Il caso di Raif Badawi: proposta di risoluzione comune sull’Arabia Saudita

Il Parlamento ha adottato lo scorso 12 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sull’Arabia Saudita e, più precisamente, sul caso di Raif Badawi con 460 voti a favore, 153 contro e 29 astensioni.

Raif Badawi, blogger e attivista dei diritti umani, è stato accusato di apostasia e condannato dal tribunale penale di Jeddah, nel maggio 2014, a 10 anni di carcere, 1 000 frustate e a una sanzione pecuniaria di 1 milione di SAR (228 000 EUR) dopo aver creato il sito web “Free Saudi Liberals”, uno spazio di discussione sociale, politica e religiosa considerato un insulto all’Islam; che la condanna prevede altresì il divieto per Raif Badawi di utilizzare qualsiasi mezzo d’informazione e di viaggiare al di fuori del paese per 10 anni dopo la sua scarcerazione.

 Il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto la prima serie di 50 frustate di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda e ha riportato ferite tanto profonde che, quando è stato trasportato alla clinica del carcere per essere sottoposto a un controllo medico, i dottori hanno constatato che non avrebbe potuto sopportare un’altra serie di frustate.

Ho dunque co-firmato questa risoluzione comune che condanna con fermezza la fustigazione di Raif Badawi e invita le autorità dell’Arabia Saudita a porre fine a ulteriori fustigazioni di Raif Badawi e a procedere al suo rilascio immediato e incondizionato. La risoluzione inoltre invita le autorità dell’Arabia Saudita a rilasciare senza condizioni l’avvocato di Raif Badawi, nonché tutti i difensori dei diritti umani e gli altri prigionieri di coscienza detenuti e condannati solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e condanna fermamente ogni forma di punizione corporale, in quanto trattamento inaccettabile e degradante, lesivo della dignità umana;

Oltre a questa risoluzione, il 4 Febbraio ho co-firmato un’interrogazione scritta rivolta a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, nella quale con 32 colleghi del GUE/NGL, Verdi, ALDE, S&D, prendendo esempio dal caso di Raif Badawi, le chiediamo quali misure preveda di adottare per esercitare pressioni sull’Arabia Saudita in merito all’umanizzazione del suo diritto penale. L’articolo 3 paragrafo 5 del Trattato sull’Unione Europea precisa infatti che “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi, contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, alla sicurezza, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite.”

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo, –   viste le sue precedenti risoluzioni sull’Arabia Saudita, in particolare quelle concernenti i diritti umani e, segnatamente, la risoluzione dell’11 marzo 2014 sull’Arabia Saudita, le sue relazioni con l’UE e il suo ruolo in Medio Oriente e Nord Africa(1)–   vista la dichiarazione del portavoce del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, del 9 gennaio 2015,

–   vista la dichiarazione dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Ra’ad Al Hussein, che fa appello alle autorità saudite affinché sospendano la punizione di Raif Badawi,

–   visti l’articolo 18 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e l’articolo 19 del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966,

–   vista la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti,

–   vista la Carta araba dei diritti dell’uomo, ratificata dall’Arabia saudita nel 2009, il cui articolo 32, paragrafo 1, garantisce il diritto all’informazione e la libertà di opinione e di espressione, e il cui articolo 8 vieta la tortura fisica o psicologica e ogni trattamento crudele, degradante, umiliante o disumano,

–   visti gli orientamenti dell’Unione europea sulla tortura e altri maltrattamenti e gli orientamenti sui difensori dei diritti umani,

–   visti l’articolo 135, paragrafo 5, e l’articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che Raif Badawi, blogger e attivista dei diritti umani, è stato accusato di apostasia e condannato dal tribunale penale di Jeddah, nel maggio 2014, a 10 anni di carcere, 1 000 frustate e a una sanzione pecuniaria di 1 milione di SAR (228 000 EUR) dopo aver creato il sito web “Free Saudi Liberals”, uno spazio di discussione sociale, politica e religiosa considerato un insulto all’Islam; che la condanna prevede altresì il divieto per Raif Badawi di utilizzare qualsiasi mezzo d’informazione e di viaggiare al di fuori del paese per 10 anni dopo la sua scarcerazione;

B. considerando che il 9 gennaio 2015 Raif Badawi ha ricevuto la prima serie di 50 frustate di fronte alla moschea di al-Jafali a Gedda e ha riportato ferite tanto profonde che, quando è stato trasportato alla clinica del carcere per essere sottoposto a un controllo medico, i dottori hanno constatato che non avrebbe potuto sopportare un’altra serie di frustate;

C. considerando che le sentenze giudiziarie che impongono punizioni corporali, inclusa la fustigazione, sono rigorosamente vietate dal diritto internazionale in materia di diritti umani, compresa la convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, che l’Arabia Saudita ha ratificato;

D. considerando che il 6 luglio 2014 l’avvocato di Raif Badawi e attivista di primo piano nella difesa dei diritti umani, Waleed Abu al-Khair, è stato condannato dal tribunale penale specializzato a 15 anni di carcere, seguiti da un divieto di viaggio per altri 15 anni, dopo aver costituito l’organizzazione per i diritti umani “Monitor of Human Rights in Saudi Arabia”;

E. considerando che quello di Raif Badawi è uno dei numerosi casi in cui sono state applicate condanne severe ed esercitate vessazioni nei confronti degli attivisti dei diritti umani sauditi e di altri promotori delle riforme perseguiti per aver espresso le loro opinioni, molti dei quali sono stati condannati nell’ambito di procedimenti non conformi alle norme internazionali in materia di giusto processo, come confermato dall’ex Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani nel luglio 2014;

F. considerando che l’Arabia Saudita vanta una vivace comunità di attivisti online e il più alto numero di utenti di Twitter in Medio Oriente; che tuttavia Internet è sottoposto a una pesante censura e che migliaia di siti web sono bloccati e i nuovi blog e siti web necessitano di una licenza del ministero dell’Informazione; che l’Arabia Saudita figura nell’elenco dei “Nemici di Internet” di Reporter senza frontiere in ragione della censura dei media sauditi e di Internet e delle punizioni inflitte a chi critica il governo o la religione;

G. considerando che la libertà di espressione e la libertà di stampa e dei mezzi d’informazione, sia online che offline, sono requisiti indispensabili e catalizzatori cruciali della democratizzazione e delle riforme e costituiscono controlli essenziali del potere;

H. considerando che, nonostante l’introduzione di caute riforme durante il governo del defunto re Abdullah, il sistema politico e sociale saudita rimane profondamente antidemocratico, rende le donne e i musulmani sciiti cittadini di seconda classe, discrimina gravemente la nutrita forza lavoro straniera presente nel paese e reprime duramente ogni voce di dissenso;

I.   considerando che il numero e la frequenza delle esecuzioni sono motivo di grave preoccupazione; che nel 2014 sono state giustiziate oltre 87 persone, la maggior parte delle quali è stata decapitata pubblicamente; che dall’inizio del 2015 sono state giustiziate almeno 21 persone; che, stando alle notizie, tra il 2007 e il 2012 avrebbero avuto luogo 423 esecuzioni; che la pena di morte può essere imposta per un’ampia serie di reati;

J.   considerando che il Regno dell’Arabia Saudita è un attore politico, economico, culturale e religioso influente in Medio Oriente e nel mondo islamico nonché un fondatore e membro di primo piano del Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG) e del G20;

K. considerando che nel novembre 2013 l’Arabia Saudita è stata eletta membro del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani per un periodo di tre anni;

