Lettera aperta sull’arresto dei tre di Briançon

Barbara Spinelli ha sottoscritto un appello per la liberazione dei tre attivisti di Briançon fermati dalla Gendarmerie francese per aver attraversato simbolicamente la frontiera insieme a una cinquantina di migranti.

Lettera aperta sull’arresto dei tre di Briançon / lettre ouverte sur l’arrestation des trois de Briançon

Lo scorso 21 aprile i militanti di un gruppuscolo neo-fascista e suprematista hanno inscenato un’operazione di “blocco delle frontiere” tra la Francia e l’Italia.

Il giorno dopo, un gruppo di abitanti delle valli vicine, impegnati nella solidarietà concreta con i migranti in transito, attraversano simbolicamente la frontiera insieme a una cinquantina di migranti e arrivano senza alcun problema fino a Briancon, dove la gendarmerie francese effettua sei fermi di polizia in maniera completamente arbitraria.

L’accusa del procuratore è semplice quanto brutale nella sua chiarezza: aiuto all’immigrazione illegale con l’aggravante di aver compiuto il fatto in maniera collettiva (“en bande organisée”).
Per tre dei fermati Eleonora, Théo e Bastien viene convalidato l’arresto, con detenzione in carcere fino all’inizio del processo che si svolgerà il 31 maggio nella cittadina di Gap. Rischiano fino a 10 anni di prigione e 750’000 euro di multa.

Noi siamo e ci sentiamo tutti gente di montagna, accompagniamo da secoli chi deve oltrepassare le frontiere per mettersi in salvo. Le montagne ci aiutano con i loro sentieri innumerevoli. Continueremo a farlo. Rivendichiamo come legittimo il nostro aiuto. Dichiariamo illegittima la legge che ci incrimina, perché contraria alla fraternità. Come in mare così in terra: dichiariamo che proseguiremo a soccorrere chi ha bisogno dei nostri sentieri.

Non esistono i clandestini. Esistono ospiti di passaggio sulle nostre montagne.

Per aderire: firmaperitre@gmail.com

Qui il testo dell’appello con l’elenco dei firmatari (in aggiornamento)

Rapporto Bresso-Brok: il fiscal compact inserito nei Trattati

Bruxelles, 8 novembre 2016. Intervento (non pronunciato) di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra per il Gruppo GUE/NGL della Relazione “Migliorare il funzionamento dell’Unione europea sfruttando le potenzialità del trattato di Lisbona” (Relatori Mercedes Bresso, S&D – Italia, Elmar Brok, PPE – Germania) nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO).

Punto in agenda:

  • Esame degli emendamenti

Ringrazio i relatori di questo rapporto, anche se purtroppo ho constatato l’impossibilità di un confronto che sia serio e rispettoso con i relatori ombra.

Come già sottolineato nel corso della precedente discussione sulla Relazione Verhofstadt, quello che mi lascia più perplessa è la visione di fondo dei due documenti, ossia la scelta di cambiare la struttura, la tecnica – la “capacità di agire” a più livelli, rapidamente ed efficacemente, come è scritto nel rapporto – per lasciare essenzialmente invariata la sostanza. Un esempio tra tutti è il Fiscal Compact. Uno strumento figlio di politiche dell’austerità i cui contenuti ed effetti sono stati ampiamente criticati da noti economisti e, ultimamente, persino dallo stesso Fondo Monetario Internazionale. Piuttosto che modificarlo o scegliere soluzioni alternative, la strada percorsa è quella di legittimarlo completamente, incorporandone le parti più rilevanti all’interno del Trattato e rendendolo di conseguenza elemento strutturale della politica economica europea.  È quello che più ci viene contestato dai cittadini: la miopia, la sordità di fronte ad una richiesta di cambiamento che riguarda esattamente il fondo delle nostre scelte e non l’involucro tecnico all’interno del quale le presentiamo.

