Lettera all’Alto Rappresentante sul caso di Ahmed Abdallah

Bruxelles, 29 aprile 2016

Cinquantanove parlamentari europei hanno sottoscritto una lettera promossa da Barbara Spinelli indirizzata all’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e Vice Presidente della Commissione europea Federica Mogherini a seguito dell’arresto e del fermo di Ahmed Abdallah, co-fondatore della Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà.

Il 25 aprile 2016, il Dr. Ahmed Abdallah, co-fondatore della Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà, è stato arrestato e incriminato per varie accuse di terrorismo. La Commissione egiziana per i Diritti e le Libertà ha acquisito notorietà grazie al proprio lavoro di indagine sui casi di sparizioni forzate in Egitto e per il sostegno offerto agli avvocati italiani ed egiziani che si stanno occupando del caso di Giulio Regeni. Insieme al Dr. Abdallah, altri 46 attivisti sono stati convocati a seguito delle proteste scoppiate al Cairo dopo la decisione del Governo egiziano di consegnare le isole di Tinar e Sanafir all’Arabia Saudita. Più di 100 persone sono state arrestate in otto diversi governatorati dell’Egitto, compresi il Cairo ed Alessandria.

Con questa lettera i Parlamentari europei esprimono, ancora una volta, la propria profonda preoccupazione per il rispetto dei diritti umani nel Paese.

«Il 10 marzo 2016, il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione sull’Egitto denunciando, al paragrafo 5, “le continue vessazioni subite dalla Commissione egiziana per i diritti e le libertà (ECRF) a causa del ruolo svolto nella campagna ‘Stop alle Sparizioni Forzate’ in Egitto”. Il Parlamento europeo ha richiesto, in varie Risoluzioni, al governo egiziano di dare priorità alla tutela e promozione dei diritti umani e di garantire la responsabilità per violazioni di tali diritti».

«Chiediamo l’immediato rilascio di tutte le persone detenute e condannate per il solo fatto di aver esercitato il proprio diritto alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica. Chiediamo inoltre all’Alto Rappresentante/Vice Presidente della Commissione Federica Mogherini di permettere allo staff legale della delegazione europea al Cairo di seguire e monitorare da vicino lo svolgimento dei processi di coloro che siano stati accusati di tali crimini, incluso il Dr. Ahmed Abdallah».

«Inoltre, sollecitiamo gli Stati Membri a rispettare la Posizione Comune 2008/944/PESC recante criteri per l’esportazione di armi convenzionali che devono essere da essi applicati per la concessione delle relative licenze».

Qui il testo della lettera con l’elenco dei firmatari

Intervento sulla Relazione “Istituzione di un meccanismo UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali”

Bruxelles, 21 aprile 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Istituzione di un meccanismo UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali” (Relatore: Sophie in’t Veld – ALDE)  nel corso della riunione ordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).

Punto in agenda:

  • Esame del progetto di relazione
  • Fissazione del termine per la presentazione di emendamenti

Ringrazio la Relatrice per l’ottimo lavoro fatto su un dossier che è complicato, e per la consultazioni davvero ampie che ha avuto con molte ONG e portatori di interesse. Ho molto apprezzato il tentativo di trovare una base legale appropriata, che permetta di oltrepassare i limiti posti dai trattati e così procedere alla definizione di uno strumento che sia presto operativo e non richieda una revisione degli stessi nell’immediato. Allo stesso modo trovo interessanti e condivisibili le proposte inserite nella relazione: mi riferisco all’idea di istituire un fondo europeo di assistenza legale ai cittadini, nell’ipotesi di procedimenti in materia di violazioni dei diritti fondamentali e della rule of law, così come alle proposte avanzate nell’ipotesi di revisione dei trattati (penso all’abolizione dell’articolo 51[1] della Carta, all’articolo 2[2] del Trattato sull’Unione europea come base legale per procedure di infrazione, alla possibilità per i cittadini di promuovere azioni individuali di fronte alla Corte di giustizia).

A proposito del nucleo centrale del lavoro, ossia dell’accordo interistituzionale che viene annesso al rapporto vero e proprio, vorrei fare alcune considerazioni.

Trovo considerevole la Sezione I del documento, dedicata al cosiddetto “Scoreboard”, e apprezzo soprattutto la proposta di coinvolgere un ampio spettro di pareri autorevoli e indipendenti – anche se forse avrei delle riserve sul numero, particolarmente alto, di esperti individuati -, il tentativo di elaborare linee guida sicure e basate sugli sviluppi attuali nel campo dei diritti e della rule of law, di fondare la valutazione degli esperti su parametri legali certi, e – non per ultimo – di garantire il più possibile l’indipendenza dell’organo di valutazione.

Vorrei a questo punto elencare alcune riserve su tre punti:

1) Primo, il follow-up allo scoreboard. Un ruolo centrale in merito alla valutazione dello stesso è rimesso al Consiglio attraverso lo strumento del dialogo annuale. Non condivido pienamente l’idea di rimettere il controllo delle condotte degli Stati allo stesso organo che li rappresenta. Meglio forse un organo indipendente.

Allo stesso modo, ho qualche perplessità riguardo ai rimedi in caso di violazioni. L’unificazione degli strumenti esistenti permette sicuramente di aggirare una spinosa revisione dei trattati ma, allo stesso tempo e nella sostanza, non modifica lo status quo basato sul ricorso a uno strumento – l’articolo 7[3] del Trattato sull’Unione europea – caratterizzato da discrezione politica e da una sostanziale assenza di un intervento concreto della Corte di giustizia.