L. considerando che il cosiddetto Stato islamico e l’Arabia Saudita prevedono punizioni pressoché identiche per una moltitudine di reati, tra cui la pena di morte in caso di blasfemia, omicidio, atti omosessuali, furto o tradimento, la lapidazione a seguito di adulterio e l’amputazione di mani e piedi in caso di banditismo;

M. considerando che l’Arabia Saudita svolge un ruolo di primo piano nel finanziamento, nella diffusione e nella promozione a livello mondiale di un’interpretazione dell’Islam particolarmente estremista; che la visione alquanto settaria dell’Islam è stata fonte di ispirazione per organizzazioni terroristiche quali il cosiddetto Stato islamico e al-Qaeda;

N. considerando che le autorità saudite affermano di essere un partner degli Stati membri dell’Unione, in particolare nel quadro della lotta mondiale al terrorismo; che una nuova legge antiterrorismo, adottata nel gennaio 2014, contiene disposizioni che consentono di interpretare ogni espressione di dissenso o associazione indipendente come un reato di stampo terroristico;

1. condanna con fermezza la fustigazione di Raif Badawi quale atto crudele e scioccante per mano delle autorità saudite; invita le autorità dell’Arabia Saudita a porre fine a ulteriori fustigazioni di Raif Badawi e a procedere al suo rilascio immediato e incondizionato, dal momento che è considerato un prigioniero di coscienza, detenuto e condannato unicamente per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione; invita le autorità saudite a provvedere all’annullamento del suo verdetto di colpevolezza e della sua condanna, ivi compreso il divieto di viaggio;

2. sollecita le autorità saudite a garantire che Raif Badawi sia tutelato dalla tortura e da altre forme di maltrattamento, riceva tutte le cure mediche eventualmente necessarie e abbia contatti immediati e regolari con la sua famiglia e gli avvocati di sua scelta;

3. invita le autorità dell’Arabia Saudita a rilasciare senza condizioni l’avvocato di Raif Badawi, nonché tutti i difensori dei diritti umani e gli altri prigionieri di coscienza detenuti e condannati solo per aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione;

4. condanna fermamente ogni forma di punizione corporale, in quanto trattamento inaccettabile e degradante, lesivo della dignità umana; esprime preoccupazione circa il ricorso alla fustigazione da parte degli Stati e ne chiede con forza l’assoluta abolizione; invita le autorità saudite a rispettare la proibizione della tortura in quanto sancita nello specifico dalla convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, firmata e ratificata dall’Arabia Saudita; invita l’Arabia Saudita a firmare il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici;

5. pone l’accento sul processo di riforma del sistema giudiziario avviato dall’Arabia Saudita al fine di rafforzare la possibilità di una migliore tutela dei diritti individuali, ma resta seriamente preoccupato per la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, che continua ad essere considerato uno dei paesi più repressivi al mondo; ritiene che il caso di Raif Badawi sia un simbolo dell’attacco alla libertà di espressione e di dissenso pacifico nel paese e, più in generale, delle politiche distintive del Regno dell’Arabia Saudita improntate all’intolleranza e all’interpretazione estremista della legge islamica;

6. esorta le autorità saudite ad abolire il tribulane penale specializzato istituito nel 2008 con l’obiettivo di giudicare i casi di terrorismo, ma sempre più spesso usato per perseguire i dissidenti pacifici con accuse, a quanto pare, di matrice politica nell’ambito di procedimenti che violano il diritto fondamentale a un giusto processo;

7. invita le autorità saudite a consentire l’indipendenza della stampa e dei media e a garantire la libertà di espressione, associazione e riunione pacifica per tutti i cittadini del paese; condanna la repressione degli attivisti e dei dimostranti che manifestano pacificamente; sottolinea che la difesa pacifica dei diritti giuridici fondamentali o la formulazione di osservazioni critiche tramite i social media sono espressioni di un diritto indispensabile;

8. rammenta alla leadership saudita l’impegno di “mantenere i più elevati standard di promozione e tutela dei diritti umani”, assunto nel 2013 in occasione della presentazione della domanda di adesione al Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha avuto esito positivo;

9. ritiene che l’Arabia Saudita sarebbe un partner più credibile ed efficace nella lotta contro le organizzazioni terroristiche, come il cosiddetto Stato islamico e al Qaeda, se non applicasse pratiche anacronistiche ed estremiste quali decapitazioni pubbliche, lapidazioni e altre forme di tortura analoghe a quelle commesse dall’IS;

10. invita il Servizio europeo per l’azione esterna e la Commissione a sostenere, in modo attivo e creativo, i gruppi della società civile e le persone che difendono i diritti umani in Arabia Saudita, anche organizzando visite nelle carceri, monitorando i processi e rilasciando dichiarazioni pubbliche;

11. incarica la sua delegazione per le relazioni con la penisola arabica di sollevare il caso di Raif Badawi e degli altri prigionieri di coscienza durante la sua prossima visita in Arabia Saudita e di riferire successivamente alla sottocommissione per i diritti dell’uomo;

12. invita l’UE e i suoi Stati membri a riconsiderare il loro rapporto con l’Arabia Saudita in modo tale da garantire il perseguimento dei propri interessi economici, energetici e di sicurezza, senza tuttavia compromettere la credibilità dei suoi principali impegni in materia di diritti umani;

13. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al Servizio europeo per l’azione esterna, al Segretario generale delle Nazioni Unite, all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, a Sua Maestà il Re Salman bin Abdulaziz, al governo del Regno dell’Arabia Saudita, nonché al segretario generale del Centro per il dialogo nazionale del Regno dell’Arabia Saudita.

Relazione del Senato USA sul ricorso alla tortura da parte della CIA: proposta di risoluzione comune

Il Parlamento ha adottato lo scorso 11 febbraio 2015 la proposta di risoluzione comune sulla relazione del Senato USA sul ricorso alla tortura da parte della CIA con 363 voti a favore, 290 contro e 48 astensioni.

Ho co-firmato e votato a favore di questa importante risoluzione che riconosce, fra l’altro, la sentenza del tribunale italiano che ha condannato in contumacia 26 cittadini americani (tra cui un ufficiale dell’Aeronautica e 25 della Cia – 5 erano diplomatici cui è stata negata qualsiasi immunità), e due agenti italiani per il loro coinvolgimento, nel 2003, nel sequestro dell’imam di Milano, Abu Omar, grazie alle indagini condotte dai procuratori aggiunti Armando Spataro e Ferdinando Enrico Pomarici.

La risoluzione, inoltre, incarica la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), in associazione con la commissione per gli affari esteri (AFET) e, in particolare, la sottocommissione per i diritti dell’uomo (DROI), di riprendere l’indagine sui “presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA” e di riferire in merito all’Aula del Parlamento entro un anno (Paragrafo 8 della Risoluzione).

La risoluzione, inoltre, incarica la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE), in associazione con la commissione per gli affari esteri (AFET) e, in particolare, la sottocommissione per i diritti dell’uomo (DROI), di riprendere l’indagine sui “presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA” e di riferire in merito all’Aula del Parlamento entro un anno (Paragrafo 8 della Risoluzione).

