L’Iniziativa cittadina come giocattolo

Bruxelles, 21 febbraio 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’audizione congiunta della commissione Petizioni (PETI) con la commissione Affari Costituzionali (AFCO) sull’Iniziativa dei cittadini europei.

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di relatore ombra, per il Gruppo GUE/NGL, della Relazione sulla Revisione del Regolamento (UE) 211/2011 riguardante l’Iniziativa dei cittadini.

Vorrei ringraziare tutti gli oratori che hanno presentato le loro opinioni e mi piacerebbe sottolineare qualche punto.

Fondamentalmente, la cosa che mi preoccupa è lo stato di salute dell’Iniziativa Cittadina prevista dall’art 11,4 del Trattato: uno stato di salute che definirei vicino alla malattia terminale. Il pericolo oggi è che l’ICE diventi un giocattolo in mano alla Commissione per distrarre i cittadini e dare a questi ultimi l’impressione di partecipare al gioco politico, ma vietando loro di influenzare veramente le politiche delle istituzioni europee o degli Stati membri. Si tratta di un pericolo da non sottovalutare e vorrei domandare in che modo possiamo evitare che l’ICE si trasformi in nient’altro che una variazione, più sofisticata e dispendiosa, delle normali e purtroppo largamente inutili petizioni. È uno dei motivi per cui è così difficile spiegare ai cittadini a cosa serva ancora questo strumento, visti gli insuccessi cui l’aggeggio è andato incontro.

Se invece vogliamo prendere sul serio il giocattolo e trasformarlo in un’arma di partecipazione cittadina, sarà indispensabile adottare alcune misure che correggano la proposta di riforma della Commissione.

Prima e prioritaria misura correttiva: si tratta di limitare le competenze esclusive della Commissione in tutte le fasi dell’ICE – dall’ammissibilità e registrazione al follow-up – visto che è dalla Commissione che sono venuti in definitiva i maggiori impedimenti alle Iniziative che hanno avuto successo. In altre parole, bisognerà affrontare la questione cruciale del conflitto di interessi dell’esecutivo europeo, e conferire a un’autorità terza il compito di definire, almeno, l’ammissibilità iniziale. La domanda che rivolgo in proposito al Prof. James Organ è di spiegare quale potrebbe essere tale autorità terza. Personalmente penso all’Ombudsman, ma mi piacerebbe sapere quali siano le proposte alternative, e come i compiti dell’eventuale autorità terza si colleghino a quelli della Commissione, oltre che del Parlamento.

La seconda misura consiste in un’interpretazione più ampia e flessibile del raggio di azione (scope) dell’ICE, in particolare per quanto riguarda la definizione di atto giuridico (legal act) che la Commissione è “invitata” ad adottare dalle Iniziative cittadine che hanno avuto successo e la possibilità di includere nell’atto giuridico i cosiddetti “atti preparatori” delle azioni legislative, ad esempio nei trattati commerciali, come richiesto recentemente dalla Corte europea di giustizia (giudizio sull’Iniziativa TTIP).

Terzo, sempre nel quadro di una ridefinizione del raggio di azione: la possibilità data alle Iniziative di chiedere cambiamenti dei Trattati. È stato giustamente fatto notare da alcuni oratori che esistono emendamenti del Trattati UE che possono essere presentati come misure  per migliorare l’attuazione dei Trattati stessi, ad esempio attraverso il riferimento all’Articolo 3 TUE, senza dunque mettere in forse la dicitura dell’Articolo 11,4 [1].

Quarta misura: sono favorevole al fatto che la Commissione abbia l’obbligo di giustificare le ragioni di rifiuto delle registrazioni, ma, in fondo, se richiediamo a un’autorità terza di intervenire nella fase di registrazione non è più alla Commissione cui gli organizzatori delle Iniziative dovranno rivolgersi bensì alla nuova autorità.

Infine, è senz’altro positivo che la nuova proposta della Commissione preveda la possibilità di registrare un’ICE anche parzialmente – come formalmente richiesto dalla Corte di giustizia (sentenza sull’Iniziativa Minority SafePack) – ma penso non sia questo che davvero trasformerà l’ICE in qualcosa di diverso da un giocattolo.

Secondo intervento:
Ho una domanda da rivolgere al prof. Goudriaan, e ritorno al discorso sull’ICE inteso come giocattolo dato in pasto ai cittadini per meglio distrarli. In questione, nella seconda parte delle nostre discussioni, è l’Iniziativa contro la privatizzazione dell’acqua nell’Unione. Ritengo l’ICE Right2Water un’ottima iniziativa. In Italia essa è stata echeggiata dal referendum sull’acqua: una battaglia vincente cui ho partecipato. Un referendum simile ha avuto luogo anche a Salonicco, in Grecia. Quel che mi domando è cosa si possa fare quando tutte queste iniziative vengono coronate da successo, ma la privatizzazione continua assumendo varie forme, a livello municipale, regionale o nazionale. I memorandum di austerità in Grecia, Portogallo, Irlanda insistono in maniera sistematica sulla necessità di privatizzare l’acqua. Mi domando insomma se siano solo chiacchiere quelle che avvengono fra i cittadini tramite Iniziative o referendum, di cui la politica non tiene conto.

[1] Art. 11.4 TUE: Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invitare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei Trattati.

Brexit-diritti dei cittadini: una speranza senza ottimismo

di venerdì, Febbraio 2, 2018 0 , , Permalink

Bruxelles, 1 Febbraio 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’Audizione comune organizzata dalla Commissione per l’occupazione e gli affari sociali (EMPL), dalla Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) e dalla Commissione per le petizioni (PETI) “I diritti dei cittadini dopo la Brexit”. Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di Primo Vicepresidente della Commissione Affari Costituzionali, in sostituzione del Presidente Danuta Maria Hübner.

I thank all the speakers present today. The consideration I will expose are personal, not of AFCO as a whole.

Despite some progresses, we are still far from guaranteeing the legal certainty for the protection of the full set of rights provided by the EU law. So my hope is without optimism.

To begin, a bright spot: I welcome a crucial clarification made by the Council in the new Guidelines: EU citizens moving to UK during the transition period will then enjoy the protection foreseen in the withdrawal agreement. Regrettably, Theresa May has already rejected such stance.

I welcome also Mr Barnier’s words: “Sufficient progress does not mean full progress”.

I deplore, however, that citizens’ rights are not included amongst the issues that still need to be addressed, both in his speech and in the guidelines, as if the question were a solved matter. This is my primary concern: that the issue will be set aside in this phase of negotiations. Both parties made a precise pledge at the beginning: that nothing will change in the life of millions of people, and this permanently. As it is now, the Joint Report – which is actually a simple common understanding – surely does not keep that promise.

As stressed by the European Parliament in its last resolution there are still outstanding issues which must be resolved. I just mention them, the speakers will surely provide a more detailed analysis: the situation of future partners of EU citizens, the guarantee of the declaratory nature of the settled status, the binding character of the decisions of the Court of Justice, the future freedom of movement of UK citizens, the enforceability of the commitments on the Irish/Northern Irish issue. They represent to me only a part – while essential – of the still unsolved issues and more should be done to establish a comprehensive agreement. As an example, I invite you to read point 58 of the Joint technical note, concerning matters that the Commission considered outside the scope of the EU mandate for the first phase of the negotiations I consider them too as necessary elements for the full enjoyment of the rights provided by the EU law, hence to be included clearly in the withdrawal agreement. I remind what the House of Lords said in its Report on “Brexit: Acquired Rights”: “In our view EU citizenship rights are indivisible. Taken as a whole they make it possible for an EU citizen to live, work, study and have a family in another EU Member State. Remove one, and the operation of others is affected”.

I highlight now some points that I hope will be broadly discussed during this hearing.

1) We should strongly avoid the erosion of the rights provided by the EU law. The recent openness of the Commission to the possible establishment, in the EU27 Member States, of constitutive procedures similar to the proposed British “settled status” is worrying and contrary to the EU law.

2) We must avoid any reference to the concept of “past life choices”. EU citizenship is a status deriving from a precise legal framework and not a simple life choice. The exercise of the relevant rights is founded on the legitimate expectations of having those rights legally protected in a permanent way.

3) Finally, I draw your attention on the possibility of a non-agreement. Judging by the reaction of Mrs May to the Council’s Guidelines, I wonder whether we should be prepared for this scenario as well, and secure at least some agreements on citizens’ rights and Northern Ireland.

Carta dei diritti: gli obblighi delle istituzioni UE

di giovedì, Gennaio 25, 2018 0 , Permalink

Bruxelles, 22 gennaio 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione della Commissione Affari Costituzionali (AFCO). 

Punto in agenda:
Attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel quadro istituzionale dell’UE

  • Esame del documento di lavoro

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di relatore, per il Parlamento europeo, della Relazione di implementazione sull’Attuazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nel quadro istituzionale dell’UE.

Vorrei innanzitutto ringraziare i colleghi presenti qui oggi.

Cercherò di illustrare gli elementi principali di questo primo documento di lavoro, in modo da lasciare maggiore spazio al successivo dibattito e ai suggerimenti che apporterete per approfondire il documento. Come già sapete, la prima parte del lavoro si concentrerà infatti sull’analisi fattuale della tematica in esame, ossia sui modi di osservazione e applicazione della Carta dei diritti fondamentali da parte delle istituzioni dell’Unione. Mi piacerebbe quindi che questa fase fosse il più possibile condivisa con tutti gli shadow e i relatori per parere, in modo che sia frutto di contributi e analisi diversificate.