2) Secondo, l’analisi e il monitoraggio delle istituzioni dell’Unione quando violano diritti e rule of law. La relazione dice chiaramente che il meccanismo in esame dovrebbe applicarsi sia agli Stati Membri sia alle istituzioni. La proposta di accordo interistituzionale, tuttavia, finisce col generare un duplice sistema, nel quale oltretutto lo Scoreboard non si applica nei confronti delle istituzioni UE. A questo si aggiunga che lo strumento dell’accordo interistituzionale sembra vincolare le sole istituzioni firmatarie, escludendo dal campo di applicazione una serie di organi e agenzie molto importanti dell’Unione. A mio avviso un meccanismo realmente efficace a tutela della democrazia, della rule of law e dei diritti umani dovrebbe coprire il più ampio spettro possibile di soggetti, estendendosi a tutti quelli che operano sotto l’ombrello dell’Unione. Manca, infatti, un esplicito riferimento a istituzioni quali il Consiglio europeo e la Banca Centrale Europea, ad agenzie come Frontex o Europol, nonché a organismi informali (come l’Eurogruppo), suscettibili di violare i diritti fondamentali. L’analisi delle condotte delle agenzie potrebbe essa stessa divenire un parametro di valutazione della funzione di controllo e vigilanza esercitata dalla Commissione europea. A mio parere sarebbe inoltre essenziale andare oltre la valutazione della fase puramente legislativa e prendere in considerazione tutti gli atti suscettibili, ai sensi dell’articolo 263 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.

3) Terzo punto e ultimo punto: i diritti sociali. Lo Scoreboard introduce espressamente la Carta dei diritti fondamentali come indicatore delle prestazioni. Tuttavia l’analisi sarebbe limitata dalle disposizioni della stessa Carta che definiscono la portata dei diritti sociali – definiti come “principi”, e quindi con rilievo inferiore rispetto ai diritti civili – in essa contenuti. Sarebbe a mio parere utile integrare la valutazione con parametri ulteriori e procedere, in futuro, a esplorare la possibilità di un’adesione dell’Unione alla Carta sociale europea del Consiglio d’Europa, e quindi di un’inclusione di tale Carta in quello che giustamente viene definito e delineato come “processo” dalla Relazione.

[1] Articolo 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea: “1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze e nel rispetto dei limiti delle competenze conferite all’Unione nei trattati. 2. La presente Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati“.

[2] Articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini“.

[3] Articolo 7 del Trattato sull’Unione Europea: “1. Su proposta motivata di un terzo degli Stati membri, del Parlamento europeo o della Commissione europea, il Consiglio, deliberando alla maggioranza dei quattro quinti dei suoi membri previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare che esiste un evidente rischio di violazione grave da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2. Prima di procedere a tale constatazione il Consiglio ascolta lo Stato membro in questione e può rivolgergli delle raccomandazioni, deliberando secondo la stessa procedura. Il Consiglio verifica regolarmente se i motivi che hanno condotto a tale constatazione permangono validi.
2. Il Consiglio europeo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione europea e previa approvazione del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2, dopo aver invitato tale Stato membro a presentare osservazioni.
3. Qualora sia stata effettuata la constatazione di cui al paragrafo 2, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.
Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dai trattati.
4. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 3, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione.
5. Le modalità di voto che, ai fini del presente articolo, si applicano al Parlamento europeo, al Consiglio europeo e al Consiglio sono stabilite nell’articolo 354 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Intervento sul Parere ‘Lotta contro la tratta di esseri umani’

Bruxelles, 21 aprile 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL del Parere “La lotta contro la tratta di esseri umani nelle relazioni esterne dell’Unione Europea” (Relatore per Parere: Bodil Valero – Verdi/ALE)  nel corso della riunione ordinaria della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni (LIBE).

Punto in agenda: Esame degli emendamenti

Ringrazio la collega Bodil Valero per l’ottimo lavoro: ho presentato emendamenti che ritengo complementari al suo lavoro sulla bozza di parere.

Ho innanzitutto presentato emendamenti ove chiedo il riconoscimento di un nuovo tipo di tratta di esseri umani “a scopo di estorsione” che è spesso accompagnata da gravi pratiche di tortura nel Sinai ed è causa di numerosi omicidi e sparizioni di rifugiati eritrei vittime di rapimento. I sopravvissuti, profondamente traumatizzati, non ricevono sempre assistenza o sostegno in Europa, in quanto questo tipo di tratta non è formalmente riconosciuto dall’Unione europea. La risoluzione del Parlamento sull’Eritrea dello scorso marzo accenna già a tratte di questo genere, ed è importante dal mio punto di vista precisare le loro modalità e la loro portata nel parere di Bodil Valero .

Altri emendamenti miei e del mio Gruppo ricordano che l’UE prevede un regime speciale di preferenze tariffarie supplementari negli accordi con alcuni Stati Terzi per promuovere la ratifica e l’effettiva attuazione delle principali convenzioni internazionali sui diritti umani, sul lavoro, e sulla tutela ambientale. Inoltre, apprezzerei molto un invito, rivolto all’UE, a includere sistematicamente negli accordi internazionali dell’Unione, compresi gli accordi commerciali e di investimento conclusi o da concludere, clausole vincolanti, esecutive e non negoziabili relative ai diritti umani e alla tratta.

