Denunce di costanti abusi commessi dalla polizia bulgara contro i richiedenti asilo

7 dicembre 2015
O-000156/2015

Interrogazione con richiesta di risposta orale
alla Commissione
Articolo 128 del regolamento

Malin Björk, João Ferreira, Josu Juaristi Abaunz, Cornelia Ernst, Martina Anderson, Lynn Boylan, Matt Carthy, Liadh Ní Riada, Kostas Chrysogonos, Kostadinka Kuneva, Stelios Kouloglou, Dimitrios Papadimoulis, Sofia Sakorafa, Marie-Christine Vergiat, Younous Omarjee, Patrick Le Hyaric, Barbara Spinelli, a nome del gruppo GUE/NGL
Judith Sargentini, Josep-Maria Terricabras, a nome del gruppo Verts/ALE

Oggetto: Denunce di costanti abusi commessi dalla polizia bulgara contro i richiedenti asilo

Diversi volontari e ONG hanno recentemente pubblicato informazioni e video che documentano i costanti abusi commessi dalla polizia bulgara nei confronti dei richiedenti asilo che entrano in Bulgaria dalla Turchia. Un’indagine condotta dal Centro per i diritti umani di Belgrado e finanziata da OXFAM attesta che la polizia commette sistematicamente abusi contro i migranti, ad esempio sparando, percuotendoli e colpendoli con armi da fuoco, nonché servendosi di cani per costringere i richiedenti asilo, compresi i minori non accompagnati, a riattraversare la frontiera e tornare in Turchia.

Il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muižnieks, aveva già espresso preoccupazioni a questo proposito; infatti, nella relazione pubblicata in seguito alla visita effettuata in Bulgaria dal 9 all’11 febbraio 2015, il commissario si rammaricava che, a quella data, il governo bulgaro si fosse rifiutato di avviare indagini in risposta alle numerose accuse relative a respingimenti e altre violazioni di diritti umani connesse.

Tali pratiche costituiscono una violazione degli articoli 18 (diritto di asilo) e 19 (protezione dalle espulsioni collettive e principio di non-refoulement) della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dell’articolo 3 della Convezione europea dei diritti dell’uomo, nonché del diritto internazionale dei rifugiati.

Alla luce di quanto precede, si chiede alla Commissione:

– ritiene che le pratiche denunciate siano conformi al diritto dell’UE, ivi inclusa la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea?

– Come intende agire per far fronte agli abusi che sono già stati commessi?

– Come intende agire per impedire che tali abusi si ripetano in futuro?

Lettera all’ambasciatore del Marocco presso l’Unione Europea sulla situazione di Younous Chekkouri

Testo della lettera inviata all’ambasciatore del Marocco presso l’Unione europea e sottoscritta anche da Barbara Spinelli, riguardante la situazione di Younous Chekkouri, cittadino marocchino ed ex detenuto di Guantanamo, imprigionato senza formali accuse e presunta vittima di tortura.

H. E. The Ambassador of the Kingdom of Morocco to the EU

Mr Menouar Alem

Dear Ambassador,

We are writing to you with regards to the case of Younous Chekkouri, a Morroccan citizen and a former Guantanamo detainee, where he was held without ever charges having been brought against him and where he was a victim of torture. After having been cleared by the United States of America, Mr Chekkouri was sent back to Morocco on September 16th, 2015. His return to Morocco was agreed predicated on assurances by the Kingdom of Morocco that it would not be bringing charges against him and that the Kingdom accepted the assessment by the USA authorities that Mr Chekkouri indeed posed no threat and had not committed any offences.

Regardless of these diplomatic assurances, worrying news arrive from Morocco indicating that Mr Chekkouri is in fact held in prison since his return to his country (over the 70-day period over which the Kingdom of Morocco had agreed not to hold him in detention) and that no formal charges were, as of yet, brought against him by the Moroccan judicial authorities and without having been permitted to meet with his lawyer. A hearing is scheduled for January but, according to Moroccan law, it seems that the proceedings could go on for as long as twelve months, regardless of whether or not the State decides to lodge charges against him.