Il primo documento di lavoro che presenterò oggi è dunque un punto di partenza. Non vi è in esso, al momento, alcuna pretesa di completezza, tanto nelle tematiche sollevate, quanto nei relativi contenuti. L’ho redatto consapevolmente in maniera generica dando rilievo a specifici quesiti piuttosto che formulare, già da ora, possibili conclusioni e miei personali punti di vista, che appariranno alla fine dei lavori nell’explanatory statement. Il documento di lavoro vuole perciò essere una base da cui formulare concrete diagnosi, aperto a integrazioni e approfondimenti. Nella sua versione successiva e consolidata verranno quindi incluse le risultanze dell’attuale fase di indagine – che ha già visto l’apporto, in termini di expertise, della Commissione, del Consiglio, del Prof. De Schutter – durante la riunione AFCO del 28 novembre – e dei rappresentanti dell’Agenzia per i diritti fondamentali (FRA), questi ultimi incontrati di recente. Saranno anche inclusi i contributi che emergeranno dalle nostre discussioni e dagli incontri che avremo sia con la Corte di giustizia, sia con la Corte europea dei diritti dell’uomo. Un questionario sarà inviato anche ad alcune Agenzie dell’Unione.

Vengo ora al contenuto del documento.

Il fondamento dell’analisi è l’affermazione del valore della Carta quale fonte di diritto primario dell’Unione ai sensi dell’articolo 6 del Trattato. Scopo della relazione è valutare quanto tale carattere formale sia tradotto nella sostanza dell’azione quotidiana delle istituzioni UE. La mia personale considerazione è che la Carta abbia ancora molte potenzialità da esprimere e che rappresenti, in molte circostanze, la grande assente dal processo decisionale dell’Unione. Dovremo anche trovare il modo di far emergere le responsabilità degli Stati Membri, pur rispettando la natura di questo rapporto, concentrato in primis sulle istituzioni comuni: questo perché l’Unione – essendo un ibrido, in parte confederale in parte federale – deve rispettare e promuovere la Carta in ambedue gli ambiti: la Fra ha promesso contributi in questo campo.

Come avete potuto vedere, ho suddiviso per ora l’analisi in 5 diversi macro-settori di indagine.

Il primo concerne il ruolo della Carta nel processo legislativo e decisionale. Il punto focale è per me valutare se gli strumenti e le pratiche attuali siano sufficienti a garantire la piena applicazione della Carta alla luce degli obblighi negativi – non violazione – e positivi – promozione dei diritti – che da essa discendono.

Il secondo campo concernerà le politiche dell’Unione. Mi sono soffermata in particolare su due di esse: la governance economica e l’azione esterna dell’Unione, compresi gli accordi commerciali sottoscritti con Stati terzi. La selezione di questi due specifici campi di azione unionale è stata dettata dalla considerazione della loro particolare natura. La politica economica rappresenta il campo in cui le competenze dell’Unione sono oggi più estese, e dove però si constata un ruolo più che marginale della Carta, come riconosciuto esplicitamente anche dall’Agenzia per i diritti fondamentali.

Quanto all’azione esterna dell’Unione, se l’ho inclusa è in ragione della sua natura marcatamente intergovernativa – con i limiti forti che ne derivano all’applicazione della Carta, a cominciare dall’assenza di controllo giurisdizionale da parte della Corte di giustizia.

Terzo punto: la cosiddetta dicotomia tra diritti e principi sanciti nella stessa Carta dei diritti fondamentali, cui vorrei aggiungere già da ora un’ulteriore tema su cui mi soffermerò in futuro: l’ulteriore dicotomia terminologica, sempre più in voga e riguardante le disposizioni in materia di diritti umani, tra precetti normativi e cosiddetti valori, che gli Stati membri tendono oggi a invocare come proprie preferenze soggettive.  Sono questioni, la prima come la seconda, che potrebbero apparire puramente terminologiche e/o “legalistiche” ma che influenzano concretamente il grado stesso di osservanza delle disposizioni in materia di diritti fondamentali, determinandone la modalità di applicazione. Un esempio: il Pilastro europeo dei diritti sociali potrà svilupparsi con più coerenza se saranno superate false dicotomie.

Il quarto capitolo si concentra sulle possibili limitazioni all’esercizio dei diritti sanciti dalla Carta, e in particolare sulle cosiddette “finalità di interesse generale” riconosciute dall’Unione nell’articolo 52(1) della stessa Carta. Quel che vorrei analizzare è il rapporto tra disposizioni della Carta e quelle del Trattato concernenti le finalità di interesse generale, non allo scopo di affermare una qualunque primazia delle une sulle altre ma piuttosto per valutarne l’interoperabilità e complementarità al fine del raggiungimento di obiettivi comuni, che una semplice lettura dell’articolo 52 sembra porre in contraddizione.

Quinto e ultimo punto: il rapporto tra Carta e cittadinanza dell’Unione basato su quello che ritengo essere il binomio fondamentale diritti umani/partecipazione civica.

Lo stesso articolo 20 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (cittadinanza dell’Unione) individua in taluni diritti il presupposto stesso della cittadinanza dell’Unione. Diritti che trovano anche nella Carta una propria codificazione. Carta che, di conseguenza, potrebbe divenir strumento di riferimento per l’affermazione di quel demos europeo troppo astrattamente invocato da più parti, e non ancora realmente esistente.

The moribund European Citizens’ Initiative

Bruxelles, 22 gennaio 2018. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione della Commissione Affari Costituzionali (AFCO). 

Punto in agenda:

Iniziativa dei cittadini europei

  • Primo scambio di opinioni

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di relatore ombra, per il Gruppo GUE/NGL, della Relazione sulla Revisione del Regolamento (UE) 211/2011 riguardante l’iniziativa dei cittadini.

First of all, many thanks to György Schöpflin for trying to save an instrument of participative democracy which is moribund after so many failures. I share many suggestions he has made. I am convinced that the Commission’s proposal contains positive elements but remains by and large insufficient, and perpetuates some important flaws of the present system. In my opinion, our task in amending the proposal should be twofold: first, fully reflect the decisions by the Court of Justice on the scope of the ECIs and on the condition of their admissibility, and secondly, break the monopoly exercised by the Commission on the registering as well as the follow-up of the successful Initiatives.

On the first point: The judgement of the General Court on the ECI “Stop-TTIP”, and in other cases too, confirms that the conditions of admissibility are excessively restrictive, even from a legal point of view. Too often ECIs are refused because they “fall outside the framework of the Commission’s powers to submit a proposal for a legal act of the Union for the purpose of implementing the Treaties” (see article 11 TUE) The new regulation could give an exact definition of what is a ‘legal act’ in the Union, and how a Citizens’ Initiative can influence the legislative process, changing or even annulling it. It should confirm that a broader understanding of a legal act is necessary, such as including ‘preparatory acts’, when considering the registration of an ECI. Reference to Art 296(2) TFEU [1] would be beneficial regarding the understanding of a legal act. Given that the European Commission has the competence to propose changes to the Treaty (Art. 48 TUE) it should also be clarified that ECIs proposing changes to primary law are admissible.

Second point: the Commission should not have an exclusive monopoly on the ECIs. In January 2016 Juncker declared, during a hearing, that he “regretted that experience has shown that Citizens’ Initiatives did not always move European law or the European project forward, but tended instead to involve highly controversial and emotionally charged issues of greater interest to minorities than to the vast majority of EU citizens and, ultimately, generated Euro-scepticism”.

This very restrictive and oligarchic philosophy confirms we need to mitigate the Commission’s monopoly, which has contributed to the moribund state of the ECIs. Thematic restrictions are not foreseen in the Regulation of 2011, in Article 11 TEU and in Article 24 TFEU. Nor has the EC the legitimacy to refuse the registering of Citizens’ Initiatives, arbitrarily assessing them as being Euro-sceptical or reflecting the interests of a minority. As sentenced by the General Court, nothing justifies the Commission decision to define “destructive’” acts which do not contain the immediate and visible purpose of ‘implementing the Treaties’.

There are other proposals I would like to make: I will present them in future discussions. For example, I wonder if the monopoly I described – and also the Commission’s conflicts of interest, as highlighted by the recent refusal of the successful ECI demanding the ban of glyphosate – could be reduced, giving new powers to the Ombudsman in the admissibility decision, to the European Parliament in the debates on the Initiatives, and finally to the stakeholders in the organization of the online platform of discussion.

 

[1] Article 296: Where the Treaties do not specify the type of act to be adopted, the institutions shall select it on a case-by-case basis, in compliance with the applicable procedures and with the principle of proportionality.
Legal acts shall state the reasons on which they are based and shall refer to any proposals, initiatives, recommendations, requests or opinions required by the Treaties.
When considering draft legislative acts, the European Parliament and the Council shall refrain from adopting acts not provided for by the relevant legislative procedure in the area in question.

Il sesto scenario di Jean-Claude Juncker

Bruxelles, 27 settembre 2017. Intervento di Barbara Spinelli nel corso della Riunione del Gruppo GUE/NGL.

Punto in Agenda:
Dibattito Strutturato “The White Paper of the European Commission: Five scenarios, no solution!”

Barbara Spinelli è intervenuta in qualità di coordinatore per il Gruppo GUE/NGL della Commissione Affari Costituzionali (AFCO) e di relatore ombra delle Risoluzioni del Parlamento Europeo “sul miglioramento del funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” e “sulle evoluzioni e gli adeguamenti possibili dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea”.