Infine, ho presentato emendamenti sulla dimensione di genere del fenomeno della tratta, sulla necessità che gli Stati Membri cooperino seriamente a livello giudiziario e sulla necessità di riconoscere l’affinità a livello europeo fra lo status di rifugiato e di “vittima di tratta”, come ben spiegato dalla collega Sippel (S&D): statuti che necessitano, in entrambe i casi, alti livelli di protezione e tutela contro rimpatri in Stati ove le persone rischierebbero la propria vita o l’incolumità fisica.

Lampedusa in Winter

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Bruxelles, 18 aprile 2016

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha preso la parola durante il dibattito che ha preceduto la visione del film “Lampedusa in Winter”.

Presenti in sala i deputati Angelika Mlinar, Tanja Fajon, Roberta Metsola, Cecilia Wikström, Ulrike Lunacek e Laura Ferrara. Tra gli ospiti, la giornalista Martyna Czarnowska («Wiener Zeitung») che ha mediato il dibattito, Marina Chrystoph (direttrice del forum culturale austriaco), Jakob Brossmann (regista del film) e Paola la Rosa (una delle protagoniste).

Prima di addentrarmi nelle esperienze italiane e fare alcune considerazioni in merito alle recenti proposte avanzate dal governo Renzi, vorrei ribadire che non sono fiera di questa Europa. Stiamo assistendo a un susseguirsi di naufragi e alla morte di centinaia di persone, tacitamente approvati da istituzioni comunitarie che nulla fanno per evitare simili disastri umanitari.

Non sono fiera di un’Europa che predica valori solo in senso astratto, e tanto più li invoca tanto meno li rispetta. Che preferisce ricorrere a questo termine vago – i valori sono interpretabili da ogni governo come meglio gli conviene – piuttosto che a concetti impegnativi come diritti, obblighi, leggi internazionali. Questo per meglio concentrare tutte le energie sulle politiche di rimpatri, e giustificare la svolta  avvenuta in materia in occasione dell’accordo siglato con il governo turco. Un accordo che diverse organizzazioni, tra cui UNHCR, Amnesty International, Human Rights Watch, hanno definito non rispettoso del diritto internazionale e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. A simile accordo l’Europa si aggrappa per esternalizzare la politica di asilo ed evitare di avere grane politiche in casa propria.

È perciò fondamentale utilizzare il giusto linguaggio, come ha fatto notare in questa conferenza la collega Cecilia Wikström (ALDE). Si parla di crisi di migranti, ma in realtà siamo di fronte a una crisi di rifugiati. Una crisi che in realtà non rappresenta un vero dramma per l’Europa, ma che chiaramente mette in risalto la paralisi delle istituzioni europee e dei suoi Stati Membri. La paralisi è tanto più grave se fa attenzione alle cifre, generalmente occultate nel dibattito pubblico: nel mondo ci sono oggi 60 milioni di rifugiati; un milione è arrivato in Europa nel 2015, il che equivale allo 0,2 per cento della popolazione UE. Sono numeri che dimostrano  come non ci si trovi alle prese con una calamità (in paesi come il Libano e la Giordania la percentuale oscilla fra il 15 e il 20 per cento): la calamità è percepita come tale a causa dell’incapacità dell’Unione e degli Stati membri di fronteggiarla.

Vorrei a questo punto parlare dell’Italia, iniziando dalla proposta avanzata in questi giorni dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, sotto forma di un non-paper soprannominato “Migration Compact”, e inviato alla Commissione e al Consiglio europeo. Quello che mi ha più impressionato nel documento è l’indifferenza nei confronti delle obiezioni che sono state mosse non solo da numerose organizzazioni (UNHCR, Amnesty International, Human Rights Watch), ma anche da esperti e professori di diritto (State Watch). Più precisamente, sono del tutto ignorati i sospetti di illegalità che gravano sull’accordo con Ankara, e sulle reali condizioni dei fuggitivi rimpatriati in Turchia. Sappiamo che una deriva autoritaria è in corso da tempo in quel Paese. Che il regime Erdogan sta reprimendo le popolazioni curde in una parte del proprio paese e che negli ultimi mesi ha forzatamente rimpatriato migliaia di rifugiati siriani nelle stesse zone di guerra dalle quali erano fuggiti. Proprio oggi il Presidente del gruppo politico ALDE ha chiesto d’altronde la sospensione dell’ accordo.

Di tutto questo non c’è traccia nella proposta italiana. Manca qualsiasi accenno ai diritti della persona, e soprattutto al principio del non-refoulement. Non so ancora come il piano sarà accolto dalla Commissione e dal Consiglio, ma purtroppo sembra essere abbastanza in sintonia con l’orientamento attuale della politica comunitaria in materia di asilo, immigrazione e rimpatri.

A questo proposito, vorrei richiamare due dichiarazioni del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che mi hanno particolarmente colpito. La prima è stata pronunciata durante un congresso del Partito popolare europeo a Madrid, i 22 ottobre 2015. Tusk ha dichiarato: “… l’ingresso troppo facile nell’Unione Europea è un potente pull factor per l’immigrazione … “. Tecnicamente non è sbagliato, se non fosse che il Presidente ha dimenticato di precisare che il principale pull factor è rappresentato dalle guerre da cui fuggono i rifugiati. E che le frontiere europee non erano nello scorso ottobre così aperte come pretendeva. La seconda dichiarazione risale al 3 marzo scorso ed è un appello pubblico a migranti e rifugiati: “… non venite in Europa, perché non serve a niente. It is all for nothing.” Di fronte a simili frasi difficile evitare la vergogna.