I would, therefore, like to impress on you the seriousness of what is at stake here:

a) The Kingdom of Morocco is, blatantly and knowingly, violating an agreement on diplomatic assurances with the US State Department, which was conditional on Mr. Chekkouri’s return to Morocco. This violation of diplomatic assurances bears great risk to Morocco ́s credibility in the global fora and, especially, regarding its strategic allies (the USA, but also the EU and its Member States, who may be, from here on end, feel restrained from extraditing any Moroccan citizen to its territory for fear of retribution and unlawfull actions).

b) Should the Moroccan judicial authorities decide to bring criminal charges against Mr Chekkouri, it will be violating not only the diplomatic assurances given to the US, but also perpetuating the injustice and human rights violations against Mr Chekkouri, a victim of unlawful detention and rendition, a victim of torture, all of which have left him with serious mental health issues. It is important to note that Mr Chekkouri has initiated a hunger strike that will undoubtedly further deteriorate his physical health.

c) Mr Chekkouri has already been through enough of an ordeal, having been unlawfully detained for forteen years by the United States. Never did the US bring any charges against him, for which reason it decided that he was to be released and returned to his country. To prolong this injustice is not only inhumane and degrading, it is a clear violation of international human rights.

This is why, we, as Members of the European Parliament, urge you to forward this letter to you government and judicial authorities and employ your best efforts in preventing any further injustices against Mr Chekkouri and any further damages to Moroccan credibility, by expediting the legal process and dismissing any charges that may be brought against him.

Sincerely,

Ana Gomes, MEP
Richard Howitt, MEP
Barbara Spinelli, MEP
Petras Austrevicius, MEP
Marie-Christine Vergiat, MEP

CC: H.E. The Ambassador of the United States to the EU; the High Representative of the EU for Foreign Affairs and Security Policy.

“Dragan Aveva Ragione”: proiezione del documentario con dibattito su Mafia Capitale e discriminazione dei Rom in Italia

dragan aveva ragione

 

Mercoledì 9 Dicembre si è svolta presso il Parlamento europeo la proiezione di “Dragan aveva Ragione”, organizzata da Barbara Spinelli (GUE/NGL).

Il documentario è stato preceduto da un dibattito sulla discriminazione dei Rom e sullo scandalo «Mafia Capitale», che ha rivelato un diffuso sistema di corruzione e frode finalizzato a sfruttare centri di accoglienza e campi rom (e profughi) nella regione Lazio.

Sono intervenute le eurodeputate Soraya Post (S&D) e Laura Ferrara (EFDD), l’autore del film Gianni Carbotti insieme a Moni Ovadia, Dijana Pavlovic, Sergio Bontempelli e Marco Brazzoduro.

Sinopsi:

Aveva ragione il capo nomade Dragan. Nei campi nomadi era la cosiddetta “mafia capitale” a comandare. Il docufilm “Dragan aveva ragione”, girato dai militanti radicali Camillo Maffia e Gianni Corbotti, lo racconta facendo luce sul degrado di questi campi a Roma. Quasi tutti gestiti dalle cooperative oggi sotto accusa nell’inchiesta condotta dal procuratore capo di Roma Pignatone. Peccato che l’allarme lanciato da questo documentario, ampiamente usato dalla procura romana, sia stato  ignorato dal servizio pubblico televisivo. Camillo Maffia dice di averne molte da raccontare. A cominciare dai sospetti su chi promuove le mafie della prostituzione e della droga dentro ai campi regolari (solo 9) che, nonostante i 24 milioni di euro spesi ogni anno per mantenerli, versano tuttora in condizioni indegne. Che fine fanno questi soldi?

Link utili:

Aveva ragione il grande capo Dragan. Era «Mafia Capitale» a comandare
Dragan aveva ragione, un docufilm sugli sgomberi dei rom del buonista Marino
“Dragan aveva ragione”: comunicato stampa della Fondazione Romanì Italia
“Dragan aveva ragione” sul sito Romatoday
Master Blaster va al Senato: “Dragan aveva ragione” di Gianni Carbotti e Camillo Maffia
Bruxelles, proiezione al Parlamento europeo del documentario Dragan aveva ragione