Penso che questa volta dovremo partire non dal Libro Bianco della Commissione e dai suoi 5 “scenari”, ma dal Sesto Scenario che Juncker ha illustrato a Strasburgo nell’ultima plenaria. Il tono infatti cambia, se paragonato a quello del White Paper o al Rapporto dei 5 Presidenti. Di quest’ultimo si è persa traccia ma i suoi contenuti sopravvivono nei tre rapporti parlamentari magnificati nel Sesto Scenario (rapporti Verhofstadt, Bresso-Brok, Berès-Böge).

Mi concentro dunque sul tono, che sottende la prognosi trionfalistica e autocompiaciuta dello stato dell’Unione. Abbondano le frasi vittoriose: “Il vento è cambiato”, “Abbiamo il vento in poppa”, “Abbiamo scelto l’unità”, “È tornato il bel tempo”, “Ogni giorno che passa facciamo progressi”.

È importante capire su quali fatti possa mai basarsi simile prognosi, visto che stride con la realtà in modo così palese. Stride con la rovina delle politiche migratorie, con il naufragio dell’allargamento a Est, con la nuova società degli esclusi e precari che è il salatissimo prezzo della timida ripresa economica, e con una crisi dello Stato di diritto che colpisce quasi tutti i Paesi membri. Il linguaggio della Commissione somiglia in modo straordinario a quello di Pangloss nel Candide di Voltaire: Lisbona è distrutta dal terremoto del 1755, ma Pangloss non rinuncia alla sua visione teleologica: “Tutto va bene nel migliore dei mondi possibili”. Anche per Juncker, tutto avviene in vista di una finalità prestabilita da ottimizzare: la salvaguardia dei poteri forti dell’Unione e la loro impermeabilità alle vicissitudini democratiche nei Paesi membri.

I fatti su cui poggia questo trionfalismo sono due: la migrazione e l’economia. Cito per prima la migrazione perché è qui che lo iato tra parole e realtà è più spettacolare. Nel discorso di Juncker viene infatti presentato come successo quello che è il misfatto supremo dell’Unione: la diminuzione drastica dei flussi migratori verso l’Europa grazie a quella che viene chiamata esternalizzazione ed è pura espulsione; i patti stretti prima con la Turchia poi con una serie di Paesi africani, perché rifugiati e migranti restino intrappolati nelle terre da cui fuggono. L’accordo con la Libia è particolarmente rovinoso perché stretto con un Paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra e che si trova alla mercé di milizie e governi fantoccio.

Siamo davanti a una neolingua (newspeak), dove il significato di ogni parola è rovesciato: l’Africa che trattiamo come nostra prigione su scala continentale viene descritta come “nobile continente, culla dell’umanità”; la morte dei migranti (non solo in mare ma sempre più nei deserti a Sud della Libia) diventa nostra salvezza, secondo il motto mors tua vita mea; i campi di detenzione libici vengono definiti inaccettabili quando in realtà li si è già accettati.

Lo stesso si dica dell’economia. La ripresa viene descritta come esito felice di riforme strutturali che non vengono rimesse in questione ma anzi esaltate, nonostante le società sconnesse che producono. Non si sa nemmeno se essa sia dovuta a tali riforme. I riferimenti all’Europa sociale sono vaniloquio. Il cittadino che Juncker predilige esplicitamente è il consumatore, non il produttore, il disoccupato, il precario. Si parla di una European Social Standards Union, senza prospettare parametri sociali vincolanti come lo sono quelli del deficit di bilancio. L’adesione dell’Unione alla Carta sociale del Consiglio d’Europa non è all’ordine del giorno.

È con questa visione che si procede ad alcune proposte istituzionali, che riassumo sommariamente:

1) In primo luogo, occorre rafforzare i poteri degli esecutivi: a livello nazionale e anche europeo. Va in questa direzione la proposta di Juncker di fondere in un’unica autorità funzioni normalmente separate (in primis quelle del Presidente della Commissione e del Presidente del Consiglio europeo).

2) Si propone la figura di un ministro UE dell’economia che unisca due cariche: quella di commissario e di presidente dell’eurogruppo. Anche qui, Commissione e Consiglio vengono fusi.

3) Si propongono al tempo stesso una difesa comune e voti a maggioranza qualificata sulla politica estera, nel Consiglio. Due punti voluti dalla Nato, senza che sia chiarita quale sia la politica estera europea.

4) Infine la democrazia: la Commissione approva l’idea quanto mai nebulosa di Macron di convocare “convenzioni democratiche” fin dall’inizio dell’anno prossimo, in vista delle elezioni europee.

Come ci inseriremo in questo processo come gruppo della sinistra radicale, chiedendo un’Europa diversa? Come reagire a una fusione di organi dell’Unione  che combinandosi con l’estensione del voto a maggioranza asservirà la Commissione agli Stati dominanti nel Consiglio? Non ho idee precise in proposito, ma so di certo che dovremo provare a smantellare  una per una, e con argomenti forti,  le menzogne e le tendenze non federali, ma oligarchiche, del Sesto Scenario.

I grandi difetti di due modeste riforme istituzionali

Bruxelles, 8 dicembre 2016. Analisi di Barbara Spinelli, relatore ombra del gruppo GUE-NGL, a proposito di due relazioni sui Trattati, approvate in Commissione costituzionale.

Qui i due rapporti approvati in Commissione: Relazione Verhofstadt e Relazione Bresso-Brok.

L’8 dicembre 2016 la Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo ha approvato due Relazioni che hanno l’ambizione di dare all’Unione una nuova prospettiva di miglioramento e di rilancio. Insieme alla Relazione Berès-Böge sulla capacità di bilancio della zona euro (governance eurozona), sono concepite come una triade compatta, e costituiscono al tempo stesso la risposta che i gruppi maggioritari nel Parlamento intendono dare alla crisi apertasi con il Brexit (crisi considerata come “opportunità” per una migliore gestione dell’Unione). Sono state redatte in grande fretta, – soprattutto le prime due, di cui sono relatore ombra – per potere essere approvate in plenaria prima che il governo britannico annunci l’attivazione dell’articolo 50 e inizi il negoziato sulla fuoriuscita dall’Unione. Sono non solo una risposta a tale negoziato ma il volto che i relatori intendono dare all’Europa, per l’occasione, nei prossimi decenni.

Il mio giudizio finale su ambedue le Relazioni, come rappresentante del GUE-NGL, non poteva a questo punto che essere negativo: le ho respinte ambedue, pur approvandone alcuni compromessi e paragrafi. La forma che ha assunto il negoziato ha infatti pesantemente influito sulla sostanza, facendo in modo che praticamente nessuna delle nostre obiezioni e dei nostri emendamenti venissero inclusi. Per quanto riguarda la Relazione Verhofstadt, un certo numero di nostri emendamenti sono stati inclusi nei cosiddetti compromessi, ma all’ultimo minuto – la sera prima del voto in Commissione – sono stati staccati dal compromesso stesso, prendendo la forma di split votes, con una duplice conseguenza: i nostri emendamenti sono stati affossati, ma restando “appesi” al compromesso non potevano essere sottoposti al voto come “emendamenti separati”.

È stato il caso di alcuni punti importanti: per esempio, l’opportunità che la Corte di giustizia passi al vaglio in particolare la politica estera dell’Unione, la politica economica e monetaria, le decisioni adottate attraverso il ricorso all’articolo 7 (anche se si parla di controllo da parte della Corte di tutti gli aspetti delle legge comunitaria); la denuncia dell’accordo UE-Turchia; l’accenno al fatto che tale accordo sia stato rinominato “statement” per aggirare l’obbligo di consenso da parte del Parlamento europeo; l’assenza di una politica economica e fiscale comune, “aggravated by the lack of a proper aggregate fiscal stance for the euro area and the absence of an industrial strategy” (questo passaggio è stato rigettato attraverso split vote).

Più fondamentalmente, il mio giudizio è negativo perché ambedue le Relazioni non sono all’altezza della crisi profonda che l’Unione traversa: crisi economica e sociale, violazione dei principi di solidarietà tra Stati membri, volontà di impotenza davanti all’afflusso dei rifugiati, frantumazione a tutti gli effetti dello spazio Schengen. È il fondamento stesso delle Relazioni che ritengo non accettabile. Per esemplificare: la Relazione Verhofstadt sostiene che le crisi multiple che traversiamo si debbano risolvere con una nuova governance istituzionale (“Considers that the time of crisis management by means of ad hoc and incremental decisions has passed, as it only leads to measures that are often too little, too late; is convinced that it is now time for a profound reflection on how to address the shortcomings of the governance of the European Union by undertaking a comprehensive, in-depth reform of the Lisbon Treaty, whereas short and medium term solutions can be realised by exploiting the existing treaties to their full potential in the meantime”), mentre è mia convinzione – come avevo scritto in un emendamento – che siamo di fronte a un autentico fallimento, dovuto non a difetti istituzionali ma a politiche mal concepite, non trasparenti e socialmente ingiuste, che hanno diviso l’Unione e distrutto il progetto europeo di “unità nella diversità”. E che questo fallimento vada esplicitamente ammesso e superato da proposte veramente alternative.