Al contempo, credo sia necessario mettere in rilievo le azioni positive nei Paesi dell’Unione: sono parte di una contro-narrativa che vale la pena opporre a chi fa politica attizzando paure e chiusure. Mi riferisco alle reazioni solidali dei cittadini, delle associazioni, delle famiglie, per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti: anche queste azioni devono poter essere citate, quando si parla di best practices nell’Unione.

Vorrei, nello specifico, soffermarmi su un’iniziativa nata a Lampedusa e promossa dall’associazione Mediterranean Hope, il cui rappresentate principale è Francesco Piobbichi che ho avuto il piacere di invitare l’anno scorso qui al Parlamento Europeo. Oggi in questa sala c’è una simpatizzante dell’associazione, Paola La Rosa. Si tratta dell’esperimento di un corridoio umanitario pilota realizzato dalle Chiese Evangeliche della Tavola Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio. Il 15 dicembre 2015 è stato firmato un accordo con i ministri italiani degli Esteri e dell’Interno, ma l’iniziativa si è sviluppata grazie a un lungo lavoro diplomatico con le autorità interessate in Libano, Marocco ed Etiopia. La base giuridica è rappresentata dall’art. 24 del Regolamento (CE) n. 810/2009 del 13 luglio 2009, che istituisce il Codice comunitario dei visti: vale a dire la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”. Grazie al corridoio umanitario sono stati accolti un centinaio di profughi provenienti dai campi profughi in Libano. Vorrei riportarvi un’interessante osservazione fatta da Francesco Piobbichi. Se i tre miliardi che l’Unione europea ha erogato in virtù dell’accordo con la Turchia fossero stati elargiti all’associazione, questa avrebbero potuto garantire la creazione di un corridoio umanitario tale da dare accoglienza ad un milione di rifugiati. È stato calcolato, infatti, che 2 milioni di euro consentono il salvataggio di mille persone.

Infine, vorrei concludere con una riflessione sul rapporto tra Schengen e politiche di asilo. Sono molto riluttante a legare insieme le due questioni. Tuttavia, vorrei sottolineare che le politiche di asilo non devono avere lo scopo di salvare Schengen, ma piuttosto essere orientate al rispetto dei diritti e degli obblighi imposti dai trattati, dalla Convezione di Ginevra, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. I diritti fondamentali e gli strumenti a protezione di essi devono rappresentare il faro delle politiche in materia di asilo e migrazione. La risoluzione sul Mediterraneo, votata la scorsa settimana in plenaria, contiene a questo proposito elementi positivi, ma anche lacune e incertezze sul tema dei rimpatri e, soprattutto, non prende le distanze dall’accordo con la Turchia. Per questo insisto sulla necessità di sospendere l’accordo. Ne va della nostra credibilità. Ritengo sia opportuno agire subito e di nostra iniziativa, e non quando sarà la Corte di giustizia dell’Unione a imporci, forse, la sospensione.

I giustizialisti sono i nostri politici

Articolo di Barbara Spinelli pubblicato su «Il Fatto Quotidiano» del 27 aprile 2016

Non c’è nulla di stupefacente nell’attacco che ancora una volta viene lanciato, dal governo e da un gran numero di politici, alla magistratura italiana e in particolare alle parole da Piercamillo Davigo. Né il nuovo Presidente dell’Associazione nazionale magistrati dovrebbe preoccuparsene oltre misura: il compito è di rappresentare il potere giudiziario, e quindi di dare a tale rappresentanza una voce, che per forza di cose non si esprime solo nelle sentenze.

Non c’è nulla di stupefacente perché l’invettiva del presidente del Consiglio contro “25 anni di autentica barbarie legata al giustizialismo”, così come l’appello dell’ex presidente Napolitano a una riforma delle intercettazioni e a una “cooperazione” tra giustizia e politica che metta fine a presenti e passati conflitti, non sono affermazioni che cadono dal cielo. Sono gli elementi costitutivi di una riscrittura della democrazia costituzionale che sta avvenendo in numerosi Stati dell’Unione europea, che in Italia è perseguita da decenni e che non si limita a circoscrivere e svuotare l’indipendenza del potere giudiziario. L’obiettivo che si persegue, in questi Stati e nelle stesse istituzioni europee, è di accentrare i poteri nell’esecutivo, e di declassare ogni potere suscettibile di frenare l’estensione dell’autorità centrale. Di qui il depotenziamento più o meno subdolo dei poteri giudiziari, di quelli parlamentari, e al tempo stesso di una serie di organi intermedi: sindacati, partiti, organizzazioni imprenditoriali e professionali, enti locali sovracomunali come le province. Giuseppe de Rita ha descritto molto bene quel che si vuole ottenere attraverso simili esautoramenti con leggi e riforme costituzionali: “I politici, che hanno voluto la disintermediazione, si trovano circondati, premuti, circuiti, qualche volta addirittura ricattati, da gruppetti (da ‘quartierini’) di un avventuroso lobbismo” («Corriere della Sera», 14.4.16). Le istituzioni europee tendono a favorire quest’accentramento e questa disintermediazione anche a livello comunitario. Nella famosa lettera che Trichet e Draghi spedirono al governo italiano nel 2011, non si esitò ad attribuire alla Bce un compito costituente che nessuno le ha mai conferito e si chiese proprio questo: una riforma costituzionale che iscrivesse il Fiscal Compact nella nostra Carta e “abolisse o fondesse alcuni strati amministrativi intermedi come le Province”. Non a caso Jürgen Habermas denuncia il degrado democratico dell’Unione europea, dandogli il nome di “federalismo degli esecutivi”.