Penso anch’io, come i relatori, che i Trattati hanno limiti evidenti ma ci offrano già chiare indicazioni su una possibile via alternativa, ed è alla luce di tali indicazioni che dovremmo procedere per “sfruttarne le potenzialità”. È la direzione che ho tentato di seguire con gli emendamenti che ho presentato. Mi riferisco in particolare agli articoli iniziali del Trattato sull’Unione Europea: l’articolo 2 sui cosiddetti “valori” dell’Unione (mi piacerebbe che in una futura Costituzione si parlasse di norme e di diritti – i valori per definizione sono opinabili); l’articolo 3 sugli obiettivi dell’Unione – tra cui la creazione di un’economia sociale di mercato non solo competitiva, ma che miri – cito – alla piena occupazione e al progresso sociale, e a un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente; l’articolo 6 sui diritti fondamentali o l’articolo 11 sulla partecipazione dei cittadini al processo decisionale – solo per citarne alcuni. A rinforzo dei trattati abbiamo anche creato uno strumento unico, la Carta dei diritti fondamentali, che chiede solo di essere innalzata a reale parametro di azione. Si tratta ovviamente di standard generali che necessitano di norme che ne diano concreta attuazione, ma sono anche quei parametri che abbiamo scelto e deciso di inserire nei Trattati quali disposizioni comuni e presupposti del progetto di integrazione europea. Ritengo sia giunto il momento di darne concreta attuazione con politiche che non ne infrangano, come accade oggi quasi quotidianamente, l’essenza.

Un’ultima osservazione sulla politica di immigrazione e di asilo. Considerata l’involuzione sempre più autoritaria in Turchia, considerata la natura dittatoriale di regimi come quello eritreo e sudanese, e il caos che regna in Afghanistan e in Libia, considero impossibile – e indifendibile sul piano legale – la strategia dei cosiddetti “Paesi sicuri”, e ritengo che non vadano firmati accordi con Paesi terzi che sono tutt’altro che sicuri,  al solo fine di rimpatriare migranti e profughi, e di ridurre i flussi migratori prima che i migranti arrivino alle nostre frontiere.

Lampedusa in Winter

lampedusa-in-winter

Bruxelles, 18 aprile 2016

Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha preso la parola durante il dibattito che ha preceduto la visione del film “Lampedusa in Winter”.

Presenti in sala i deputati Angelika Mlinar, Tanja Fajon, Roberta Metsola, Cecilia Wikström, Ulrike Lunacek e Laura Ferrara. Tra gli ospiti, la giornalista Martyna Czarnowska («Wiener Zeitung») che ha mediato il dibattito, Marina Chrystoph (direttrice del forum culturale austriaco), Jakob Brossmann (regista del film) e Paola la Rosa (una delle protagoniste).

Prima di addentrarmi nelle esperienze italiane e fare alcune considerazioni in merito alle recenti proposte avanzate dal governo Renzi, vorrei ribadire che non sono fiera di questa Europa. Stiamo assistendo a un susseguirsi di naufragi e alla morte di centinaia di persone, tacitamente approvati da istituzioni comunitarie che nulla fanno per evitare simili disastri umanitari.

Non sono fiera di un’Europa che predica valori solo in senso astratto, e tanto più li invoca tanto meno li rispetta. Che preferisce ricorrere a questo termine vago – i valori sono interpretabili da ogni governo come meglio gli conviene – piuttosto che a concetti impegnativi come diritti, obblighi, leggi internazionali. Questo per meglio concentrare tutte le energie sulle politiche di rimpatri, e giustificare la svolta  avvenuta in materia in occasione dell’accordo siglato con il governo turco. Un accordo che diverse organizzazioni, tra cui UNHCR, Amnesty International, Human Rights Watch, hanno definito non rispettoso del diritto internazionale e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. A simile accordo l’Europa si aggrappa per esternalizzare la politica di asilo ed evitare di avere grane politiche in casa propria.

È perciò fondamentale utilizzare il giusto linguaggio, come ha fatto notare in questa conferenza la collega Cecilia Wikström (ALDE). Si parla di crisi di migranti, ma in realtà siamo di fronte a una crisi di rifugiati. Una crisi che in realtà non rappresenta un vero dramma per l’Europa, ma che chiaramente mette in risalto la paralisi delle istituzioni europee e dei suoi Stati Membri. La paralisi è tanto più grave se fa attenzione alle cifre, generalmente occultate nel dibattito pubblico: nel mondo ci sono oggi 60 milioni di rifugiati; un milione è arrivato in Europa nel 2015, il che equivale allo 0,2 per cento della popolazione UE. Sono numeri che dimostrano  come non ci si trovi alle prese con una calamità (in paesi come il Libano e la Giordania la percentuale oscilla fra il 15 e il 20 per cento): la calamità è percepita come tale a causa dell’incapacità dell’Unione e degli Stati membri di fronteggiarla.

