“Macron pensa di fare De Gaulle e invece è solo una marionetta”

Intervista di Tommaso Rodano, «Il Fatto Quotidiano», 16 marzo 2024

Barbara Spinelli, ieri Macron e Scholz avrebbero concordato di “non prendere mai l’iniziativa di un’escalation militare”. È un passo indietro per il presidente francese, ormai calato nelle vesti del falco?
Non credo che Macron abbia fatto marcia indietro. Anche nella conferenza stampa di giovedì aveva parlato di uno scatto in avanti dell’Occidente come reazione militare alle avanzate russe. Non credo nemmeno che Scholz faccia marcia indietro sui missili Taurus da inviare a Kiev. Anche se in Germania si sta discutendo una manovra piuttosto disgustosa, su spinta dei Verdi e Liberali: i missili verrebbero inviati all’Inghilterra affinché siano gli inglesi a inviarli in Ucraina, con esperti britannici che si occupino della loro manutenzione e destinazione. In questo modo i tedeschi eviterebbero di inviare i propri uomini, incaricati di decidere se i missili saranno impiegati sul suolo ucraino o anche su quello russo. Scholz non lo vuole.

Nelle prime fasi del conflitto ricordavamo Macron al tavolo con Putin, tra i pochi leader internazionali a promuovere un dialogo. Poi cosa è successo?
È vero, all’inizio Macron insisteva sulla necessità di non umiliare la Russia. Aveva adottato una logica da prima guerra mondiale (evitare gli errori che seguirono il ’14-18). Ora è in una logica da seconda guerra mondiale: “guerra esistenziale”, sostegno all’Ucraina per recuperare tutti i territori Crimea compresa, rinuncia a parlare con Putin. È un cambiamento impressionante, Gli occidentali, per fortuna con alcune differenze interne, prendono atto che la controffensiva ucraina è fallita e si stanno preparando a una seconda controffensiva, nella quale l’appoggio dell’Occidente sarà ancora più forte, con l’invio sul territorio ucraino non ancora di soldati, ma sicuramente di consiglieri militari con il controllo sulla destinazione dei missili a lunga gittata. Ci sono rischi molto grandi: il primo è la morte di altre centinaia di migliaia di soldati ucraini. Quanti ne resteranno alla fine della carneficina? Il secondo è l’incidente nucleare. Oggi i droni ucraini hanno colpito la città di Kaluga, a meno di 160 chilometri da Mosca. Si sta giocando col fuoco.

Anche in Francia c’è un’opinione pubblica contraria all’escalation militare, ma il presidente si muove in direzione opposta.
L’operazione di Macron è condivisa dalle altre forze politiche, tranne l’estrema destra, la sinistra di Mélenchon e i comunisti. Macron sta facendo campagna elettorale, è questo l’aspetto nefasto della faccenda. È la politica interna che spiega il cambio radicale nella politica estera francese. Lui vuole apparire alla vigilia delle elezioni europee come un De Gaulle, dimenticando però che De Gaulle era per l’autonomia della Francia dagli Usa e dalla Nato e per i buoni rapporti con la Russia. È un finto De Gaulle, un finto Churchill. Una marionetta che nasconde la realtà e mente su tutto: sul proprio isolamento mondiale, sulle responsabilità ucraine nel fallimento degli accordi di Minsk, sull’espansione della Nato e le sue responsabilità, sui necessari negoziati, attorno alla neutralità ucraina.

I sondaggi gli danno torto: Marine Le Pen è di nuovo in crescita, se si votasse oggi il partito di Macron rischierebbe di rientrare in Parlamento dimezzato.
Infatti siamo all’improvvisazione. Nell’intervista di giovedì, quando gli hanno domandato se ritenesse possibile l’invio di truppe francesi, Macron ha risposto alla giornalista: “Lei è seduta su una sedia. Può escludere che dopo si alzerà in piedi?”. Come se l’escalation fosse un movimento naturale del corpo.