Parlare di conflitto giustizia-politica fa dunque tutt’uno con il referendum sulla riforma costituzionale, con la diminuita rappresentanza locale del futuro Senato e con la più generale offensiva contro gli organi intermedi della società. L’oscuro oggetto del disgusto provato da molti politici non è il conflitto, da abolire in nome della “cooperazione”, ma la dialettica stessa tra i poteri e la loro netta separazione. È il motivo per cui mi preoccuperei anch’io, come Davigo, se tale conflitto non esistesse. Non mi stupisce nemmeno che le parole di Davigo siano manipolate e deturpate, in modo tale che i cittadini possano meglio confondersi quando lo sentono parlare e non comprendere i suoi argomenti. Si dice ad esempio che il Presidente dell’Anm ha denunciato i politici corrotti per poi “frenare” e far marcia indietro: cosa palesemente falsa, perché ovviamente le sue parole erano rivolte ai “politici che rubano”. Se avesse voluto accusare tutti, anche i politici onesti, davvero non ci sarebbe più bisogno d’indagini e processi. Indagini e processi sono utili proprio perché mostrano che esiste una differenza tra chi ruba e chi no. In un certo senso, si fa giustizia per proteggere l’innocenza.

Lo stesso dicasi per gli altri argomenti discussi in questi giorni: tra cui le intercettazioni e la presunzione di innocenza.

Intercettazioni. Dovrebbe essere noto a chi governa e a chi riforma la giustizia italiana che esiste una vasta giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo in difesa della libertà di stampa, e che il giornalista ha il diritto di pubblicare notizie se le ritiene non solo penalmente ma anche moralmente rilevanti. Il dibattito italiano è inoltre incredibilmente vecchio in materia. Si accusa continuamente il “circo mediatico-giudiziario”, fingendo di ignorare fenomeni come quelli dei whistleblower (ostinatamente chiamati talpe o spie sui nostri giornali) o di Wikileaks. A ciò si aggiunga che in Italia già esistono norme sulla diffamazione e la violazione della privacy.

Presunzione d’innocenza. Viene continuamente e giustamente invocata, ma nell’esclusiva speranza che il politico condannato in primo grado sia assolto nel secondo o nel terzo, magari tramite la prescrizione. I tre gradi di giudizio sono un’anomalia italiana, che naturalmente facilita le prescrizioni facili. Il politico condannato in primo grado dovrebbe lasciare le cariche che ricopre sin da quando è sospettato di non adempiere le funzioni pubbliche con disciplina e onore (art. 54 della Costituzione). Tanto più deve farlo se condannato in primo grado.

Se così stanno le cose, sarebbe l’ora di rivolgere l’accusa di giustizialismo ad altri soggetti, sempre che si abbia a cuore l’uso della logica nell’informazione dei cittadini. I veri “giustizialisti” sono in realtà i politici specializzati nel lamentare il conflitto con la giustizia. Sono loro a far dipendere le proprie carriere, le proprie cariche, il proprio potere da tutti e tre i gradi di giudizio. Sono loro ad affidare ai magistrati e alle sentenze la selezione delle classi dirigenti. Non sarebbe male se ci spiegassero come mai, a questo punto, se ne dolgano tanto.

Interrogazione sui 500 migranti scomparsi nel Mediterraneo

Interrogazione con richiesta di risposta scritta alla Commissione
Articolo 130 del regolamento

Dimitrios Papadimoulis, Kostas Chrysogonos, Stelios Kouloglou, Kostadinka Kuneva, Barbara Spinelli, Curzio Maltese, Elonora Forenza

Oggetto: 500 refugees missing in the Mediterranean Sea

On April 13, a delegation from the UN Refugee Agency met with survivors of an overcrowded boat that sank at an unknown location the Mediterranean Sea between Libya and Italy. According to media reports, there were 500 people in that boat. The 41 survivors (37 men, three women and a three-year-old child) were rescued by a merchant ship and taken to Kalamata on April 16.

So far, the Italian government has neither confirmed nor denied the event publicly. Should information prove right, this would be one of the biggest human tragedies, not only in European but also in global scale.

Therefore, the European Commission is asked:

  1. Is it informed on this case? If so, has it pressed the countries possibly involved, to move on with the necessary search and rescue operations?
  2. When and how the European Commission intends to secure safe and legal passage for refugees towards Europe and efficiently combat smugglers’ networks?
  3. How the European Commission intends to deal with the re-activation of the north-African route, which has seen an upsurge of 60% since last year according to UNHCR, after the closure of the Balkan corridor and the deal with Turkey?