Riassumo brevemente il progetto di nuova governance dell’Unione che sottende le Relazioni e che è stato approvato: aumento delle decisioni prese a maggioranza qualificata invece che all’unanimità; creazione di un Consiglio degli Stati che inglobi i vari Consigli specializzati; creazione di un ministro comune delle Finanze e degli Esteri (il ministro degli Esteri è proposto solo nella Relazione Verhofstadt); fusione del Presidente dell’Eurogruppo con il Commissario per gli Affari Economici e Finanziari (Bresso-Brok); riduzione drastica delle “eccezioni alle regole UE” (opt-outs). Sono questi elementi che hanno indotto il deputato dei Verdi Pascal Durand a parlare di visibili passi avanti verso un’Europa federale. Per parte mia non li ritengo tali, se servono a suggellare politiche sbagliate che vengono inserite nelle Relazioni come le uniche percorribili: in economia, politica estera, difesa, migrazione. Quanto agli opt-outs (Europa à la carte): il loro moltiplicarsi costituisce di sicuro una regressione, ma segnalano uno scontento irrefutabile nei Paesi dell’Unione, cui non si può rispondere con condanne perentorie. Condanne ed esclusioni sono una benda che ci si mette davanti agli occhi per non vedere la natura degli sconquassi presenti e prospettare un’Unione rimpicciolita anche se più coesa, fabbricata per perpetuare lo status quo.

Quello di cui sento più la mancanza è un’analisi critica e autocritica della crisi dell’Unione, che a mio avviso ha toccato l’acme durante il negoziato greco ed è sfociata per forza di cose nel Brexit – i due eventi sono legati, ma tale legame continua a essere ostinatamente e deliberatamente occultato. Se siamo giunti a questo punto, non è perché le istituzioni funzionino male, o non si coordinino, o non siano abbastanza “federali”. Il federalismo ha senso se esiste una comunità solidale, se vengono adottate politiche che non dividono le società e non generano, sempre più, disgusto verso il progetto stesso di unione. Il federalismo non è una tecnica, e non basta la tecnica a ridare ai cittadini la fiducia e il senso di appartenenza che hanno perso. Non basta nemmeno citare Eurobarometro, come fa la Relazione Verhofstadt: uno strumento che non rispecchia il loro vero stato d’animo, essendo un istituto di sondaggio dipendente dalla Commissione, dunque con forti conflitti d’interesse. Un mio emendamento, che cancellava i riferimenti ai dati fuorvianti di Eurobarometro, è stato rigettato.

Non mi convince nemmeno l’analisi delle crisi – la “‘polycrisis” descritta nella Relazione Verhofstadt: il più delle volte la crisi è dell’Europa, delle sue politiche. Non viene da fuori. Non è dei modi formali in cui essa risponde alle sfide, ma della natura stessa della risposta. Ad esempio: non c’è “crisi della migrazione”, ma crisi dell’Unione alle prese con flussi di profughi e migranti che al momento rappresentano lo 0,2 per cento delle popolazioni europee. La strategia europea su migranti e rifugiati è interamente concentrata sul controllo delle frontiere e su politiche di respingimenti (attraverso strumenti come il processo di Rabat e di Khartoum, il “Migration compact”, l’accordo UE-Turchia che serve da modello per altri accordi con i Paesi elencati dal Migration Compact, tra cui Eritrea e Sudan, Paesi tutt’altro che sicuri per i rimpatriati. L’ultimo accordo di riammissione (Joint Way Forward on migration issues) è quello con l’Afghanistan, stipulato a Kabul il 2 ottobre scorso).

Se poi consideriamo l’economia: non c’è solo crisi del debito, ma crisi dovuta a Paesi che essendo in surplus non espandono la propria economia. Più generalmente, c’è crisi della solidarietà e della democrazia all’interno dell’Unione. Ambedue le Relazioni avallano e sostengono politiche che hanno chiaramente fatto fiasco e che minano alle radici la solidarietà e la democrazia. Non basta dire che siamo di fronte a un euroscetticismo senza precedenti e a un ritorno dei nazionalismi, senza indicare l’insieme di politiche sbagliate e misantropiche che hanno causato e che causano diffusa sfiducia. La sfiducia dei popoli non genera alcuna resipiscenza nei relatori (e nella maggioranza del Parlamento europeo). È anzi criminalizzata, essendo sbrigativamente definita come euroscettica e populista (i due aggettivi vengono sistematicamente fusi, come se lo scetticismo non fosse una componente indispensabile del pensiero critico e fosse di per sé distruttivo: anche culturalmente, il pensiero europeo sta vivendo una formidabile regressione)

Vengo ora ad alcuni emendamenti che abbiamo presentato per la Relazione Verhofstadt (simili nelle grandi linee a quelli presentati per la Relazione Bresso-Brok, e per quanto riguarda l’economia a quelli presentati dai relatori ombra del GUE-NGL per la Relazione Berès-Böge).

Fin dal primo articolo, la Relazione chiede una modernizzazione della governance dell’Unione: cioè più efficienza, più rapidità. Non si va alla sostanza della crisi: la spettacolare mancanza di giustizia sociale, il venir meno di diritti (e di precisi articoli del Trattato come il 2, il 3, il 6, l’11); il riemergere in Europa di una politica di balance of powers, di potenze nazionali più o meno forti che si guardano in cagnesco l’un l’altra. La tecnica ancora una volta prende il sopravvento. Dovremmo sapere, da Heidegger, che “l’essenza della tecnica non è mai tecnica”.

Passo all’articolo in cui si denuncia la mancanza di convergenza e di competitività. Anche qui, nessun accenno alle diseguaglianze sociali, al senso di dis-empowerment dei cittadini e di impoverimento generalizzato delle classi medie: che sono poi le vere ragioni dell’ondata di sfiducia verso l’Europa. Di tanto in tanto si accenna nelle Relazioni alle necessità della coesione sociale, ma sono accenni secondari, come quando negli accordi di rimpatrio di migranti e rifugiati si afferma che i diritti umani saranno rispettati. Siamo di fronte a sistematici omaggi che il vizio rende alla virtù.

Non meno grave, e del tutto anacronistico, il proposito (in tutte tre le Relazioni) di inserire il Fiscal Compact nel Trattato, quando avrebbe dovuto essere semplicemente eliminato, vista la disgregazione sociale che ha provocato (il nostro emendamento, caduto, chiedeva “the replacement of the Fiscal Compact and the introduction of a really symmetric mechanism for macroeconomic policy coordination that addresses surpluses as well as deficits and does not place the burden of adjustment on deficit countries alone”). Nella Relazione Verhofstadt si dice giustamente che né il Patto di Stabilità e Crescita né la clausola “no bail-out” hanno fornito le soluzioni volute, ma non si fanno proprie le critiche sempre più diffuse che vengono espresse verso le ricette di austerità non solo da parte di accademici, ma dello stesso Fondo Monetario Internazionale. Il malfunzionamento, secondo la Relazione Verhofstadt, viene fatto risalire alle troppe infrazioni del Patto e più in genere agli impacci delle istituzioni. Constato un ritardo diagnostico di almeno dieci anni nell’analisi delle politiche economiche europee.

In questo ambito, mi dispiace l’assenza di accenni alle proposte di un New Deal europeo. In un emendamento aggiuntivo ne avevo proposto uno – ma le idee sono molte – finanziato dalla Banca europea degli Investimenti e da nuove risorse proprie alimentate da una tassa patrimoniale comune, dalla tassa sulle transazioni finanziarie e da una carbon tax. È stata affossata anche questa proposta.

Altra proposta bocciata, che avanzavo per entrambi le Relazioni: l’adesione dell’Unione alla Carta Sociale, e comunque l’inclusione dei criteri della Carta nella definizione della politica economica.

La Relazione Verhofstadt condivide esplicitamente la Relazione dei cinque Presidenti (“Completare L’Unione economica e monetaria dell’Europa”). In un certo senso tutte e tre le Relazioni (Verhofstadt, Bresso-Brok, Berès-Böge) sono il prolungamento di quella Relazione, che risale al 22 giugno 2015. La storia è passata e ha sconvolto quasi tutte le coordinate dell’Unione, ma i relatori delle varie Relazioni si ostinano a ignorarla. Nei miei emendamenti avevo espresso forti critiche della Relazione dei 5 Presidenti e delle cosiddette riforme strutturali: basate su codici di competitività che hanno come principale fondamento la ristrutturazione del mercato del lavoro e livellamenti verso il basso dei salari. La ricetta per uscire dalla recessione non cambia, anche se sono aggiunti più forti richiami alla crescita e agli investimenti. Anche questi emendamenti sono stati affossati. L’unico cambiamento consiste nella “velocizzazione” della governance tecnica di politiche ritenute evidentemente immutabili.

Per tutte queste ragioni non ho accolto la proposta – che in altri tempi e con altre politiche sarebbe stata positiva – di istituire un comune Ministro delle Finanze (e un comune Ministro degli Esteri). Il rischio è di ripetere l’errore fatto con l’euro. Parlo dell’illusione gradualista secondo cui creando istituzioni comuni parziali si arriverà necessariamente e provvidenzialmente all’unità politica e solidale dell’Europa. Nello stesso spirito ho respinto la proposta di una Difesa comune: anche qui nulla cambia, visto che la futura difesa europea viene presentata come “pilastro” della Nato, quindi di politiche militari extra-area che hanno solo creato caos e Stati falliti: nel Grande Medio Oriente, in Libia e Afghanistan, nel vicinato Est-europeo (quadruplicamento delle forze Nato ai confini della Polonia e degli Stati baltici).

Nelle riunioni della Commissione affari costituzionali mi è stato obbiettato che non è questo lo scopo della relazione Verhofstadt sulle necessarie modifiche del Trattato, né di quella dei relatori Mercedes Bresso e Elmar Brok su quello che si può fare senza cambiare i Trattati. Che è in gioco il quadro costituzionale, non le politiche immesse in tale quadro. Verhofstadt è giunto sino a presentarsi come erede dei padri fondatori dell’Europa unita, per i quali le istituzioni erano prioritarie. Ma ambedue le Relazioni fanno proprie precise linee politiche, economico-sociali e militari, e questo spiega come mai – non essendo per appunto tecnica, la natura della tecnica – ho sempre parlato di sostanza politica anch’io: in Commissione, e attraverso gli emendamenti e le raccomandazioni di voto che tornerò a presentare il giorno in cui le Relazioni saranno votate in plenaria. Per quell’occasione, mi riservo di presentare un nuovo emendamento che abbia al suo centro la possibile e ordinata uscita dall’Euro, senza che l’appartenenza all’Unione sia messa in questione: esiste infatti nel Trattato un vuoto giuridico in proposito.