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo,

–  visto il trattato sull’Unione europea (TUE), in particolare gli articoli 2, 3, 4, 6, 7 e 21,

– vista la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in particolare gli articoli 1, 2, 3, 4, 18 e 19,

– vista la Convenzione europea sui diritti dell’uomo e i relativi protocolli,

– visti i pertinenti strumenti delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, in particolare il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 16 dicembre 1966, la convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti del 10 dicembre 1984 e i relativi protocolli nonché la convenzione internazionale per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate del 20 dicembre 2006,

– viste le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo nelle cause al-Nashiri contro Polonia, Abu Zubaydah contro Lituania, Husayn (Abu Zubaydah) contro Polonia, El-Masri contro ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Nasr e Ghali contro Italia, e al-Nashiri contro Romania,

– vista la sentenza del tribunale italiano che ha condannato in contumacia 22 agenti della CIA, un pilota dell’aeronautica e due agenti italiani per il loro coinvolgimento, nel 2003, nel sequestro dell’imam di Milano, Abu Omar,

– vista la sua risoluzione del 6 luglio 2006 sul presunto utilizzo di paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di persone, adottata in una fase intermedia dei lavori della commissione temporanea(1),

– vista la sua risoluzione del 14 febbraio 2007 sul presunto uso dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri(2),

– vista la sua risoluzione dell’11 settembre 2012 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA: seguito della relazione della commissione TDIP del Parlamento europeo(3),

– vista la sua risoluzione del 10 ottobre 2013 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA(4),

– visto lo studio della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti sul programma di detenzione e interrogatori della CIA e il suo ricorso a varie forme di tortura sui detenuti tra il 2001 e il 2006,

– viste le sue risoluzioni su Guantánamo, compresa la più recente, del 23 maggio 2013, su Guantánamo: sciopero della fame dei prigionieri(5),

– viste le conclusioni del Consiglio sui diritti fondamentali e lo Stato di diritto e sulla relazione della Commissione del 2013 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Lussemburgo, 5 e 6 giugno 2014),

– vista la sua risoluzione del 27 febbraio 2014 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea (2012)(6),

– vista la comunicazione della Commissione, del 19 marzo 2014, intitolata “Un nuovo quadro dell’UE per rafforzare lo Stato di diritto” (COM(2014)0158),

– vista la relazione della Commissione, del 3 febbraio 2014, intitolata “Relazione dell’Unione sulla lotta alla corruzione” (COM(2014)0038),

– vista la sua risoluzione del 12 marzo 2014 sul programma di sorveglianza dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, sugli organi di sorveglianza in diversi Stati membri e sul loro impatto sui diritti fondamentali dei cittadini dell’UE, e sulla cooperazione transatlantica nel campo della giustizia e degli affari interni(7),

– vista la direttiva 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio,

– visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che il rispetto dei diritti fondamentali e dello Stato di diritto è un elemento essenziale di politiche antiterrorismo efficaci;

B. considerando che il Parlamento ha ripetutamente condannato il programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA, che ha comportato molteplici violazioni dei diritti umani, compresi l’uso della tortura e di altri trattamenti disumani o degradanti, sequestri, detenzioni segrete, detenzioni senza processo, nonché violazioni del principio di non respingimento;

C. considerando che, nonostante la loro peculiare natura, le politiche di sicurezza nazionale e antiterrorismo non sono esenti dal principio di responsabilità e che le violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani non possono restare impunite;

D. considerando che l’assunzione di responsabilità in relazione alle consegne straordinarie, ai sequestri, alle detenzioni segrete illegali e alla tortura è essenziale per proteggere e promuovere efficacemente i diritti umani nelle politiche interne ed esterne dell’UE e assicurare politiche di sicurezza legittime ed efficaci fondate sullo Stato di diritto;

E. considerando che il Parlamento ha più volte ribadito la necessità di indagini a tutto campo sulla collaborazione degli Stati membri al programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA;

E. considerando che il precedente Parlamento, nella sua risoluzione del 10 ottobre 2013(8), invita l’attuale Parlamento a proseguire nell’adempimento ed esecuzione del mandato conferitogli dalla commissione temporanea sul presunto utilizzo dei paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri e, di conseguenza, ad assicurare che sia dato seguito alle sue raccomandazioni, a esaminare i nuovi elementi che possono emergere, nonché a utilizzare appieno e sviluppare ulteriormente i propri diritti d’inchiesta;

G. considerando che la relazione della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell’UE, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull’offerta di ingenti somme di denaro da parte della CIA in cambio della loro collaborazione;

H. considerando che la relazione della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti confuta le dichiarazioni della CIA secondo cui grazie alla tortura sarebbero state rivelate informazioni che non sarebbe stato possibile ottenere mediante tecniche di interrogatorio tradizionali e non violente;

I. considerando che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si era impegnato a chiudere entro gennaio 2010 Guantánamo Bay, una struttura nella quale sono detenute 122 persone che non sono state formalmente accusate dinanzi a un tribunale penale, inclusi 54 detenuti che hanno ufficialmente ottenuto l’autorizzazione al rilascio;

1. si compiace della decisione della commissione ad hoc del Senato degli Stati Uniti per i servizi segreti di pubblicare una sintesi della sua relazione sul programma di detenzioni e interrogatori della CIA; incoraggia la pubblicazione integrale della relazione, senza eccessive e inutili revisioni;

2. esprime il suo orrore e la sua ferma condanna per le raccapriccianti pratiche di interrogatorio che hanno caratterizzato tali operazioni antiterroristiche illegali; sottolinea la conclusione fondamentale del Senato degli Stati Uniti, secondo cui i metodi violenti applicati dalla CIA non hanno permesso di ottenere le informazioni necessarie a prevenire nuovi attacchi terroristici; ribadisce la sua condanna assoluta della tortura;

3. ritiene che il clima di impunità concernente il programma della CIA abbia favorito il protrarsi delle violazioni dei diritti fondamentali, come evidenziato anche dai programmi di sorveglianza di massa dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e dai servizi segreti di vari Stati membri dell’UE;

4. invita gli Stati Uniti a indagare sulle molteplici violazioni dei diritti umani causate dai programmi di consegne straordinarie e detenzioni segrete della CIA e a perseguirne gli autori, nonché a cooperare con tutte le richieste degli Stati membri dell’UE in materia di informazione, estradizione o mezzi di ricorso efficaci per le vittime in relazione al programma della CIA;

5. ribadisce il suo invito agli Stati membri affinché indaghino sulla presunta esistenza, sul loro territorio, di prigioni segrete che avrebbero ospitato detenuti nell’ambito del programma della CIA e affinché perseguano le persone coinvolte in tali operazioni, tenendo conto di tutti i nuovi elementi di prova emersi;

6. esprime preoccupazione in merito agli ostacoli posti alle indagini parlamentari e giudiziarie a livello nazionale relative al coinvolgimento di alcuni Stati membri nel programma della CIA, all’abuso del segreto di Stato e all’indebita classificazione di documenti, con la conseguente cessazione dei procedimenti penali e l’impunità di fatto dei responsabili delle violazioni dei diritti umani;

7. chiede l’adozione di una strategia interna dell’UE sui diritti fondamentali e invita la Commissione a proporre l’adozione di tale strategia e di un relativo piano d’azione;

8. incarica la commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, in associazione con la commissione per gli affari esteri e, in particolare, la sottocommissione per i diritti dell’uomo, di riprendere l’indagine sui “presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA” e di riferire in merito all’Aula entro un anno:

– dando seguito alle raccomandazioni formulate nella sua risoluzione dell’11 settembre 2012 sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA: seguito della relazione della commissione TDIP del Parlamento europeo(9),

– facilitando e sostenendo l’assistenza giuridica e la cooperazione giudiziaria reciproche nel rispetto dei diritti umani tra le autorità responsabili delle indagini nonché la cooperazione tra gli avvocati coinvolti nella determinazione delle responsabilità negli Stati membri;

– organizzando un’audizione alla quale partecipino i parlamenti nazionali e i professionisti per fare un bilancio di tutte le inchieste parlamentari e giudiziarie passate e in corso;

– organizzando una missione d’inchiesta parlamentare che coinvolga tutti i gruppi politici interessati degli Stati membri dell’UE che presumibilmente ospitavano siti di detenzione segreta;

– raccogliendo tutte le informazioni e gli elementi di prova pertinenti su possibili tangenti o altri atti di corruzione in relazione al programma della CIA;

9. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio e alla Commissione nonché ai governi e ai parlamenti degli Stati membri.