Vorrei a questo punto parlare dell’Italia, iniziando dalla proposta avanzata in questi giorni dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, sotto forma di un non-paper soprannominato “Migration Compact”, e inviato alla Commissione e al Consiglio europeo. Quello che mi ha più impressionato nel documento è l’indifferenza nei confronti delle obiezioni che sono state mosse non solo da numerose organizzazioni (UNHCR, Amnesty International, Human Rights Watch), ma anche da esperti e professori di diritto (State Watch). Più precisamente, sono del tutto ignorati i sospetti di illegalità che gravano sull’accordo con Ankara, e sulle reali condizioni dei fuggitivi rimpatriati in Turchia. Sappiamo che una deriva autoritaria è in corso da tempo in quel Paese. Che il regime Erdogan sta reprimendo le popolazioni curde in una parte del proprio paese e che negli ultimi mesi ha forzatamente rimpatriato migliaia di rifugiati siriani nelle stesse zone di guerra dalle quali erano fuggiti. Proprio oggi il Presidente del gruppo politico ALDE ha chiesto d’altronde la sospensione dell’ accordo.

Di tutto questo non c’è traccia nella proposta italiana. Manca qualsiasi accenno ai diritti della persona, e soprattutto al principio del non-refoulement. Non so ancora come il piano sarà accolto dalla Commissione e dal Consiglio, ma purtroppo sembra essere abbastanza in sintonia con l’orientamento attuale della politica comunitaria in materia di asilo, immigrazione e rimpatri.

A questo proposito, vorrei richiamare due dichiarazioni del Presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, che mi hanno particolarmente colpito. La prima è stata pronunciata durante un congresso del Partito popolare europeo a Madrid, i 22 ottobre 2015. Tusk ha dichiarato: “… l’ingresso troppo facile nell’Unione Europea è un potente pull factor per l’immigrazione … “. Tecnicamente non è sbagliato, se non fosse che il Presidente ha dimenticato di precisare che il principale pull factor è rappresentato dalle guerre da cui fuggono i rifugiati. E che le frontiere europee non erano nello scorso ottobre così aperte come pretendeva. La seconda dichiarazione risale al 3 marzo scorso ed è un appello pubblico a migranti e rifugiati: “… non venite in Europa, perché non serve a niente. It is all for nothing.” Di fronte a simili frasi difficile evitare la vergogna.

Al contempo, credo sia necessario mettere in rilievo le azioni positive nei Paesi dell’Unione: sono parte di una contro-narrativa che vale la pena opporre a chi fa politica attizzando paure e chiusure. Mi riferisco alle reazioni solidali dei cittadini, delle associazioni, delle famiglie, per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti: anche queste azioni devono poter essere citate, quando si parla di best practices nell’Unione.

Vorrei, nello specifico, soffermarmi su un’iniziativa nata a Lampedusa e promossa dall’associazione Mediterranean Hope, il cui rappresentate principale è Francesco Piobbichi che ho avuto il piacere di invitare l’anno scorso qui al Parlamento Europeo. Oggi in questa sala c’è una simpatizzante dell’associazione, Paola La Rosa. Si tratta dell’esperimento di un corridoio umanitario pilota realizzato dalle Chiese Evangeliche della Tavola Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio. Il 15 dicembre 2015 è stato firmato un accordo con i ministri italiani degli Esteri e dell’Interno, ma l’iniziativa si è sviluppata grazie a un lungo lavoro diplomatico con le autorità interessate in Libano, Marocco ed Etiopia. La base giuridica è rappresentata dall’art. 24 del Regolamento (CE) n. 810/2009 del 13 luglio 2009, che istituisce il Codice comunitario dei visti: vale a dire la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata, in deroga alle condizioni di ingresso previste in via ordinaria dal codice frontiere Schengen, “per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”. Grazie al corridoio umanitario sono stati accolti un centinaio di profughi provenienti dai campi profughi in Libano. Vorrei riportarvi un’interessante osservazione fatta da Francesco Piobbichi. Se i tre miliardi che l’Unione europea ha erogato in virtù dell’accordo con la Turchia fossero stati elargiti all’associazione, questa avrebbero potuto garantire la creazione di un corridoio umanitario tale da dare accoglienza ad un milione di rifugiati. È stato calcolato, infatti, che 2 milioni di euro consentono il salvataggio di mille persone.

