano i muri eretti ai confini tra Grecia e Repubblica ex jugoslava di Macedonia (Idomeni) e il rifiuto di quasi tutti gli Stati Membri dell’Unione (Portogallo escluso) di ricollocare nei propri Paesi i fuggitivi approdati in Grecia o Italia.

Non va trascurata in questo quadro la menzogna che circola nei Paesi dell’Unione a proposito dei rifugiati. Si parla di invasione del nostro continente, di esodo biblico, quando basta studiare le cifre per scoprire l’evidenza: su 65 milioni di rifugiati nel mondo, un milione circa ha raggiunto l’Europa nel 2016. È appena lo 0,2 per cento della sua popolazione. La maggior parte dei rifugiati nel mondo è confinata oggi in Africa, non in Europa, negli Stati Uniti o in Australia.

Vie alternative esistono, per affrontare le indubbie difficoltà connesse all’afflusso di rifugiati e migranti. Occorre aprire corridoi umanitari sicuri e legali, e ammettere una buona volta che trafficanti e mafie da sempre proliferano in situazioni di non legalità, dunque di caos. Occorre immaginare alternative alla gabbia imposta dal Regolamento di Dublino (primo e unico responsabile è il Paese dove approdano i profughi), assistere le nazioni più esposte come Italia e Grecia, non criminalizzare i profughi e le associazioni che cercano di garantire la loro incolumità e il loro diritto a fuggire da Paesi resi invivibili da guerre e devastazioni di cui gli Europei, con l’amministrazione Usa, sono in buona parte responsabili, nell’ “arco del caos” che dall’Africa del Nord si estende fino all’Afghanistan. È significativo e disastroso il fatto che le guerre antiterrorismo degli ultimi quindici anni non vengano mai incluse nella definizione della presente “policrisi”, come cause principali delle fughe di sfollati e richiedenti asilo.

Non per ultimo, occorre mobilitare il pensiero e le azioni adottando una veduta lunga su quel che accade: l’Europa sotto i nostri occhi sta mutando, dobbiamo cominciare a vederla come un nuovo crogiuolo di popoli, sapendo che gran parte dei rifugiati sono destinati a restare con noi per lungo tempo e a divenire i nostri futuri con-cittadini. Non sono in gioco le ideologie, multiculturali o no. È in gioco l’adesione più o meno consapevole al principio di realtà. Si parla di crisi dei migranti, e nella migliore delle ipotesi di crisi dei rifugiati, quando a tutti gli effetti la crisi – o per meglio dire la malattia politica – è delle istituzioni nazionali e di quelle europee. Si parla di failed states in Africa e Medio Oriente, e non ci si accorge che l’Europa nel suo complesso ha sbagliato politiche sino a divenire essa stessa un failed state.

Inutile dare più poteri agli organi sovrannazionali e cercare rifugio nelle tecniche istituzionali, se tutte queste politiche non cambiano. Inutile denunciare gli Stati membri nel tentativo di risparmiare le critiche a istituzioni comuni come la Commissione o la Banca centrale, se non si rimettono in questione le disastrose politiche difese ottusamente e in perfetta sintonia dagli uni come dalle altre. Le istituzioni comuni hanno ormai una loro dinamica autonoma, e hanno irrimediabilmente perso l’innocenza che pretendono di incarnare. Non c’è da meravigliarsi se tanti cittadini europei – come si è visto nel Brexit – si ribellano alla paralisi diffusa delle intelligenze governanti scegliendo come motto unificante il desiderio di “riprendere il controllo” dei propri Stati, delle proprie frontiere, e anche delle proprie democrazie.

26 novembre 2016

[1] Amnesty International, Hotspot Italia: come le politiche dell’Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti, 3 novembre 2016.

Interrogazione scritta sui pericoli dell’accordo UE-Libia

COMUNICATO STAMPA

Bruxelles, 3 febbraio 2017

Barbara Spinelli ha redatto un’interrogazione scritta all’Alto rappresentante e vicepresidente della Commissione Federica Mogherini per chiedere conto dei piani della Commissione sulla cooperaziono con la Libia in materia di migrazione. Il testo dell’interrogazione – diffuso nel Parlamento europeo lo scorso 27 gennaio, alla luce del rapporto della Missione di supporto dell’ONU in Libia (UNSMIL) e dell’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani (OHCHR) – è stato co-firmato ad oggi da quarantuno eurodeputati di vari gruppi politici (PPE, ALDE, Verdi, S&D, EFDD, GUE/NGL) e verrà depositato a breve presso lo stesso Parlamento.