Alcune cose minori le abbiamo ottenute. Spesso si tratta di quisquiglie: un riferimento alla Carta dei diritti fondamentali nelle Citations (having regard) o alla risoluzione del Parlamento europeo sull’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Nei Recital, abbiamo ottenuto che non si parlasse di “decisione” a proposito del Brexit ma del “risultato” del referendum (è ancora atteso il giudizio finale della Suprema Corte inglese, in proposito, e non esiste ancora un’interpretazione definitiva dei diritti legali del Nord Irlanda, iscritti nel Good Friday Agreement). Abbiamo anche ottenuto – ma in un solo paragrafo della Relazione Verhofstadt – che il presente ordinamento dell’Unione venisse chiamato istituzionale, e non “costituzionale” (il Trattato di Lisbona non è una Costituzione). Nell’articolato, è stato poi accolto un riferimento alla necessità di applicare integralmente la Carta dei diritti fondamentali, abolendo l’articolo 51. Su nostra richiesta attraverso split vote è stato eliminato un passaggio a proposito dell’articolo 7 TUE, in cui si proponeva di fare della Commissione l’”esecutore” dell’articolo stesso: in sostanza, il paragrafo ignorava il nuovo meccanismo In’t Veld in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali nei Paesi membri, meccanismo che non conferisce tutti i poteri alla Commissione, essendo anch’essa possibile oggetto di un “monitoring” (il testo attuale diceva: “Proposes to make the Commission the executor of the Article 7 procedure with the Council and Parliament as decision makers, to expunge the unanimity rule, and to review the sanction mechanism”).

È passato anche un nostro emendamento (non sull’ECI ma, più in genere, sulla democrazia partecipativa e sui referendum europei): “Believes, moreover, that citizens should be endowed with more instruments of participatory democracy at Union’s level; therefore, proposes to evaluate the introduction, within the Treaties, of the provision for a EU referendum on matters relevant to Union’s actions and policies”.

—-

Principali emendamenti bocciati (Relazione Verhofstadt)
(Testo evidenziato in giallo: non consentito voto separato da compromesso)

whereas the austerity policies adopted and imposed by the EU institutions and the International Monetary Fund (“Troika”) have increased this scepticism, produced destitution in the countries subject to readjustment programs and aggravated their debts; whereas these programs were the result of “overly optimistic growth projections”, as highlighted by several studies, including a report published on 8 July 2016 by the Independent Evaluation Office (IEO) of the International Monetary Fund;

whereas, according to Opinion 2/13 and the relevant case-law of the Court of Justice, fundamental rights recognised by the EU Charter of fundamental rights are at the heart of the legal structure of the Union and respect for those rights is a condition of the lawfulness of EU acts, so that measures incompatible with those rights are not acceptable in the EU; whereas article 6(1) TEU clearly states that the Charter of Fundamental Rights of the European Union has the same legal value as the Treaties; whereas a proper implementation of this article requires a removal of all the restrictions on the full and substantial effectiveness of the Charter’s provisions;

whereas over the past decade the security situation in Europe has deteriorated markedly, due to ill-conceived and short-term military and migration policies especially in our neighbourhood: this has shown the need to move towards a different approach in the EU’s external relations, founded on the peaceful promotion of social, economic, environmental and human rights standards for the benefits of all the parties involved, while, at the same time, refraining from policies of regime-change and proxy wars, which only have expanded the phenomenon of failed States in the Greater Middle East;

whereas Europe’s defence and diplomatic capabilities has limited its ability to project stability and peace beyond our immediate borders and especially in the accession countries; whereas this should lead to the need for more intense cooperation among the Member States and an integration of some of their defence capacities into a European defence community, considering that any security policy of the EU should have a defensive and not aggressive dimension, should be based on disarmament and arms control, focusing essentially on cooperation in the European continent;

Whereas there is a need to review EU-NATO cooperation, taking into account the profoundly changed scenarios of the post-cold war era in Europe and the substantive failures of NATO policies in the US-led anti-terror war outside the NATO area and to put a definitive end to the NATO and US enlargement policies at the Eastern borders of the EU, while looking for and building new independent forms of cooperation with the Russian neighbour;

whereas in its follow up to the European Parliament resolution on the European Citizens’ Initiative, adopted on 2 February 2016, the Commission stated “that after only three years after its effective entry into application, it is at this point too early to launch a legislative revision of the Regulation”; whereas from the establishment of the ECI only three initiatives were deemed admissible and no one has received an appropriate follow-up; whereas there are deficiencies in relation to the functioning and implementation of the instrument of the European Citizens’ Initiative and therefore a need for improvement in order for it to function effectively and be a true instrument for participative democracy and active citizenship;

Furthermore, calls on the Commission to present as soon as possible a new draft agreement for the accession of the Union to the ECHR in line with the obligations deriving from article 6 TEU, providing positive solutions to the objections raised by the Court of Justice of the European Union (CJEU) in its Opinion 2/13 of 18 December 2014;

Observes with great concern the proliferation of subsets of Member States – especially in Eastern European countries – undermining the unity of the Union by causing a lack of transparency and solidarity among the Member States, as well as a widespread propensity to an increase request for “opts-out” and to a resurgence of the “balance of power” system, magnified by the result of the UK referendum on Brexit;

Considers it essential in these circumstances not only to reaffirm the mission of an ‘ever-closer union among the peoples of Europe’ (Article 1 TEU) in order to mitigate any tendency towards disintegration, but also to clarify the substantial meaning of such formula, whose purpose should be that of providing the European Union of a real constitution underwritten by its peoples and not only by the heads of State and Government of the Member States;

Notes and respects the fact that the people of the Northern Ireland and Scotland voted overwhelmingly to remain in the EU; believes that an accommodation should be found whereby Northern Ireland maintains its membership of the European Union; calls on the EU to continue to proactively support the peace process in Ireland and to provide for its continuation in any negotiations on British withdrawal; stresses that an accommodation should also be found as far as Scotland is concerned if its citizens express a desire in this direction;

Recalls that the construction of the European Union has been rooted on four freedoms namely the free movement of goods, the free movement of services and freedom of establishment, the free movement of persons (and citizenship), including free movement of workers and the free movement of capital; therefore, points out that the both the negotiations and the final agreement concerning the withdrawal of the UK from the Union as well as the future framework for the future relationships should respect their substantial indivisibility; Is convinced that the Union needs a legal shift on its economic policy based on the full application of Article 3 TEU and the principles provided for, in particular, in articles 9 to 12 TFEU; asks therefore for a real New Deal for Europe, consisting in common investments in a new environmentally sustainable growth and employment plan, financed by the European Bank of Investments and by own resources deriving from an EU wide coordinated wealth levy, a Financial Transaction Tax (FTT) and a carbon tax, directly collected by the Union;

Is convinced that the Union needs a legal shift on its economic policy based on the full application of Article 3 TEU and the principles provided for, in particular, in articles 9 to 12 TFEU; asks therefore for a real New Deal for Europe, consisting in common investments in a new environmentally sustainable growth and employment plan, financed by the European Bank of Investments and by own resources deriving from an EU wide coordinated wealth levy, a Financial Transaction Tax (FTT) and a carbon tax, directly collected by the Union;

Recalls that social rights are fundamental rights, as recognised by international treaties, the ECHR, the EU Charter of Fundamental Rights and the European Social Charter; in this respect, calls on the Commission to swiftly present a proposal for a concrete European Social Pillar aimed at improving living and working conditions, quality employment, fair wages, equal treatment, social dialogue, quality public services and effective social protection, in line with the relevant ILO Conventions, while respecting the prerogative of the Member States to introduce or retain more favourable provisions in this field; moreover, asks the Commission to take into consideration the idea of introducing, in that proposal, provisions establishing a fair and just minimum wage, minimum pensions and a minimum income, in line with the European Parliament resolution of 20 October 2010 on the role of minimum income in combating poverty and promoting an inclusive society in Europe and article 34(3) of the Charter of fundamental rights of the European Union, while respecting the right to collective bargain, as enshrined in article 28 of the EU Charter

Calls on the Commission to start negotiations with the Council of Europe in order to launch the process for the accession of the EU to the European Social Charter; in the meantime, asks the Commission to use the Charter as guiding standard for the impact assessments carried out on the basis of article 12 of the Interinstitutional Agreement on Better Law-Making and for drafting the explanatory memoranda foreseen in article 25 of the same, having regard to the fifth recital of the Preamble to the Treaties;

Deplores the emphasis put, in the 5 Presidents Report, on “flexible” economies capable to quickly adjust to shocks and on a “new convergence process”, facilitated by the creation of national Competitiveness Boards; believes that such measures are based on the assumption that (downward) wage flexibility is the main ‘shock absorber’ and a key tool for assuring the cost competitiveness of national economies. The Competitiveness Boards may in fact institutionalise the pressure towards wage and cost reductions in the pursuit of greater cost competitiveness, especially in less technologically advanced countries; considers that the proposals contained in the “Five presidents’ report” claim to promote greater prosperity and solidarity in Europe while in fact further reinforcing the technocratic character of EU governance;

