Migranti salvati in mare, ma dov’è finito Triton?

Articolo di Barbara Spinelli apparso su «Il Fatto Quotidiano» del 25 luglio 2015.

Il testo è stato inviato come promemoria ai membri del Gue, ai relatori e co-relatori del rapporto “Situazione nel Mediterraneo e necessità di una visione olistica dell’immigrazione”, e al Presidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, Claude Moraes. Qui la versione inglese.

Dopo il naufragio del 18 aprile, l’Unione si impegnò a intensificare l’attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, e il 25 maggio l’agenzia europea Frontex annunciò la firma del nuovo piano della missione Triton che, con maggiori mezzi e fondi, avrebbe portato soccorso a 138 miglia marittime a sud della Sicilia, quasi quintuplicando il proprio raggio d’azione.

Durante il periodo estivo, in cui normalmente si assiste al picco degli sbarchi, “Triton schiererà 3 aerei, 6 navi d’altura, 12 pattugliatori e 2 elicotteri”, affermò il direttore esecutivo Fabrice Leggeri, “così da sostenere le autorità italiane nel controllo delle frontiere marittime e nel salvataggio di vite umane”. Pareva che le navi di numerosi Stati membri avessero dato vita a una missione umanitaria, una sorta di Mare Nostrum europeo, e in giugno non si registrò nessuna morte per naufragio. Ma i tempi d’impegno erano circoscritti a poche settimane. A fine mese, dopo aver salvato più di tremila naufraghi, la Marina britannica ha ritirato la nave da guerra Bulwark, che poteva caricare fino a 800 persone, e l’ha sostituita con la nave oceanografica Enterprise, che può caricarne 120. Dopo il 30 giugno sono scomparse anche le navi tedesche Schleswig-Holstein e Werra.

Dall’inizio di luglio sono riprese le morti in mare. Almeno dodici persone sono annegate nel naufragio di quattro barconi nel Canale di Sicilia e più di cento cadaveri sono stati recuperati dalla Guardia costiera libica nel tratto di mare antistante Tripoli, nel sostanziale disinteresse dei media.

L’Unione europea in fuga, restano le Ong
A soccorrere i naufraghi non c’era Frontex, non c’era l’Unione europea, ma le tre navi umanitarie private di Migrant Offshore Aid Station (Moas), Medici senza frontiere e Sea-Watch, assieme alle unità della Guardia costiera e della Marina militare italiana, e alle poche navi rimaste degli Stati membri, la cui appartenenza organica alla missione Triton è tutt’altro che chiara, poiché sui rispettivi siti governativi risultano essere messe a disposizione dei singoli Stati, sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana. Lo stesso vale per la nave irlandese  Niamh, per la cui opera di salvataggio non si fa riferimento all’operazione Triton-Frontex, ma a “operazioni congiunte con la Marina italiana”. Il quadro offerto dall’equipaggio dell’Ong tedesca Sea-Watch, che con la sua nave ha salvato 587 persone in 6 giorni, è allarmante: “Non abbiamo passato un solo giorno in mare senza aver effettuato soccorsi, abbiamo incontrato la nave di Msf e quella del Moas, ma non abbiamo visto una sola nave di Triton né di Eunavfor Med. […] L’Unione europea non sembra prendere sul serio il soccorso in mare. […] Ci sentiamo abbandonati dall’Unione e dal governo federale”.

Il 1° luglio è avvenuto un passaggio di consegne tra l’operazione Triton e la missione Eunavfor Med di cui ancora non si conoscono con chiarezza i contenuti operativi; quel che sappiamo è che si è creato un vuoto denso di conseguenze. I segnali sono davanti ai nostri occhi, benché generalmente ignorati dai mezzi di comunicazione: il 2 luglio, 904 migranti sono stati recuperati e condotti nel porto di Reggio Calabria dalla nave Dattilo della Marina militare italiana; il 9 luglio, 12 cadaveri sono stati recuperati in mare e 500 naufraghi sono stati salvati dalla Guardia costiera italiana; il 14 luglio, più di cento cadaveri di migranti subsahariani sono stati raccolti dalla Guardia costiera libica davanti alle coste tripoline; il 16 luglio, 835 persone partite dalle coste libiche sono state recuperate dalla nave Dattilo nel corso di quattro distinti naufragi nel Canale di Sicilia; il 17 luglio, una motovedetta della Guardia costiera partita da Lampedusa ha tratto in salvo duecento migranti; il 19 luglio, la nave di Medici senza frontiere ha salvato 129 persone, tra cui 13 donne e 12 bambini; il 22 luglio, la nave della Marina militare irlandese Niamh ha sbarcato 370 naufraghi a Palermo. Sempre il 22 luglio, a Lampedusa, la Guardia costiera italiana ha salvato 414 migranti naufragati a bordo di quattro diversi gommoni, tra loro c’erano quattro neonati. Il 23 luglio la nave militare tedesca Holstein ha sbarcato ad Augusta 283 profughi che hanno fatto naufragio su tre diversi gommoni. Decine i morti.

Tre domande urgenti alla Commissione europea
La Commissione, secondo le dichiarazioni di Leggeri, avrebbe “dotato Frontex di 26,25 milioni di euro aggiuntivi per rafforzare le operazioni Triton in Italia e Poseidon in Grecia”, ma non c’è chiarezza sulla destinazione e l’uso di quei fondi. Il bilancio di Frontex comprende i salvataggi effettuati dalla Guardia costiera italiana e dalle altre unità navali dei singoli Stati membri? Quali e quante navi operano nel Mediterraneo, e con che inquadramento nella missione Triton? Soprattutto: quali disposizioni sono previste perché l’Unione europea non si renda complice di altre sciagure in mare durante le prossime settimane di luglio e di agosto?

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