Lettera ai membri dell’International Ombudsman Institute

di lunedì, Aprile 25, 2016 0 No tags Permalink

Lettera indirizzata all’International Ombudsman Institute da Ernest Urtasun (Verdi/ALE – Spagna) e co-firmata dall’onorevole Spinelli

Dear Members of the International Ombudsman Institute,

Ahead of the Seminar “Human Rights Challenges Now: The Ombudsman Facing Threats” to be held in Barcelona on 26-27 of April, we the undersigned Members of the European Parliament would like to transmit to you our full support for the tasks the European Ombudspersons are carrying out to protect and defend human and social rights in Europe.

Europe is facing immense challenges: security concerns are being put on top of the agendas in some EU countries at the expenses of fundamental rights and the current refugee and humanitarian crisis is putting at stake the respect of human dignity and of International and European law. We have been witnessing the sinking of boats, the dreadful conditions in which families are travelling or living and people seeking protection being blocked by fences, or worse, being seriously mistreated by police forces. The European solidarity is at risk while at the same time xenophobic reactions and racism are growing over the continent.

Given this reality, some Members of the European Parliament from different countries and parties would like to request the European Ombudspersons be outspoken and denounce openly the human rights violation being committed in Europe. You as representatives of the European citizens have the tools and the means to denounce and pursue these cases. That is why we would like to express our full willingness to introduce in the European Parliament any proposal and action that could help you in developing your work and that could make EU ombudspersons to play a greater and more empowering role in relation of the rights of refugees.

Great challenges require great alliances and with the above statement the following members of the European Parliament encourage the European Ombudspersons to continue fighting for the respect of human rights and human dignity in each Member State, whilst remaining at your disposal and ready to cooperate in any matter that could be useful.

In allegato, il testo della lettera e l’elenco dei firmatari.

Infringement procedure against Hungary on segregation of Roma in schools

di giovedì, Aprile 21, 2016 0 , , Permalink

Lettera co-firmata dall’onorevole Spinelli e inviata al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker contro la segregazione dei minori rom nelle scuole in Ungheria.

To President Juncker

President of the European Commission
CC: First Vice-President Frans Timmermans
CC: Commissioner Věra Jourová

Concerns: Infringement procedure against Hungary on segregation of Roma in schools

Brussels, 20th April 2016

Dear President Juncker,

Since 2010, the Hungarian Government has introduced measures in the field of education which contradict previous legislation and initiatives aimed at fighting discrimination and promoting equal opportunity. The groups that are negatively affected by these measures are children from disadvantageous backgrounds mainly Roma. Court cases, statistical data, studies from various sources and feedback from parents prove direct or indirect discrimination is occurring in Hungary today on a daily basis.

Every year the Hungarian Government on an annual basis continues to decrease the ratio of GDP spent on education. Moreover even the money that is allocated for education is spent in a way which increases disadvantages instead of reducing them as correlated by PISA results. The majority of academic research also clearly points to the failure of the Hungarian educational system and inequality for poor educational results of Roma children. In the last years, legislation (amongst others reducing the compulsory school age from 18 to 16, changing the regulations on the definition of disadvantaged children and introducing so called Bridge-classes that allow youth leaving compulsory education without formal education) as well as many court cases prove clearly that the Hungarian Government, despite their official statements, has no intention to fight and eliminate segregation.

Although the European Commission has been monitoring the segregation of Roma children in education for a long time within the framework of an EU pilot, it has failed, as of now, to send a clear signal to the Hungarian government to change direction and practices in its educational system.

Therefore we urge the European Commission to consider our request to take action and open an infringement procedure against Hungary on educational segregation. Facts are on the table that clearly motivates such action. Failure to act and continued provision of structural funds to Hungary, which have been misused to discriminate and segregate Roma children, could otherwise lead to allegations that the European Commission indirectly supports Hungarian education policy. We also believe that the failure to act on this issue or other forms of discrimination against the 10-12million Roma living in Europe sends the wrong signal and hinders the fight against discrimination in general and anti-Gypsyism, the implementation of the National Roma Integration Strategies, the Council Recommendation and European Union 2020 targets.

Given the length it takes to go through the infringement procedure, we ask you to take action immediately to prevent more Roma children leaving school without receiving a formal education. We would also like the European Commission to give an urgent explanation for the limited action to date on this issue.

We look forward to receiving your reply.

Yours sincerely,

 

Benedek Jávor Greens/EFA, Member of ARDI and Coordinator of Greens/EFA Working Group on Roma
Soraya Post S&D, Co-President of ARDI and Chair of ARDI’s Anti-Gypsyism Working Group
Barbara Spinelli GUE/NGL, Member of ARDI
Fredrick Federley ALDE
Laura Ferrara EFDD

 

 

Ancora a proposito di e-democrazia nell’Unione Europea

di giovedì, Aprile 21, 2016 0 No tags Permalink

Bruxelles, 20 aprile 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “e-democrazia nell’Unione europea: potenziale e sfide” (Relatore Ramón Jáuregui Atondo – S&D Spagna) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda: Esame del documento di lavoro

Vorrei ringraziare il collega Jáuregui per questo primo documento di lavoro: che sinceramente non mi appare affatto ideologico, come sostenuto dal collega del PPE. E’ un documento che fotografa l’esistente, e l’esistente è una crisi irrefutabile della democrazia.