Infine, vorrei concludere con una riflessione sul rapporto tra Schengen e politiche di asilo. Sono molto riluttante a legare insieme le due questioni. Tuttavia, vorrei sottolineare che le politiche di asilo non devono avere lo scopo di salvare Schengen, ma piuttosto essere orientate al rispetto dei diritti e degli obblighi imposti dai trattati, dalla Convezione di Ginevra, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. I diritti fondamentali e gli strumenti a protezione di essi devono rappresentare il faro delle politiche in materia di asilo e migrazione. La risoluzione sul Mediterraneo, votata la scorsa settimana in plenaria, contiene a questo proposito elementi positivi, ma anche lacune e incertezze sul tema dei rimpatri e, soprattutto, non prende le distanze dall’accordo con la Turchia. Per questo insisto sulla necessità di sospendere l’accordo. Ne va della nostra credibilità. Ritengo sia opportuno agire subito e di nostra iniziativa, e non quando sarà la Corte di giustizia dell’Unione a imporci, forse, la sospensione.

I dieci errori del patto scellerato italiano sulla pelle di chi fugge

Articolo di Barbara Spinelli pubblicato su «Il Fatto Quotidiano» del 19 aprile 2016. La versione inglese è uscita su openDemocracy con il titolo A migration pact not fit for purpose.

La lettera inviata dal presidente del Consiglio Renzi al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, unitamente all’allegato “Patto sulla migrazione”, denotano un’impressionante indifferenza alle obiezioni rivolte alle politiche comunitarie dall’Alto Commissariato dell’Onu sui rifugiati, da Human Rights Watch e da Amnesty International. Sono del tutto ignorati i sospetti d’illegalità che gravano sull’accordo tra Unione e Ankara, e le reali condizioni dei fuggitivi rimpatriati in Turchia, che il governo Erdogan respinge in gran numero (un migliaio negli ultimi 6-7 mesi, compresi bambini non accompagnati), nelle zone di guerra siriane da cui erano originariamente scappati. Si continua a parlare di “crisi dei migranti”, quando è ormai evidente che siamo alle prese, da anni, con una crisi di rifugiati. O per meglio dire: di una crisi dell’Unione e della sua capacità di fronteggiare un afflusso di rifugiati pari allo 0,2% della sua popolazione. Del tutto assente, nella lettera della presidenza del Consiglio come nell’allegato non paper, qualsiasi accenno all’obbligo di rispettare i diritti della persona e il principio del non-refoulement, da parte degli Stati europei come dei Paesi terzi. Simile omissione non sorprende, se si considera il piano nel suo insieme. Anche se largamente contestato, l’accordo con la Turchia è presentato come ammirevole modello per una serie di accordi simili: un modello che secondo Renzi deve essere “ulteriormente sviluppato” ed esteso ad altri Paesi africani, e in particolare a quelli che sono parte del processo di Khartoum e di Rabat (tra cui Paesi dominati da dittatori come Eritrea o Sudan). Obiettivo: una grande trattativa euro-africana, con forti promesse di assistenza finanziaria, per i rimpatri dei rifugiati e la “gestione delle frontiere” da parte dei Paesi terzi, sia di transito che di origine.

Ecco i 10 punti più preoccupanti della proposta italiana:

  1. La disgregazione dello spazio Schengen sarebbe dovuta alla “sfida migratoria”, e non a precisi difetti dei successivi Piani di azione adottati da Commissione e Consiglio dell’Unione, rivelatisi incapaci di una politica di asilo rispettosa delle leggi europee e internazionali (Carta europea dei diritti fondamentali; Convenzione di Ginevra).
  2. Nessuna menzione è fatta di altri punti di crisi geopolitica, a parte quello siriano. Nessun accenno alla guerra in Afghanistan, cui il governo italiano continua a partecipare senza render conto dell’evoluzione del conflitto. Nessun accenno al caos creato dall’intervento militare in Libia del 2011. Nessun accenno alla dittatura in Eritrea, da cui fuggono in migliaia.
  3. È discutibile la valutazione della rotta Mediterraneo centro-occidentale, riattivatasi dopo la chiusura di quella balcanica. La rotta verso l’Italia è descritta come “prevalentemente composta da migranti economici”, senza che siano fornite cifre attendibili e operando distinzioni arbitrarie e sbagliate.
  4. Nel proporre l’accordo Ue-Turchia come modello di un globale piano di rimpatri, il governo italiano invita a valutare una serie di caratteristiche dei Paesi di origine e di transito da cui partono i fuggitivi (trend economici e sociali, sicurezza, cambiamento climatico) ma non il rispetto dei diritti delle persone, e in particolare di chi sceglie di chiedere asilo fuggendo verso Paesi rispettosi di tali diritti.
  5. Il grande Patto Unione-Paesi terzi africani contempla una cooperazione globale e indiscriminata, poliziesca e giudiziaria, concernente la gestione della sicurezza lungo i confini dei Paesi terzi, la “comune” lotta ai trafficanti, al terrorismo, alla droga: mescolando quello che non può essere mescolato.
  6. Lo scopo è solo quello di ridurre la cosiddetta migrazione irregolare, omettendo di ricordare come tutti i rifugiati siano per definizione migranti irregolari.
  7. Nella cintura del Sahel (Nord Senegal, Sud Mauritania, Mali centrale, Nord Burkina Faso, Sud Algeria, Niger, Nord Nigeria, Sud Sudan, Ciad, Nord Eritrea) si propone una presenza poco definita di forze di stabilizzazione europee, che collaborino con i Paesi in questione nell’ambito della sicurezza sia esterna che interna senza chieder loro il rispetto delle leggi internazionali.
  8. In Libia si torna a prospettare un ulteriore sviluppo dell’operazione Eunavfor Med Sophia, e si pone l’accento sulla necessità di aiutare il governo più che fragile a fronteggiare sfide radicalmente diverse come i trafficanti, il terrorismo, il “management dei flussi migratori”. Si vuol “stabilizzare la Libia” per meglio rimpatriarvi i rifugiati, come nell’accordo Berlusconi-Gheddafi del 2008.
  9. La gestione del “Migration Compact” proposto dal governo Renzi è essenzialmente affidata alle nuove Guardie di frontiera dell’Unione. I compiti di Frontex vengono estesi, senza alcun accenno alle deficienze insite in un’Agenzia dell’Unione di natura poliziesca, che non si occupa, se non in casi di estrema necessità, della ricerca e soccorso dei fuggitivi minacciati da naufragi in mare, e che ha dimostrato di non esser congegnata in maniera tale da rispettare pienamente i diritti dei rifugiati, permettendo loro di appellarsi a meccanismi di garanzia giuridica e di ricorso in caso di respingimenti abusivi o collettivi.
  10. In questo quadro, l’accenno alle vie d’immigrazione legale – e alle “opportunità” che essa rappresenta dal punto di vista economico e demografico – assume un significato preciso e altamente restrittivo. Le vie si apriranno solo nella misura in cui le imprese europee si mostreranno interessate all’impiego di manodopera proveniente da Paesi terzi. Il riferimento è a una decisione presa dal Consiglio europeo nel 1999: ben prima che nascesse in Europa la crisi odierna dei rifugiati. L’espediente è notevole: si torna agli anni 90, fingendo che il presente semplicemente non esista.

Le lacune di un rapporto sull’immigrazione senza condanna dell’accordo UE-Turchia

COMUNICATO STAMPA

Strasburgo, 12 aprile 2016

Il Parlamento ha votato il rapporto sulla “situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione” redatto dalle co-relatrici Roberta Metsola (PPE) e Kashetu Cecile Kyenge (S&D).

Secondo Barbara Spinelli, relatrice ombra per il Gruppo GUE/NGL, i negoziati sono stati difficili a causa del patto di ferro stretto tra Popolari e Socialisti, i due gruppi cui appartengono le co-relatrici. «Avevo inizialmente pensato di consigliare al mio gruppo il voto favorevole al rapporto, ritenendo rilevanti alcuni punti senz’altro positivi, come la richiesta di azioni umanitarie europee di ricerca e soccorso in mare, il mutuo riconoscimento delle decisioni nazionali di asilo e la protezione temporanea che contempla l’apertura di corridoi umanitari in cooperazione con l’UNHCR», ha dichiarato l’eurodeputata. «Da mesi, tuttavia, le politiche dell’Unione vanno in tutt’altra direzione e assistiamo a un degrado senza precedenti. Siamo di fronte a un accumulo di scelte, della Commissione e del Consiglio, che sanciscono al tempo stesso la chiusura delle frontiere come conditio sine qua non della sopravvivenza di Schengen, e un’indifferenza di natura criminosa  verso la sorte dei rifugiati. La più decisiva di queste scelte è l’accordo con la Turchia, accordo giudicato illegale dall’ONU e da molti esperti di diritto internazionale ed europeo».

In proposito Barbara Spinelli ha presentato – tra gli altri – tre emendamenti volti a criticare gli effetti dell’accordo UE-Turchia, che non sono passati a causa del voto negativo di parte del Partito socialista. Per questo l’eurodeputata del GUE/NGL ha consigliato al proprio gruppo politico l’astensione.