Intervento di Barbara Spinelli

Vi ringrazio per essere venuti a quest’incontro, e specialmente i registi del film che vedremo fra poco: Camillo Maffía e Gianni Corbetti. Un saluto particolarmente affettuoso a Moni Ovadia: è uno dei protagonisti del documentario. Ringrazio anche Dijana Pavlovic, che è tra i promotori della legge di iniziativa popolare per il riconoscimento dello stato di minoranza storico-linguistica dei rom e sinti, e Sergio Bontempelli, studioso e operatore legale per i diritti dei rom e sinti. Con Bontempelli ho cercato di oppormi allo sgombero dei campi rom di Lungo Stura Lazio a Torino, di Torre del Lago Puccini a Viareggio, della Bigattiera a Pisa. Saluto – non per ultimi – il professor Marco Brazzoduro, vicepresidente dell’Associazione 21 luglio, e le colleghe Soraya Post (gruppo S&D) e Laura Ferrara (, con le quali condivido importanti battaglie contro la corruzione e la discriminazione dei rom: due piaghe intrecciate, in Italia. Un grande grazie infine a Chiara de Capitani, che è stata l’architetto di questo nostro incontro.

Nell’agosto 2013, duecento rom serbi fuggirono dal campo di Castel Romano, sulla Pontina, dove imperversavano violenze e soprusi. Si accamparono in via Salviati, alla periferia est della capitale, dando vita a un insediamento informale, definito quasi subito abusivo. Lo sgombero avvenne poco dopo e fu ordinato dall’allora sindaco di Roma Ignazio Marino, oggi non più in carica. La comunità rom lo aveva votato sperando in una promessa di integrazione. Promessa non mantenuta: la discriminazione abitativa e lavorativa continua.

Questo documentario, seguito da una denuncia di Marco Pannella, è stato cruciale perché è servito agli inquirenti per rivelare il male che sta dietro la gestione dei campi: la mafia, e i suoi legami con classi politiche di destra e sinistra. Ricordo alcune frasi dette in un’intercettazione da un indagato, Salvatore Buzzi: «Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato, e tutti i soldi e gli utili li abbiamo fatti sui zingari”. E ancora: “Tu lo sai a gestire un campo zingari, ma la gente non si rende conto, cioè trattare con gli zingari è proprio devastante perché non è malavita, perché è gente infame proprio di pensieri…».

Non sono qui per riassumere il documentario, ma per ricordare alcune cose essenziali. Di rom e sinti si deve parlare, oggi in modo particolare, perché la Commissione europea sta compilando una lista di “Paesi sicuri” , per far fronte alla questione rifugiati, che permetterà più facili e rapidi rimpatri di persone o gruppi che chiedono asilo politico in Europa. Nella lista figureranno sia i Paesi balcanici sia la Turchia, dove esistono forti comunità rom, spesso oggetto di vessazioni o persecuzioni. La collega Soraya Post ci ricorda che in Turchia i rom sono circa 1 milione. [1] (ufficialmente sono 500.000, ma la cifra si basa su censimenti superati. Gli attivisti della comunità sostengono che il reale numero si avvicina ai 2 milioni). La nozione di “Paese sicuro” non esclude il diritto del singolo a chiedere protezione internazionale e asilo, come prescritto dalla Convenzione di Ginevra, ma rende più complicata e difficile la domanda.

Più fondamentalmente c’è da domandarsi, e lo chiedo anche a voi, come mai una comunità come quella dei rom sia trattata in questo modo infame. Come mai esista una sorta di impunità, per chi non esita a oltrepassare ogni decenza quando parla di rom e sinti. Le frasi di Salvatore Buzzi non sono un’eccezione. Eppure questa comunità è stata vittima, nella prima metà del Novecento, di un genocidio: il Porrajmos, che vuol dire “grande divoramento” o devastazione. La data simbolica è il 2 agosto 1944, il luogo dove è avvenuto lo sterminio è il Zigeunerlager di Birkenau. È l’equivalente della Shoah ebraica, del Metz Yeghern che sterminò gli armeni, ma non ha legittimazione storica, non è entrato nella coscienza degli europei come un crimine contro l’umanità, da espiare. Non esiste tabù civilizzatorio, sui rom. La gente continua a dire con disprezzo zingari, come se in Francia dicessimo, parlando degli ebrei: youpin, che è l’equivalente di sporco ebreo. È uno dei grandi misteri dell’Europa di oggi, che fatico a spiegarmi. È come se un frammento di lingua e di modi di comportamento nazisti fosse rimasto nei nostri tessuti.