Anche se formulati sotto forma di bozza iniziale, condivido i suggerimenti che vengono avanzati. Mi riferisco all’idea di incoraggiare la più ampia partecipazione possibile dei cittadini, di garantire un accesso generalizzato alla tecnologia tramite il superamento del digital-divide, e di promuovere la cooperazione europea al fine di favorire la massima trasparenza. Apprezzo inoltre il riferimento alla necessità di tutelare in particolare le esigenze di riservatezza e la protezione dei dati personali, che il ricorso sempre più massiccio a tali tecnologie può richiedere.

In questa prima fase, vorrei sottolineare  alcuni punti di carattere generale che mi piacerebbe vedere integrati nella futura relazione.

Primo, ritengo che lo sviluppo della e-democracy debba essere affrontato nella sua forma di “processo”, di progressione verso il punto terminale del processo democratico, punto rappresentato dal momento finale dalla decisione (che può essere un referendum, un’elezione, una deliberazione). L’analisi dell’e-democracy non può e non deve attestarsi al solo anello terminale della catena; si rischierebbe di ricorrere alla democrazia digitale solo per avvallare decisioni già assunte dall’alto, limitandosi a riaffermare lo status quo con strumenti tecnologici. La e-democracy dovrebbe svilupparsi a partire dalle condizioni che rendono possibile l’avvicinamento del cittadino e dell’elettore, in primis, allo strumento tecnologico e, per questa via, al funzionamento giorno dopo giorno della democrazia.

In questo quadro penso che prima di tutto debbano essere favorite le condizioni di sviluppo sociale della persona, che le permettano di poter partecipare attivamente a tale processo democratico. E’ il motivo per cui penso che nella Relazione dovrebbe esserci un riferimento al cosiddetto pilastro sociale europeo, che permetta di abbattere le molte barriere di ordine economico e sociale che limitano l’effettiva partecipazione dei cittadini.

In secondo luogo, considero l’e-democracy un corollario del concetto stesso di democrazia che, come tale, richiede la massima estensione dei diritti e principi che sono il fondamento della democrazia costituzionale. Anch’essa necessita di un numero di solide garanzie che siano il punto di partenza per il suo effettivo esercizio. Tali garanzie non possono che ritrovarsi nei diritti imprescindibili della persona e nella piena applicazione di tutti gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali.

Ricordo che in Italia, il 28 luglio 2015, è stata adottata dal Parlamento una Carta dei diritti in internet che riconosce tali garanzie nello spazio internet: primi tra tutti, i diritti fondamentali della persona. Sono convinta che uno strumento analogo potrebbe e dovrebbe essere adottato anche a livello di Unione.

In terzo luogo, come sottolineato anche dal Relatore, è necessario garantire il più ampio ed effettivo accesso a internet, non solo in termini di diffusione della necessaria tecnologia – che comunque deve essere il più possibile promossa con misure concrete – ma anche e soprattutto di accesso all’informazione della rete in condizioni di trasparenza. La partecipazione ai processi democratici è fondata in primis sulla conoscenza, e questa deve essere considerata secondo la logica di un bene comune globale. Il criterio dovrebbe essere quello di un accesso universale in condizioni di parità e non-discriminazione, che sia fondato sulla contemporanea eliminazione di ogni genere di limitazione nell’esercizio di tale diritto. Questo dovrebbe contemporaneamente implicare un obbligo negativo in capo agli Stati e all’Unione di astenersi dal porre barriere all’accesso, attraverso censura, limitazioni giustificate da esigenze di sicurezza nazionale, etc.

Credo che in tal senso l’Unione potrebbe dare un ampio contributo anche attraverso la promozione di programmi di “e-learning” per avvicinare i cittadini allo strumento tecnologico e, parallelamente, di apprendimento dei diritti fondamentali civili e sociali quale sostegno per un avvicinamento critico allo strumento tecnologico e all’informazione. Questo a cominciare dalle scuole.

Al fine di rafforzare ulteriormente i concetti di partecipazione e trasparenza, proporrei – e proporrò come shadow rapporteur nel corso dei prossimi incontri – di menzionare un’altra serie di misure, da attuare a livello di Unione. Nello specifico vorrei citarne tre.

1) Una riforma del Regolamento 211/2011 al fine di rendere l’Iniziativa dei cittadini europei (ICE) uno strumento di partecipazione democratica obbligatoriamente preso in considerazione  e seguito da un serio follow-up, quando il numero di firme necessarie è stato raccolto. Ho trovato impressionante, per usare un eufemismo, l’autocompiacimento con cui la Commissione ha recentemente reagito alle critiche che le sono state rivolte o agli inviti di revisione dell’Iniziativa dei cittadini europei. La frase che ha utilizzato è la seguente “è troppo presto per rivedere il sistema dell’Iniziativa dei cittadini europei”.

2) Una normativa europea a protezione dei whistleblower per rendere effettivo il diritto alla libertà d’informazione quale elemento centrale del controllo democratico.

3) Penso che potrebbe essere infine auspicabile valutare l’idea dell’estensione dello strumento referendario a livello europeo.