«Eravamo partiti con due ambizioni forti», ha detto in Plenaria, «darci una visione olistica del Mediterraneo e delle migliaia di morti in mare; capire che non siamo di fronte a una “questione immigrati” ma a una “questione rifugiati”. Se “olistico” vuol dire superare una difficoltà affrontando insieme i suoi diversi aspetti, e se penso alle politiche europee dell’ultimo anno e mezzo, mi domando se siamo stati all’altezza. Non è visione olistica la concentrazione degli Stati membri e della Commissione (Frontex compresa) sul controllo delle frontiere e sul respingimento dei rifugiati, con la scusa che Schengen si salva solo così; non è visione olistica la frase vergognosa di Donald Tusk che invita i fuggitivi da guerre e dittature e non venire “soprattutto” in Europa; non è olistica Frontex trasformata in Nuova agenzia per i respingimenti collettivi; non è olistico, sopra ogni altra cosa, l’accordo con il regime turco, che respinge tanti rimpatriati nelle zone di guerra siriana mentre in casa reprime i connazionali curdi».

Altri importanti emendamenti di Barbara Spinelli sono stati bocciati, lasciando unicamente un richiamo all’Articolo 3 della Convenzione di Ginevra: questo spiega il voto negativo di molti parlamentari del GUE/NGL. Nonostante questo l’eurodeputata ha confermato l’astensione, convinta che il rapporto rappresenti comunque un progresso rispetto alle politiche decise ultimamente da Commissione e Consiglio.

Qui si può trovare l’esito nominale dei voti sugli emendamenti presentati da Barbara Spinelli


Si veda anche:

GUE/NGL abstention largely due to lack of criticism of recent EU-Turkey deal on refugees

Il delirio dell’Europa sui rifugiati, di Annamaria Rivera, «il manifesto», 17 aprile 2016

La Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni vota a favore del rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo

Il 16 marzo, la Commissione Libertà, Giustizia e Affari Interni (LIBE) del Parlamento Europeo riunita a Bruxelles ha adottato la relazione d’iniziativa sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione. La risoluzione sarà ridiscussa e votata dal Parlamento Europeo durante la seduta plenaria di aprile.

Co-relatrici: Cécile Kyenge (Partito Socialista) e Roberta Metsola (Partito Popolare Europeo)

Relatore ombra per il gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

 Dopo il voto, Barbara Spinelli ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«Oggi la Commissione LIBE ha adottato la relazione sulla situazione nel Mediterraneo e la necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione.

Il rapporto presenta notevoli punti positivi, soprattutto per quanto riguarda la necessità di riconoscere vie legali e sicure di accesso al territorio dell’Unione e la creazione di un sistema europeo di ricerca e salvataggio in mare.

Deploro, ciononostante, il processo decisionale che ha portato al voto di questo rapporto. Il rapporto è stato assegnato più di un anno fa a due relatrici – Cécile Kyenge (Partito Socialista) e Roberta Metsola (Partito Popolare Europeo) – e tale procedura, che affida la guida dei rapporti parlamentari ai due maggiori gruppi del Parlamento, non è mai di buon auspicio. L’esperienza insegna che, poiché i due gruppi politici formano da soli una maggioranza solida in Parlamento, l’opinione degli altri gruppi è messa in disparte e il pluralismo viene aggirato. Nel caso in specie e per volontà congiunta dei Socialisti e dei Popolari, i nostri 168 emendamenti, scritti con l’appoggio di numerosi accademici, associazioni della società civile e ONG, non sono stati sottoposti al voto. È il motivo per cui solo alcuni di essi sono stati incorporati negli emendamenti di compromesso votati oggi. Quel che deploro, è che l’insieme delle nostre controproposte non abbia trovato spazio né visibilità nei testi di compromesso.