Macron è al secondo mandato, non potrà ricandidarsi. Che partita sta giocando?
Nell’immediato vuol dare una mano al proprio partito e ai socialisti, che hanno esattamente le stesse idee sull’Ucraina. Poi c’è il lungo termine. Macron fa parte di una élite, non solo francese, molto atlantista, legata all’industria delle armi. Le sue posizioni somigliano a quelle di Draghi. Immagino stia preparando il proprio futuro personale.

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I socialisti “comodi” che riarmano l’Ue

di domenica, Marzo 10, 2024 0 , , , , Permalink

di Barbara Spinelli, «Il Fatto Quotidiano», 10 marzo 2024

Se fossero davvero innovativi e volessero difendere il progetto originario di unità europea, che era pacifico, i socialisti e socialdemocratici del continente dovrebbero esaminare se stessi e infine ammetterlo: non si governa per decenni in coabitazione con i Popolari, che sono dominanti nel Parlamento europeo, senza farsi contaminare dal coabitante.

Non si esce illesi da un connubio metodico, capillare, costante, che pervade ogni mossa degli europarlamentari che usano dirsi “di sinistra”, che si fanno eleggere nel gruppo chiamato Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D), e che con la sinistra non hanno più nulla a che fare (se mai l’hanno avuto nei tempi recenti). Chi appartiene al gruppo fa parte della cerchia che conta a Bruxelles e Strasburgo, che decide nelle Commissioni parlamentari il destino non solo delle inutili risoluzioni su politica estera o diritti dell’uomo, ma anche dei regolamenti o direttive che diverranno più o meno automaticamente legge europea. Difficile rinunciare a queste abitudini e queste seduzioni del potere.

Di questa cupola di potenti fanno parte sia i Liberali che oggi si ispirano a Emmanuel Macron (Renew), sia i Verdi che dalla guerra jugoslava in poi sono atlantisti d’avanguardia. Alcuni esempi recenti: le critiche che i Verdi – tramite il ministro degli Esteri Annalena Baerbock– hanno rivolto al Cancelliere Scholz, contrario a inviare in Ucraina i missili Taurus che potendo colpire la Russia rischierebbero una guerra mondiale. Secondo esempio, si parva licet: l’uscita strampalata della vice Presidente del Parlamento Pina Picierno (Pd) che ha chiesto sanzioni europee (non si sa di che genere) contro Ciro Cerullo, Jorit in arte, per un murale a Mariupol e per “adesione al disegno criminale e genocidario del popolo ucraino da parte di Putin”.

Naturalmente non mancano eurodeputati socialisti che pensano in altro modo e si sforzano – debolmente – di resistere al fascino nonché alle tante comodità del connubio. Ma il dispositivo della coabitazione finisce con lo stritolarli, fino a che le loro figure sbiadiscono e diventano ombre. Elly Schlein, che oggi guida il Pd e nella precedente legislatura fu ottima eurodeputata, ne sa qualcosa. E anche se decide di soprassedere, dovrebbe sapere come si comportano i rappresentanti Pd appena mettono radici nell’europarlamento. È faticoso sradicarsi, le abitudini non si spengono facilmente. Il pericolo, per chi dissente in Europa, è di confondersi con gli “estremismi di destra e sinistra”, che la cupola aborre.

Sui temi che oggi contano di più, e cioè sulla “guerra grande” in Ucraina e Medio Oriente (Yemen e Libano oltre a Gaza), gli eurodeputati Pd non seguono generalmente le indicazioni della segreteria, e appoggiano le risoluzioni o i regolamenti più bellicosi, fedeli all’atlantismo di Renzi e Letta. Schlein ancora non ha deciso se privilegiare i negoziati con Mosca – e di conseguenza suggerire la neutralità o almeno il non allineamento di Kiev– o armare Zelensky fino a improbabili vittorie. Ma gli europarlamentari Pd le idee chiare le hanno, e sulla guerra non ascoltano le riserve della segretaria ma votano sistematicamente come i Popolari, i liberali di Renew e i Verdi. Lo stesso vale quando si discute di austerità economica.