Moni Ovadia dice una cosa terribile, nel documentario: dagli anni 80 (ma io direi già prima, dal dopoguerra e specialmente dopo il processo Eichmann), gli ebrei sono “riusciti a entrare nei salotti buoni dei vincitori”. Non è del tutto giusto, perché 6 milioni di uccisi e gasati non sono entrati nei salotti. Certo è però che i rom non sono in nessun salotto buono, mentre il tabù sugli ebrei esiste, anche sul piano linguistico. È come se vivessero in angolo morto d’Europa. Come se in quell’angolo morto la storia fosse andata in modo differente, e Hitler in quel preciso punto non fosse stato sconfitto.

Vorrei suonare il campanello d’allarme. In tutta Europa cresce una destra estrema, senza più tabù: in Francia, Polonia, Ungheria, Italia. La battaglia per dare uno statuto ai rom e al Porrajmos si fa più dura, abbiamo già perso troppo tempo e dobbiamo andare oltre la denuncia, oltre il “ruolo protettivo” che la sinistra in genere affida a se stessa.

[1] Ufficialmente i rom in Turchia sono 500.000, ma la cifra si basa su censimenti superati. Gli attivisti della comunità sostengono che il reale numero si avvicina ai 2 milioni.

Se questo è il prezzo di Schengen

Strasburgo, plenaria 16 dicembre 15

Dibattito su “Detenzione dei richiedenti asilo e uso della forza nei loro confronti”

Dichiarazioni del Consiglio e della Commissione

Alla presenza di:

Dimitris Avramopoulos, Commissario per la migrazione, gli affari interni e la cittadinanza
Nicolas Schmit, ministro del Lavoro lussemburghese, in rappresentanza della Presidenza del Consiglio

Intervento di Barbara Spinelli

Leggo nel comunicato della Commissione sugli hotspot italiani che Roma deve “dare una cornice legale all’uso della forza” per il prelievo di impronte e le detenzioni prolungate. Sarà difficile, dicono i giuristi, a meno di violare due articoli della Costituzione: il 13 e 24. Mi chiedo anche come l’Unione intenda far fronte a detenzioni e violenze verso i rifugiati che si estendono: in Ungheria, Bulgaria, Polonia, Francia, Spagna. In Italia le espulsioni forzate sono attuate anche quando i giudici sospendono i rimpatri. Il governo danese confisca da domenica scorsa i gioielli dei rifugiati – anelli nuziali esclusi – per pagarne i costi.

È grave che tali misure siano presentate come urgenti e obbligatorie “per salvare Schengen”. Che il Presidente del Consiglio Europeo Tusk raccomandi 18 mesi di reclusione dei richiedenti asilo, sempre “per salvare Schengen”. Che non siano invece considerati obbligatori il non-refoulement, l’habeas corpus, la ricerca di alternative alla detenzione sistematica, la non coercizione su persone vulnerabili o minori. Non ci si può limitare a imporre solo misure repressive mentre la Carta, i trattati, il pacchetto asilo del 2013 prevedono diritti e clausole discrezionali ben più vincolanti.

Se questo è il prezzo di Schengen: No grazie! – come cittadina europea rinuncio volentieri a Schengen, senza esitare.


Si veda anche:

MEPs call for urgent action from the Commission and Council on detention and use of force against migrants

La Federazione del Rojava

Giovedì 10 dicembre, nel suo ufficio di Bruxelles, Barbara Spinelli ha incontrato Mustafa Abdulselam, rappresentante del Syrian Kurdish Democratic Union Party (PYD).

Alla riunione, in cui si è discusso della situazione dei rifugiati nel territorio del Rojava, erano presenti Sergio Bontempelli, operatore legale ed esperto di questioni legate allo status giuridico dei cittadini stranieri, Stefano Galieni, responsabile nazionale migranti di Rifondazione comunista, e il documentarista Gianni Carbotti.