Se alla fine una parte dei nostri emendamenti è stata inclusa, dopo difficili e lunghi negoziati, lo si deve alla tenacia con cui il Gue, i Verdi, l’Alde, i Cinque Stelle si sono battuti per incorporare alcuni punti importanti negli emendamenti di compromesso come:

– la necessità di prevedere misure di accoglienza, sostegno e opportunità di integrazione a migranti, richiedenti asilo e rifugiati;

– l’esortazione agli Stati membri a introdurre specifiche procedure per la determinazione dell’apolidia e a condividere pratiche di eccellenza (best practices);

– il richiamo al fatto che sia il diritto internazionale sia la Carta dei diritti fondamentali dell’UE impongono agli Stati membri di esaminare opzioni alternative alla detenzione;

– la critica forte del sistema di Dublino, e la richiesta, fatta alla Commissione e agli Stati membri, di superarne le rigidità e di diminuire il peso che grava sugli Stati di prima accoglienza (essenzialmente Grecia e Italia);

– la menzione delle cause profonde della fuga dei migranti: guerre, povertà, corruzione, fame, pulizie etniche, disastri naturali e cambiamento climatico;

Il rapporto presenta tuttavia alcune debolezze a mio parere gravi. Sono passate malgrado il voto negativo del mio gruppo paragrafi a favore del piano d’azione comune UE-Turchia, da me radicalmente criticato; disposizioni a favore di rimpatri e accordi di riammissione con Stati Terzi (processo di Khartoum); e una serie di capitoli sul rafforzamento dei controlli delle frontiere esterne di Schengen (criticabile è il nesso stretto stabilito con le frontiere interne), sulla proposta di una lista europea di Stati di origine sicuri e sulla creazione di una Guardia Costiera europea.

Le sezioni riguardanti il ricongiungimento familiare potevano e avrebbero dovuto essere ulteriormente rafforzate, favorendo il ricongiungimento di membri di famiglie allargate ed eliminando le restrizioni (burocratiche, pecuniarie) che intralciano il ricongiungimento intra e extra-europeo di moltissime famiglie. Infine, ed è una mancanza a mio parere cruciale, il rapporto non riconosce il ruolo svolto dagli interventi militari occidentali nella grave destabilizzazione degli Stati di origine o di transito di tanti rifugiati che arrivano in Europa.

Altra nostra domanda che non è stata accolta: la definizione di uno statuto giuridico – tuttora assente nel diritto internazionale – per i rifugiati ambientali.

Esaminando i punti positivi e quelli negativi del testo, ho tuttavia consigliato ai miei colleghi, nel mio ruolo di relatore ombra per il gruppo GUE/NGL,  di dare all’insieme del rapporto un voto positivo, pur raccomandando il voto negativo su una ventina di paragrafi di compromesso».

Allegati:

Gli emendamenti presentati da Barbara Spinelli al rapporto (file .pdf)

La bozza del rapporto sull’immigrazione nel Mediterraneo (file .doc)

Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale in materia di immigrazione

Strasburgo, 18 gennaio 2016. Intervento di Barbara Spinelli, in qualità di relatore ombra, nel corso della riunione straordinaria della commissione Libertà civili, giustizia e affari interni.

Punto in agenda:

Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione

  • Esame del progetto di relazione
  • Fissazione del termine per la presentazione di emendamenti

Co-Relatori: Roberta Metsola (PPE – Malta), Kashetu Kyenge (S&D – Italia)
Relatore per Gruppo GUE/NGL: Barbara Spinelli

Ringrazio innanzitutto le relatrici per l’importante lavoro che hanno svolto.

Tuttavia, avendo ricevuto il progetto di relazione abbastanza tardi, posso reagire solo con un’opinione parziale, per punti.

C’è sicuramente una base solida da cui partire ed elementi che trovo apprezzabili. Penso alla necessità, come avete sottolineato nella Relazione, di dotarsi di un sistema permanente e robusto di search and rescue; alle vie legali di accesso all’Unione, tra cui la possibilità di rivedere la direttiva del 2001 sulla protezione temporanea in modo da stabilire corridoi umanitari veri; e alla proposta di un meccanismo permanente e vincolante di resettlement. Ritengo giusto che abbiate evidenziato come le differenti forme di aiuto umanitario non debbano essere criminalizzate, anche se non sono molto d’accordo sul fatto che lo smuggling continui a essere giudicato secondo criteri troppo sommari, dunque negativi.

Per quel che riguarda la mancanza di solidarietà tra Stati membri, personalmente proporrei il rafforzamento delle sanzioni agli Stati che non applicano il diritto europeo o si rifiutano di collaborare sulla base dell’articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.

Ci sono invece alcuni punti su cui sono in totale disaccordo: sui rimpatri, sul rapporto con i Paesi terzi e soprattutto sulla questione Turchia e, di conseguenza, sulla lista dei “Stati d’origine sicuri”. Ancora, non condivido il ruolo attribuito a Frontex e il giudizio sugli “hotspot”. In quest’ultimo caso, il punto di vista della Commissione mi sembra sia stato accolto troppo acriticamente.