 

Proposta di risoluzione comune sul Pakistan

Il Parlamento ha adottato lo scorso 15 gennaio 2015 la proposta di risoluzione comune (presentata da PPE, GUE/NGL, ALDE, S&D ) sul Pakistan, in particolare la situazione in seguito all’attacco alla scuola di Peshawar. Come vuole la procedura della plenaria, vista l’adozione della risoluzione comune, le risoluzioni singole del gruppo sono tutte cadute senza essere sottoposte al voto.

Ho dunque co-firmato la risoluzione del mio gruppo e votato a favore della risoluzione comune.

La risoluzione adottata dal Parlamento Europeo innanzitutto condanna con forza il brutale massacro degli studenti, perpetrato dal gruppo scissionista di talebani pakistani Tehreek-e-Taliban (TTP), come un atto orribile e codardo ed esprime il suo cordoglio alle famiglie delle vittime dell’attacco della scuola di Peshawar e il suo sostegno ai cittadini e alle autorità del Pakistan. La risoluzione invita inoltre il governo pakistano a garantire la sicurezza nelle scuole e ad assicurarsi che i bambini, indipendentemente dal genere, non subiscano alcuna intimidazione nel recarsi a scuola e ritiene che il governo debba dar prova di una determinazione molto maggiore e intensificare i suoi sforzi per arrestare e processare i militanti del TTP e altri militanti che prendono di mira le scuole per atti di violenza.

Ho appoggiato questa risoluzione anche perché in essa il Parlamento europeo ricorda la sua costante opposizione alla pena di morte in qualsiasi circostanza e sollecita il governo pakistano a rispettare gli accordi internazionali ratificati di recente in materia di diritti umani, incluso il Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, che obbliga le autorità a garantire processi di base equi e vieta loro di ricorrere a tribunali militari per processare i civili quando i tribunali regolari sono funzionanti.

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo,– viste le sue precedenti risoluzioni sul Pakistan, in particolare quelle del 27 novembre 2014(1), del 17 aprile 2014(2), del 10 ottobre 2013(3) e del 17 febbraio 2013,

– vista le dichiarazioni del Presidente del Parlamento europeo del 16 dicembre e dei presidenti della sottocommissione per i diritti dell’uomo e della delegazione per le relazioni con l’Asia meridionale del 17 dicembre 2014,

– viste la dichiarazione del vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza sull’attacco contro una scuola a Peshawar, Pakistan, del 16 dicembre 2014, la dichiarazione dell’UE a livello locale sulla ripresa delle esecuzioni in Pakistan del 24 dicembre 2014 e il comunicato stampa sulla visita del rappresentante speciale dell’Unione europea per i diritti umani in Pakistan del 29 ottobre 2014,

– vista la dichiarazione del Premio Nobel per la pace e vincitrice del premio Sacharov Malala Yousafzai del 16 dicembre 2014,

– visto l’accordo di cooperazione tra il Pakistan e l’Unione europea, il piano d’impegno quinquennale, il dialogo strategico UE-Pakistan e il regime SPG+ di preferenze commerciali,

– viste le dichiarazioni dell’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani del 16 dicembre 2014 e del comitato dell’ONU sui diritti dell’infanzia sull’attacco terroristico contro una scuola a Peshawar del 17 dicembre 2014,

– vista la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948,

– vista la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia del 1989,

– viste le conclusioni del Consiglio del 16 novembre 2009 sulla libertà di religione o di credo, in cui il Consiglio sottolinea l’importanza strategica di tale libertà e di lottare contro l’intolleranza religiosa,

– vista la relazione del 5 agosto 2011 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del Relatore speciale dell’ONU sul diritto all’istruzione sulla tutela dell’istruzione durante le emergenze,

– vista la sua risoluzione del 12 marzo 2014 sul ruolo regionale e le relazioni politiche del Pakistan con l’UE(4),

– visto il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966, di cui il Pakistan è firmatario,

– visti l’articolo 135, paragrafo 5, e l’articolo 123, paragrafo 4, del suo regolamento,

A. considerando che il 16 dicembre 2014, sette uomini armati hanno sferrato un attacco mortale contro una scuola pubblica dell’esercito nella città di Peshawar – che è circondata su tre lati dalle aree tribali ad amministrazione federale (FATA) – uccidendo più di 140 persone, tra cui 134 studenti e ferendone quasi altrettanti;

B. considerando che l’attacco ha provocato forte shock all’interno e all’esterno del Pakistan, ed è considerato come il più crudele atto terroristico della storia del paese, tanto più che ci sono volute otto ore prima che i militari riprendessero il controllo della scuola; considerando che molte persone, tra alunni e personale scolastico, sono state uccise o ferite in quell’intervallo e i sopravvissuti alla tragedia sono rimasti profondamente traumatizzati;

C. considerando che Malala Yousafzai, la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la pace e del premio Sacharov, è stata colpita alla testa da un colpo sparato da un talebano nell’ottobre 2012 per aver difeso il diritto delle ragazze all’istruzione in Pakistan;

D. considerando che il gruppo Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP) ha rivendicato la responsabilità del massacro e ha dichiarato che uno degli obiettivi dell’attacco alla scuola era di inviare un messaggio forte ai sostenitori di Malala, la quale difende il diritto all’istruzione delle donne e dei bambini, nonché di “vendicarsi” della campagna dell’esercito contro i militanti;

E. considerando che dall’inizio dell’offensiva del governo contro i talebani e altri gruppi militanti nella zona tribale ad amministrazione federale (FATA), una delle aree più povere del Pakistan, oltre un milione di persone è stato sfollato verso l’Afghanistan o diverse parti del Pakistan;

F. considerando che la libertà di credo e di religione in Pakistan è minacciata sia dalla violenza terroristica sia dalle diffuse violazioni delle leggi sulla blasfemia; considerando che le donne e le ragazze sono doppiamente esposte sia alla conversione forzata sia alle diffuse violenze sessuali;

G. considerando che secondo la relazione della Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA, coalizione globale per proteggere l’istruzione dagli attacchi) dal 2009 al 2012 vi sono stati oltre 800 attacchi contro scuole in Pakistan; considerando che i militanti hanno reclutato anche bambini da scuole e madrasse, alcuni di essi per diventare terroristi suicidi; considerando che, secondo la relazione, almeno trenta bambini e decine di insegnanti e altro personale scolastico, incluso un ministro provinciale dell’istruzione, sono stati uccisi in attacchi contro scuole e trasporti scolastici tra il 2009 e il 2012;

H. considerando che il comitato dell’ONU sui diritti dell’infanzia ha suggerito che il Pakistan istituisca un sistema di risposta rapida per reagire contro gli attacchi agli istituti di istruzione, al fine di ristrutturarli e ricostruirli rapidamente e sostituire il materiale scolastico in modo che gli studenti possano essere reintegrati nelle scuole o nelle università nel più breve tempo possibile; considerando che recenti modifiche alla Costituzione hanno introdotto il diritto all’istruzione gratuita e obbligatoria come diritto fondamentale;