Secondo un rapporto dell’UNSMIL e dell’OHCHR del 13 dicembre 2016, il crollo del sistema giudiziario in Libia ha portato a uno stato di impunità in cui gruppi armati, bande criminali, trafficanti e persino pubblici ufficiali controllano nel modo più illegale il flusso di migranti e richiedenti asilo nel Paese. I migranti sono trattenuti arbitrariamente in centri di detenzione gestiti per lo più dal Dipartimento per la lotta alle Migrazioni Illegali (DCIM), sottoposti a tortura e altri maltrattamenti da parte delle guardie. Le condizioni di detenzione sono degradanti e inumane: i migranti sono sottoposti a detenzione illegale, tortura, uccisione, sfruttamento sessuale e altre violazioni dei diritti umani. L’UNSMIL ha raccolto informazioni attendibili secondo cui membri delle istituzioni statali e funzionari locali hanno preso parte al processo di tratta, allo sfruttamento e alle violenze perpetrate ai danni dei rifugiati.
Alla luce di quanto esposto, in base a quali criteri la Commissione intende cooperare con la Libia, sapendo che secondo le Nazioni Unite non è un Paese sicuro?
L’esternalizzazione delle operazioni di ricerca e soccorso in mare può equivalere a un refoulement de facto?
Qual è la base sostenibile per considerare opportuna la conclusione di un accordo con questo Paese terzo, che non ha ancora una struttura statale stabile e non ha nemmeno firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati?

Qui il testo dell’interrogazione. A causa di problemi con il servizio di registrazione elettronica delle firme, i seguenti eurodeputati che avevano co-firmato l’interrogazione non sono stati registrati: Soraya Post (S&D), Ana Gomes (S&D),Norica Nicolai (ALDE), Rina Ronja Kari (GUE/NGL), Philippe Lamberts (Verdi/ALE), Pascal Durand (Verdi/ALE).

L’inverno della nostra vergogna

Strasburgo, 18 gennaio 2017

Barbara Spinelli (GUE/NGL) è intervenuta nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo in merito alle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione sugli aiuti di emergenza per i rifugiati e i migranti che affrontano condizioni climatiche avverse nei campi profughi europei

Grazie Presidente,

Mi domando quanti richiedenti asilo dovranno morire di freddo, in quest’inverno della nostra vergogna.

Chiedo alla Commissione di ascoltare Amnesty e i Community Leader dei rifugiati a Mòria. Che i migranti nelle isole greche siano spostati verso la terraferma, in luoghi che non siano campi senza elettricità e acqua.

L’accordo UE-Turchia non prevede che i rimpatri avvengano dalle isole, come voluto da Erdogan. In queste condizioni, i rifugiati in Europa non vanno rispediti in Grecia e Italia sulla base del sistema di Dublino.

Diciamoci finalmente che questa non è una crisi dei rifugiati. È la rovina delle nostre politiche d’asilo, di ricollocazione, di riunificazione familiare, di rispetto del diritto alla vita.

Caro Commissario Stylianides, questo inverno così freddo non era imprevedibile.

Con i rifugiati di Mòria, chiedo la fine delle deportazioni in Turchia dei più vulnerabili, e che siano garantite tutte le garanzie procedurali cui i richiedenti hanno diritto.

Waste Land a Calais: la misantropia europea

di mercoledì, Ottobre 5, 2016 0 , , Permalink

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo. Strasburgo, 4 ottobre 2016.

Punto in agenda: Situazione a Calais
Dichiarazione della Commissione

Presenti al dibattito
: Dimitris Avramopoulos – Commissario europeo per le migrazioni, gli affari interni e la cittadinanza

La giungla di Calais, che ho visto, è un Waste Land dove vivono, su 10.000 rifugiati, mille minori non accompagnati. Più della metà potrebbe raggiungere i familiari in Inghilterra: lo prescrive la legge europea. Sia Parigi sia Londra la violano. Solo venti minori hanno potuto avvalersene. Vorrei narrarvi la storia di Raheemullah Oryakhel, 14 anni, afghano, schiacciato giorni fa da un camion a Calais. Voleva raggiungere legalmente il fratello a Manchester.