Ancora manca un Mare Nostrum

Bruxelles 16 luglio 2015. Intervento di Barbara Spinelli in occasione della Riunione della Commissione Parlamentare per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni.

Punto in Agenda: Situazione nel Mediterraneo e necessità di un approccio globale dell’UE in materia di immigrazione

Co-relatori: Roberta Metsola (PPE – Malta), Kashetu Kyenge (S&D – Italia)

  • Esame dei documenti di lavoro sulla solidarietà e sull’accesso sicuro e legale (“working papers” dei relatori ombra Cecilia Wikström [ALDE – Svezia] e Judith Sargentini  [Greens/EFA – Paesi Bassi])

 

Cari colleghi,

ringrazio gli autori per il lavoro svolto su questi importanti working documents. Come stabilito, invierò a breve le raccomandazioni del mio gruppo a riguardo.

Vengo ora ai temi del dibattito.

Innanzitutto, il working document sulle vie di accesso sicure e legali per i richiedenti asilo. Ritengo che queste ultime siano l’unico strumento possibile per rendere del tutto impotente il fenomeno dello smuggling.

Tenuto conto della riforma in corso del codice dei visti, vorrei venissero incluse forti garanzie per i richiedenti asilo: mi riferisco in particolare alle condizioni di ammissibilità, di rilascio del visto, al diritto di appello e, soprattutto, a un cospicuo rafforzamento delle clausole attinenti i visti umanitari. Sono consapevole del fatto che è in corso un negoziato difficile con Commissione e Consiglio, ma ritengo comunque importante – come ricordato da Judith Sargentini – che tali visti diano accesso a tutto lo spazio Schengen.

Per quanto attiene al working document sulla solidarietà, considero di prioritaria importanza che le procedure di riconoscimento dello status di beneficiario di protezione internazionale abbiano, come criterio portante, la volontà dei richiedenti asilo riguardo alla scelta dello Stato di accoglienza, e solo secondariamente le loro eventuali qualifiche. Questo dovrebbe avvenire anche per le procedure di reinsediamento, di ricollocamento e per la normale procedura d’asilo.

Parlando di solidarietà, non possiamo dimenticare i tanti morti dello scorso 18 aprile. In molti abbiamo chiesto che venisse intensificata l’attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Abbiamo chiesto all’Unione di modificare il mandato della missione Triton e il limite di 30 miglia marine posto ai soccorsi. Pareva che navi tedesche, inglesi e irlandesi avessero dato vita a una missione umanitaria – una sorta di Mare Nostrum europeo – ma i tempi d’impegno erano circoscritti a poche settimane. Dall’inizio di luglio stanno riprendendo a poco a poco le morti in mare. Stando a quanto ci hanno riportato alcune nostre fonti in Italia, sono già avvenuti due nuovi naufragi a distanza di pochi giorni, davanti al confine tra Libia e Tunisia, e a soccorrere i naufraghi c’erano solo le unità della Guardia costiera italiana.

Immigrazione: idee e parole sbagliate, si perdono tempo e vite

Intervista di Stefano Citati, «Il Fatto Quotidiano», 13 maggio 2015

Le richieste fatte all’Onu da Federica Mogherini sull’emergenza immigrazione verranno soddisfatte?
Ho forti dubbi che venga approvata una risoluzione in tal senso; e Gentiloni e Mogherini paiono troppo sicuri dell’appoggio di Russia e Cina nel Consiglio di Sicurezza. E poi, come ha giustamente ricordato Mattarella, ci vuole l’accordo dei libici, che sono parecchio arrabbiati perché dicono di non esser stati consultati. E anche il segretario Onu Ban Ki-moon si era detto contrario all’uso della forza: una scelta – preconizzata dall’Agenda predisposta dalla Commissione – che per me rimane sciagurata.

In questi giorni si gioca con le parole, i distinguo sui termini: l’operazione militare di cui parlò Renzi è divenuta una “operazione navale” nelle dichiarazioni della Mogherini.
Al di là delle sfumature, nell’Agenda si parla di un’“operazione di distruzione”; quella che con Mare Nostrum era una missione di Search & Rescue (ricerca e soccorso) è ora un Search & Destroy (cerca e distruggi): è scritto nero su bianco il proposito di distruggere le barche dei presunti trafficanti, addirittura all’interno delle acque territoriali libiche. Ma come capire a chi appartengono i barconi? Possono essere pescherecci usati occasionalmente per altri scopi.

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