I. considerando che alcune ore dopo l’attacco alla scuola pubblica militare di Peshawar, il primo ministro Nawaz Sharif ha sospeso la moratoria della pena di morte che era in vigore da sei anni; considerando che finora numerosi detenuti condannati a morte con accuse di terrorismo sono stati giustiziati; considerando che secondo funzionari pakistani 500 condannati potrebbero essere giustiziati nelle prossime settimane; considerando che secondo le stime in Pakistan 8 000 persone si troverebbero nel braccio della morte;

J. considerando che il 6 gennaio 2015, in reazione al massacro della scuola, il parlamento pakistano ha adottato un emendamento alla Costituzione che autorizza i tribunali militari nei prossimi due anni a processare le persone sospettate di militare in gruppi islamisti e potrebbe far sì che gli accusati passino dall’arresto all’esecuzione nel giro di alcune settimane; considerando che, in quanto parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR), il Pakistan è tenuto a sostenere e adottare misure atte a garantire processi di base equi e non può fare ricorso a tribunali militari per processare i civili quando i tribunali regolari sono funzionanti;

K. considerando che il Pakistan ha recentemente ratificato sette dei nove accordi internazionali più significativi in materia di diritti umani, incluso il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e la Convenzione della Nazioni Unite contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani e degradanti, che contengono una serie di disposizioni relative all’amministrazione della giustizia, al diritto a un processo equo, all’uguaglianza di fronte alla legge e alla non discriminazione;

L. considerando che le raccomandazioni del relatore speciale delle Nazioni Unite sull’indipendenza dei giudici e degli avvocati nella sua relazione del 4 aprile 2013 riguardano tra le altre cose la riforma del sistema giuridico al fine di garantire la difesa dei diritti fondamentali e l’efficacia del sistema; considerando che le organizzazioni dei diritti umani richiamano regolarmente l’attenzione sulla corruzione nel sistema giudiziario;

M. considerando che l’UE e il Pakistan hanno approfondito e ampliato i loro legami bilaterali, come testimoniato dal piano d’impegno quinquennale, lanciato nel febbraio 2012, e dal secondo dialogo strategico UE-Pakistan, tenutosi nel marzo 2014; considerando che l’obiettivo del piano d’impegno quinquennale UE-Pakistan è di instaurare una relazione strategica e creare un partenariato per la pace e lo sviluppo fondato su valori e principi condivisi;

N. considerando che la stabilità del Pakistan riveste un’importanza fondamentale per la pace nell’Asia meridionale e oltre; considerando che il Pakistan svolge un ruolo importante nel promuovere la stabilità nella regione e potrebbe essere chiamato a dare l’esempio nel rafforzare lo Stato di diritto e i diritti umani;

1. condanna con forza il brutale massacro degli studenti, perpetrato dal gruppo scissionista di talebani pakistani Tehreek-e-Taliban (TTP), come un atto orribile e codardo ed esprime il suo cordoglio alle famiglie delle vittime dell’attacco della scuola di Peshawar ed il suo sostegno ai cittadini e alle autorità del Pakistan;

2. esprime il suo pieno impegno volto a combattere la minaccia rappresentata dal terrorismo e dall’estremismo religioso e la sua disponibilità ad assistere ulteriormente il governo pakistano in questa lotta;

3. si aspetta che il governo pakistano adotti misure urgenti ed efficaci, in linea con le norme sullo Stato di diritto riconosciute a livello internazionale, per affrontare la minaccia contro la sicurezza rappresentata dai gruppi di militanti attivi all’interno del Pakistan e nella regione circostante, senza eccezioni; sottolinea che le autorità non dovrebbe sostenere alcuna forma di terrorismo o estremismo;

4. invita il governo pakistano a garantire la sicurezza nelle scuole e ad assicurarsi che i bambini, indipendentemente dal genere, non subiscano alcuna intimidazione nel recarsi a scuola; ritiene che il governo debba dar prova di una determinazione molto maggiore ed intensificare i suoi sforzi per arrestare e processare i militanti del TTP e altri militanti che prendono di mira le scuole per atti di violenza, poiché, se non lo farà, la sua credibilità internazionale sarà compromessa;

5. ricorda la sua costante opposizione alla pena di morte in qualsiasi circostanza; si rammarica della decisione del primo ministro pakistano Nawaz Sharif di abrogare una moratoria non ufficiale in vigore da quattro anni della pena capitale, e chiede che tale moratoria sia immediatamente ripristinata;

6. chiede al governo pakistano di riservare le leggi antiterrorismo ad atti di terrore, invece di usarle per i processi di cause penali ordinarie; deplora fortemente il ricorso ad una giustizia militare sommaria che non presenta le condizioni minime delle norme internazionali dello Stato di diritto, e sottolinea che il mantenimento della concessione delle preferenze SPG+ è subordinato al rispetto di alcune norme di base sancite dalle convenzioni dell’ONU e dell’OIL;

7. accoglie con favore la volontà dei partiti politici pakistani di presentare un piano nazionale di lotta contro il terrorismo; sottolinea che per lottare contro il terrorismo e l’estremismo religioso è essenziale lavorare sulle cause che ne sono alla base, anche riducendo la povertà, assicurando la tolleranza religiosa e la libertà di credo, rafforzando lo Stato di diritto e garantendo il diritto e l’accesso sicuro all’istruzione per le bambine e i bambini; chiede una strategia a lungo termine per prevenire la radicalizzazione dei giovani in Pakistan e lottare contro la “vasta crisi dell’istruzione” che secondo l’UNESCO colpisce il Pakistan, in particolare aumentando gli investimenti in un sistema scolastico finanziato con fondi pubblici e assicurandosi che le scuole religiose dispongano del materiale necessario al fine di fornire ai giovani un’istruzione equilibrata ed esaustiva;

8. sollecita il governo pakistano a rispettare gli accordi internazionali ratificati di recente in materia di diritti umani, incluso il Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, che obbliga le autorità a garantire processi equi di base e vieta loro di ricorrere a tribunali militari per processare i civili quando i tribunali regolari sono funzionanti;

9. chiede un impegno internazionale rinnovato per lottare contro il finanziamento e il sostegno delle reti terroristiche;

10. invita la Commissione, l’alto rappresentante/vicepresidente Federica Mogherini, il Servizio europeo per l’azione esterna e il Consiglio ad impegnarsi appieno al fine di far fronte alla minaccia rappresentata dal terrorismo ed assistere ulteriormente il governo pakistano e il popolo del Pakistan a proseguire i loro sforzi per eliminare il terrorismo;

11. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, al rappresentante speciale dell’Unione europea per i diritti umani, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Segretario generale delle Nazioni Unite, al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, nonché al governo e al parlamento del Pakistan.

Ecco il testo della risoluzione GUE/NGL in francese.

Evidenziato in verde un emendamento da me proposto (non ripreso dalla mozione comune e dunque non sottoposto al voto del Parlamento Europeo).