Is acutely aware of the need to review many recent crisis-management measures taken by the EU, as well as the need to change course to the regulatory framework for the financial sector; at the same time, in its recent judgment Ledra Advertising Ltd and Others v. European Commission and European Central Bank (ECB) (joined cases C-8/15 P to C-10/15 P), has stated that whilst the Member States do not implement EU law in the context of the ESM Treaty, on the other hand the Charter is addressed to the EU institutions, including when they act outside the EU legal framework;

Calls for the deduction of net public investment from public debt in an effort to implement the “golden rule for public investment” in order to allow for an optimal intergenerational allocation of public investment; believes that the definition of what qualifies as investment should be assessed; considers that in order to limit short term public debt a corresponding threshold for net investment could be implemented; considers that implementation of the rule could be done through annexing an “investment protocol” to the Treaties under the simplified revision procedure of Art. 48 TEU;

Stresses that in the current economic environment of subdued demand, the monetary policy must be complemented by expansionary fiscal policies as well as by strengthening unions collective bargaining power in order to ensure wage growth in line with countries average productivity growth and the ECBs inflation target; deems it necessary, in this context, to revise the objectives of the ECB;

Disapproves any expansion of the power of European-level institutions, such as the envisaged EU Finance Minister, if not made conditional on the approval of a clear mandate in terms of employment and/or growth-related targets, namely specific numerical targets to be reached within a specified timeframe and not only “full employment” as a general and declamatory aim. This, in turn, would require the creation of, and commitment to, clear institutional arrangements that would make the attainment of such targets possible;

Calls for better use of the existing structural funds in the direction of fostering cohesion;

Believes that before completing the Banking Union, it is necessary to address the critical flaws in its current architecture, such as the exclusion of any common deposit insurance scheme, the absence of an effective national veto over the use of common financial resources, the fact that the Single Resolution Fund’s (SRF) pre-funded financial means amount to “only” €55 billion, meaning that, in the event of a serious banking crisis, the SRF’s resources are unlikely to be sufficient (especially during the fund’s transitional period), the fact that, where the ESM will be allowed to intervene through its new direct recapitalisation instrument (DRI), this will be conditional on the implementation of the troika’s dreaded conditionalities, including where appropriate those related to the general economic policies of the ESM Member concerned; asks, furthermore, for a thorough review of the bail-in rule;

Welcomes the outcomes of 2015 Paris Climate Conference on setting out standards for reducing global emissions; stresses, however, that environmental protection shall become a short-term top priority for the EU in the light of the current environmental degradation, and shall be mainstreamed in all policies and actions of the Union; moreover suggests, in order to better attain the above-mentioned objectives, to modify the Treaties by introducing a specific reference to the Right of Nature, as developed, for instance, in the Constitution of Ecuador;

Points out that further steps are necessary to ensure that the Common European Asylum System becomes a truly uniform system; calls on Member States to harmonize their legislation and practices with regards to the standards as to who qualifies as a beneficiary of international protection, guarantees on international protection procedures and reception conditions following the jurisprudence of the ECtHR and CJUE and established best practices in fellow Member States; stresses that a new asylum and migration framework should build upon fundamental rights of the migrant;

Reaffirms that the Union must adopt a long-term strategy to address the root causes of migration in third countries (persecution, conflict, generalised violence, climate change and natural disasters or extreme poverty) and create safe and regular channels to access the EU;

Furthermore, considers it necessary to proceed to a formal recognition of the environmental refugees, as those who are obliged to leave their home countries due to environmental causes, hence to guarantee them full access to EU asylum procedures;

Is of the opinion that external military interventions as well as war rhetoric are both counterproductive and dangerous in the fight against terrorism; emphasises, in this respect, the need to adopt an holistic approach by accompanying the necessary internal security measures with actions in the fields of education, social integration and urban-planning, especially in the suburbs;

Recalls that stability and security can be reached and guaranteed only by fair and equitable societal conditions and therefore any activity to promote stability and security should be brought forward by assuring the primacy of new forms of development which advantage local populations, especially in the field of agricultural production, and providing for economic and conflict-avoiding instruments and policies;

Recalls that, according to article 21 TEU, the Union’s action in the field of CFSP shall be guided by its founding principles namely democracy, the rule of law, the universality and indivisibility of human rights and fundamental freedoms, respect for human dignity, the principles of equality and solidarity, and respect for the principles of the United Nations Charter and international law; is convinced therefore that CFSP should be developed along these lines, thus promoting peace and stability, the enforcement of the principles of the UN Charter and of the Helsinki Final Act and the development of mutual cooperation for the benefit of all the parties involved;

Considers that the Union needs to further strengthen its democratic legitimacy by providing for the involvement of civil society in the decision-making process; to this end, stresses once again the need to revise Regulation 211/2011 in order to encourage the Commission to have a less restrictive approach on the legal admissibility of an ECI and to allow a successful initiative to have an appropriate and concrete follow-up;

Calls on the Commission to explore a citizens’ social veto as a mechanism that can prevent the entry into force of EU legislation that would increase poverty and inequality or decrease social rights; in this regard, suggests to take into consideration, as a point of reference, the provisions of Protocol (No. 2) on the application of the principles of subsidiarity and proportionality;

Proposes to explore the possibility of transforming the Commission into an executive authority of the Union; nevertheless, considers that this cannot be done without a prior redefinition of the overall political strategy of the Union, aiming at the full realisation of its main principles and objectives as provided for, in particular, in articles 2 TEU and 9 to 13 TFEU; is convinced that such a change first requires a re-evaluation of the role and prerogatives of this Institution in terms of functions, composition and strengthening of democratic accountability and transparency as well as of the system of checks and balances in the Union as a whole;

Considers it necessary to enhance the political responsibility and accountability of the Commission to the European Parliament as far as the respect of the primary law, including the Charter of fundamental rights of the European Union, is concerned; in this respect, proposes to revise article 234 TFEU in order to strengthening the prerogatives of the European Parliament by allowing it to table a motion of censure also against single Commissioners;

Believes that, in redefining the governmental functions of the euro area, due respect should be paid to the interests of Member States that are not yet part of the euro (the ‘pre-ins’);

Insists that Parliament’s right of inquiry should be reinforced and be granted specific, genuine and clear powers which are more in line with its political stature and competences, including the right to summon witnesses, to have full access to documents, to conduct on-the-spot investigations and to impose sanctions for non-compliance; therefore, calls on the Commission to advance the negotiations on the Parliament’s proposal on a regulation on Parliament’s Right of Inquiry;

Principali emendamenti caduti perché coperti da compromessi

whereas the UK’s decision to leave the EU resulting from the referendum has shown, once more, the deep disaffection of the citizens vis-à-vis the current EU project; whereas this decision should represent a starting point for rethinking and innovating the EU framework by bringing back citizens’ needs centre stage in line with the Preamble of the Treaties and could offer, at the same time, an opportunity to clarify what membership of the Union really entails and what could be a clear structure in the future for the EU’s relationship with non-members in our periphery

(nel paragrafo approvato è scritto: whereas the UK’s departure would create an opportunity to reduce the complexity of the Union and to clarify what membership of the Union really means, etc etc)

Acknowledges that the European Semester, the six-pack and the two-pack have not solved but aggravated the problems; believes, moreover, that they have contributed to making the system not only overly complex, but essentially unjust and ineffective, increasing the disgregation of the EU and the widespread mistrust of the EU citizens; believes, furthermore, that the current “convergence instruments” – in particular the European Semester – should be reformed to include binding social targets;

Calls for the replacement of the Fiscal Compact and the introduction of a really symmetric mechanism for macroeconomic policy coordination that addresses surpluses as well as deficits and does not place the burden of adjustment on deficit countries alone;

Points out that the functioning of the Economic and Monetary Union requires democratic, transparent and accountable governmental institutions than those currently provided by the Commission and/or the Eurogroup, also introducing the co-decision procedure on the broad guidelines of the economic policies of the Member States and of the Union (article 121 TFEU); in this regard, expresses once again its deep concern for the lack of transparency and democratic accountability that characterises the decision-making and procedures of the Eurogroup; therefore, asks the Institutions to clarify the legal nature of this body vis-à-vis the EU Treaties;

Considers it necessary to endow the European Central Bank with the status of non-conditional lender of last resort enjoying the full powers of a federal reserve bank; at the same time, considers it necessary that the ECB also commits to purchasing eurobonds as part of its standard QE policy, keeping borrowing costs down for the eurozone as a whole; calls for the democratic control of the ECB via the European Parliament; [emendamento caduto con adozione del compromesso, nonostante quest’ultimo proponesse tutt’altro: nel compromesso approvato la funzione di prestatore di ultima istanza viene affidata al Meccanismo di Stabilità auropeo (MSE), non alla BCE]

Recognises the geopolitical, economic and environmental need for the creation of a European energy union; points out however that the Energy Union should be principally fostered through appropriate research and development investments in renewable energy sources, in line with the objectives of the EU as listed, for example, in article 3 TEU and 37 of the EU Charter of fundamental rights;

Notes that the Treaties provide ample means to set up a human rights-based, well-functioning migration and refugees policy rooted on article 80 TFEU and on the principles of solidarity, non-discrimination, non-refoulement, and on proactive search and rescue in line with the obligations deriving from the Geneva Convention, the Charter of fundamental rights of the European Union, the International Convention for the Safety of Life at Sea and the International Convention on Maritime Search and Rescue, while considering, at the same time, the establishment of safe and legal avenues for refugees fleeing from wars, dictatorships and environmentally-caused disasters; believes, however, that the Treaties, particularly Article 79(5) TFEU, are too restrictive regarding other aspects of migration, especially on the establishment of a genuine European legal migration system; insists that democratic control and co-decision by the Parliament is needed on the implementation of border control, asylum and migration policies, and that the safeguarding of national security cannot be used as a pretext to circumvent European action as far as asylum and inclusion policies are concerned;

points out, however, that the fight against terrorism shall not become a justification for lowering down existing human rights standards, including protection of privacy in internet and encryption of data;