Di seguito, un resoconto dell’incontro:

La Kobane dei rifugiati, di Sergio Bontempelli

Materiali:

La Carta del contratto sociale del Rojava

Kobanê è sola?, di Sandro Mezzadra


Si veda anche:

Rojava, la Kobane dei rifugiati

Brexit: breve elenco dei punti critici

Bruxelles, 9 dicembre 2015

Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di coordinatore della Commissione Affari Costituzionali per il gruppo, nel corso della riunione del Gruppo GUE/NGL

Punto in agenda: Brexit

Come prima cosa, vorrei indicare il contesto in cui si discute di Brexit. Il contesto è l’avanzata di Marine Le Pen, e di destre xenofobe e nazionaliste nell’Unione. Queste destre utilizzeranno a propri fini il negoziato britannico – Marine Le Pen lo ha detto esplicitamente – imitando la via inglese. Penso che come gruppo non sarà male tenerne conto, quando si parlerà di Brexit.

E ora vengo alla lettera di Cameron a Tusk: ai suoi punti più pericolosi. Ne elenco alcuni, perché sia un po’ più chiaro cosa sarà discusso, si spera, nella Commissione affari costituzionali.

Dico “si spera”, perché quel che dovremmo ottenere è che i cambiamenti chiesti da Londra siano oggetto di discussione in questo Parlamento, e non nascano da accordi intergovernativi. Tutto rischia infatti di avvenire nel chiuso del Consiglio Europeo: un organo già indebitamente soverchiante nell’UE, e poco propenso alla cultura del render conto.

Alcune proposte di Cameron non sorprendono: Londra già beneficia di opt-out, e il Premier ne chiede di più. Pericolosa non è la tattica degli opt-out. È la degradazione dell’Unione nel suo insieme, con ripercussioni su tutti i soggetti che ne fanno parte. Tale fu l’obiettivo di Blair prima del Trattato di Lisbona: non un’Europa diversa – più forte o più democratica – ma l’accentuazione di caratteri negativi che essa possiede sin dalla nascita. Quel che va codificato, secondo Londra, è che l’Unione non dovrà essere altro che una zona di libero scambio: competitività e produttività sono i soli collanti citati da Cameron. Nemmeno ai margini si parla di questione sociale.

Faccio un piccolo elenco dei punti pericolosi:

1) la volontà di mettere la parola fine, in modo irreversibile e legalmente vincolante, all’obbligo del Regno Unito di adoperarsi verso “un’Unione sempre più stretta”, eliminando tale concetto dal Trattato.

2) l’invito a ridurre al massimo la regolamentazione comune, considerata eccessiva. Esistono complicità su questo, soprattutto con l’Est Europa e potenzialmente con le estreme destre nell’Unione.

3) la proposta di introdurre meccanismi che consentano ai Parlamenti nazionali di bloccare proposte legislative non desiderate. I Parlamenti nazionali avrebbero un potere di veto, non propositivo. Il veto può aver senso, se le democrazie sono messe in pericolo. Ma il Parlamento europeo perderebbe molti poteri che possiede. Inoltre, ricordo che l’articolo 1 del Trattato fa riferimento ai popoli, non agli Stati, e l’Unione “più stretta” è pensata proprio per oltrepassare i limiti del mercato unico: è l’unione dei diritti riconosciuti al successivo articolo 2, che non devono avere confini o limiti.

In realtà, siamo di fronte al tentativo di ridurre le garanzie che il Trattato, anche se difettoso, contiene: garanzie che con la libertà di manovra nazionale Londra vuole aggirare.

Le intenzioni di Cameron diventano evidenti se si guarda alle proposte sull’immigrazione: chiusura delle frontiere per i non europei, libera circolazione per i futuri Stati Membri solo se sarà assicurata “una più stretta convergenza economica”, limitazione infine della libertà di circolazione interna. Su questo tema, si aggiunge anche una critica forte alla Corte di giustizia europea. Obiettivo: non subire pressioni su un welfare che, internamente, è già in parte demolito.

Tutto questo si inserisce nell’altra proposta, cui ha fatto accenno Martina Anderson (Sinn Fein) in questa riunione: quella di sostituire lo Human Rights Act con un “Bill of rights nazionale”, per spezzare ogni legame con la Corte europea dei diritti umani.