Le Parlement européen,– vu la Déclaration universelle des droits de l’Homme,

– vu ses précédentes résolutions sur le Pakistan, et notamment celle de novembre 2014 sur les lois sur le blasphème et la peine de mort et celle d’octobre 2012 sur la discrimination contre les filles au Pakistan, en particulier le cas de Malala Yousafzai,

– vu le Pacte international relatif aux droits civils et politiques,

– vu la Convention internationale des Droits de l’Enfant,

– vu la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants des Nations unies,

– vu la Déclaration de la Conférence mondiale sur les droits de l’homme de 1993

– vu les recommandations de mars 2013 de la commission de l’ONU sur l’élimination de la discrimination faite aux femmes,

– vu le rapport du Rapporteur spécial de l’ONU sur la protection du droit à l’éducation en période d’urgence adressé à de l’Assemblée générale de l’ONU, et notamment son chapitre sur la protection du droit à l’éducation contre les attaques,

– vu le rapport du Rapporteur spécial de l’ONU pour l’indépendance des juges et des avocats, Gabriela Knaul, du 4 avril 2013, faisant suite à sa mission au Pakistan du 19 au 29 mai 2012,

– vu le communiqué de la délégation de l’UE au Pakistan du 24 décembre 2014 sur la reprise des exécutions au Pakistan,

– vu le Document final de l’Examen périodique universel: Pakistan, adoptée par le Conseil des droits de l’homme de l’ONU en avril 2013,

– vu les communiqués de presse de Human Right Watch relatifs au massacre de Peshawar, notamment sur l’usage de la peine capitale,

– vu les conclusions des journées d’étude de la FIDH et de la Commission des droits de l’Homme du Pakistan (HRCP) du 28 et 29 janvier 2014,

– vu le rapport “Éducation prise pour cible 2014” de la Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA),

– vu l’article 135, de son règlement,

A. considérant que depuis 2001, plus de 40 000 citoyens pakistanais ont perdu la vie dans des attaques terroristes et des attentats-suicide ; considérant que plusieurs centaines de personnes ont été tuées dans des attaques, des attentats ou des incidents liés au terrorisme depuis le début de l’année 2014 ;

B. considérant que le massacre dans une école de Peshawar, principale ville du nord-ouest du Pakistan, le 16 décembre 2014, durant lequel 148 personnes ont trouvé la mort, dont 132 élèves, et provoquant presque autant de blessés, représente l’acte terroriste le plus sanglant jamais perpétré dans le pays ;

C. considérant que cet acte odieux a été revendiqué par les talibans pakistanais du Tehrik-e-Taliban Pakistan (TTP), coalition de groupes djihadistes opérant dans le Waziristan, région frontalière afghano-pakistanaise de peuplement pachtoune ;

D. considérant qu’un porte-parole du TTP a justifié l’attaque dans cette école appartenant à l’armée comme une réponse à l’offensive déclenchée en juin par l’armée pakistanaise au Nord-Waziristan qui a tué des centaines de terroristes talibans ;

E. considérant que, comme en Irak, en Syrie et ailleurs, le drame est venu rappeler que les musulmans sont les premières victimes de la violence islamiste ;

F. considérant que certains éléments du TTP se seraient récemment ralliés aux appels d’Abou Bakr Al-Baghadi, le chef de l’organisation du Daesh,

G. considérant la Déclaration de la Conférence mondiale sur les droits de l’homme de 1993 qui qualifie les actes, méthodes et pratiques terroristes comme des « activités visant à la destruction des droits de l’homme, des libertés fondamentales et de la démocratie »

H. considérant que le premier ministre Nawaz Sharif, en réponse à l’attaque de Peshawar, a annulé le moratoire de 4 ans sur la peine capitale dans les cas liés au terrorisme et a prévu d’accélérer le rythme des exécutions ; considérant que son ministre de l’intérieur a annoncé l’exécution d’environ 500 condamnés à mort dans les deux à trois prochaines semaines ; considérant que le jour même du massacre un mineur a subi la peine capitale ; considérant que dès le 19 et 21 décembre 2014, six terroristes condamnés ont été exécutés ; considérant que, selon les organisations des droits de l’Homme, il y a plus de 8000 personnes dans le couloir de la mort au Pakistan;

I. considérant que malgré ce moratoire – officieux – des exécutions de militaires étaient encore ponctuellement pratiquées ; considérant que l’UE elle-même a rappelé aux lendemains de ce massacre, notamment par la voie de sa délégation au Pakistan, que « la peine de mort n’est pas un outil efficace de lutte contre le terrorisme » et qu’elle « regrette la décision du gouvernement du Pakistan de lever le moratoire sur les exécutions, en place depuis 2008 »

J. considérant que le Pakistan a récemment ratifié sept des neuf principaux droits de l’Homme internationaux, notamment le Pacte international relatif aux droits civils et politiques (PIDCP), la Convention contre la torture et autres peines ou traitements cruels, inhumains ou dégradants des Nations unies ainsi que la Convention sur les droits de l’enfant, et que cette dernière interdit explicitement l’usage de la peine capitale pour les mineurs de moins de 18 ans ;

K. considérant que le 24 décembre 2014, au terme de discussions avec les dirigeants des partis politiques, le premier ministre pakistanais a annoncé la mise en place d’une série de mesures pour lutter contre le terrorisme, dont la mise en place de tribunaux militaires pour juger les terroristes et pour une durée de deux ans, la fin de l’aide financière aux organisations considérées comme terroristes, un contrôle de l’Etat sur les écoles religieuses (madrasas) ou encore l’interdiction pour les terroristes de s’exprimer sur Internet et dans la presse ;

L. considérant les recommandations du Rapporteur spécial de l’ONU pour l’indépendance des juges et des avocats dans son rapport du 4 avril 2013, notamment sur la réforme du système juridique pour respecter les droits fondamentaux et assurer son efficacité; considérant que les organisations des droits de l’Homme font régulièrement état de corruption dans le système judiciaire ;

M. considérant que, malgré le rétablissement de la démocratie au Pakistan en 2008 après neuf années de régime militaire, la situation des droits politiques, sociaux et humains demeure un sujet de préoccupation profonde ;

N. considérant que des drones américains procède régulièrement à des attaques et des exécutions extrajudiciaires dans les régions tribales du Pakistan; considérant que ces attaques alimentent le développement de l’extrémisme religieux, considérant que les décennies de violence et de guerre en Afghanistan ont entraîné la déstabilisation de la région dans son ensemble et le renforcement des groupes religieux extrémistes ;

O. considérant que la population du Pakistan est majoritairement de confession musulmane; considérant que les questions religieuses sont utilisées à des fins politiques et causent de nombreux conflits, notamment meurtriers, dont les premières victimes sont souvent des femmes et des enfants, considérant que les autorités pakistanaises sont souvent incapables de protéger la population civile, en particulier les femmes, les minorités ethniques et religieuses, des journalistes et d’autres groupes vulnérables, et de traduire les coupables en justice ;

P. considérant que les lois sur le blasphème vont à l’encontre de la promotion et de la protection de la liberté de religion ou de conviction et qu’elles menacent la paix entre croyants d’une part et entre non croyants et croyants d’autre part ;

Q. considérant que l’organisation de groupes de citoyens, parfois constitués en véritables milices, attaquant des particuliers à la suite d’accusations de blasphème comme le massacre du 4 novembre 2014 par une foule d’un couple de chrétiens accusés de blasphème à Kot Radha Kishan, en périphérie de Lahore, dans le Pendjab, qui selon des rumeurs auraient profané un Coran la veille représente un danger pour la sécurité publique ;

R. considérant que le Pakistan durant ces quatre dernières décennies, a connu plus d’attaques terroristes dans des établissements d’éducation que tout autre pays et que ces attaques perturbent gravement les processus éducatifs, particulièrement dans les écoles de filles ; considérant l’utilisation d’établissements d’enseignement à des fins militaires au Pakistan ;