Accession to the European Convention on Human Rights (ECHR): stocktaking after the ECJ’s opinion and way forward

di giovedì, Aprile 21, 2016 0 No tags Permalink

Intervento di Barbara Spinelli nel corso dell’Audizione pubblica organizzata dalla Commissione Affari Costituzionali (AFCO) su “Accession to the European Convention on Human Rights (ECHR): stocktaking after the ECJ’s opinion and way forward”. Bruxelles, 20 aprile 2016

Presentazione dell’Audizione:

  • Danuta Hübner, Chair of the Committee on Constitutional affairs of the European Parliament

Oratori:

  • Council Presidency: Mr Martijn DE GRAVE, Head of Legal and Institutional Affairs, Coordinator for Justice and Home Affairs (Dutch Permanent representation),
  • Commission: Hannes KRÄMER, Legal Adviser, Legal Service of the European Commission,
  • Council of Europe: Mr Jörg POLAKIEWICZ, Director, Directorate of Legal Advice and Public International Law,
  • Jean-Paul JACQUÉ, Honorary Director General, Legal Service of the Council of the European Union,
  • Professor Sonia MORANO-FOADI, Reader in Law (Associate Professor) and Director of the Centre for Legal Research and Policy Study at the Law School, Oxford Brookes University, accompanied by Dr Stelios ANDREADAKIS, Lecturer in Law from the University of Leicester
  • Mr Ricardo PASSOS, Director for Institutional and Parliamentary Affairs, Legal Service of the European Parliament,
  • Barbara Spinelli, Vice-Chair of the Committee on Constitutional affairs of the European Parliament, in sostituzione di Claude MORAES, Chair of the Committee on Civil Liberties, Justice and Home Affairs of the European Parliament

Innanzitutto ringrazio gli oratori per i loro interessanti interventi. Vorrei cogliere l’occasione per porre a tutti voi una domanda riguardante il tema della politica estera e di sicurezza comune dell’Unione e l’interpretazione che ne viene fornita dalla Corte di giustizia nell’Opinione 2/13 di cui stiamo discutendo: opinone contraria all’adesione dell’UE alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Quello che mi chiedo e vi chiedo è se questo verdetto della Corte non sia in realtà un messaggio in codice – in Italia c’è il detto: “parlo a nuora perché suocera intenda” – rivolto a noi del Parlamento e alla Commissione, con cui la Corte ci esorta a risolvere il problema della mancanza di competenza dei giudici di Lussemburgo in materia di politica estera e di sicurezza comune. La bocciatura dell’accordo di adesione su questo punto altro non sarebbe che un invito rivolto alla politica affinché finalmente conferisca una tale competenza. Io lo interpreto perciò come un appello indirizzato a Parlamento e Commissione affinché si attivino e diano una risposta assumendosi le proprie responsabilità, specialmente alla luce delle molte audizioni che abbiamo avuto sul tema. Domando quindi anche a voi se ritenete che questo possa essere il messaggio che ci viene inviato.

Mi chiedo, inoltre, se vi sia una reale necessità di modificare i Trattati per venire incontro a tale esigenza. Esiste già l’articolo 6(2) del Trattato sull’Unione europea che prescrive l’adesione alla Convenzione di Strasburgo. Come giustamente ricordava il prof. Passos gli Stati Membri, nella stesura del Trattato attuale, avevano ben chiaro in mente che l’adesione alla CEDU avrebbe rappresentato un obbligo preciso, che la Corte di giustizia non avrebbe avuto competenze in materia di politica estera e di sicurezza comune e che, pertanto, la Corte europea dei diritti umani avrebbe potuto assumere prerogative non estese alla Corte di Lussemburgo.

Naturalmente, come evidenziato nel corso della presente audizione, vi sono problemi di carattere legale, ma vi chiedo se non ci possa essere un modo per accelerare i negoziati senza attendere un’ipotetica – e improbabile – modifica del Trattato.

Avrei ovviamente altre questioni che mi piacerebbe affrontare ma, considerati i tempi, preferisco fermarmi qui. Grazie.

Di seguito un estratto dell’intervento di Ricardo Passos, Direttore per gli Affari Istituzionali e Parlamentari del Servizio Legale del parlamento europeo

It is at least clear that only two main issues are difficult: the mutual trust and the CFSP. Mutual trust is difficult to understand but, on the CFSP things are maybe more difficult. I cannot agree with Professor Sonia Morano-Foadi about the idea of proposing a reservation on the CFSP. I think this would be legally and politically unacceptable. The Parliament insisted on the very idea of having the jurisdiction of the European Court of human rights for CFSP matters, knowing very well that the Court of Luxembourg was not competent to deal with CFSP matter. But exactly because that would be an added value of the accession, that the individuals would have judicial protection for acts adopted by the Union or Member States acting on behalf of the Union on CFSP matters. But the Court said clearly in one sentence that “jurisdiction to carry out a judicial review of acts, actions or omissions on the part of the EU, including in the light of fundamental rights, cannot be conferred exclusively on an international court which is outside the institutional and judicial framework of the EU. Therefore, the fact remains that the agreement envisaged fails to have regard to the specific characteristics of EU law with regard to the judicial review of acts, actions or omissions on the part of the EU in CFSP matters“. This argument on this point is difficult to overcome.  But it is also difficult to understand because when the Member States drafted the new Treaty and article 6(2) they knew that the accession was mandatory – in accordance with article 6(2) – and they knew very well that the European Court of justice was not competent to deal with CFSP matters. So, I do not think that they did that because they were not aware. This was completely understood that the European court of human rights could be competent to CFSP matters even if the European Court of Luxembourg was not competent to deal with CFSP matters. And Parliament, as I said, in its Resolution of 19 may 2010 always said that the “accession will also compensate to some extent for the fact that the scope of the Court of Justice of the European Union is somewhat constrained in the matters of foreign and security policy and police and security policy by providing useful external judicial supervision of all EU activities“.