Nella Commissione Afco, penso che dovremmo contestare il metodo intergovernativo dell’attuale discussione. Se riforma del Trattato deve proprio essere, questa può farsi solo, secondo me, attraverso la procedura ordinaria di revisione, che consenta l’inclusione del Parlamento europeo e dei parlamenti nazionali. Personalmente credo che il Trattato dovrebbe diventare una Costituzione. Ma temo che ogni modifica, che parta dalle proposte inglesi, sia oggi peggiorativa.

So bene che esistono differenze nel nostro gruppo, ma penso valga la pena cogliere quest’occasione per affermare un diverso tipo di integrazione, che non riduca l’Europa a un mercato unico ma punti a un’Europa fondata su giustizia sociale e diritti, oltre che a una politica estera indipendente da quella statunitense. E qui torno al contesto cui accennavo all’inizio: sarebbe anche l’occasione di differenziarci, come gruppo, dai falsi sovranismi proposti oggi dalle destre estreme.


Si veda anche:

Rinegoziazione delle relazioni costituzionali del Regno Unito con l’Unione europea

Controllo della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali

Intervento di Barbara Spinelli nel corso della riunione ordinaria della commissione Libertà civili, giustizia e affari interni del 10 dicembre 2015, in qualità di relatore ombra della Relazione di Iniziativa Legislativa “Istituzione di un meccanismo UE in materia di democrazia, Stato di diritto e diritti fondamentali” (Relatore: Sophia in’t Veld – ALDE, Paesi Bassi)

Punto in agenda: Mini-audizione sul controllo della democrazia, dello Stato di diritto e dei diritti fondamentali: metodi e indicatori

Oratori:

  • Paraskevi Michou – Deputy Secretary General, European Commission
  • Gabriel Toggenburg – Senior Legal Advisor, European Union Agency for Fundamental Rights
  • Simona Granata-Menghini – Deputy Secretary of the Venice Commission, Council of Europe
  • Julinda Beqiraj – Bingham Centre for the Rule of Law, British Institute of International and Comparative Law

Vorrei fare due domande, precedute da una breve premessa. La premessa è la seguente: è stato detto, dalla Dott.ssa Granata-Menghini, che il pieno raggiungimento dello stato di diritto (rule of law) è un’utopia. Penso che sia un’affermazione leggermente pericolosa. Il pieno raggiungimento dello stato di diritto è senz’altro difficile, ma non è un’utopia. L’utopia è il non-luogo, la non-esistenza. È come se dicessimo che il riformismo è utopico. Allora non ci resta veramente nient’altro che la conservazione, perché se non abbiamo più la rivoluzione, se non abbiamo più neanche il riformismo, non ci resta più niente. Il risultato di questa sparizione è che ci troviamo di fronte, in un’Europa che nonostante tutto sta cambiando, a una violazione diffusa dei diritti umani – riguardo ai rifugiati, alla libera circolazione dentro l’Unione – e il rischio è il seguente: affermando che la rule of law è utopica, ci si limita a dire che essa necessita di “semplice” promozione, si finisce per dar vita a un mero “club di discussione” sullo Stato di diritto, come precedentemente sostenuto dalla collega Monika Flašíková Beňová, e si dimentica che la rule of law esiste non per essere desiderata, ma per essere semplicemente attuata.

Vengo ora ad alcune domande specifiche. Pongo la prima alla Dott.ssa Michou, sul monitoraggio del “semestre europeo”. Lei ha parlato del fatto che vengono monitorate soprattutto le riforme in materia di giustizia, i modi in cui sono realizzate dagli Stati Membri. Vorrei chiederle se, da parte vostra, vengono tenuti in dovuto conto i molti studi che evidenziano come le politiche economico-finanziarie decise durante i “semestri europei” abbiano determinato violazioni di molti e ulteriori diritti, siano essi iscritti nell’articolo 2 del Trattato o nella Carta europea dei diritti fondamentali.

La seconda domanda la rivolgo a tutti gli oratori. Vorrei chiedere una vostra opinione in merito all’opt-out che, di fatto, il Regno Unito ha invocato rispetto all'”ordinamento giuridico europeo”, con riferimento a entrambe le Corti, di Lussemburgo e Strasburgo. In particolare, se vi sia una valutazione della questione sia da parte del Consiglio d’Europa che dell’Unione Europea.

Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli: “Il Consiglio deve impegnarsi a ricollocare i richiedenti asilo bloccati in Grecia e Italia”. Firmano l’interrogazione scritta 24 eurodeputati di vari gruppi politici 

Bruxelles, 11 dicembre 2015

Barbara Spinelli ha presentato un’interrogazione al Consiglio sull’attuazione delle decisioni relative alla ricollocazione di 160,000 richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia. Le due decisioni del Consiglio dell’Unione Europea sono state adottate nel corso delle riunioni del Consiglio straordinario Giustizia e Affari Interni il 14 e 21 settembre e prevedono la ricollocazione di un totale di 160’000 richiedenti asilo provenienti da Grecia e Italia negli altri Stati membri dell’Unione europea. “Come indicato nella comunicazione della Commissione (COM (2015) 510 definitivo), entrambe le decisioni richiedono un immediato follow-up delle istituzioni dell’UE, degli Stati membri sotto pressione e degli Stati membri che si sono impegnati ad ospitare persone ricollocate“, afferma l’eurodeputata del gruppo GUE/NGL.

Lo stesso documento sottolinea che, a partire dal 14 ottobre, ventuno Stati membri hanno individuato i punti di contatto nazionali, e fino ad ora solo sei Stati membri hanno notificato le capacità di accoglienza messe a disposizione per i profughi da ricollocare. Fino a quel giorno, appena 86 richiedenti asilo erano ricollocati dall’Italia con il nuovo regime. Il 3 novembre, un comunicato stampa della Commissione ha sottolineato che il primo volo di trasferimento dalla Grecia con 30 richiedenti asilo era pronto a partire per il Lussemburgo”.

Barbara Spinelli, insieme a 24 eurodeputati di vari gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede dunque al Consiglio quali misure intenda prendere perché i rappresentanti degli Stati membri si impegnino a ricollocare quanto prima i richiedenti asilo bloccati in Grecia e in Italia in condizioni di allarmante precarietà.

Firmatari:
Barbara Spinelli, Philippe Lamberts, Michèle Rivasi, Yannick Jadot, Pascal Durand, Eva Joly, José Bové, Karima Delli, Igor Soltes, Eleonora Forenza, Merja Kyllönen, Dimitrios Papadimoulis, Malin Björk, Josu Juaristi Abaunz, Takis Hadjigeorgiou, Julie Ward, Liisa Jaakonsaari, José Inácio Faria, Nedzhmi Ali, Neoklis Sylikiotis, Sofia Sakorafa, Kostadinka Kuneva, Patrick Le Hyaric, Dennis De Jong, Stelios Kouloglou

Testo dell’interrogazione (file .pdf)

I parlamentari GUE/NGL criticano la direttiva PNR

PRESS RELEASE

GUE/NGL MEPs criticise PNR directive as ineffective in countering terrorism

Brussels 10 December 2015

Following this morning’s vote in the LIBE Committee which endorsed a draft EU directive regulating the use of Passenger Name Record (PNR) data, GUE/NGL MEPs have criticised it as ineffective and a breach of privacy.

German MEP, Cornelia Ernst, expressed the need for more effective measures to counter terrorism: “The despicable events in Paris should have prompted a serious discussion about how to prevent terrorism and which security measures are actually effective for this purpose. But instead we are getting more off-the-shelf policies. The proposed PNR directive has been on the table since 2012. It would not have made the world safer back then, and for sure it will not do so in 2016.”

Swedish MEP, Malin Björk, commented: “The European Court of Justice recently stated that collecting personal data of citizens without specific targeting contravenes the EU Charter of Fundamental Rights, and now we see this again in the draft Passenger Name Record directive. Framing the PNR directive as a counter-terrorism initiative is unacceptable; it is just another instrument for mass surveillance of people.”

French MEP, Marie-Christine Vergiat, added: “This vote represents an unprecedented decline in the Community acquis on data protection and privacy. The European PNR proposal was revived following the attacks in Paris in January 2015and accelerated after the attacks in Paris on November 13 which highlighted the problem of cooperation between member states in the fight against terrorism and cross-border organised crime. It is therefore incomprehensible that the agreement reached between the Council and Parliament does not mandate the exchange of information resulting from the processing of PNR data. The apologists for this system have managed to set up an inefficient and expensive system, built on the exploitation of fear.”