S. considérant que le Pakistan a un taux d’alphabétisation de 58%, encore plus faible dans les zones rurales et chez les filles ;

T. considérant le rapport “Éducation prise pour cible 2014” de la Global Coalition to Protect Education from Attack (GCPEA) qui recense sur la période 2009-2012 au moins 838 attaques par des Talibans dans des écoles, la plupart du temps en faisant exploser les bâtiments scolaires, privant de fait des centaines de milliers d’enfants d’accès à l’éducation ; considérant que selon la même source une trentaine d’élèves et 20 enseignants ont été tués et 97 élèves ainsi que 8 enseignants ont été blessés, tandis que 138 élèves et membres du personnel ont été kidnappés, sans compter le personnel et étudiants de l’éducation supérieure également concernés ; considérant également que ce même rapport fait état de preuves de recrutement d’enfants au Pakistan par des groupes armés alors que les enfants se trouvaient à l’école, ou bien s’y rendaient ou en revenaient, notamment dans certains cas pour les entraîner comme kamikazes ;

U. considérant que dans le cadre de la discrimination religieuse régnant au Pakistan, les femmes et les filles souffrent doublement, notamment à travers la pratique de la conversion forcée, et la multiplication des violences sexuelles ;

V. considérant que l’arrestation le 12 septembre 2014 des auteurs présumés de la tentative d’assassinat contre Malala Yousafzai donne aux autorités pakistanaises la responsabilité de se montrer à la hauteur des droits à l’éducation et des droits des femmes et des filles défendus par la jeune récipiendaire du prix Nobel de la paix 2014 et du prix Sakharov 2013 ;

W. considérant que des récents changements constitutionnels ont introduit le droit à un enseignement gratuit et obligatoire comme droit fondamental ;

1. Condamne vivement les assassinats perpétrés par les terroristes à l’école de Peshawar et dénonce cet acte odieux qui peut constituer un crime de guerre au sens du droit international ;

2. Tient à exprimer toutes ses condoléances et apporte sa solidarité aux familles de victimes, à leurs proches et au peuple pakistanais ; demande au gouvernement pakistanais, à la suite de cette tragédie, qu’il ne cède pas à la peur et la colère qui ne ferait qu’engager un cercle de violences sans fin ;

3. Prend acte des annonces du gouvernement pour retrouver et traduire les responsables de ce massacre devant la justice mais regrette vivement la suspension du moratoire sur les exécutions ; demande dans ce cadre à ce que la Commission européenne et le SEAE conditionnent ses accords et son dialogue avec le Pakistan, notamment concernant l’application de GSP+, au respect des droits de l’Homme ;

4. Appelle le gouvernement pakistanais à abolir la peine capitale, châtiment le plus cruel, inhumain et dégradant qui soit, et ce, quel que soit les actes commis ;

5. Espère vivement que ce nouvel attentat particulièrement meurtrier amènera l’armée pakistanaise à faire le bilan de ses méthodes ; regrette ses connexions présumées avec des groupes djihadistes selon ses intérêts stratégiques en Asie du Sud ;

6. Invite le Haut représentant de l’Union pour les affaires étrangères et la politique de sécurité (HR/VP) et le Conseil à exprimer leur préoccupation sur la politique américaine vis-à-vis du Pakistan, qui nécessite un lien beaucoup plus fort entre les aides militaires et non-militaires américaines et le respect des droits humains fondamentaux, y compris le droit à la vie, miné par la peine capitale, et en demandant l’administration américaine de cesser l’utilisation croissante de frappes de missiles de drones sur le territoire pakistanais ;

7. Rappelle aux autorités pakistanaises que des lois sur la lutte contre le terrorisme ne peuvent en aucun se soustraire au respect des droits de l’Homme et du droit international ; est convaincu que le gouvernement donnera tous les éléments juridiques nécessaires aux organisations internationales pour étudier les mesures de lutte contre le terrorisme annoncées par le gouvernement en réponse à l’attaque meurtrière ; rappelle à ce titre aux autorités pakistanaises les recommandations du Rapporteur spécial de l’ONU pour l’indépendance des juges et des avocats dans son rapport du 4 avril 2013 ;

8. Invite les autorités pakistanaises à suivre les recommandations du Rapporteur spécial de l’ONU sur la protection du droit à l’éducation qui demande des efforts ciblés pour prévenir les attaques dans les écoles et autres institutions éducatives et les préparer à ces situations d’insécurité et également d’assurer assistance et réparations aux victimes ;

9. Invite les autorités pakistanaises à suivre les recommandations de mars 2013 de la commission de l’ONU sur la Convention sur l’élimination de toutes les formes de discriminations faites aux femmes, en particulier pour prévenir, enquêter et punir les violences sexistes par des acteurs non-étatiques dans les zones de conflits, y compris par l’adoption de procédures spécifiques d’enquête, la formation des forces de police, des militaires, des avocats, des magistrats, des psychologues et des professionnels de santé ;

10. Exhorte les autorités pakistanaise à abroger de toute urgence les lois relatives au blasphème qui violent les droits à la liberté d’expression et à la liberté de pensée, de conscience et de religion et mettent à mal le climat de tolérance qui doit régner dans le pays ;

11. Invite le Pakistan à poursuivre tous ces efforts et à investir tous les moyens nécessaires pour combattre la pauvreté, l’analphabétisme, l’inégalité entre les sexes, les inégalités sociales et l’intolérance afin de permettre une paix durable dans le pays ;

12. Rappelle notamment au gouvernement pakistanais l’impérieuse nécessité de ne pas se saisir des attaques terroristes dans le monde comme d’un moyen de division des sociétés ; rappelle que les musulmans sont les premières victimes, au sens propre comme figuré, de la violence terroriste et du développement d’intégrismes religieux ;

13. Charge son Président de transmettre la présente résolution au Conseil, à la Commission, à la haute représentante de l’Union pour les affaires étrangères et la politique de sécurité, aux gouvernements et aux parlements des États membres, au gouvernement et à l’Assemblée nationale du Pakistan.

 

Proposta di risoluzione comune sul riconoscimento dello Stato di Palestina

Il Parlamento ha adottato lo scorso 17 dicembre 2014 la proposta di risoluzione comune (presentata da PPE, GUE/NGL, ALDE, S&D ) sul riconoscimento dello Stato di Palestina con 498 voti a favore, 88 contro e 111 astensioni. Come vuole la procedura della plenaria, vista l’adozione della risoluzione comune, le risoluzioni singole del gruppo sono tutte cadute senza essere sottoposte al voto.

Ho dunque co-firmato la risoluzione del mio gruppo e votato a favore della risoluzione comune.

La risoluzione adottata dal Parlamento Europeo sostiene in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati, e ritiene che ciò debba andare di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace, che occorre far avanzare, e ribadisce il proprio fermo sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e con uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, che vivano fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza, sulla base del diritto all’autodeterminazione e del pieno rispetto del diritto internazionale.

Il testo inoltre esprime grave preoccupazione per la crescente tensione e l’intensificarsi della violenza nella regione; condanna con la massima fermezza tutti gli atti di terrorismo o di violenza e manifesta il proprio cordoglio alle famiglie delle vittime.

La risoluzione, infine, decide di avviare un’iniziativa dal titolo “Parlamentari per la pace” volta a riunire parlamentari europei, israeliani e palestinesi di vari partiti per contribuire a far progredire un’agenda di pace e integrare gli sforzi diplomatici dell’UE.