Believes, finally, that it is essential that the restrictions in Article 24(1) TEU on the authority of the European Court of Justice in the field of CFSP be removed; calls, in the same spirit, for Parliament to gain greater powers of scrutiny and accountability over CFSP, including full co-decision powers over the budget and policies of the CFSP;

Notes that, despite the prohibition in Article 15(1) TEU, the European Council has undertaken various legislative initiatives; considers that the legitimacy of these initiatives should be assessed by the Court of justice following an action ex article 263 TFEU;

Is of the opinion that the 60th anniversary of the Treaty of Rome would be an appropriate moment to rebuild the European Union and to start a Convention in order to try to reconnect the European Union with its citizens and to draw a line under the current and persistent slide towards disaggregation, division and insignificance;

Principali emendamenti votati in aggiunta a compromessi ma rigettati

Considers it appropriate to redefine the competences of the Council vis-à-vis those of the European Parliament with the aim of strengthening the co-decision procedure and increasing the transparency of the whole legislative process; calls, furthermore, on the Council, Commission and European Parliament to strongly limit the recourse to Trilogues in the ordinary legislative procedure, while guaranteeing, at the same time, their full transparency;

Il finto federalismo del Rapporto Verhofstadt

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Possibile evoluzione e adeguamento dell’attuale struttura istituzionale dell’Unione europea” (Relatore Guy Verhofstadt – ALDE, Belgio) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio il relatore per il lavoro fatto con questa bozza di risoluzione. Dico subito che ci sono passaggi che apprezzo: sulla sicurezza interna, che non deve trasformarsi in pretesto per evitare politiche più coraggiose di asilo e inclusione; sull’opportunità che la Corte di giustizia passi al vaglio la politica estera dell’Unione; sul metodo comunitario che non deve esser soppiantato da quello intergovernativo. Giusto anche chiedere l’estensione di precisi diritti del Parlamento europeo: in prima linea il diritto di iniziativa legislativa e il diritto di inchiesta.

Come già anticipato nella riunione del 12 luglio, ho tuttavia una serie di riserve, che esprimerò negli emendamenti. Cercherò di spiegarne alcuni, facendone una sintesi.

In prima linea non concordo sulle premesse, cioè sui recital che giustificano vari articoli della risoluzione. Quello di cui sento più la mancanza è un’analisi critica e autocritica della crisi dell’Unione, che a mio avviso ha toccato l’acme durante il negoziato greco ed è sfociata per forza di cose nel Brexit – i due eventi sono a mio parere legati. Se siamo giunti a questo punto, non è perché le istituzioni funzionino male, o non si coordinino, o non siano abbastanza “federali”. Il federalismo ha senso se esiste una comunità solidale, se vengono adottate politiche che non dividono le nostre società e non generano, sempre più, disgusto verso il progetto stesso di unione. Il federalismo non è una tecnica, e non basta quest’ultima a ridare ai cittadini la fiducia e il senso di appartenenza che hanno perso. Non basta nemmeno citare Eurobarometro, che non rispecchia il loro vero stato d’animo essendo un istituto di sondaggio troppo dipendente dalla Commissione, dunque con forti conflitti d’interesse.

Non mi convince nemmeno l’analisi delle crisi – la “‘polycrisis” descritta nel rapporto: il più delle volte la crisi è dell’Europa. Non è dei modi formali in cui essa risponde alle sfide, ma della natura stessa della risposta. Ad esempio: non c’è “crisi della migrazione”, ma crisi dell’Unione davanti a flussi di profughi e migranti che al momento rappresentano lo 0,2 per cento delle popolazioni europee. Non c’è solo crisi del debito, ma crisi di Paesi che essendo in surplus non espandono la propria economia. Più generalmente, c’è crisi della solidarietà e della democrazia all’interno dell’Unione. La mia impressione è che il rapporto avalli e sostenga politiche che hanno fatto fallimento. Non basta dire che siamo di fronte a un euroscetticismo senza precedenti e un ritorno dei nazionalismi, senza indicare l’insieme di politiche sbagliate che hanno causato e causano diffusa sfiducia.

Vengo ora agli emendamenti sull’articolato, e ne cito solo alcuni che mi sembrano importanti.

Fin dal primo articolo, si chiede una modernizzazione della governance dell’Unione: cioè più efficienza, più rapidità. Non si va alla sostanza della crisi: la spettacolare mancanza di giustizia sociale, il venir meno di diritti (e di precisi articoli del Trattato come il 2, il 3, il 6, l’11); il riemergere in Europa di una politica di balance of powers, di potenze nazionali più o meno forti che si guardano in cagnesco l’un l’altra. La tecnica ancora una volta prende il sopravvento. Dovremmo sapere, da Heidegger, che “l’essenza della tecnica non è mai tecnica”.

Passo all’articolo 13, in cui si denuncia la mancanza di convergenza e di competitività. Anche qui, nessun accenno alle diseguaglianze sociali e al senso di dis-empowerment dei cittadini, e di impoverimento generalizzato delle classi medie: che sono poi le vere ragioni dell’ondata di sfiducia verso l’Europa.

Nell’ articolo 14, si dice giustamente che né il Patto di Stabilità e crescita né la clausola “no bail-out” hanno fornito le soluzioni volute, ma non si fanno proprie le critiche sempre più diffuse che vengono espresse verso le ricette di austerità non solo da parte di accademici, ma dello stesso Fondo Monetario internazionale. Il malfunzionamento, secondo la relazione Verhofstadt, viene fatto risalire alle troppe infrazioni del Patto. Constato un ritardo diagnostico di almeno dieci anni nell’analisi delle politiche economiche europee.

In questo ambito, mi dispiace che non vi sia neppure un accenno alle proposte di un New Deal europeo. In un emendamento aggiuntivo all’articolo 13, ne propongo uno – ma le idee sono moltefinanziato dalla Banca europea degli Investimenti e da nuove risorse proprie alimentate da una tassa patrimoniale comune, dalla tassa sulle transazioni finanziarie e da una carbon tax.

Altra proposta che va in questa direzione: l’adesione dell’Unione alla Carta Sociale, e comunque l’inclusione dei criteri della Carta nella definizione della politica economica.

A proposito del Rapporto dei cinque Presidenti (articolo 16): il Rapporto Verhofstadt lo condivide in pieno. Io non lo condivido. Nel mio emendamento esprimo una forte critica del rapporto, e delle cosiddette riforme strutturali: basate su codici di competitività che hanno come principale fondamento la ristrutturazione del mercato del lavoro e livellamenti verso il basso dei salari. Non mi sembra la ricetta per uscire dalla recessione.

Per tutte queste ragioni non accolgo la proposta – che in altri tempi e con altre politiche sarebbe stata positiva – di istituire un comune Ministro dell’Economia (e un Ministro degli Esteri). Il rischio è di ripetere l’errore fatto con l’euro. Parlo dell’illusione gradualista secondo cui creando istituzioni comuni parziali si arriverà necessariamente e provvidenzialmente all’unità politica dell’Europa.

Mi si obietterà che non è questo lo scopo di questo rapporto, né di quello dei colleghi Mercedes Bresso e Elmar Brok su quello che si può fare senza cambiare i Trattati. Che è in gioco il quadro costituzionale, non le politiche immesse in tale quadro. Ma ambedue i rapporti fanno proprie precise linee politiche, e questo spiega come mai – non essendo per appunto tecnica, la natura della tecnica – parlo di sostanza politica anch’io.

Rapporto Bresso-Brok: il fiscal compact inserito nei Trattati

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento (non pronunciato) di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso, S&D – Italia, Elmar Brok, PPE – Germania) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio i relatori di questo rapporto, anche se purtroppo ho constatato l’impossibilità di un confronto che sia serio e rispettoso con i relatori ombra.

Come già sottolineato nel corso della precedente discussione sulla Relazione Verhofstadt, quello che mi lascia più perplessa è la visione di fondo dei due documenti, ossia la scelta di cambiare la struttura, la tecnica – la “capacità di agire” a più livelli, rapidamente ed efficacemente, come è scritto nel rapporto – per lasciare essenzialmente invariata la sostanza. Un esempio tra tutti è il Fiscal Compact. Uno strumento figlio di politiche dell’austerità i cui contenuti ed effetti sono stati ampiamente criticati da noti economisti e, ultimamente, persino dallo stesso Fondo Monetario Internazionale. Piuttosto che modificarlo o scegliere soluzioni alternative, la strada percorsa è quella di legittimarlo completamente, incorporandone le parti più rilevanti all’interno del Trattato e rendendolo di conseguenza elemento strutturale della politica economica europea.  È quello che più ci viene contestato dai cittadini: la miopia, la sordità di fronte ad una richiesta di cambiamento che riguarda esattamente il fondo delle nostre scelte e non l’involucro tecnico all’interno del quale le presentiamo.