Perché tanta misantropia? Vi diranno che è perché i candidati all’Eliseo rincorrono Marine Le Pen. Ma c’è un rifiuto più sostanziale: i rifugiati rappresentano lo 0,2 per cento della popolazione europea, eppure è come se non fossimo capaci d’aggiungere un solo tavolo in una mensa di milioni. I bambini li compiangiamo: ma morti, solo in fotografia e possibilmente lontani da noi.

Alimentazione dei minori rifugiati nell’isola di Chios

Interrogazione con richiesta di risposta scritta E-003425/2016
alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Elly Schlein (S&D), Judith Sargentini (Verts/ALE) e Barbara Spinelli (GUE/NGL)

Oggetto: Alimentazione dei minori rifugiati nell’isola di Chios (Grecia)

Secondo un articolo pubblicato sul Guardian del 20 aprile 2016, secondo i termini dell’accordo UE-Turchia sulla migrazione, circa 6 000 migranti e rifugiati sono attualmente detenuti in centri ubicati in isole greche, come Chios e Lesbos, e, in particolare, per quanto riguarda Chios, i rifugiati e le ONG del settore hanno affermato che circa 25 bambini di età inferiore ai sei mesi, le cui madri non sono in grado di allattare al seno, ricevono attualmente circa 100 ml di latte in polvere solo una volta al giorno, in altre parole solo un quarto della razione giornaliera consigliata.

  1. Può dire la Commissione se è a conoscenza delle terribili condizioni in cui vivono i rifugiati, e in particolare i bambini, a Chios?
  2. Può dire, altresì, se è a conoscenza del fatto che, qualora questa informazione dovesse essere confermata, si configurerebbe un caso in cui il trattamento dei rifugiati, e in particolare dei bambini, a Chios non è conforme alla direttiva sull’accoglienza (direttiva 2013/33/UE) o al diritto internazionale?
  3. Cosa intende fare la Commissione per garantire che ai rifugiati, soprattutto alle donne e ai loro figli, siano fornite un’alimentazione e un’assistenza adeguate, sulla base del pieno rispetto dei loro diritti fondamentali?

IT
E-003425/2016

Risposta di Dimitris Avramopoulos
a nome della Commissione

(16.8.2016)

Le dimensioni dell’attuale crisi migratoria mettono alla prova la capacità degli Stati membri, in particolare quelli in prima linea. La Commissione è al corrente della situazione in Grecia e sta operando in stretta collaborazione con le agenzie dell’UE e con le autorità greche per affrontare le esigenze specifiche, in particolare delle persone più vulnerabili. In questo contesto, a metà giugno 2016 i servizi della Commissione hanno effettuato una missione per valutare la situazione dei minori, anche nei punti di crisi. La missione ha visitato il punto di crisi Vial a Chios e il campo dell’UNHCR di Souda.

Il 15 giugno 2016 la Commissione ha adottato la seconda raccomandazione sulle misure specifiche che la Grecia deve attuare per garantire il pieno rispetto delle norme UE sull’asilo e gestire meglio la crisi dei rifugiati[1]. La raccomandazione include, tra l’altro, azioni specifiche che le autorità greche dovranno attuare sul trattamento dei minori non accompagnati e delle persone vulnerabili.

La Commissione sta fornendo un sostegno finanziario alla Grecia, nonché alle organizzazioni internazionali e alle organizzazioni non governative, al fine di gestire la crisi umanitaria e dei rifugiati[2]. Gli interventi umanitari sono conformi al consenso europeo sull’aiuto umanitario e alle relative politiche e approcci dell’UE, inclusi quelli in materia di protezione, minori nelle situazioni di emergenza, sanità, approvvigionamento idrico, servizi igienico-sanitari, ricovero e aiuto alimentare, e sono inoltre conformi ai parametri SPHERE in materia di assistenza umanitaria.

In quanto custode dei trattati, la Commissione controlla attentamente l’applicazione della normativa UE sull’asilo da parte di tutti gli Stati membri, inclusa la Grecia.