Ecco il testo della risoluzione comune:

Il Parlamento europeo,

– viste le sue precedenti risoluzioni sul processo di pace in Medio Oriente,

– viste le conclusioni del Consiglio “Affari esteri” del 17 novembre 2014 sul processo di pace in Medio Oriente,

– viste le dichiarazioni dell’alto rappresentante/vicepresidente sull’attentato alla sinagoga di Har Nof, del 18 novembre 2014, sull’attentato terroristico a Gerusalemme, del 5 novembre 2014, nonché la dichiarazione del portavoce dell’alto rappresentante dell’UE sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente, del 10 novembre 2014,

– visti l’annuncio del governo svedese relativo al riconoscimento dello Stato di Palestina, del 30 ottobre 2014, nonché il precedente riconoscimento da parte di altri Stati membri prima della loro adesione all’Unione europea,

– viste le mozioni sul riconoscimento dello Stato di Palestina approvate dalla Camera dei Comuni del Regno Unito il 13 ottobre 2014, dal Senato irlandese il 22 ottobre 2014, dal Parlamento spagnolo il 18 novembre 2014, dall’Assemblea nazionale francese il 2 dicembre 2014 e dall’Assemblea portoghese il 12 dicembre 2014,

– visto il diritto internazionale,

– visto l’articolo 123, paragrafo 2, del suo regolamento,

A. considerando che l’Unione europea ha confermato a più riprese il proprio sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, che prevede Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e la coesistenza, all’insegna della pace e della sicurezza, di uno Stato di Israele sicuro e di uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, e ha sollecitato la ripresa dei colloqui di pace diretti tra Israele e l’Autorità palestinese;

B. considerando che il conseguimento di una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi rappresenta da oltre mezzo secolo una delle principali preoccupazioni della comunità internazionale, inclusa l’Unione europea;

C. considerando che i colloqui di pace diretti tra le parti sono in una fase di stallo; che l’UE ha chiesto alle parti di adoperarsi per favorire l’instaurazione di un clima di fiducia necessario ad assicurare negoziati significativi, di astenersi dal compiere azioni che pregiudichino la credibilità del processo e di evitare le provocazioni;

D. considerando che nella sua risoluzione del 22 novembre 2012 il Parlamento europeo ha sottolineato che l’unico modo per giungere a una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi consiste nel ricorrere a mezzi pacifici e non violenti, ha chiesto che siano create le condizioni per la ripresa di colloqui di pace diretti tra le due parti, ha sostenuto, a tale proposito, la domanda della Palestina per diventare uno Stato non membro osservatore delle Nazioni Unite, ritenendolo un passo importante al fine di conferire maggiore visibilità, solidità ed efficacia alle richieste della Palestina, e ha invitato gli Stati membri dell’UE e la comunità internazionale, a tale riguardo, a trovare un accordo in questo senso;

E. considerando che il 29 novembre 2012 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha deciso di concedere alla Palestina lo status di Stato non membro osservatore in seno alle Nazioni Unite;

F. considerando che il riconoscimento dello Stato di Palestina rientra nelle competenze degli Stati membri;

G. ricordando l’impegno dell’OLP a riconoscere lo Stato di Israele dal 1993;

1. sostiene in linea di principio il riconoscimento dello Stato palestinese e la soluzione a due Stati, e ritiene che ciò debba andare di pari passo con lo sviluppo dei colloqui di pace, che occorre far avanzare;

2. sostiene gli sforzi del presidente Abbas e del governo di consenso nazionale palestinese; sottolinea ancora una volta l’importanza di consolidare l’autorità del governo di consenso palestinese e della sua amministrazione nella Striscia di Gaza; esorta tutte le fazioni palestinesi, incluso Hamas, ad accettare gli impegni assunti dall’OLP e a porre fine alle divisioni interne; chiede all’Unione di continuare a garantire sostegno e assistenza al rafforzamento delle capacità istituzionali palestinesi;

3. esprime grave preoccupazione per la crescente tensione e l’intensificarsi della violenza nella regione; condanna con la massima fermezza tutti gli atti di terrorismo o di violenza e manifesta il proprio cordoglio alle famiglie delle vittime; mette in guardia circa i rischi di un’ulteriore recrudescenza della violenza che coinvolga i luoghi sacri, il che potrebbe trasformare il conflitto israelo-palestinese in un conflitto religioso; invita i leader politici di tutte le parti a lavorare insieme con azioni visibili per una distensione della situazione e sottolinea che l’unico modo per giungere a una soluzione sostenibile e a una pace giusta e duratura tra israeliani e palestinesi consiste nel ricorrere a mezzi non violenti e al rispetto delle norme internazionali sui diritti umani e del diritto umanitario internazionale; evidenzia che gli atti di violenza possono soltanto alimentare l’estremismo da ambo le parti; esorta tutte le parti ad astenersi da azioni che, con istigazioni, provocazioni, uso eccessivo della forza o ritorsioni, inasprirebbero la situazione;

4. sottolinea inoltre che le azioni che mettono in dubbio gli impegni assunti a favore di una soluzione negoziata devono essere evitate; pone in evidenza che gli insediamenti sono illegali ai sensi del diritto internazionale; invita entrambe le parti ad astenersi da qualsiasi azione suscettibile di compromettere la fattibilità e le prospettive di una soluzione fondata sulla coesistenza di due Stati;

5. ribadisce il proprio fermo sostegno a favore della soluzione a due Stati basata sui confini del 1967, con Gerusalemme come capitale di entrambi gli Stati e con uno Stato di Israele sicuro e uno Stato di Palestina indipendente, democratico, territorialmente contiguo e capace di esistenza autonoma, che vivano fianco a fianco in condizioni di pace e sicurezza, sulla base del diritto all’autodeterminazione e del pieno rispetto del diritto internazionale;

6. plaude alla recente visita del vicepresidente/alto rappresentante in Israele e in Palestina, nonché alla sua intenzione di impegnarsi proattivamente a favore di un processo positivo inteso a spezzare il circolo vizioso del conflitto e a creare le condizioni politiche per il conseguimento di effettivi progressi nel processo di pace; ritiene che l’Unione europea debba assumersi la responsabilità di diventare un vero e proprio attore e facilitatore nel processo di pace in Medio Oriente, anche alla luce della necessità di riaprire i colloqui di pace, e anche mediante un approccio comune e una strategia globale per una soluzione del conflitto israelo-palestinese; ribadisce la necessità di un approccio diplomatico sotto l’egida del Quartetto per il Medio Oriente e ricorda l’importanza dell’iniziativa di pace araba;

7. invita il VP/AR ad agevolare il raggiungimento di una posizione comune dell’UE a tal riguardo;

8. sottolinea la necessità di una pace globale, che ponga fine a tutte le rivendicazioni e che soddisfi le legittime aspirazioni di entrambe le parti, incluse quelle degli israeliani alla sicurezza e quelle dei palestinesi alla sovranità; pone in evidenza che l’unica soluzione possibile al conflitto è la coesistenza di due Stati, Israele e Palestina;

9. decide di avviare un’iniziativa dal titolo “Parlamentari per la pace” volta a riunire parlamentari europei, israeliani e palestinesi di vari partiti per contribuire a far progredire un’agenda di pace e integrare gli sforzi diplomatici dell’UE;

10. incarica il suo Presidente di trasmettere la presente risoluzione al Consiglio, alla Commissione, al vicepresidente della Commissione/alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ai governi e ai parlamenti degli Stati membri, al Segretario generale delle Nazioni Unite, all’inviato del Quartetto per il Medio Oriente, alla Knesset e al governo di Israele, al Presidente dell’Autorità palestinese e al Consiglio legislativo palestinese.