Come negoziare il Brexit

Intervento di Barbara Spinelli nel Workshop “After the UK Referendum: Future Constitutional Relationship of the United Kingdom with the European Union” organizzato nel corso della riunione ordinaria della Commissione Affari Costituzionali (AFCO). Bruxelles, 5 settembre 2016.

Oratori:

  • Francisco Aldecoa Luzárraga, Mercedes Guinea Lorenete (Fundacion Alternativas / Universidad Complutense de Madrid)

“Withdrawal procedure and future framework of relations”

  • René Repasi (EURO-CEFG, University of Rotterdam)

“Economic governance and internal market”

  • Steve Peers (University of Essex)

“Vested rights and EU free movement”

 

Vorrei riprendere quanto detto dalla collega Pervenche Berès (S&D), considerando il suo invito più che condivisibile: la discussione sugli sviluppi successivi al referendum britannico deve essere più politica che tecnica – anche se gli aspetti tecnici sono certo fondamentali – e per questo motivo ritengo sia necessario che il Regno Unito attivi al più presto il meccanismo dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione Europea (clausola sul recesso). A differenza del primo oratore, Prof. Francisco Aldecoa Luzárraga, penso infatti che la disgregazione non sia più difficile da gestire rispetto all’integrazione. Oggi, in Europa, è l’integrazione a costituire la sfida più difficile cui far fronte, non la disintegrazione che stiamo vivendo.

In questo quadro, sono convinta che non vadano trascurati gli effetti disgregativi del referendum inglese e i fenomeni imitativi, mimetici, che esso sta già producendo in vari Paesi, e in particolare in quasi tutti i Paesi dell’Est dell’Unione. I motivi di tali fenomeni mimetici vanno studiati attentamente e affrontati politicamente nel loro insieme: sono motivi sociali, sono l’insoddisfazione e la delusione di fronte a una gestione catastrofica sia della crisi economica, sia della questione rifugiati. Se guardiamo ad esempio alla Francia, oltre che ai Paesi dell’Est, vedremo come sia sempre più generalizzata la “fuga” dall’Europa, dalla Carta dei diritti fondamentali, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. È un fenomeno evidente nell’elettorato di Marine Le Pen, ma è forte anche nel partito di Sarkozy e perfino in una parte del partito socialista, se esaminiamo le posizioni del Primo Ministro Manuel Valls (cfr. affare del “burkini”).

Se l’attenzione si concentra sulle reazioni dei cittadini, vorrei anche ricollegarmi a quanto affermato da Steve Peers in merito alla tutela dei diritti acquisiti dai residenti in Inghilterra in virtù dell’appartenenza all’Unione. Sono persuasa, come lui, che il Parlamento europeo possa svolgere un ruolo importante nella difesa di tali diritti, anche se naturalmente bisognerà evitare che forti interventi di quest’assemblea facciano crescere in Inghilterra il rifiuto dell’Europa, come paventato dal collega György Schöpflin (PPE). Anche se vorrei ricordare al collega che il rigetto non è una minaccia: il gran rifiuto non è qualcosa che sta davanti a noi ma c’è già stato.

Quel che vorrei chiedere a Steve Peers è cosa concretamente possa fare questo Parlamento per difendere tali diritti, che riguardano milioni di cittadini non britannici residenti nel Regno Unito.

Infine vorrei porre un’ultima domanda agli esperti presenti, chiedendo loro come potrà essere gestita la questione di una possibile permanenza nell’Unione dell’Irlanda del Nord e della Scozia – in quest’ultimo caso nell’ipotesi di un eventuale referendum sull’indipendenza e di un vittoria del fronte favorevole a tale prospettiva (non è detto a mio parere che tale referendum si terrà, e che i pro-europei lo vincano) – trattandosi di due regioni che nel referendum sul Brexit hanno maggioritariamente espresso la volontà di restare nell’Unione.

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