Penso anch’io, come i relatori, che i Trattati hanno limiti evidenti ma ci offrano già chiare indicazioni su una possibile via alternativa, ed è alla luce di tali indicazioni che dovremmo procedere per “sfruttarne le potenzialità”. È la direzione che ho tentato di seguire con gli emendamenti che ho presentato. Mi riferisco in particolare agli articoli iniziali del Trattato sull’Unione Europea: l’articolo 2 sui cosiddetti “valori” dell’Unione (mi piacerebbe che in una futura Costituzione si parlasse di norme e di diritti – i valori per definizione sono opinabili); l’articolo 3 sugli obiettivi dell’Unione – tra cui la creazione di un’economia sociale di mercato non solo competitiva, ma che miri – cito – alla piena occupazione e al progresso sociale, e a un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; l’articolo 6 sui diritti fondamentali o l’articolo 11 sulla partecipazione dei cittadini al processo decisionale – solo per citarne alcuni. A rinforzo dei trattati abbiamo anche creato uno strumento unico, la Carta dei diritti fondamentali, che chiede solo di essere innalzata a reale parametro di azione. Si tratta ovviamente di standard generali che necessitano di norme che ne diano concreta attuazione, ma sono anche quei parametri che abbiamo scelto e deciso di inserire nei Trattati quali disposizioni comuni e presupposti del progetto di integrazione europea. Ritengo sia giunto il momento di darne concreta attuazione con politiche che non ne infrangano, come accade oggi quasi quotidianamente, l’essenza.

Un’ultima osservazione sulla politica di immigrazione e di asilo. Considerata l’involuzione sempre più autoritaria in Turchia, considerata la natura dittatoriale di regimi come quello eritreo e sudanese, e il caos che regna in Afghanistan e in Libia, considero impossibile – e indifendibile sul piano legale – la strategia dei cosiddetti “Paesi sicuri”, e ritengo che non vadano firmati accordi con Paesi terzi che sono tutt’altro che sicuri,  al solo fine di rimpatriare migranti e profughi, e di ridurre i flussi migratori prima che i migranti arrivino alle nostre frontiere.

E-democracy: non aver paura delle alternative

Bruxelles, 12 ottobre 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “e-democrazia nell’Unione europea: potenziale e sfide” (Relatore Ramón Jáuregui Atondo – S&D Spagna) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda: Esame del progetto di relazione

Ringrazio il collega Atondo per il documento presentato. A differenza del collega Preda (PPE – Romania) che mi ha preceduto, trovo particolarmente importante, giusta e aderente alla realtà la premessa contenuta nel Considerando A della Relazione, ossia il richiamo alla crisi grave della democrazia nell’Unione e alla rappresentanza sempre più inadeguata dei cittadini.

Apprezzo molto i paragrafi relativi al digital divide, laddove si sottolinea non solo la necessità della formazione e dell’educazione ma anche la questione geografica. In tal caso, si tratta di potenziare le infrastrutture per arrivare in territori non coperti dal digitale.

È anche degno di nota il paragrafo 16 della Relazione, in cui si fa riferimento alla protezione dei dati personali e, in particolare, al fatto che le esigenze di sicurezza non possono diventare un deterrente contro l’inclusione di individui e gruppi nel processo democratico.

Vi sono altre parti su cui invece nutro alcuni dubbi e che diverranno probabilmente oggetto di miei emendamenti.

In primo luogo ritengo che a seguito di una premessa così pertinente, le conseguenze che se ne traggono siano, in alcuni casi, di tenore abbastanza generico. Vorrei menzionare innanzitutto il paragrafo 3, letto in combinazione con il precedente paragrafo 1, laddove si parla di obiettivi dell’e-democracy e si assicura che lo scopo non è di cercare alternative all’ordinamento attuale della democrazia. Personalmente non avrei così paura di parlare di alternative ai nostri presenti ordinamenti. L’alternativa non è la rivoluzione, non è l’assalto della Bastiglia. E’ giusto un’alternativa. In democrazia è sempre positivo quando, in presenza di fallimenti o di difetti evidenti, si tentano strade alternative, anche se complementari al sistema rappresentativo. È il motivo per cui non vedrei la e-democracy soltanto come “support and enhancement of traditional democracy” se, è vero, come dice lo stesso collega Atondo nelle premesse, che la democrazia tradizionale è oggi in stato di crisi profonda.

Suggerirei inoltre di modificare lo stesso paragrafo 1 e, in particolare, la terminologia citizens’ enablement. Parlerei piuttosto di citizens’ empowerment. Si tratta di un concetto politicamente più incisivo, su cui l’economista Amartya Sen ha lungamente lavorato: sarebbe interessante vederlo riflesso in questa relazione.

Tra gli altri punti che vorrei sollevare vi è sicuramente la parte relativa all’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). Sono molto più critica del collega Atondo rispetto alle risposte fornite dalla Commissione (“è troppo presto per introdurre modifiche all’ICE”, così ha risposto alla recente risoluzione Schöpflin) e soprattutto verso l’atteggiamento massimamente restrittivo mostrato sull’ammissibilità delle Iniziative.

Sempre in tema di digital divide, mi piacerebbe che fosse integrato un richiamo più esplicito ai diritti della persona anche in campo digitale e, nello specifico: il principio di non-discriminazione, la libertà di espressione e informazione, il diritto all’educazione. Al contempo farei anche un richiamo esplicito al diritto allo sviluppo e ai diritti sociali, che sono fondamentali al fine di superare effettivamente il digital divide.

Vorrei fare infine un ultimo accenno alla possibilità di redigere una Carta europea dei diritti in internet modellata sull’analogo strumento italiano. Quest’ultimo era espressamente richiamato nel documento di lavoro preparatorio che ha preceduto la Relazione, ma di esso non vi è più traccia. Capisco che la Relazione ha uno spazio limitato, ma il riferimento alla Carta approvata dal Parlamento italiano nel luglio 2015 potrà essere reintrodotto negli emendamenti.

Ricordo solo che la Carta italiana integra una serie di diritti già citati dai colleghi che mi hanno preceduto, tra cui il diritto all’oblio e la necessità di superare ogni forma di divario digitale, sia esso legato alle diseguaglianze sociali, geografiche o anche di età. In un continente che invecchia, la formazione digitale è certo importante per le giovani generazioni, ma lo è in misura non minore per gli anziani.

Come negoziare il Brexit

Intervento di Barbara Spinelli nel Workshop “After the UK Referendum: Future Constitutional Relationship of the United Kingdom with the European Union” organizzato nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO). Bruxelles, 5 settembre 2016.

Oratori:

  • Francisco Aldecoa Luzárraga, Mercedes Guinea Lorenete (Fundacion Alternativas / Universidad Complutense de Madrid)

“Withdrawal procedure and future framework of relations”

  • René Repasi (EURO-CEFG, University of Rotterdam)

“Economic governance and internal market”

  • Steve Peers (University of Essex)

“Vested rights and EU free movement”

 

Vorrei riprendere quanto detto dalla collega Pervenche Berès (S&D), considerando il suo invito più che condivisibile: la discussione sugli sviluppi successivi al referendum britannico deve essere più politica che tecnica – anche se gli aspetti tecnici sono certo fondamentali – e per questo motivo ritengo sia necessario che il Regno Unito attivi al più presto il meccanismo dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (clausola sul recesso). A differenza del primo oratore, Prof. Francisco Aldecoa Luzárraga, penso infatti che la disgregazione non sia più difficile da gestire rispetto all’integrazione. Oggi, in Europa, è l’integrazione a costituire la sfida più difficile cui far fronte, non la disintegrazione che stiamo vivendo.

In questo quadro, sono convinta che non vadano trascurati gli effetti disgregativi del referendum inglese e i fenomeni imitativi, mimetici, che esso sta già producendo in vari Paesi, e in particolare in quasi tutti i Paesi dell’Est dell’Unione. I motivi di tali fenomeni mimetici vanno studiati attentamente e affrontati politicamente nel loro insieme: sono motivi sociali, sono l’insoddisfazione e la delusione di fronte a una gestione catastrofica sia della crisi economica, sia della questione rifugiati. Se guardiamo ad esempio alla Francia, oltre che ai Paesi dell’Est, vedremo come sia sempre più generalizzata la “fuga” dall’Europa, dalla Carta dei diritti fondamentali, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È un fenomeno evidente nell’elettorato di Marine Le Pen, ma è forte anche nel partito di Sarkozy e perfino in una parte del partito socialista, se esaminiamo le posizioni del Primo Ministro Manuel Valls (cfr. affare del “burkini”).

Se l’attenzione si concentra sulle reazioni dei cittadini, vorrei anche ricollegarmi a quanto affermato da Steve Peers in merito alla tutela dei diritti acquisiti dai residenti in Inghilterra in virtù dell’appartenenza all’Unione. Sono persuasa, come lui, che il Parlamento europeo possa svolgere un ruolo importante nella difesa di tali diritti, anche se naturalmente bisognerà evitare che forti interventi di quest’assemblea facciano crescere in Inghilterra il rifiuto dell’Europa, come paventato dal collega György Schöpflin (PPE). Anche se vorrei ricordare al collega che il rigetto non è una minaccia: il gran rifiuto non è qualcosa che sta davanti a noi ma c’è già stato.

Quel che vorrei chiedere a Steve Peers è cosa concretamente possa fare questo Parlamento per difendere tali diritti, che riguardano milioni di cittadini non britannici residenti nel Regno Unito.

Infine vorrei porre un’ultima domanda agli esperti presenti, chiedendo loro come potrà essere gestita la questione di una possibile permanenza nell’Unione dell’Irlanda del Nord e della Scozia – in quest’ultimo caso nell’ipotesi di un eventuale referendum sull’indipendenza e di un vittoria del fronte favorevole a tale prospettiva (non è detto a mio parere che tale referendum si terrà, e che i pro-europei lo vincano) – trattandosi di due regioni che nel referendum sul Brexit hanno maggioritariamente espresso la volontà di restare nell’Unione.