[1]     http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/proposal-implementation-package/docs/20160615/commission_recommendation_on_resuming_dublin_transfers_en.pdf

[2]     http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/what-we-do/policies/european-agenda-migration/background-information/docs/factsheet_managing_refugee_crisis_eu_financial_support_greece_update_22_july_en.pdf.

Odysseus Academic Network: buone prassi nell’integrazione dei rifugiati

di martedì, Luglio 12, 2016 0 , Permalink

Intervento di Barbara Spinelli in apertura della Conferenza Refugee voices from the beneficiaries of the “Scholarhip for refugees” programme by the Odysseus Network, da lei organizzata, presso il Parlamento europeo. Bruxelles, 11 luglio 2016.

Introduzione

  • Barbara Spinelli, Eurodeputata gruppo GUE/NGL
  • Philippe De Bruycker, coordinatore dell’Odysseus Academic Network
  • Yazan Rajab, Autore di Nooit meer bang Zijin (Never be Afraid)

Presentazioni degli studenti rifugiati e scambio di opinioni

Tout d’abord, je souhaite remercier le Professeur De Bruycker, notre invité Monsieur Yazan Rajabe et tous les étudiants qui nombreux participent à cette conférence. Cette année, l’Odysseus Academic Network a organisé un appel de fonds pour consentir à 10 étudiants refugiés de prendre part à sa propre Summer School.

Il s’agit d’une expression de solidarité de la part du monde académique que je salue, parce qu’elle va à contre-courant du Zeitgeist qui règne actuellement dans les États de l’Union. Grâce à de pareilles initiatives, les étudiants refugiés pourront apprendre les notions essentielles du droit européen, étudieront le droit l’asile, la protection juridique et l’intégration des refugiés, et pourront se confronter en première personne avec les manquements, les occasions perdues mais aussi les opportunités de la politique européenne d’asile.

Mon jugement sur ces politiques est sévère : par peur de ses propres électeurs, les classes dirigeantes des État membres et des Institutions font un choix non seulement contraire la plupart des fois au droit international, mais aussi perdant en ce qui concerne la cohésion sociale et l’économie car dominé par le court terme, incapable donc de penser et de s’organiser pour le long terme.

On a décidé d’externaliser la politique d’asile, en refoulant en masse les réfugiés qui arrivent en Europe vers des Pays rebaptisés comme sûrs, alors qu’ils sont tout le contraire de cela. Je pense à la Turquie qui arrive jusqu’à refouler les Syriens en zone de guerre ou même à tirer sur eux quand ils essayent d’entrer en territoire turc. Je pense à une série de Pays africains dictatoriaux ou extrêmement instables comme l’Érythrée, le Soudan et la Libye, avec lesquels on veut conclure – et financer – des accords de rapatriement des réfugiés. Il y a pire encore : un rapport publié dans les derniers jours par le Leiden Asia Center démontre qu’il y a des pratiques qui violent d’une manière éclatante le droit européen. Je pense à l’esclavage des travailleurs nord-coréens, géré par des réseaux mafieux, en Pologne mais non seulement : des formes d’esclavage mafieux existent aussi en Italie du Sud.

J’ai mentionné au début les électeurs que les autorités nationales et européennes prétendent tranquilliser avec cette politique de fermeture des frontières. C’est la raison pour laquelle je pense que l’apprentissage de l’État de droit et de nos Constitutions démocratiques est chose précieuse pour les étudiants refugiés, mais que nous aussi, citoyens européens, devrons réapprendre la loi et le droit, si nous ne voulons pas d’un retour de l’Europe à la barbarie du siècle dernier. Rappelons que l’Union a été reconstruite contre le nationalisme ethnique qui par deux fois a précipité le continent dans des guerres mondiales et dans génocides multiples : des juifs et des peuples Rom.

Chaque bonne pratique allant en ce sens sera utile et les initiatives de l’Odysseus Academic Network pourront se transformer en source d’inspiration pour d’autres centres d’étude. Mais l’essentiel demeure le « retour sur soi » et l’autocritique des élites européennes et des populations de l’Union. L’histoire nous enseigne qu’il suffit parfois d’une petite étincelle – l’Odysseus Academic Network en est une – pour mettre fin à ce que Roosevelt considérait le plus grand danger pour la démocratie, en temps de crise économique et de récession : la peur de la peur.