Italian MEP, Barbara Spinelli, further explained the position of GUE/NGL MEPs: “We stand against the introduction of a PNR Directive which the European Data Protection Supervisor and other important authorities have declared as neither necessary nor proportionate. I think the Union should not fall prey to a policy of fear, but it seems to be doing just that: preparing to adopt further counter-terrorism measures before assessing their proportionality and their legal necessity, while member states are resisting real cooperation using the existing instruments. I believe there will be a time when the European Court of Justice will prove that we were right all along, as happened in the case of the Digital Rights Ireland (C-293/12) and Schrems (C-362/14) judgements. Hopefully that time will come sooner rather than later.”

The draft directive on PNR will be put to a vote by Parliament as a whole early next year.

Interrogazione sull’hotspot di Lampedusa

COMUNICATO STAMPA

Barbara Spinelli presenta un’interrogazione sull’hotspot di Lampedusa con 22 eurodeputati di diversi gruppi politici 

Bruxelles, 9 dicembre 2015

L’eurodeputata Barbara Spinelli (Gue-Ngl) ha presentato un’interrogazione alla Commissione contestando le pratiche che le autorità Italiane stanno svolgendo nell’hotspot di Lampedusa, centro ufficialmente gestito dall’Unione Europea.

“Da settembre le autorità Italiane hanno adottato nuove pratiche illegali in violazione dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo presso l’hotspot di Lampedusa”, ha dichiarato. “Arrivati nell’hotspot, i migranti sono frettolosamente intervistati e ricevono un formulario incompleto senza informazioni sul diritto all’asilo. Pertanto, molti migranti ricevono provvedimenti di respingimento senza avere avuto l’opportunità di chiedere asilo ai sensi delle direttive 2011/95/UE detta ‘Direttiva Qualifiche’ e 2013/32/UE detta ‘Direttiva Procedure’. Una volta ricevuti i provvedimenti di respingimento, i migranti sono cacciati dai centri con un documento che li obbliga a lasciare il paese entro sette giorni dall’aeroporto di Roma-Fiumicino”.

“La direttiva 2013/32/UE stabilisce, qualora migranti detenuti in centri di trattenimento desiderino presentare una domanda di protezione internazionale, che tutte le informazioni sulla possibilità di farlo sia loro garantita (Articolo 8). Peraltro”, ha continuato l’eurodeputata “il §27 della stessa direttiva stabilisce che i cittadini di paesi terzi e gli apolidi che hanno espresso l’intenzione di chiedere protezione internazionale siano considerati richiedenti protezione internazionale: in quanto tali, devono poter godere dei diritti di cui alle direttive 2013/32/UE e 2013/33/UE”.

L’interrogazione si conclude considerando che tali pratiche dimostrano gravi mancanze riguardo la tutela dei diritti umani dei migranti e richiedenti asilo. In particolare, non avendo tenuto conto delle circostanze specifiche di ciascun caso nel rilascio di provvedimenti di respingimento, contravvengono all’articolo 19 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e alla giurisprudenza consolidata della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. L’eurodeputata, insieme a 22 colleghi di diversi gruppi politici (Socialisti, Liberali, Verdi, Sinistra unitaria europea) chiede alla Commissione di indagare sulla compatibilità di tali pratiche di gestione degli hotspot con il diritto dell’Unione Europea.

Firmatari:

Barbara Spinelli, Philippe Lamberts, Michèle Rivasi, Yannick Jadot, Pascal Durand, Eva Joly, José Bové, Karima Delli, Igor Soltes, Eleonora Forenza, Merja Kyllönen, Dimitrios Papadimoulis, Malin Björk, Josu Juaristi Abaunz, Takis Hadjigeorgiou, Julie Ward, Liisa Jaakonsaari, José Inácio Faria, Nedzhmi Ali, Neoklis Sylikiotis, Sofia Sakorafa, Kostadinka Kuneva, Patrick Le Hyaric

Testo dell’interrogazione (file .pdf)


Si veda anche:

Barbara Spinelli presenta un’interrogazione sull’hot spot di Lampedusa con 22 eurodeputati di diversi gruppi politici

L’Ue accusa l’Italia: “Non prende le impronte ai migranti”

Interrogazione sull’hotspot di Lampedusa