È quel che si verificò quando Jeremy Corbyn divenne leader del Labour, fra il 2015 e il 2020, e tentò di spostare a sinistra un partito che per anni, con Blair e Cameron, si era tramutato in una forza favorevole alle guerre in Afghanistan, Iraq, Libia: tutte rovinose, tutte impopolari e perse. Se si escludono alcuni dissidenti, i laburisti eletti in Europa fecero finta che Corbyn non esistesse. Corbyn fu poi travolto da assurde accuse di antisemitismo ma intanto Londra era uscita dall’UE.

Il fatto è che gli eurodeputati socialisti vivono in una bolla eurocratica, smettono le vecchie appartenenze e si disinteressano del proprio elettorato. Solo ha peso quel che si dice dentro la cupola e nei caffè della Place du Luxembourg, alle porte del Parlamento a Bruxelles. Immaginano di esser di sinistra perché difendono i diritti civili o i LGBT+ o le vie legali di migrazione, ma sulla questione oggi centrale – la guerra, il riarmo d’Europa – sono atlantici e basta.

Si spiegano così le molte risoluzioni sulla guerra in Ucraina, approvate grazie alle complicità dentro la cupola. Ci limitiamo a menzionare quella del novembre 2022, che definisce la Russia Stato promotore del terrorismo e approva le sanzioni. Quella del giugno 2023, che insiste sull’adesione rapida di Kiev alla Nato oltre che all’UE, e preclude quindi ogni trattativa. Infine il regolamento approvato nel luglio 2023, che prevede la produzione massiccia di munizioni e missili destinati all’Ucraina o agli armamenti nazionali sforniti per via degli aiuti a Kiev. Le risoluzioni non hanno peso, essendo puramente declamatorie, ma i regolamenti sono ben altra cosa: diventano automaticamente legge europea, da applicare in tutti gli Stati membri.

La svolta verso l’Europa militarizzata, punta di diamante di una Nato in espansione, avviene con questo regolamento, che stanzia 500 milioni di euro per fabbricare un milione di proiettili l’anno in sostegno di Kiev. Quasi tutto il Pd vota a favore. È contrario un deputato, Smeriglio, e cinque si astengono. Passa perfino il paragrafo che prevede il finanziamento del riarmo con i soldi del Fondo europeo di coesione sociale e territoriale e forse del Pnrr: sono risorse sottratte allo stato sociale (sanità, istruzione, clima).

Schlein aveva insistito sulla cancellazione del paragrafo, ma non aveva istruito i suoi parlamentari su quel che c’era da fare se non venisse cancellato. Risultato: hanno votato contro il regolamento solo i 5 Stelle, gli unici che possono dirsi progressisti, accanto alla sinistra del gruppo Left. Va detto che i pentastellati hanno subito emorragie gravi, in due legislature: alcuni sono migrati verso i Verdi, il vicepresidente del Parlamento Castaldo è addirittura migrato verso Renew. Isabella Adinolfi è con Forza Italia nel gruppo dei Popolari.

Giungiamo infine alla risoluzione dello scorso febbraio sui missili a lungo raggio da inviare in Ucraina, dopo la controffensiva fallita di Zelensky. Per l’ennesima volta non si chiedono negoziati ma ancora più armi per riconquistare tutti i territori, Crimea compresa. Stavolta nessun dissenso nell’ex sinistra. Il Pd vota compatto per il riarmo di Kiev e per l’Europa roccaforte contro la Russia. Gli eurodeputati restati nel M5S si oppongono. La “maggioranza Ursula” scricchiola, ma già conta sulla stampella Meloni (gruppo Conservatori).

Una sinistra classica potrebbe votare contro il riarmo europeo, in memoria degli errori commessi nel 1914, quando gran parte del socialismo europeo votò i crediti di guerra (in Germania si opposero Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg, prima di essere ammazzati). Ieri come oggi, non c’era che il Papa a denunciare l’“inutile strage”. Oggi come ieri, entra in scena l’interventismo di sinistra.

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